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Trasformazioni sociali e diritto

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Arturo Salerni
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Associazione Progetto Diritti; Membro del Comitato Scientifico del Centro Studi Trasformazioni Economico-Sociali (CESTES) - Proteo

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Stato, regioni ed enti locali nel quadro della riforma della Pubblica Amministrazione

Arturo Salerni

Dislocazione dei poteri, trasferimento di compiti, decentramento e federalismo: tra riforme costituzionali e mutamenti già avvenuti

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L’art.3 del disegno di legge costituzionale (che prevede la riforma dell’art.117) distingue quindi tra materie in cui lo Stato ha legislazione esclusiva, materie di cosiddetta legislazione concorrente, e potestà legislativa delle Regioni.

Nelle materie di legislazione concorrente “spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato”.

Le materie su cui lo Stato manterrebbe la propria legislazione esclusiva sono: la politica estera e i rapporti internazionali dello Stato, i rapporti con l’Unione Europea, il diritto di asilo e la condizione giuridica dello straniero non comunitario; l’immigrazione; i rapporti con le confessioni religiose; la difesa e la sicurezza dello Stato, le Forze armate e la legislazione sulle armi; la moneta (questione che però deve fare i conti con il passaggio all’euro e con i poteri della Banca Centrale Europea), la tutela del risparmio e dei mercati finanziari; la tutela della concorrenza; il sistema valutario ed il sistema tributario e di contabilità dello Stato; la perequazione delle risorse finanziarie; gli organi dello Stato e le relative leggi elettorali, i referendum statali, l’elezione del Parlamento europeo; l’ordinamento e l’organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali; l’ordine pubblico e la sicurezza, ad esclusione della polizia amministrativa locale; la cittadinanza, lo stato civile e le anagrafi; la giurisdizione e le norme processuali, l’ordinamento civile e penale, la giustizia amministrativa; “la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”; le norme generali sull’istruzione; la previdenza sociale; la legislazione elettorale, gli organi di governo e le funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane (che sono state previste per la prima volta dalla legge 142/90); le dogane, la protezione dei confini nazionali e la profilassi internazionale; pesi, misure e determinazione del tempo; coordinamento informativo statistico e informatico dei dati dell’amministrazione statale, regionale e locale; le opere dell’ingegno; la tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali.

Va però tenuto presente che - secondo quanto previsto dalla riforma dell’art.116 contenuta nello stesso disegno di legge costituzionale - sono attribuibili con legge dello Stato “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia” nei confronti delle Regioni a statuto ordinario anche per ciò che concerne l’organizzazione del giudice di pace (organo che si è visto attribuire con legge ordinaria del 2000 anche competenze in materia di giustizia penale), le norme generali sull’istruzione e la tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali.

Per il terzo comma dell’art.117 - secondo il disegno di legge costituzionale - “sono materie di legislazione concorrente quelle relative a: rapporti internazionali e con l’Unione Europea delle Regioni; commercio con l’estero; tutela e sicurezza del lavoro; istruzione, salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e formazione professionale; professioni; ricerca scientifica e tecnologica e sostegno dell’innovazione per i settori produttivi; tutela della salute; alimentazione; ordinamento sportivo; protezione civile; governo del territorio; porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto e di navigazione; ordinamento della comunicazione; produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia; previdenza complementare e integrativa; armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario; valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali; casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale; enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale”.

Alle Regioni spetta “la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato”.

Inoltre le Regioni - è sempre il testo dell’art.117 come previsto dal disegno di legge costituzionale in esame - “nelle materie di loro competenza, partecipano alle decisioni dirette alla formazione degli atti normativi comunitari e provvedono all’attuazione e all’esecuzione degli accordi internazionali e degli atti dell’Unione Europea, nel rispetto delle norme di procedura stabilite da legge dello Stato, che disciplina le modalità di esercizio del potere sostitutivo in caso di inadempienza”.

Con riferimento alla potestà regolamentare essa - nelle materie di legislazione esclusiva - spetta allo Stato, salva la possibilità di delegarla alle Regioni. In tutte le altre materie (comprese quindi anche quelle di cosiddetta legislazione concorrente) la potestà regolamentare, nelle previsioni del disegno di legge costituzionale già approvato in prima lettura dai due rami del Parlamento, spetta alle Regioni.

I Comuni, le Province e le Città metropolitane avrebbero invece potestà regolamentare “in ordine alla disciplina dell’organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite”.

Inoltre la legge regionale potrà ratificare le intese della Regione con altre Regioni “per il migliore esercizio delle proprie funzioni, anche con individuazione di organi comuni” e “nelle materie di sua competenza la Regione può concludere accordi con Stati e intese con enti territoriali interni ad altro Stato”.

L’art.118 risultante dal testo di riforma introduce il principio per cui “le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni salvo che, per assicurarne l’esercizio unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza”. E cioè ogni funzione amministrativa viene attribuita naturalmente all’ente territoriale più piccolo, salva l’impossibilità del Comune di esercitarla per cui questa viene conferita alla Provincia (o alla Città metropolitana) e quindi alla Regione (che oltre al potere legislativo esclusivo e concorrente con lo Stato, ha potestà regolamentare secondo i principi che abbiamo già visto ed esercita funzioni amministrative laddove - anche in relazione al principio di adeguatezza - non vi sia la possibilità che esse siano esercitate dagli enti locali). Lo Stato esercita la funzione amministrativa - anche nelle materie nelle quali ha legislazione esclusiva e potestà regolamentare (peraltro quest’ultima è sempre delegabile alle Regioni) - solo in ultima battuta e residualmente.

Per avallare tale costruzione si dice che oltre alle funzioni conferite con legge statale o regionale i Comuni, le Province e le Città metropolitane “sono titolari di funzioni amministrative proprie”, quasi che tali funzioni appartengano per natura all’ente locale e non perché una specifica normativa le attribuisca loro.

Ancora: nelle materie relative all’immigrazione ed all’ordine ed alla sicurezza pubblica (ancora una volta immigrazione e sicurezza vengono accostate; ma qui non si tratta dei soliti articoli allarmistici di cui tanto si nutre l’opinione pubblica, ma di un disegno di legge costituzionale) “la legge statale disciplina forme di coordinamento fra Stato e Regioni”.

Ed all’ultimo comma dell’art.118 della Costituzione viene inserito il principio - già presente in forme diverse nel testo elaborato dalla Commissione bicamerale istituita per la riforma della seconda parte della Costituzione, presieduta da D’Alema - per cui “Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà”.

Il concetto della sussidiarietà ed il principio per cui va favorita la gestione da parte dei privati dei servizi pubblici entrano dunque per questa via prepotentemente nel tessuto costituzionale: il favore con cui la Confindustria guarda al testo del disegno di legge costituzionale sulle nuove funzioni di Regioni ed autonomie locali è innanzitutto motivato da quest’elemento.

La filosofia del disegno di legge emerge ancora più chiaramente dalla lettura della proposta di modifica dell’art.119 della Costituzione, che contiene alcuni principi fondamentali.

Innanzitutto l’ “autonomia finanziaria di entrata e di spesa” conferita a Regioni ed enti locali (Comune, Province e Città metropolitane).

Ed ancora: “I Comuni, le Province, le Città metropolitane hanno risorse autonome. Stabiliscono e applicano tributi ed entrate propri, in armonia con la Costituzione e secondo i princìpi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario [principi che vengono fissati attraverso la legislazione concorrente, per cui spetta alle regioni la potestà legislativa “salvo che per la determinazione dei princìpi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato”]”. Inoltre - oltre all’applicazione dei propri tributi - regioni ed enti locali “dispongono di compartecipazioni al gettito di tributi erariali riferibili al loro territorio”.

Per i territori con minore capacità fiscale per abitante - sarebbe questo il principio del cosiddetto federalismo solidale - “la legge dello Stato istituisce un fondo perequativo, senza vincoli di destinazione” ed inoltre “per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, per rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire l’effettivo esercizio dei diritti della persona, o per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni, lo Stato destina risorse aggiuntive ed effettua interventi speciali in favore di determinati Comuni, Province, Città e metropolitane e Regioni”.

Si stabilisce - all’art.6 del disegno di legge che prevede la sostituzione dell’art.120 della Costituzione - l’impossibilità per la Regione di stabilire dazi di importazione, esportazione o transito, o di ostacolare in qualsiasi modo il principio della libera circolazione delle persone, o ancora di limitare “l’esercizio del diritto al lavoro in qualunque parte del territorio nazionale”.

È previsto per il Governo il potere di sostituirsi ad organi della Regione o degli Enti Locali in presenza di “mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria oppure di pericolo grave per l’incolumità e la sicurezza pubblica, ovvero quando lo richiedono la tutela dell’unità giuridica o dell’unità economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, prescindendo dai confini territoriali dei governi locali. La legge definisce le procedure atte a garantire che i poteri sostitutivi siano esercitati nel rispetto del principio di sussidiarietà e del principio di leale collaborazione”.

Si inserisce - prevedendo che il sistema delineato e le tendenze in atto possono determinare frizioni e conflitti non solo tra Stato e Regioni, ma anche tra Regioni, Comuni, Province e Città metropolitane - all’art.123 della Costituzione il Consiglio delle autonomie locali (che deve essere disciplinato dallo Statuto regionale) “quale organo di consultazione fra la Regione e gli enti locali”.

L’organo cui è demandata la risoluzione dei conflitti che intervengono tra Stato e Regioni, oppure tra diverse regioni, è - e non potrebbe essere altrimenti - la Corte Costituzionale.

Alcune considerazioni devono essere fatte. La prima è ovvia, ma non per questo meno importante. Da un lato il trasferimento di funzioni che viene determinato dal processo sempre più avanzato di costruzione europea, dall’altro il cammino a tappe forzate verso l’aumento dei poteri da parte delle Regioni ed il decentramento delle funzioni nei confronti degli enti locali riducono fortemente ruolo e poteri dello Stato centrale, dello Stato nazionale.

Il processo di integrazione europea soffre evidentemente di un deficit profondo di democrazia, affidato com’è alle trattative degli esecutivi, alle decisioni degli euroburocrati e dei banchieri, alla assoluta mancanza di argini alle volontà dei grandi potentati economici. La mancanza di un effettivo percorso verso la definizione di una Costituzione europea, l’inesistenza di un organo legislativo democraticamente eletto (i poteri del Parlamento europeo sono poco più che di natura meramente consultiva), l’accettazione quasi unanime del modello liberista dell’economia e della necessità di svuotamento dell’azione dei pubblici poteri segnano profondamente - quantomeno nel presente - il percorso dell’Unione Europea.

Dall’altro lato la rincorsa spesso confusa delle istanze disgregative, del “decentrare tutto” per “sburocratizzare tutto”: in questo quadro non si comprende cosa lega le diverse entità regionali nell’ambito di un quadro unitario, e soprattutto dove finisca quel compito della Repubblica di “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese” (principio fissato dall’art.3, capoverso, della Costituzione).

E cioè in un quadro così spezzettato, e senza l’attribuzione di funzioni precise in tal senso alle tante entità che costituiscono la Repubblica, svaporano ad esempio la promozione delle condizioni che rendono effettivo quel diritto al lavoro riconosciuto dall’art.4 della Costituzione a tutti i cittadini, il potere attribuito alla legge di determinare “i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali” (art.41 Cost.).

Il progetto ha tre perni principali: a) la nuova disciplina in tema di ripartizione della funzione legislativa tra Stato e regioni; b) la nuova disciplina in tema di ripartizione delle funzioni amministrative tra Stato, Regioni, Città metropolitane, Province, [Comuni n.d.r.] e privati; c) la nuova disciplina in tema di ripartizione del potere di imposizione tributario”(Giuseppe Ugo Rescigno, in Le autonomie, novembre 2000, pag.15).