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Società e processi immateriali

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Filippo Viola
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Professore di Sociologia, Fac. di Sociologia, Univ. “La Sapienza”

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Soggettività sociale e televisione: un processo immateriale

Filippo Viola

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1. Soggettività sociale e comunicazione

Ra soggettività sociale non è la somma di soggettività individuali che vivono la stessa condizione esistenziale. Non basta che una moltitudine di soggetti abbiano in comune esperienze di vita perché si formi una soggettività sociale. È necessario che i soggetti possano scambiarsi quotidianamente le loro esperienze esistenziali. La comunicazione è dunque un passaggio cruciale nel processo di formazione della soggettività sociale. E va considerata nel quadro dei processi immateriali, cioè di processi privi di materialità, ma fortemente intrecciati ai processi materiali. È in questo impasto di materialità e immaterialità il connotato specifico della soggettività sociale. Da qui la necessità di una sorta di “anatomia” dei processi immateriali, che prenda a modello l’analisi marxiana dei processi materiali (un tentativo in tale direzione è nel mio volume La società astratta).

La formazione di una soggettività sociale autonoma rispetto al quadro istituzionale è una mina vagante per il sistema capitalistico. Per disinnescare tale mina, bisogna che la comunicazione venga svuotata delle sue potenzialità dirompenti e trasformata in veicolo di interiorizzazione del modello capitalistico. Ma un intervento di questo tipo è problematico in una società formalmente democratica finché la comunicazione interpersonale si realizza in forma diretta, attraverso rapporti faccia a faccia, senza l’intermediazione di un apparato tecnico.

È una situazione analoga a quella che si è avuta nella sfera della produzione materiale. Marx ha messo in evidenza l’incidenza che ha sulla soggettività l’introduzione delle macchine. Nella fase premeccanizzata il capitale ha il controllo economico sul lavoro, ma il controllo tecnico rimane all’operaio (su questo punto rinvio, per brevità, al mio volume Il sistema di macchine. Meccanizzazione e soggettività nel modello teorico di Marx, Edizioni Associate). Analogamente possiamo dire che, prima dell’introduzione dell’apparato tecnico, il controllo della comunicazione interpersonale rimane, in ultima analisi, in mano ai soggetti. A meno di interventi autoritari e restrittivi, come si fa a intervenire tra persone che comunicano direttamente, faccia a faccia?

2. La comunicazione mediata dalla tecnologia

La situazione cambia invece quando si passa dalla comunicazione diretta alla comunicazione mediata dalla tecnologia ed ancora di più quando si sviluppa la comunicazione basata su un sistema tecnico centralizzato. Analogamente a quanto è avvenuto per la produzione materiale, c’è una sorta di passaggio dalla sussunzione formale della comunicazione - per cui la comunicazione fra soggetti deve rispettare certi canoni, ma il controllo diretto rimane ai soggetti - alla sussunzione reale, in cui, attraverso l’apparato tecnico centralizzato, è possibile il controllo dall’alto della comunicazione sociale. Il sistema centralizzato consente ai funzionari dei poteri forti di decidere le modalità e gli ambiti della comunicazione sociale.

3. Dalla comunicazione a circuito chiuso alla comunicazione a circuito aperto

Nel quadro della comunicazione tecnicamente centralizzata la comunicazione televisiva ha una connotazione specifica. Per tentare di cogliere lo specifico televisivo, in relazione alla formazione della soggettività sociale, occorre introdurre una distinzione fra comunicazione a circuito chiuso e comunicazione a circuito aperto. Nel primo caso i soggetti, per mettersi in comunicazione, devono attivarsi, uscendo di casa e recandosi nel luogo di riunione. Questo aspetto è rilevante per la formazione della soggettività sociale. Perché agli appuntamenti vanno soggetti che hanno un comune orientamento di base. Nella comunicazione a circuito aperto invece da una parte c’è una stazione emittente, dall’altra c’è una moltitudine di apparecchi riceventi. È questo ultimo il tipo di comunicazione televisiva che arriva nelle case. I soggetti possono starsene sprofondati in poltrona. Basta premere un pulsante del telecomando per aprire la comunicazione. La soggettività sociale si trova così coinvolta in un processo che sfugge al suo controllo.

4. TV domestica e soggettività sociale

Come è noto, ormai nelle case delle famiglie italiane il televisore è sempre acceso. E spesso ci sono diversi televisori sparsi per casa. In queste condizioni non solo non c’è bisogno di uscire di casa per andare ad un appuntamento comunicativo. Al contrario, solo uscendo di casa si può sfuggire alla comunicazione televisiva. Ed anche per strada arrivano a volte le risonanze televisive. Quante volte capita di sentire per strada l’eco televisiva di una partita di calcio? Di fatto - a prescindere da aree alternative, impermeabili alla TV - la soggettività sociale è letteralmente assediata dalla comunicazione televisiva. Ma i soggetti non hanno sentore di questo assedio. Tutt’altro. La TV è in tutte le case, ma non fa pesare la sua presenza. È una sorta di TV domestica, che fa compagnia, ma non lascia trapelare la sua invadenza. Così la realtà virtuale si confonde con la realtà reale. Capita spesso che uno squillo del telefono della fiction televisiva venga scambiato per una chiamata al telefono di casa. I personaggi della TV domestica entrano a far parte della famiglia. E il chiacchiericcio sulle figure del piccolo schermo ha il sapore antico dei pettegolezzi sui parenti. Nelle telefonate delle telespettatrici (a chiamare sono in maggioranza donne) i conduttori vengono interpellati per nome e trattati con tono familiare: «Paolo, dammi un aiutino».

5. Dalla TV come mezzo di comunicazione alla TV come agenzia di socializzazione

Questa integrazione della TV alla famiglia, questa connotazione domestica della TV, provoca un passaggio cruciale per l’incidenza che la comunicazione televisiva ha sulla formazione della soggettività sociale. Si passa dalla televisione come mezzo di comunicazione alla televisione come agenzia di socializzazione. La socializzazione è un processo attraverso il quale i soggetti interiorizzano, cioè fanno propri, i modelli sociali di atteggiamento e di comportamento. Una agenzia classica di socializzazione è la famiglia. I modelli che, all’interno della famiglia, vengono interiorizzati dai soggetti nell’infanzia e nella adolescenza, si depositano nella coscienza e sono difficili da cancellare, proprio perché il soggetto li sente come propri.

Nella struttura familiare anteriore all’avvento della televisione di massa le figure dominanti sono i genitori. La TV domestica introduce nell’ambiente familiare nuovo figure - i personaggi delle trasmissioni più seguite - che assumono un ruolo significativo nel processo di socializzazione. Nell’ambito familiare i figli/e fanno riferimento non solo alla madre e al padre, ma anche alle figure del piccolo schermo. Si innesca un processo di socializzazione televisiva. Per questa via, vengono introdotti nel nucleo familiare, attraverso messaggi latenti, orientamenti di valore che i soggetti fanno propri, senza rendersene conto.

Il senso di questa sofisticata operazione dovrebbe risultare abbastanza chiaro. Attraverso un lento processo di interiorizzazione - che si intreccia ai ben noti processi materiali - viene, per così dire, depositato nel fondo della soggettività sociale il sistema di valori funzionale al modello di organizzazione capitalistica della società (competizione, meritocrazia, ecc.). Tale processo fa pensare alle lunghe lavorazioni a cui i contadini sottopongono il terreno prima di dare inizio alla semina. Il seme germoglia solo se il terreno è stato a lungo coltivato. Ecco, l’interiorizzazione che opera la TV domestica, attraverso l’intrigante proposizione di modelli virtuali di atteggiamento e di comportamento, si traduce in un lento lavoro di conio operato sulla soggettività sociale. L’esito è devastante. Giorno dopo giorno, si forma una sorta di intercapedine fra la condizione materiale dei soggetti e la loro interpretazione della realtà sociale. Questa ostruzione impedisce che la condizione oggettiva si traduca in percezione soggettiva della realtà. I soggetti finiscono per interpretare la loro condizione materiale con i parametri della logica che presiede all’organizzazione capitalistica della società. Basta pensare al disoccupato che è convinto di non riuscire a trovare lavoro per quei “maledetti vincoli” che ancora intralciano il libero dispiegamento del mercato.

6. Soggettività sociale, condizione materiale e processi immateriali

Fin qui le dinamiche dei processi immateriali sono state considerate in sé, a prescindere da ogni condizionamento della condizione materiale. In realtà, nessun processo immateriale opera in un vuoto di materialità. Nel caso specifico, non si può immaginare che nella soggettività sociale venga azzerato, attraverso l’induzione di una percezione deformata, il peso della condizione materiale. Si tratta quindi di vedere, volta a volta, in situazioni storicamente determinate, fino a che punto i processi immateriali sono riusciti a depurare la soggettività sociale dei riscontri quotidiani della concretezza esistenziale. È sempre aperta la partita fra una soggettività sociale che tende a strutturarsi su base reale e un apparato di comunicazione di massa che cerca di connotarla su base virtuale.

Sull’esito di una tale partita incide molto il livello di aggregazione materiale e di coscienza di classe presente in una determinata fase storica. L’attuale condizione di frammentazione e di precarizzazione del lavoro evoca una soggettività sociale disgregata ed esposta al processo di interiorizzazione indotto dalla TV domestica. Il soggetto, espropriato dei suoi connotati di classe, si ritrova solo e indifeso davanti alle mille seduzioni del piccolo schermo. Ancora una volta si ripropone, in sede di strutturazione della soggettività sociale, l’intreccio fra condizione materiale e processi immateriali.