Stato, regioni ed enti locali nel quadro della riforma della Pubblica Amministrazione
Arturo Salerni
Dislocazione dei poteri, trasferimento di compiti, decentramento e federalismo: tra riforme costituzionali e mutamenti già avvenuti
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Ed inoltre i decreti delegati devono prevedere “che le
regioni e gli enti locali, nell’ambito delle rispettive competenze, regolino l’esercizio
dei servizi con qualsiasi modalità effettuati e in qualsiasi forma affidati
[....] mediante contratti di servizio pubblico” formulati nel rispetto
degli accordi CEE e con “caratteristiche di certezza finanziaria e
copertura di bilancio” (si tratta dei trasporti ferroviari di interesse
regionale e locale), e devono “definire le modalità per incentivare il
superamento degli assetti monopolistici nella gestione dei servizi di trasporto
urbano ed extraurbano e per introdurre regole di concorrenzialità nel periodico
affidamento dei servizi”. Liberalizzazione e privatizzazione, nonché
contrazione della spesa pubblica e quindi restrizione dell’intervento del
settore pubblico nel campo dei trasporti di interesse regionale e locale, sono
gli elementi che accompagno il processo di decentramento e l’attribuzione dei
compiti e delle funzioni alle regioni (prevalentemente di natura programmatoria)
ed agli enti locali.
Si prevede infine - sulla base dei principi che abbiamo
elencato precedentemente - di ridefinire, riordinare e razionalizzare “per
quanto possibile individuando momenti decisionali unitari, la disciplina
relativa alle attività economiche ed industriali, in particolare per quanto
riguarda il sostegno e lo sviluppo delle imprese operanti nell’industria, nel
commercio, nell’artigianato, nel comparto agroindustriale e nei servizi alla
produzione; per quanto riguarda le politiche regionali, strutturali e di
coesione dell’Unione Europea, ivi compresi gli interventi nelle aree depresse
del territorio nazionale, la ricerca applicata, l’innovazione tecnologica, la
promozione della internazionalizzazione e della competitività delle imprese nel
mercato globale e la promozione della razionalizzazione della rete commerciale
anche in relazione all’obiettivo del contenimento dei prezzi e dell’efficienza
della distribuzione; per quanto riguarda la cooperazione nei settori produttivi
e il sostegno dell’occupazione; per quanto riguarda la cooperazione nei
settori produttivi e il sostegno dell’occupazione; per quanto riguarda le
attività relative alla realizzazione, all’ampliamento, alla ristrutturazione
e riconversione degli impianti industriali, all’avvio degli impianti medesimi
e alla creazione, ristrutturazione e valorizzazione di aree industriali
ecologicamente attrezzate, con particolare riguardo alle dotazioni e impianti di
tutela dell’ambiente, della sicurezza e della salute pubblica”.
Si prevedeva che fosse la legge regionale - nel rispetto dei
principi di sussidiarietà e di efficienza ed economicità - ad individuare
puntualmente le funzioni trasferite o delegate agli enti locali e quelle
mantenute in capo alla regione stessa, ed in caso di mancata approvazione delle
leggi regionali in materia si prevedeva l’intervento sostitutivo del Governo
(si possono richiamare in tal senso il decreto legislativo 5 marzo 1998 n. 60
con cui il Governo esercita il potere sostitutivo nei confronti delle regioni
Piemonte, Lombardia, Veneto, Marche, Molise, Campania e Calabria, che non hanno
provveduto, nei termini previsti, ad adottare i propri provvedimenti di
trasferimento delle funzioni in materia di agricoltura e pesca agli Enti locali
dei rispettivi territori, ed il decreto legislativo 30 marzo 1999, n.96 con
riferimento alle regioni sopra richiamate ed al Lazio e alla Puglia e
riguardante il sostegno alle imprese, l’industria, l’energia, le miniere,
fiere, mercati e commercio, il turismo, il territorio e l’urbanistica, l’edilizia
residenziale pubblica, l’ambiente e la protezione della flora e della fauna,
le attività a rischio, i parchi e le riserve naturali, l’inquinamento delle
acque, l’inquinamento acustico, atmosferico ed elettromagnetico, le risorse
idriche e la difesa del suolo, le opere pubbliche, la viabilità, i trasporti,
la tutela della salute, i servizi sociali, la formazione professionale).
L’art.7 della legge 59/1997, al primo comma, fissa un altro
principio - da attuare con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (e
cioè con atto amministrativo) - che segna conferimento a regioni ed enti locali
di funzioni e compiti amministrativi: “Il trasferimento di beni e delle
risorse deve comunque essere congruo rispetto alle competenze trasferite e al
contempo deve comportare la parallela soppressione o il ridimensionamento dell’amministrazione
statale periferica, in rapporto ad eventuali compiti residui”.
Per il riordino delle strutture statali, in relazione allo
svolgimento dei residui compiti e delle restanti funzioni si prevedeva lo
strumento del regolamento, da adottare con decreto del Presidente della
Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, sentiti il
Consiglio di Stato e l’apposita Commissione parlamentare.
Inoltre il comma 4 bis dell’art.7 - inserito con la legge
191/1998 - prevede l’istituzione di una addizionale comunale sull’IRPEF, con
riduzione delle aliquote IRPEF in misura pari all’aliquota base dell’addizione
comunale, salva una possibilità aggiuntiva attribuita ai Comuni
Tra le disposizioni abrogate espressamente dalla legge
59/1997 vi è l’art.3 della legge 382 del 1975 (che dettava “norme sull’ordinamento
regionale e sull’organizzazione della pubblica amministrazione”): ai
sensi di tale disposizione la funzione attribuita allo Stato di indirizzo e
coordinamento delle regioni a statuto ordinario “attiene ad esigenze
unitarie, anche con riferimento agli obiettivi della programmazione economica
nazionale”..
Vengono al contempo ampliate le attribuzioni della Conferenza
Stato-Regioni e la sua unificazione - per le materie e i compiti di interesse
comune delle regioni, delle provincia e dei comuni - con la Conferenza
Stato-Città ed autonomie locali.
Va evidenziato che tale processo di conferimento di compiti e
funzioni dalla Stato alle regioni ed agli enti locali è accompagnato - per
espressa previsione della legge n.59 del 1997 - da una serie di provvedimenti e
misure che incidono complessivamente sulla struttura e sul funzionamento della
Pubblica Amministrazione, ed in particolare il riordino dei Ministeri, la
riforma della Presidenza del Consiglio dei Ministri, il riordino degli enti
pubblici nazionali e delle istituzioni di diritto privato e delle società per
azioni controllate direttamente o indirettamente dallo Stato operanti nella
promozione e nel sostegno pubblico al sistema produttivo nazionale, il riordino
dei sistemi “di monitoraggio e di valutazione dei costi, dei rendimenti e
dei risultati dell’attività svolta dalle amministrazioni pubbliche” e
del settore della ricerca scientifica e tecnologia.
Inoltre con la stesse legge delega si è avviata la modifica
del decreto legislativo n.29 del 1993, che regola sia i rapporti di lavoro nella
pubblica amministrazione che il sistema delle relazioni sindacali nei diversi
comparti del settore pubblico, modifica che - come è noto - ha accelerato e
definito termini e modalità della complessiva privatizzazione del pubblico
impiego ed ha portato anche alla riforma della dirigenza.
Con riferimento alla “razionalizzazione e
redistribuzione delle competenze tra i Ministeri” la legge n.589/1997, all’art.12
primo comma, detta quale criteri direttivi il tener conto “delle esigenze
derivanti dall’appartenenza dello Stato all’Unione Europea” e dei
conferimenti di compiti e funzioni a regioni ed autonomie locali, con l’obiettivo
“in ogni caso” di ridurne il numero, e quello (lett.g) di “eliminare
le duplicazioni organizzative e funzionali, sia all’interno di ciascuna
amministrazione, sia fra di esse, sia tra organi amministrativi e organi
tecnici,con eventuale trasferimento, riallocazione o unificazione delle funzioni
e degli uffici esistenti, e ridisegnare le strutture di primo livello, anche
mediante istituzione di dipartimenti o di amministrazioni ad ordinamento
autonomo o di agenzie e aziende, anche risultanti dalla aggregazione di uffici
di diverse amministrazioni, sulla base di criteri di omogeneità, di
complementarietà e di organicità”.
Lo stesso articolo 12 detta, tra gli altri, i seguenti
obiettivi e criteri: “procedere, d’intesa con le regioni interessate, all’articolazione
delle attività decentrate e dei servizi pubblici, in qualunque forma essi siano
gestiti o sottoposti al controllo dell’amministrazione centrale dello Stato,
in modo che se organizzati a livello sovraregionale, ne sia assicurata la
fruibilità alle comunità, considerate unitamente dal punto di vista regionale”
(primo comma, lett. i); “riordinare le residue strutture periferiche dei
Ministeri, dislocate presso ciascuna provincia, in modo da realizzare l’accorpamento
e la concentrazione, sotto il profilo funzionale, organizzativo e logistico di
tutte quelle presso le quali i cittadini effettuano operazioni o pratiche di
versamento di debiti o di riscossione di crediti a favore o a carico dell’Erario
dello Stato” (lett. l); istituire “un più razionale collegamento tra
gestione finanziaria ed azione amministrativa, organizzando le strutture per
funzioni omogenee e per centri di imputazione delle responsabilità”
(lett. m); “garantire la speditezza dell’azione amministrativa e il
superamento della frammentazione delle procedure, anche attraverso opportune
modalità e idoneistrumenti di coordinamento tra uffici, anche istituendo i
centri interservizi, sia all’interno di ciascuna amministrazione, sia fra le
diverse amministrazioni” (lett. p); “organizzare le strutture secondo
criteri di flessibilità, per consentire sia lo svolgimento dei compiti
permanenti, sia il perseguimento di specifici obiettivi e missioni” (lett.
q); realizzare i conseguenti processi di mobilità del personale.
Come si vede, la legge n.59 avvia un processo di radicale
trasferimento e modificazione delle competenze accompagnato da un altrettanto
radicale percorso di trasformazione dell’organizzazione della pubblica
amministrazione nel suo complesso e del rapporto di lavoro nel settore pubblico.
Necessariamente questo processo normativo, e le sue evoluzioni certamente non
concluse (si pensi ai mutamenti che potrebbero seguire all’eventuale
approvazione del disegno di legge costituzionale di cui abbiamo parlato)
meritano di essere ampiamente analizzate anche sotto il profilo delle
conseguenze che innescano sul piano dell’organizzazione e dell’attività
sindacale in quelli che oggi costituiscono i diversi comparti del pubblico
impiego.
La modifica dell’art.17 della legge 23 agosto 1988 n.400
prevede l’adozione di regolamenti, emanati dal Ministro competente di intesa
con il Presidente del Consiglio dei Ministri e con il Ministro del Tesoro, per
la conseguente organizzazione e disciplina degli uffici dei Ministeri.
È importante anche considerare i principi - rilevatori di
una complessiva filosofia della riforma, e tra essi l’esigenza del
contenimento del disavanzo pubblico - che vengono indicati nel quadro dell’obiettivo
del riordino degli enti pubblici nazionali, e cioè la fusione o soppressione di
enti con finalità omologhe o complementari, la “trasformazione di enti per
i quali l’autonomia non sia necessaria o funzionalmente utile in ufficio dello
Stato o di altra amministrazione pubblica”, la “trasformazione in
associazioni o in persone giuridiche di diritto privato degli enti che non
svolgono funzioni o servizi di rilevante interesse pubblico nonché di altri
enti per il cui funzionamento non è necessaria la personalità di diritto
pubblico”, la “trasformazione in ente pubblico economico o in
società di diritto privato di enti ad alto indice di autonomia finanziaria”,
il contenimento delle spese di funzionamento, “la programmazione atta a
favorire la mobilità e l’ottimale utilizzo delle strutture impiantistiche”.
Ed ancora si prevede che ciascuna amministrazione istituisca
sistemi per la valutazione dei risultati dell’attività amministrativa e dei
servizi pubblici favorendo l’adozione di carte dei servizi e assicurando
sanzioni in caso di loro violazione e “che ciascuna amministrazione
provveda periodicamente e comunque annualmente alla elaborazione di specifici
indicatori di efficacia, efficienza ed economicità ed alla valutazione
comparativa dei costi, rendimenti e risultati” (art.17, primo comma,
lett.b, legge 59/1997), indicatori da collegare alla allocazione annuale delle
risorse.
Accanto ai provvedimenti relativi al conferimento di funzioni
e compiti a regioni ed autonomie locali ed alla riforma delle strutture della
pubblica amministrazione nel suo complesso, la legge 59 del 1997 prevede la
cosiddetta “delegificazione di norme concernenti procedimenti
amministrativi, anche coinvolgenti amministrazioni centrali, locali o autonomi”
e l’incremento della potestà regolamentare.
I regolamenti debbono conformarsi ad alcuni criteri e
principi, indicati dall’art.20, comma 5, della legge 59 ed integrati dalle
previsioni contenute nella legge 191 del 1998. Si prevede in particolare: la “semplificazione
dei procedimenti amministrativi, e di quelli che agli stessi risultano
strettamente connessi o strumentali, in modo da ridurre il numero delle fasi
procedimentali e delle amministrazioni intervenienti, anche riordinando le
competenze degli uffici, accorpando le funzioni per settori omogenei,
sopprimendo gli organi che risultino superflui e costituendo centri interservizi
dove raggruppare competenze diverse ma confluenti in una unica procedura”
(lett. a); la “riduzione dei termini per la conclusione dei procedimenti”
(lett. b); la regolazione in termini uniformi di procedimenti appartenenti allo
stesso tipo che si svolgono presso diverse amministrazioni o diversi uffici
della stessa amministrazione; la riduzione del numero dei procedimenti
amministrativi; la semplificazione delle procedure di spesa e contabili; la “soppressione
dei procedimenti che risultino non più rispondenti alle finalità e agli
obiettivi fondamentali definiti dalla legislazione di settore o che risultino in
contrasto con i principi generali dell’ordinamento giuridico nazionale o
comunitario” (lett. g-bis); la “soppressione dei procedimenti che
comportino, per l’amministrazione e per i cittadini, costi più elevati dei
benefici conseguibili, anche attraverso la sostituzione dell’attività
amministrativa diretta con forme di autoregolamentazione da parte degli
interessati” (lett. g.ter); la sostituzione, ove possibile, con il regime
autorizzatorio del regime concessorio e “la soppressione dei procedimenti
che derogano alla normativa procedimentale di carattere generale, qualora non
sussistano più le ragioni che giustifichino una difforme disciplina settoriale”
(lett. g-quinques).