Rubrica
Società e processi immateriali

Copyright - Gli articoli si possono diffondere liberamente citandone la fonte e inserendo un link all'articolo

Autore/i

M. D. Marina Bifulco
Articoli pubblicati
per Proteo (1)

Piero Polidoro
Articoli pubblicati
per Proteo (1)

Argomenti correlati

Comunicazione

Internet

Nella stessa rubrica

Soggettività sociale e televisione: un processo immateriale
Filippo Viola

Verso una comunicazione politica egemonizzata
Mauro Fotia

Il ruolo della risorsa informazione nello sviluppo della new economy
Maria Rosaria Del Ciello

La telematica come nuovo linguaggio mitico
M. D. Marina Bifulco, Piero Polidoro

 

Tutti gli articoli della rubrica "Società e processi immateriali"(in tutti i numeri di Proteo)


Home
Autori
Rubriche
Parole chiave

 

 

 

La telematica come nuovo linguaggio mitico

M. D. Marina Bifulco

Piero Polidoro

Formato per la stampa
Stampa

Le tecnologie riconducibili al concetto di realtà virtuale, invece, tentano di ricreare artificialmente in tutto e per tutto le condizioni percettive della realtà, attraverso l’uso di simulazioni informatiche [1]. Si tratta di tecnologie che già offrono dei risultati strabilianti, ma che, se fa fede la velocità delle innovazioni alla quale ci hanno abituato negli ultimi anni i ricercatori, promettono traguardi ben maggiori.

Man mano che queste tecnologie si sviluppano e si diffondono, non possono non registrare un effetto sull’immaginario popolare. L’industria culturale ha, come sempre, saputo sfruttare a pieno la novità e il crescente interesse per essa e, a partire soprattutto dagli anni ‘80, abbiamo assistito al fiorire di film, romanzi, musiche ispirati o dedicati al computer. Si tratti di lavoro, svago o nevrosi, il computer e le sue tante applicazioni hanno assunto un ruolo dilagante nella vita di ciascuno di noi. Contemporaneamente si va formando un determinato tipo di rappresentazione sociale [2] del mondo dell’informatica: al di là di frange apocalittiche, fisiologiche in ogni tipo di cambiamento epocale, si fa sempre più spazio un’idea ottimistica e positiva di questo tipo di tecnologie, non poco incentivato dalla diffusione di Internet.

A dire il vero è innegabile che le opportunità offerte dall’elaborazione elettronica dell’informazione abbinata alla trasmissione a distanza dei dati siano strabilianti. Non sono affatto privi di fondamento gli entusiastici discorsi sulla fratellanza e il cosmopolitismo che caratterizzano il mondo delle reti. In effetti, per la prima volta nella storia dell’umanità, i cavi telefonici hanno creato una vera e propria comunità transnazionale, popolata da persone che vivono una doppia condizione: provenienti da culture molto differenti fra di loro e che in passato potevano incontrarsi solo difficilmente, sono comunque accomunate dall’appartenenza ad una medesima sotto-cultura, che è appunto quella telematica. Oggi, quasi mezzo milione di persone ha nel World Wide Web una pagina a cui può liberamente accedere, partecipando alla nuova comunità elettronica. Ed in nome della partecipazione su Internet tutti hanno diritto a far sentire la propria voce. Attraverso Internet è sorta la possibilità di superare la scelta obbligata cui sono costretti i cittadini che vogliono partecipare alla vita politica. Nel nuovo sistema ognuno è allo stesso tempo emittente e destinatario, sorgente e fruitore di informazioni. [3]

Chi si connette ad Internet non deve, almeno nella maggioranza dei casi, specificare i suoi dati anagrafici: ciò può consentire, per esempio, a persone abitualmente discriminate, di nascondersi dietro un nickname (un nomignolo) e partecipare ad una discussione alla pari con altri soggetti. La circolazione di informazioni è sicuramente più rapida e voluminosa sulla rete che non nella realtà di tutti i giorni: chi, abitando nella cosiddetta provincia, era fino a ieri quasi totalmente escluso da tutte le novità e dai più vivi e recenti movimenti culturali, adesso ha, più o meno, le stesse opportunità di chi abita in una grande metropoli. Ma, soprattutto, quello che sembra aver colpito maggiormente l’immaginario collettivo è stata l’opportunità che la rete offriva, in un’epoca in cui i rapporti interpersonali diventano sempre più rari e distaccati, di contattare milioni di persone contemporaneamente presenti nello stesso spazio virtuale. Il fenomeno delle chat lines, canali attraverso i quali più persone da diverse parti del mondo e, quasi sempre, senza conoscersi possono comunicare fra di loro attraverso messaggi scritti, è indicativo di questa possibilità di discutere con tutti e di tutto.

La rete è reale come la vita e, come questa, ha dentro anche aspetti negativi quali razzismo, sovversione, calunnia e pornografia. Per questo Internet a qualcuno fa paura. Negli ultimi mesi la Cina, ad esempio, ha tagliato l’accesso ad Internet in seguito agli episodi di pornografia e pedofilia scoperti sulla rete. Non è più una questione di tecnologia ma di coscienza sociale.

L’entusiasmo che è stato creato da questa atmosfera ha favorito affrettate e troppo ottimistiche generalizzazioni. Se, infatti, la crisi che si avverte dopo il crollo delle grandi ideologie nelle democrazie occidentali è imputabile anche all’indebolimento del meccanismo della rappresentanza, fenomeno la cui causa sembra essere la mancanza di comunicazione fra cittadini e dei cittadini con le istituzioni politiche, la creazione di spazi di discussione telematici, veri e propri agorà elettronici, potrebbe apparire una soluzione del problema. Lasciarsi trasportare dalla fantasia e da rosee previsioni è sin troppo facile, in un’epoca e in una società che sembrano essere prese da un profondo desiderio di cambiamento radicale e universale. Se si pensa, per esempio, alla “sfera pubblica borghese” in cui si sviluppa la “pubblica argomentazione razionale” di cui parla J. Habermas (1929) [4], non si può non riflettere sulla possibilità di ricreare un simile spazio, che nel passaggio dalla società borghese a quella contemporanea è andato disfacendosi. Si tratterebbe, certo, di uno spazio virtuale, ma molto simile a quello delle Gazzette settecentesche che ospitavano le discussioni e le argomentazioni di una classe che si preparava a prendere il potere e ad esercitarlo nell’azione di governo. Nella rete, dove tutte le notizie sono accessibili a tutti, si creerebbe una condizione di perfetta informazione che difficilmente i mezzi di comunicazione di massa, con le loro stringenti regole economiche e politiche, hanno saputo assicurare. Esprimere la propria opinione, creare il proprio pulpito elettronico su Internet non è molto difficile, e neanche troppo costoso. Senza distinzioni o discriminazioni di sesso, razza, condizione sociale, credo politico o religioso. Chi voglia trovare informazioni su Internet è sicuro che, se esistono, le troverà, al di là di ogni censura o di ogni inconsapevole selezione. Partendo da questa ampia offerta informativa è possibile acquisire tutti quei dati che sono necessari per elaborare una propria opinione completa e ragionevole su diverse questioni politiche, sociali, ecc. E, soprattutto, è possibile discutere queste opinioni in uno dei tanti luoghi di dibattito che, negli ultimi anni, sono sorti un po’ ovunque per tutta la rete. La comunicazione telematica e i suoi portati, Internet, il cyberspazio e la realtà virtuale, fanno parte di noi. La loro stessa esistenza ci forma, come accade con tutti i discorsi potenti: “... nel loro significato più profondo sono dei linguaggi, è difficile vedere quello che fanno: il loro compito consiste nella strutturazione della nostra visione. Agiscono sui sistemi sociali, culturali che ci permettono di produrre significati. E i loro messaggi impliciti ci trasformano”. [5]

Il quadro, dunque, sembra fra i più favorevoli ad una rinascita delle discussioni, ad una gestione personalizzata, e non della manipolazione dall’alto dell’informazione, in definitiva ad una maggiore consapevolezza e razionalità nel proprio ruolo di cittadino e di uomo. Tutto ciò è in parte vero, ma secondo l’opinione di R. Martufi e L. Vasapollo, tuttavia sarebbe opportuno diffidare dei facili ottimismi e, soprattutto, evitare alcune mistificazioni che sarebbe pericoloso non considerare. Si tratterebbe tutto sommato di un’ “invasione” il cui scopo non è, nei tempi recenti, prendere il “territorio” ma imporre un fine ultimo. In tempi di “produzione immateriale” e di “flessibilità globalizzata” c’è di meglio, meno repellente, più efficace e meno costoso che l’occupazione manu militari, c’è la “comunicazione deviante” che non agisce sugli individui, ma dentro di essi, modificandone i cervelli. [6]

3. Mito della realtà virtuale

L’idea telematica che si è andata formando nel corso degli ultimi anni nell’immaginario popolare è un’idea basata su concetti quali fratellanza, cosmopolitismo, uguaglianza. Questa idea ha avuto origine dalle nuove possibilità che sono state effettivamente messe a disposizione dell’uomo comune dall’incessante e vertiginoso progresso tecnologico del campo dell’informatica e della telematica. Il sospetto, però, è che il nascere di quest’idea sia dovuto non solo all’osservazione e al giudizio su fatti oggettivi, ma anche alla latente, inconsapevole, strisciante diffusione di un mito della telematica. Questo sarebbe solo il più recente caso della grande famiglia dei miti della tecnica. [7]

L’atteggiamento degli intellettuali nei confronti delle innovazioni tecniche non è stato, nel corso dell’ultimo secolo, univoco. Si sono alternati giudizi spesso contrapposti che in seguito sono stati descritti dalle ormai celebri categorie, per usare un’espressione di U. Eco, di “apocalittici” e “integrati”, nate nel campo degli studi sulle comunicazioni di massa. [8] Anche se una contrapposizione così netta non può rendere conto della complessità del dibattito sulla tecnica, sicuramente riesce, in prima approssimazione, a dare un quadro realistico della profonda frattura che, nella cultura novecentesca, si è originata riguardo al significato di queste innovazioni. Ma, d’altra parte, non sono stati pochi i fautori della tecnica che si collocano sulla scia del positivismo [9]. Il filosofo e sociologo tedesco A. Gehlen (1904-1976), per esempio, ritiene che l’uomo, di fronte alle condizioni deficitarie della sua esistenza, trova a se stesso degli “esoneri”, cioè delle dispense da un “peso affaticante”, inventando degli strumenti [10]. La tecnica, cioè, più che distruggere la natura, la rende abitabile da un uomo sempre più affrancato dai limiti del mondo in cui vive. “È con questo mondo che si misura, spinto dal desiderio di vincere più ’facilmentÈ (da facile, fattibile, che si può fare più agevolmente) l’inabitabilità (o di farne un habitat a misura d’uomo) l’homo faber o l’homo technologicus, servendosi di tools diventa, più propriamente, tools-making-man...” [11]. L’uomo non può fare a meno di “stare nel mondo”, ma visto che vi deve stare in modo precario, non si abbandona a se stesso e cerca di “stare bene nel mondo” [12].


[1] Per una definizione del concetto di realtà virtuale, cfr. quanto scrive T. Maldonado, Reale e virtuale, Milano, Feltrinelli, 1994, VI ediz., pag. 48: “Per realtà virtuale intendo quella particolare tipologia di realtà simulata in cui l’osservatore (in questo caso spettatore-attore-operatore) può inserirsi interattivamente, con l’aiuto di particolari protesi ottico-tattili-auditive, in un ambiente tridimensionale generato dal computer... Benché realtà virtuale sia l’espressione più correntemente usata a livello giornalistico, nella pubblicità tecnico-scientifica sull’argomento si preferisce parlare di realtà artificiale (artificial reality), mondo virtuale (virtual Word), ambiente virtuale (virtual environment), spazio virtuale tridimensionale (3D virtual space). Riguardo alla definizione da me adottata, devo ammettere che essa circoscrive abbastanza rigidamente la classe di virtualità a cui fa riferimento. In pratica, essa allude principalmente alla realtà virtuale del tipo immersivo-inclusivo (immersive-inclusive), ossia una realtà in cui l’utente vede dall’interno uno spazio tridimensionale generato dal sistema. La mia definizione può comprendere anche quella del tipo chiamato di terza persona (third person), ossia una realtà in cui l’utente vede dall’esterno la propria immagine interagente in uno spazio tridimensionale. Non c’è dubbio che si tratta di una definizione forte. Ve n’è però una più debole che non possiamo del tutto escludere. Alludo a quella virtualità di soglia bassa realizzata tramite il tradizionale calcolatore da tavolo (desktop-vehicle), in cui l’utente partecipa dall’esterno allo scopo di simulare un proprio coinvolgimento dinamico nello spazio rappresentato dal video”.

[2] Il concetto di rappresentazione sociale deriva direttamente da quello durkheimiano di “rappresentazione collettiva” ed è stato studiato da Serge Moscovici e dai suoi collaboratori. Cfr. S. Moscovici, Psicologia sociale, Roma, Borla, 1989.

[3] G. Infusino, Oltre il villaggio globale. Storia e futuro della comunicazione dai primi esperimenti al dopo Internet, Napoli, Cuen, 1998, pag. 106.

[4] J. Habermas, Strukturwandel der Offentlichkeit, Frankfurt am Main (1968), tr. it. Storia e critica dell’opinione pubblica, Bari, Laterza, 1971. Nota è l’attività del filosofo e sociologo tedesco soprattutto nell’ambito della scuola di Francoforte. Dopo essersi occupato, negli anni Sessanta e Settanta, della filosofia della storia di chiaro stampo hegeliano e marxiano, a partire dai primi anni Ottanta passa ad affrontare la teoria critica sui nuovi paradigmi della ragione comunicativa. Almeno quattro nuclei teorici sono individuabili nel suo pensiero: 1) una teoria consensuale della verità, 2) una teoria dell’agire comunicativo, 3) un’etica del discorso e 4) una teoria discorsiva del diritto e della democrazia.

[5] A. R. Stone, The War of Desire and Tecnology, at the Close of the Mechanical Age, Oxford (1995), tr. it. Desiderio e tecnologia. Il problema dell’identità nell’era di Internet, Milano, Feltrinelli, 1997, pag. 200.

[6] In tal senso cfr. R. Martufi, L. Vasapollo, Comunicazione deviante. L’impero del capitale sulla comunicazione, Roma, Media Print Edizioni, 2000. Gli Autori affrontano in chiave analitica le tendenze in atto nel mondo della comunicazione, compresa quella informatica, che va sempre più assumendo le caratteristiche di veicolo strategico delle nuove forme di dominio totale del vivere sociale.

[7] Si confronti al riguardo H. Rheingold, Virtual Reality, Books, New York (1992), tr. it. La realtà virtuale, Bologna, Baskerville, 1993.

[8] U. Eco, Apocalittici e integrati, Milano, Bompiani, 1964. Si deve intendere per apocalittici coloro che auspicano un ritorno alla visione e al mito di fronte alla fine dei tempi, e per integrati coloro che, all’interno di una società, coordinano le proprie azioni mantenendo a un livello tollerabile i conflitti.

[9] Non si può non ricordare l’entusiasmo per la scienza e per la tecnica che contraddistinse il positivismo. “Il positivismo” scrive N. Abbagnano “è il romanticismo della scienza. La tendenza propria del romanticismo a identificare il finito e l’infinito, a considerare il finito come rivelazione e la realizzazione progressiva dell’infinito, è trasferita e realizzata dal positivismo nel senso della scienza. Con il positivismo, la scienza si esalta, si pone come l’unica manifestazione legittima dell’infinito, perciò si carica di significato religioso e pretende di soppiantare le religioni tradizionali”, N. Abbagnano, Storia della filosofia, vol. III, Torino, Utet, 1969, pag. 268.

[10] Cfr. A. Gehlen, Der Mensch. Seine Natur und seine Stellung in der Welt, Berlin (1975), tr. it. L’uomo, la sua natura e il posto nel mondo, Milano, Feltrinelli, 1983, pag. 43.

[11] A. Negri, "Tendenze contemporanee della filosofia del lavoro", in F. Avallone, La metamorfosi del lavoro, Milano, Franco Angeli, 1995, pag. 48.

[12] J. Ortega y Gasset, Meditacion de la tecnica, in, Obras Completas, “Revista de Occidente”, Madrid, 1974.