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Società e processi immateriali

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M. D. Marina Bifulco, Piero Polidoro

 

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La telematica come nuovo linguaggio mitico

M. D. Marina Bifulco

Piero Polidoro

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La risposta è, come si può immaginare, semplice: perché fuori esiste ancora un mondo in cui la gente soffre, è sottoposta a ingiustizie e soprusi, senza considerare, fra l’altro, che fuori la gente continua anche a vivere e divertirsi. Perché il paradiso virtuale è una grande conquista solo se i cancelli rimangono aperti a tutti. Anche perché, nell’entusiasmo generale non si dimentichi che si sta vivendo in un’epoca di progressiva affermazione degli oligopoli. Per prepararsi alla fantomatica sfida del 2000, i grandi gruppi stanno stipulando accordi, si stanno unendo, stanno assorbendo le aziende più piccole: se il nuovo millennio sarà attraversato da una sfida, quasi sicuramente ci saranno ben pochi generali a decidere. Se l’industria informatica è, come appare evidente, di importanza fondamentale nelle società post-industriali, dove le attività simboliche sopraffanno quelle materiali, appare quantomeno rischioso affidare questo settore strategico alle mani di pochi operatori mondiali. L’ultima cosa che si vorrebbe è che la sfida si rivelasse, alla fine, essere contro l’uomo e la sua natura, contro il suo giusto anelito a sfuggire all’alienazione e a vivere in un mondo che sia, nella realtà fisica ancora prima che in quella virtuale, pienamente vivibile. Non si può dimenticare al riguardo uno dei più accesi accusatori della tecnica, M. Heidegger, che aveva ben anticipato il ruolo pressoché negativo della tecnica affermando che “strappa e sradica sempre più l’uomo dalla terra” [1], grembo naturale da “abitare poeticamente”. “Il recupero della ragione dall’alienazione intellettuale è particolarmente importante oggi che si prospetta la trasformazione della simbiosi naturale in una nuova simbiosi uomo-macchina. Per capire in che cosa consista la mutazione culturale che la tecnologia va attuando è necessario capire che la macchina è, soprattutto, razionalità, e che codesta razionalità non può essere alienata, pena la sua inefficacia. La macchina di oggi è un utensile costruito da una disciplina scientifica che ha per fondamento la meccanica razionale, la macchina del futuro sarà una macchina costruita dall’ingegneria cibernetica. È necessario capire da dove la ragione venga fuori, niente affatto alienata, bensì potenzialmente adeguata alle successive scelte che le daranno il potere di organizzare con le macchine il nuovo rapporto uomo-ambiente naturale” [2].

Tuttavia sarebbe opportuno, per consentire all’uomo di guidare il timone per navigare in questi nostri tempi soggetti a mutamenti tanto complessi, coltivare anche abilità emozionali, fondamentali proprio come quelle intellettuali; forse c’è bisogno di autocontrollo, empatia, attenzione agli altri, quelle stesse attitudini che hanno consentito ai nostri progenitori di sopravvivere in un ambiente che potrebbe diventare ostile.

La fiducia nell’intelletto, unita alla sopravvalutazione della tecnica e al primato della soggettività, potrebbe trasformare la natura in oggetto di controllo e sfruttamento ad opera del soggetto umano, potrebbe creare la simbiosi uomo-macchina di cui si è parlato in precedenza. L’interrogativo che ci si pone è se non sia necessario ridefinire il ruolo dell’uomo che ha il dominio sul resto delle creature terrestri. Questo aspetto è stato, senza dubbio, ben affrontato dal filosofo ebreo H. Jonas (1903-1993). Dai suoi scritti emerge come diritto di ognuno, di fronte al continuo estendersi della tecnica, quello di dover ricercare un nuovo principio morale che possa garantire un futuro umano per le generazioni che seguiranno, parlando di diritto del futuro e di responsabilità dell’uomo verso l’uomo. [3] Occorrono dunque delle regole precise, del buonsenso nell’utilizzo dei mezzi tecnologici a disposizione poiché “la minaccia proviene da un uso cattivo della tecnica, nella quotidianità, per migliorare le condizioni della vita umana”. [4] L’uomo non dovrebbe perdere la cognizione dei limiti temporali entro cui gli effetti del suo agire si esplicano, di conseguenza “il sentirsi responsabile in anticipo per l’ignoto costituisce una condizione della responsabilità dell’agire: appunto quel che si definisce il coraggio della responsabilità a favorire il diritto alla vita”. [5]


[1] Cfr. M. Heidegger, Vortrage und Aufsatze, Pfullingen 1954, tr. it. Saggi e discorsi, Milano, Mursia, 1980. Recentemente il rapporto uomo-tecnica è stato ripreso da M. Perniola, Enigmi, Genova, Costa & Nolan, 1990. Per i rapporti fra nuove tecnologie e comunicazione cfr. R. Martufi, L. Vasapollo, op. cit.

[2] V. Tonini, op. cit., pagg. 242-243.

[3] H. Jonas, Wandel und Bestand. Vom Grunde der Verstrhbarkeit des Geschichtlichen in Wissenschaft und Gegenwart, Klostermann, Frankfurt (1970), tr. it. Dalla fede antica all’uomo tecnologico. Saggi filosofici, Bologna, Il Mulino, 1991.

[4] H. Jonas, op. cit., pag. 64.

[5] H. Jonas, Das Prinzip Verantwortung. Versuch einer Ethick fur die Technologische Civilisation, Insel, Frankfurt (1979), tr. it. Il principio responsabilità. Un’etica per la civiltà tecnologica, Torino, Einaudi, 1990, pag. 70.