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Società e processi immateriali

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La telematica come nuovo linguaggio mitico

M. D. Marina Bifulco

Piero Polidoro

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Le prese di posizione in favore della tecnica, però, non sono state sempre improntate alla ragionevolezza e all’equilibrio: lo stereotipo dell’integrato è quello di un intellettuale completamente affascinato dall’innovazione e dal progresso, che perde di vista ciò che di negativo vi può essere in cambiamenti così radicali e veloci. Infatti sono spesso proprio i discorsi più affascinanti e suggestivi di certi futurologi ad attirare l’attenzione e la passione del vasto pubblico e ad alimentare i diversi miti della tecnica.

L’aura mitica, che sembra la principale responsabile della nascita dei miti della tecnica, si origina proprio nello spazio di incomprensione per la tecnologia. “Il punto è che, malgrado la razionalità indubbiamente superiore delle tecniche moderne, gli strumenti e i procedimenti della scienza e della tecnologia non hanno affatto perduto la loro aura magica, tanto nelle società industriali quanto in quelle preindustriali. Il cittadino medio comprende pochissimo le loro fondazioni logiche o i loro principi operativi e svolge un ruolo puramente passivo (come consumatore), via via che ogni stadio è superato da un altro, con rapidità sempre maggiore” [1].

In questo senso, il significato del termine mito che stiamo prendendo in considerazione è molto vicino a quello elaborato dal semiologo francese R. Barthes. [2] Il mito appare, infatti, come un’ulteriore costruzione di senso, che si “installa”, su un sistema di significato già esistente. R. Barthes, in particolare, parla di un livello di base costituito dalla lingua e di un livello successivo che rappresenta il “piano mitico” [3]. Il significante ed il significato del primo livello, si uniscono a rappresentare il significante del secondo livello, che, dunque, per R. Barthes è considerabile “come termine finale del sistema linguistico o come termine iniziale del sistema mitico” [4]. Applicando e traslando questo modello interpretativo all’argomento che stiamo trattando si potrebbe considerare il mito telematico come una costruzione supplementare di senso che interviene successivamente a quella primaria, direttamente collegata ai dati oggettivi della realtà. In altre parole: esiste una realtà della telematica, che è quella di una tecnologia che, applicata all’elaborazione elettronica dell’informazione, permette di comunicare a distanza con particolare efficacia. Unita alla creazione di sistemi di realtà virtuale, essa crea tutta una serie di nuove opportunità nel mondo della simulazione e della riproduzione di esperienze reali. Esiste però anche un mito della telematica che, fondandosi sull’aspetto oggettivo crea una serie di significati, di narrazioni, di scenari che con la realtà hanno ben poco a che fare, ma sono ugualmente credibili. La stessa metafora spaziale che viene ormai unanimemente utilizzata per descrivere il mondo delle reti appartiene, seppure ad un livello più innocente, a questa costruzione ulteriore di senso. La difficoltà, non solo per l’uomo comune, ma anche per l’esperto, di raffigurarsi una serie di testi, di immagini, di applicazioni che non esistono in nessun luogo, se non nei circuiti e nelle memorie dei computer o nei fili telefonici che li collegano fra di loro, spinge a superare i limiti della capacità di rappresentazione oggettiva della realtà e ad elaborare l’immagine, suggestiva ed efficace, dello spazio virtuale [5].

Nell’era delle complessità mancano grandi visioni che sappiano sintetizzare i nostri problemi e darci una percezione globale del loro senso. Di fronte a questa difficoltà il mito può tornare ad essere uno straordinario supporto al pensiero perché fornisce costellazioni di significati che hanno presa sul nostro immaginario profondo. Ancora attuale appare il mito di Prometeo, il Titano che ha drammatizzato nella coscienza dell’uomo il problema della sopravvivenza, resa possibile dai doni del fuoco e della tecnica. Il mito di Prometeo è il filo che corre lungo la storia dei tentativi compiuti dall’uomo per sopravvivere. Da quando egli inizia a rendere artificiale il suo ambiente ma in maniera ancora debole, subalterna e rispettosa della natura, fino all’epoca della forte artificializzazione che ha costruito sulla terra una gigantesca struttura tecnica e che può oggi controllare l’evoluzione della vita. [6]

Parlando del mito, Nicola Abbagnano (1901-1990) ha scritto: “... si possono distinguere, dal punto di vista storico, tre significati del termine, e precisamente: 1° quello del mito come di una forma attenuata di intellettualità; 2° quello del mito come una forma autonoma di pensiero o di vita; 3° quello del mito come strumento di controllo sociale” [7]. Il mito telematico risponde sicuramente alla prima e alla terza accezione del termine. Esso, infatti, nasce, da una elaborazione abbastanza libera e ingiustificata dei dati della realtà, originandosi, per lo più, in quegli spazi oscuri che, nel sapere collettivo, si originano al di fuori delle aree di piena comprensione razionale dei fenomeni tecnologici e, in questo caso, sociali. “Di fatto” scrive ancora Barthes “il sapere contenuto nel concetto mitico è un sapere confuso, formato da associazioni interne, indefinite. Bisogna insistere su questo carattere aperto del concetto: non è affatto un’essenza astratta, purificata, bensì una condensazione informale, instabile, nebulosa, la cui unità e coerenza dipendono soprattutto dalla funzione” [8].

Si viene così formando, sostanzialmente a causa di una sorta di “disattenzione” nei confronti di certi aspetti della realtà e di sistemi di propaganda abbastanza ben mimetizzati, questo mito telematico, che rappresenta, in molti casi, il nucleo fondamentale della cultura telematica. Sarebbe estremamente complesso descrivere dettagliatamente ed esaurientemente questo sistema mitico, ma sicuramente si può tentare di individuarne alcuni concetti o cause fondamentali. Sembra, per esempio, che rispetto a precedenti miti della tecnica, il mito telematico goda di una particolare forza e di un singolare consenso forse a causa della originalità della telematica e dell’informatica rispetto ai precedenti tipi di innovazione tecnologica. Almeno nell’immaginario collettivo, infatti, la tecnica si concretizzava nell’immagine di macchine in grado di intervenire nell’ambiente e sull’ambiente in modo da modificarlo e migliorare le condizioni di vita dell’uomo. L’emblema della tecnica nella società industriale erano i macchinari della catena di montaggio, in grado di velocizzare e automatizzare le attività produttive, oppure i moderni mezzi di trasporto, treni sempre più veloci, aerei sempre più potenti e pesanti, ecc., in grado di spostare enormi quantità di merce da una parte all’altra del globo in tempi incredibilmente brevi, rispetto al passato. Al di là del giudizio che se ne poteva dare, la tecnica interveniva indubbiamente sull’ambiente, modificandolo più o meno irreversibilmente. Questo è stato il filo conduttore di tutte le innovazioni che si sono succedute nel corso della rivoluzione industriale e che hanno, di volta in volta, lasciato le loro tracce sotto forma di binari ferroviari che attraversavano pianure, stabilimenti industriali che immettevano smog nell’atmosfera, ecc. Dall’evidenza dell’opposizione fra i risultati dell’industrializzazione e l’ordine della Natura, nasce quel sentimento di insanabile contrasto emerso in filosofi come M. Heidegger [9]. E dalla diversità di giudizi sull’effettivo valore di questi cambiamenti ha origine il tradizionale scontro fra oppositori e fautori della tecnica che è stato così efficacemente cristallizzato dalle categorie di “apocalittici” e “integrati”.

La tecnologia informatica, e la sua espansione attraverso la telematica, non danno origine a fenomeni così drammatici. I prodotti che vengono gestiti dai computer non hanno più materialità degli impulsi elettrici e sono dunque necessariamente connotati dalla intangibilità e da una misteriosa quanto affascinante assenza di peso [10]. L’elaborazione elettronica dell’informazione è qualcosa che avviene solo nell’interno del computer, fra i suoi silenziosi circuiti, e che al massimo riguarda, oltre alla macchina, il suo utente. La dematerializzazione, intrinsecamente legata alla tecnologia informatica, ha poi trovato una vera e propria cassa di risonanza nello sviluppo e nella diffusione della tecnologia telematica [11]. La nascita delle reti ha portato alla formazione di una serie di collegamenti attraverso i quali passa un flusso continuo di dati. E, a differenza di quanto accadeva nel passato, quando gli stessi fili servivano soltanto a trasmettere una distorta e disturbata riproduzione della voce umana, oggi il risultato di questo continuo scambio d’informazione è sempre di più una ricostruzione estremamente fedele della realtà. [12] Il processo di imitazione realistica della realtà che aveva avuto inizio nel corso del Rinascimento con l’impiego della prospettiva lineare nelle raffigurazioni pittoriche [13], sembra ormai portato a compimento dagli ultimi risultati della ricerca nel campo della realtà virtuale. La riproduzione artificiale della realtà è ormai quasi perfetta: l’ultimo ostacolo, quello della tangibilità degli oggetti virtuali, è in via di superamento grazie a tute dotate di sensori in grado di riprodurre tipiche sensazioni tattili. La simulazione percettiva, dunque, è portata a compimento e, almeno teoricamente, non ci dovrebbe essere modo di distinguere la realtà reale e la sua riproduzione artificiale. Assistiamo oggi a nuovi rapporti tra tecnologie e identità sconosciute: compaiono cioè episodi problematici per la definizione di queste sfere, sindromi di personalità multiple, giochi di ruolo. Infatti nella fase aperta dall’uso di Internet aspetti quali genere, razza, età, sono giocati, nel senso che ognuno tende a reinventare se stesso scoprendo identità digitali di generi differenti dalla realtà ordinaria. La chiave di accesso a questo tipo di cultura è costituita dall’esperienza dell’essere umano come una cosa che sente. [14] Si annuncia il passaggio da una sessualità organica, fondata sulla differenza dei sessi, ad una sessualità neutra, inorganica, artificiale, sempre priva di riguardi nei confronti delle forme.


[1] W. Leiss, The domination of Nature, Washington (1940), tr. it. Il dominio sulla natura, Milano, Longanesi, 1976, pag. 32.

[2] Cfr. R. Barthes, Mytologies, Paris, Ed. du Seuil (1957), tr. it. Miti d’oggi, Torino, Einaudi, 1994.

[3] Per descrivere questo doppio sistema, Barthes elabora una precisa terminologia: “...sul piano della lingua, cioè come termine finale del primo sistema, chiamerò il significante: senso...; sul piano del mito, lo chiamerò forma. Per il significato non c’è pericolo di ambiguità: gli lasceremo il nome di concetto. Il terzo termine è la correlazione dei primi due: nel sistema della lingua, è il segno, ma non si può riprendere la parola senza ambiguità perché nel mito (ed è qui la sua particolarità principale) il significante è già formato da segni della lingua. Chiamerò il terzo termine del mito, significazione: la parola è qui tanto più giustificata in quanto il mito ha effettivamente una doppia funzione: designa e notifica, fa capire e impone”, pagg. 198-199.

[4] R. Barthes, op. cit., p. 198.

[5] Sembra interessante, a tal proposito, riportare un passo tratto dalla voce W.W.W. (World Wide Web) di un glossario dei termini dell’informatica, apparso su una rivista di settore “PC Professionale” e curato da Roberto Mazzoni “Il World Wide Web rappresenta uno spazio definito all’interno dell’enorme network d’interconnessione che unisce computer diversi e distanti tra loro e che oggi conosciamo col nome di Internet, alias la Rete. Parliamo di spazio perché è difficile concettualizzarlo altrimenti. Infatti non si tratta di un oggetto fisico e nemmeno di un’entità riconducibile a confini geografici, bensì è un sistema di presentazione e soprattutto d’interconnessione fra le informazioni concepito in modo da favorire il passaggio automatico da un documento all’altro e consentire la navigazione in un grande mare informativo senza altro strumento di orientamento se non quello che compare di volta in volta sul nostro schermo. Il World Wide Web fa parte di Internet, ma comprende solo una parte delle risorse disponibili all’interno di quest’ultima, ecco perché lo definiamo come uno degli spazi contenuti all’interno del grande universo di Internet, il quale a sua volta fa parte di un contesto ancora più grande che unisce diversi sistemi per lo scambio d’informazioni elettroniche (la cosiddetta Matrice)”.Cfr inoltre P. Lévy, Qu’est-ce que le Virtuel, Edit. La Dècouverte, Paris (1995), tr. it. Il Virtuale, Raffaello Cortina Edit., Milano, 1997.

[6] R. Trabucchi, Prometeo e la sopravvivenza dell’uomo: tecnica e prassi del terzo millennio, Milano, Franco Angeli, 1998.

[7] N. Abbagnano, Dizionario di filosofia, Torino, Utet, 1971, pag. 586.

[8] R. Barthes, op. cit., pag. 201.

[9] Questo contrasto emerge, oltre che in Autori contemporanei come, appunto, M. Heidegger, anche in un mito ben più antico, quello di Prometeo. L’acquisizione della più rudimentale forma di tecnica (il fuoco) sembra comunque la rottura di un ordine precostituito e va riparata con la sofferenza. “Il furto del fuoco dev’essere pagato. Ormai ogni ricchezza avrà come condizione il lavoro: è la fine dell’età dell’oro, la cui rappresentazione nell’immaginazione mitica sottolinea l’opposizione fra la fecondità e il lavoro... Ormai gli uomini non nasceranno più direttamente dalla terra; con la donna, conosceranno la nascita per generazione e, per conseguenza, anche l’invecchiamento, la sofferenza e la morte”, in J. P. Vernant, Mythe et pensée chez les Grecs. Etudes de psychologie, Paris, Maspero (1965), tr. it. Mito e pensiero presso i Greci, Torino, Einaudi, 1978, pag. 276.

[10] Cfr. T. Maldonado, op. cit.

[11] G. Lanzavecchia, Dematerializzazione e realtà virtuale, Roma, Ediesse, 1996.

[12] J. E. Rawlins, Moths to the Flame. The seduction of Computer Technology, The Mit Press, Cambridge (1996), tr. it. Le seduzioni del computer, Bologna, Il Mulino, 1997.

[13] Cfr. T. Maldonado, op. cit., pagg. 17-20.

[14] M. Perniola, Il Sex Appeal dell’inorganico, Torino, Einaudi, 1997.