Le tecnologie riconducibili al concetto di realtà
virtuale, invece, tentano di ricreare artificialmente in tutto e per tutto
le condizioni percettive della realtà, attraverso l’uso di simulazioni
informatiche [1]. Si tratta di tecnologie che già offrono dei risultati
strabilianti, ma che, se fa fede la velocità delle innovazioni alla quale ci
hanno abituato negli ultimi anni i ricercatori, promettono traguardi ben
maggiori.
Man mano che queste tecnologie si sviluppano e si diffondono,
non possono non registrare un effetto sull’immaginario popolare. L’industria
culturale ha, come sempre, saputo sfruttare a pieno la novità e il crescente
interesse per essa e, a partire soprattutto dagli anni ‘80, abbiamo assistito
al fiorire di film, romanzi, musiche ispirati o dedicati al computer. Si
tratti di lavoro, svago o nevrosi, il computer e le sue tante
applicazioni hanno assunto un ruolo dilagante nella vita di ciascuno di noi.
Contemporaneamente si va formando un determinato tipo di rappresentazione
sociale [2] del mondo dell’informatica: al di là di frange apocalittiche,
fisiologiche in ogni tipo di cambiamento epocale, si fa sempre più spazio un’idea
ottimistica e positiva di questo tipo di tecnologie, non poco incentivato dalla
diffusione di Internet.
A dire il vero è innegabile che le opportunità offerte dall’elaborazione
elettronica dell’informazione abbinata alla trasmissione a distanza dei dati
siano strabilianti. Non sono affatto privi di fondamento gli entusiastici
discorsi sulla fratellanza e il cosmopolitismo che caratterizzano il mondo delle
reti. In effetti, per la prima volta nella storia dell’umanità, i cavi
telefonici hanno creato una vera e propria comunità transnazionale, popolata da
persone che vivono una doppia condizione: provenienti da culture molto
differenti fra di loro e che in passato potevano incontrarsi solo difficilmente,
sono comunque accomunate dall’appartenenza ad una medesima sotto-cultura, che
è appunto quella telematica. Oggi, quasi mezzo milione di persone ha nel
World Wide Web una pagina a cui può liberamente accedere, partecipando
alla nuova comunità elettronica. Ed in nome della partecipazione su Internet
tutti hanno diritto a far sentire la propria voce. Attraverso Internet è
sorta la possibilità di superare la scelta obbligata cui sono costretti i
cittadini che vogliono partecipare alla vita politica. Nel nuovo sistema ognuno
è allo stesso tempo emittente e destinatario, sorgente e fruitore di
informazioni. [3]
Chi si connette ad Internet non deve, almeno nella
maggioranza dei casi, specificare i suoi dati anagrafici: ciò può consentire,
per esempio, a persone abitualmente discriminate, di nascondersi dietro un nickname
(un nomignolo) e partecipare ad una discussione alla pari con altri soggetti. La
circolazione di informazioni è sicuramente più rapida e voluminosa sulla rete
che non nella realtà di tutti i giorni: chi, abitando nella cosiddetta
provincia, era fino a ieri quasi totalmente escluso da tutte le novità e dai
più vivi e recenti movimenti culturali, adesso ha, più o meno, le stesse
opportunità di chi abita in una grande metropoli. Ma, soprattutto, quello che
sembra aver colpito maggiormente l’immaginario collettivo è stata l’opportunità
che la rete offriva, in un’epoca in cui i rapporti interpersonali diventano
sempre più rari e distaccati, di contattare milioni di persone
contemporaneamente presenti nello stesso spazio virtuale. Il fenomeno
delle chat lines, canali attraverso i quali più persone da diverse parti
del mondo e, quasi sempre, senza conoscersi possono comunicare fra di loro
attraverso messaggi scritti, è indicativo di questa possibilità di discutere
con tutti e di tutto.
La rete è reale come la vita e, come questa, ha dentro anche
aspetti negativi quali razzismo, sovversione, calunnia e pornografia. Per questo
Internet a qualcuno fa paura. Negli ultimi mesi la Cina, ad esempio, ha
tagliato l’accesso ad Internet in seguito agli episodi di pornografia e
pedofilia scoperti sulla rete. Non è più una questione di tecnologia ma di
coscienza sociale.
L’entusiasmo che è stato creato da questa atmosfera ha
favorito affrettate e troppo ottimistiche generalizzazioni. Se, infatti, la
crisi che si avverte dopo il crollo delle grandi ideologie nelle democrazie
occidentali è imputabile anche all’indebolimento del meccanismo della
rappresentanza, fenomeno la cui causa sembra essere la mancanza di comunicazione
fra cittadini e dei cittadini con le istituzioni politiche, la creazione di
spazi di discussione telematici, veri e propri agorà elettronici,
potrebbe apparire una soluzione del problema. Lasciarsi trasportare dalla
fantasia e da rosee previsioni è sin troppo facile, in un’epoca e in una
società che sembrano essere prese da un profondo desiderio di cambiamento
radicale e universale. Se si pensa, per esempio, alla “sfera pubblica borghese”
in cui si sviluppa la “pubblica argomentazione razionale” di cui parla J.
Habermas (1929) [4], non si può non riflettere sulla
possibilità di ricreare un simile spazio, che nel passaggio dalla società
borghese a quella contemporanea è andato disfacendosi. Si tratterebbe, certo,
di uno spazio virtuale, ma molto simile a quello delle Gazzette
settecentesche che ospitavano le discussioni e le argomentazioni di una classe
che si preparava a prendere il potere e ad esercitarlo nell’azione di governo.
Nella rete, dove tutte le notizie sono accessibili a tutti, si creerebbe una
condizione di perfetta informazione che difficilmente i mezzi di comunicazione
di massa, con le loro stringenti regole economiche e politiche, hanno saputo
assicurare. Esprimere la propria opinione, creare il proprio pulpito elettronico
su Internet non è molto difficile, e neanche troppo costoso. Senza
distinzioni o discriminazioni di sesso, razza, condizione sociale, credo
politico o religioso. Chi voglia trovare informazioni su Internet è
sicuro che, se esistono, le troverà, al di là di ogni censura o di ogni
inconsapevole selezione. Partendo da questa ampia offerta informativa è
possibile acquisire tutti quei dati che sono necessari per elaborare una propria
opinione completa e ragionevole su diverse questioni politiche, sociali, ecc. E,
soprattutto, è possibile discutere queste opinioni in uno dei tanti luoghi di
dibattito che, negli ultimi anni, sono sorti un po’ ovunque per tutta la rete.
La comunicazione telematica e i suoi portati, Internet, il cyberspazio
e la realtà virtuale, fanno parte di noi. La loro stessa esistenza ci
forma, come accade con tutti i discorsi potenti: “... nel loro significato
più profondo sono dei linguaggi, è difficile vedere quello che fanno: il loro
compito consiste nella strutturazione della nostra visione. Agiscono sui sistemi
sociali, culturali che ci permettono di produrre significati. E i loro messaggi
impliciti ci trasformano”. [5]
Il quadro, dunque, sembra fra i più favorevoli ad una
rinascita delle discussioni, ad una gestione personalizzata, e non della
manipolazione dall’alto dell’informazione, in definitiva ad una maggiore
consapevolezza e razionalità nel proprio ruolo di cittadino e di uomo. Tutto
ciò è in parte vero, ma secondo l’opinione di R. Martufi e L. Vasapollo,
tuttavia sarebbe opportuno diffidare dei facili ottimismi e, soprattutto,
evitare alcune mistificazioni che sarebbe pericoloso non considerare. Si
tratterebbe tutto sommato di un’ “invasione” il cui scopo non è, nei
tempi recenti, prendere il “territorio” ma imporre un fine ultimo. In tempi
di “produzione immateriale” e di “flessibilità globalizzata” c’è di
meglio, meno repellente, più efficace e meno costoso che l’occupazione manu
militari, c’è la “comunicazione deviante” che non agisce sugli
individui, ma dentro di essi, modificandone i cervelli. [6]
3. Mito della realtà virtuale
L’idea telematica che si è andata formando nel
corso degli ultimi anni nell’immaginario popolare è un’idea basata su
concetti quali fratellanza, cosmopolitismo, uguaglianza. Questa idea ha avuto
origine dalle nuove possibilità che sono state effettivamente messe a
disposizione dell’uomo comune dall’incessante e vertiginoso progresso
tecnologico del campo dell’informatica e della telematica. Il sospetto, però,
è che il nascere di quest’idea sia dovuto non solo all’osservazione e al
giudizio su fatti oggettivi, ma anche alla latente, inconsapevole, strisciante
diffusione di un mito della telematica. Questo sarebbe solo il più
recente caso della grande famiglia dei miti della tecnica. [7]
L’atteggiamento degli intellettuali nei confronti delle
innovazioni tecniche non è stato, nel corso dell’ultimo secolo, univoco. Si
sono alternati giudizi spesso contrapposti che in seguito sono stati descritti
dalle ormai celebri categorie, per usare un’espressione di U. Eco, di “apocalittici”
e “integrati”, nate nel campo degli studi sulle comunicazioni di massa. [8]
Anche se una contrapposizione così netta non può rendere conto della
complessità del dibattito sulla tecnica, sicuramente riesce, in prima
approssimazione, a dare un quadro realistico della profonda frattura che, nella
cultura novecentesca, si è originata riguardo al significato di queste
innovazioni. Ma, d’altra parte, non sono stati pochi i fautori della tecnica
che si collocano sulla scia del positivismo [9]. Il filosofo e sociologo
tedesco A. Gehlen (1904-1976), per esempio, ritiene che l’uomo, di fronte alle
condizioni deficitarie della sua esistenza, trova a se stesso degli “esoneri”,
cioè delle dispense da un “peso affaticante”, inventando degli strumenti [10]. La tecnica, cioè, più che distruggere la
natura, la rende abitabile da un uomo sempre più affrancato dai limiti del
mondo in cui vive. “È con questo mondo che si misura, spinto dal desiderio di
vincere più ’facilmentÈ (da facile, fattibile, che si può fare
più agevolmente) l’inabitabilità (o di farne un habitat a misura d’uomo)
l’homo faber o l’homo technologicus, servendosi di tools
diventa, più propriamente, tools-making-man...” [11]. L’uomo non
può fare a meno di “stare nel mondo”, ma visto che vi deve stare in modo
precario, non si abbandona a se stesso e cerca di “stare bene nel mondo” [12].
[1] Per una definizione del concetto di realtà virtuale, cfr. quanto
scrive T. Maldonado, Reale e virtuale, Milano, Feltrinelli, 1994, VI ediz., pag.
48: “Per realtà virtuale intendo quella particolare tipologia di realtà
simulata in cui l’osservatore (in questo caso spettatore-attore-operatore)
può inserirsi interattivamente, con l’aiuto di particolari protesi
ottico-tattili-auditive, in un ambiente tridimensionale generato dal computer...
Benché realtà virtuale sia l’espressione più correntemente usata a livello
giornalistico, nella pubblicità tecnico-scientifica sull’argomento si
preferisce parlare di realtà artificiale (artificial reality), mondo virtuale
(virtual Word), ambiente virtuale (virtual environment), spazio virtuale
tridimensionale (3D virtual space). Riguardo alla definizione da me adottata,
devo ammettere che essa circoscrive abbastanza rigidamente la classe di
virtualità a cui fa riferimento. In pratica, essa allude principalmente alla
realtà virtuale del tipo immersivo-inclusivo (immersive-inclusive), ossia una
realtà in cui l’utente vede dall’interno uno spazio tridimensionale
generato dal sistema. La mia definizione può comprendere anche quella del tipo
chiamato di terza persona (third person), ossia una realtà in cui l’utente
vede dall’esterno la propria immagine interagente in uno spazio
tridimensionale. Non c’è dubbio che si tratta di una definizione forte. Ve n’è
però una più debole che non possiamo del tutto escludere. Alludo a quella
virtualità di soglia bassa realizzata tramite il tradizionale calcolatore da
tavolo (desktop-vehicle), in cui l’utente partecipa dall’esterno allo scopo
di simulare un proprio coinvolgimento dinamico nello spazio rappresentato dal
video”.
[2] Il concetto di rappresentazione sociale deriva direttamente da quello
durkheimiano di “rappresentazione collettiva” ed è stato studiato da Serge
Moscovici e dai suoi collaboratori. Cfr. S. Moscovici, Psicologia sociale, Roma,
Borla, 1989.
[3] G. Infusino, Oltre il villaggio globale. Storia e futuro della
comunicazione dai primi esperimenti al dopo Internet, Napoli, Cuen, 1998, pag.
106.
[4] J. Habermas, Strukturwandel der Offentlichkeit, Frankfurt am
Main (1968), tr. it. Storia e critica dell’opinione pubblica, Bari, Laterza,
1971. Nota è l’attività del filosofo e sociologo tedesco soprattutto nell’ambito
della scuola di Francoforte. Dopo essersi occupato, negli anni Sessanta e
Settanta, della filosofia della storia di chiaro stampo hegeliano e marxiano, a
partire dai primi anni Ottanta passa ad affrontare la teoria critica sui nuovi
paradigmi della ragione comunicativa. Almeno quattro nuclei teorici sono
individuabili nel suo pensiero: 1) una teoria consensuale della verità, 2) una
teoria dell’agire comunicativo, 3) un’etica del discorso e 4) una teoria
discorsiva del diritto e della democrazia.
[5] A. R. Stone, The War of Desire and Tecnology, at
the Close of the Mechanical Age, Oxford (1995), tr. it. Desiderio e tecnologia.
Il problema dell’identità nell’era di Internet, Milano, Feltrinelli, 1997,
pag. 200.
[6] In tal senso cfr. R.
Martufi, L. Vasapollo, Comunicazione deviante. L’impero del capitale sulla
comunicazione, Roma, Media Print Edizioni, 2000. Gli Autori affrontano in chiave
analitica le tendenze in atto nel mondo della comunicazione, compresa quella
informatica, che va sempre più assumendo le caratteristiche di veicolo
strategico delle nuove forme di dominio totale del vivere sociale.
[7] Si confronti al
riguardo H. Rheingold, Virtual Reality, Books, New York (1992), tr. it. La
realtà virtuale, Bologna, Baskerville, 1993.
[8]
U. Eco, Apocalittici e integrati, Milano, Bompiani, 1964. Si deve intendere per
apocalittici coloro che auspicano un ritorno alla visione e al mito di fronte
alla fine dei tempi, e per integrati coloro che, all’interno di una società,
coordinano le proprie azioni mantenendo a un livello tollerabile i conflitti.
[9] Non si può non ricordare l’entusiasmo
per la scienza e per la tecnica che contraddistinse il positivismo. “Il
positivismo” scrive N. Abbagnano “è il romanticismo della scienza. La
tendenza propria del romanticismo a identificare il finito e l’infinito, a
considerare il finito come rivelazione e la realizzazione progressiva dell’infinito,
è trasferita e realizzata dal positivismo nel senso della scienza. Con il
positivismo, la scienza si esalta, si pone come l’unica manifestazione
legittima dell’infinito, perciò si carica di significato religioso e pretende
di soppiantare le religioni tradizionali”, N. Abbagnano, Storia della
filosofia, vol. III, Torino, Utet, 1969, pag. 268.
[10]
Cfr. A. Gehlen, Der Mensch. Seine Natur und seine Stellung in der Welt, Berlin
(1975), tr. it. L’uomo, la sua natura e il posto nel mondo, Milano,
Feltrinelli, 1983, pag. 43.
[11] A. Negri,
"Tendenze contemporanee della filosofia del lavoro", in F. Avallone,
La metamorfosi del lavoro, Milano, Franco Angeli, 1995, pag. 48.
[12]
J. Ortega y Gasset, Meditacion de la tecnica, in, Obras Completas, “Revista de
Occidente”, Madrid, 1974.