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Lo sviluppo socialmente sostenibile

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Francesca Occhionero
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Fac.Scienze Matematiche Fisiche e Naturali, Università “La Sapienza”, Roma; membro Società Chimica Italiana; consulente di Sicurezza del Lavoro e Analisi Ambientale.

Gabriele Favero
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Dipartimento di Chimica, Fac.Scienze Matematiche Fisiche e Naturali, Università “La Sapienza”, Roma; ricercatore del Parco Scientifico e Tecnologico del Lazio Meridionale; collaboratore del Museo Multipolare della Scienza e dell’Informazione Scientifica.

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Il mutamento ambientale globale: il recupero della dimensione umana

Francesca Occhionero

Gabriele Favero

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2. Il ciclo delle interrelazioni tra il sistema ambientale e quello umano

 

Le attività umane risultano essere una piccola, ma importante, e soprattutto pericolosa, componente di un insieme complessivo di ecosistemi globali e processi ecologici che includono per esempio i processi biologici, fisici e chimici.

Nella Figura 1 vengono rappresentate le relazioni tra i sistemi naturali e l’uomo ponendo l’attenzione sui flussi fisici di energia e di materia che caratterizzano questa relazione; le attività umane rappresentate al centro del grafico, interagiscono in vari modi con l’ambiente che le circonda: ad esempio sono rappresentate le emissioni ed i residui, che hanno un impatto sia locale che globale, l’estrazione, la gestione e la sottrazione delle risorse perpetrata dalle attività umane sui sistemi naturali e gli impatti concomitanti sugli habitat e le risorse genetiche.

Chiaramente, una visione del flusso fisico del tipo illustrato nella Figura 1, è una componente necessaria di qualunque ricerca tesa a considerare seriamente le dimensioni umane dei problemi del cambiamento globale [1]. In questa visione, risulta di particolare importanza, l’enfasi adottata nel descrivere le attività umane in termini dei flussi fisici di materia e delle azioni che portano all’insorgere di problemi ambientali. Questo permette di fare una connessione diretta tra attività umane e processi ambientali; la comprensione della natura di queste connessioni è una condizione necessaria per lo sviluppo appropriato delle risposte sui rimedi ed i correttivi.

In ogni modo, una visione del mondo semplicemente in termini di flussi fisici, fornisce una base inadeguata per fornire queste risposte. Tale visione, infatti, non include le attività derivanti da decisioni umane o le scelte istituzionali di carattere comportamentale e politico, che non possono essere rappresentate in termini di flussi fisici ma che devono essere considerate in ogni tentativo di analisi delle potenziali risposte umane al cambiamento globale.

La distinzione tra questi due tipi di attività umane è rappresentata nella Figura 1 che mostra la differenza tra i due settori che definiscono l’insieme delle attività umane: il settore indicato con P.F. rappresenta i ‘processi fisici’ costituiti dalle attività umane definite in termini fisici (p.e. i processi demografici, le attività di consumo, la produzione industriale, l’estrazione delle risorse, etc.), mentre il settore indicato con P.D. rappresenta i ‘processi decisionali’ ovvero quelle attività umane che consistono in processi mediante ed attraverso i quali vengono prese le decisioni umane (p.e. l’organizzazione e l’assetto istituzionale, le attitudini e le decisioni individuali, le relazioni tra potere ed autorità etc.). Quest’ultimo insieme di attività non può essere rappresentato in termini di flussi fisici e tende pertanto ad essere trascurato o del tutto ignorato in una visione del mondo di questo tipo.

L’impatto dell’uomo sull’ambiente naturale, come abbiamo visto, si è rivelato nei secoli sconvolgente; in particolare con l’avvento della rivoluzione industriale l’uomo ha ampliato a dismisura il cosiddetto ecumene, ovvero quell’ambiente “umanizzato” che è diventato spazio a sua disposizione.

Con la seconda metà del XVIII secolo i mezzi tecnici a disposizione per intervenire e addomesticare ambienti “ostili”, diventano più sofisticati e l’urbanizzazione comincia a crescere con ritmi rapidissimi, segnando l’inizio del processo di inquinamento, processo che si protrarrà a lungo.

Queste osservazioni potrebbero condurre, come si è già osservato, ad un frettoloso giudizio, fortemente negativo, sull’impatto ambientale della rivoluzione industriale ed alla criminalizzazione dell’industria nei suoi rapporti con l’ambiente; in realtà, benché sia difficile contestare che il rapporto tra impresa ed ambiente sia stato sempre complicato, bisognerebbe sottolineare che nel comportamento sostanzialmente inquinante dell’industria non vi è nulla di ineluttabile, immanente ed inevitabile. Piuttosto è più corretto affermare che non è l’industria ad essere necessariamente inquinante, bensì modi di produzione suggeriti dal desiderio di realizzare il massimo profitto nel minor tempo possibile.

Già nel secolo scorso lo strapotere dell’industria veniva osservato con attenzione e preoccupazione da molti scrittori, poeti ed artisti europei i quali, “di fronte alla incalzante industrializzazione dei maggiori paesi dell’Europa occidentale, all’arricchimento di una borghesia avida e speculatrice, all’inquinamento ed al degrado civile di città e di periferie industrializzate, reagirono con inquietudine e rabbia” (Lucio Villari, 1989).

Oggi tutti questi aspetti vengono in parte trascurati per dare maggiore risalto alle “magnifiche e progressive sorti” che certamente ha portato la rivoluzione industriale. Se questo è vero, è altrettanto sicuro che essa ha provocato un impatto brusco ed evidente sull’ambiente in termini di occupazione del suolo, di inquinamento dell’acqua, dell’aria, del suolo e dell’udito, di produzione di rifiuti, spesso anche tossici e nocivi. In pratica agli effetti positivi se ne aggiungono altri, decisamente negativi.

Esiste però oggi la possibilità che le industrie “sporche” producano in modo pulito (ancorché più costoso) ed esistono le industrie “pulite” che consentono di realizzare un migliore rapporto industria/ambiente capace di non incidere negativamente sulla qualità dell’ambiente e sulla estensione dello spazio “umanizzato”.

Pertanto il problema non risiede tanto nell’industria come entità astratta o nella rivoluzione industriale che l’ha prodotta, ma va più correttamente ricercato nei metodi di produzione i quali, pur potendo essere, specialmente oggi, più “puliti” e rispettosi dell’ambiente, continuano ad avere su quest’ultimo un impatto negativo perché produrre “sporco” costa meno e fa realizzare maggiori profitti.

E’ proprio a causa di motivi come questo che la biosfera ha subito da parte dell’uomo, negli ultimi cinquant’anni, danni di notevole entità, tanto che si parla di degrado ambientale in senso generalizzato e ci si interroga sia sulla capacità della natura di sopportare il peso dell’economia globale sia sullo stato e sul futuro della biosfera stessa.

Molti infatti sono stati i cambiamenti, talvolta irreversibili, indotti dalle attività industriali che hanno determinato danni ed impoverimento dell’ecosistema; ad esempio, i fenomeni di combustione del legno, del carbone, del petrolio e del gas naturale hanno alterato il normale flusso di energia all’interno della biosfera ed il mancato controllo delle emissioni industriali ha determinato gravi perturbazioni nell’atmosfera, nella stratosfera e nei bacini idrici. In particolare, per quanto riguarda l’atmosfera, la crescita della concentrazione di anidride carbonica, è ritenuta la principale responsabile dell’effetto serra [2], ossia il riscaldamento della stessa (global warming [3] ); basti pensare che dal 1950 ad oggi, le emissioni di CO2 si sono quasi quadruplicate [4] (vedi Figura 2).; d’altro canto la produzione di ingenti quantità di ossidi di zolfo e di azoto (che in presenza di vapore d’acqua e per effetto della radiazione solare si trasformano in acido solforico ed acido nitrico) ha prodotto il fenomeno delle cosiddette piogge acide che ricadono al suolo producendo enormi danni a quest’ultimo ed alla vegetazione.


[1] International Social Science Journal, n.130 - November 1991, “Modelling the interactions between human and natural systems”, John B. Robinson

[2] San Francisco: Sierra Club Books, “Global Warming”, 1989, S. Scheider

[3] The New York Times, “Temperature for world rises sharply in the 1980’s”, March 29: C1 1988, P. Shabecoff

[4] Enviromental Science & Technology, vol. 31 n.11 - 1997, Catherine M. Cooney