La risposta è, come si può immaginare, semplice: perché
fuori esiste ancora un mondo in cui la gente soffre, è sottoposta a ingiustizie
e soprusi, senza considerare, fra l’altro, che fuori la gente continua anche a
vivere e divertirsi. Perché il paradiso virtuale è una grande conquista
solo se i cancelli rimangono aperti a tutti. Anche perché, nell’entusiasmo
generale non si dimentichi che si sta vivendo in un’epoca di progressiva
affermazione degli oligopoli. Per prepararsi alla fantomatica sfida del 2000, i
grandi gruppi stanno stipulando accordi, si stanno unendo, stanno assorbendo le
aziende più piccole: se il nuovo millennio sarà attraversato da una sfida,
quasi sicuramente ci saranno ben pochi generali a decidere. Se l’industria
informatica è, come appare evidente, di importanza fondamentale nelle società
post-industriali, dove le attività simboliche sopraffanno quelle materiali,
appare quantomeno rischioso affidare questo settore strategico alle mani di
pochi operatori mondiali. L’ultima cosa che si vorrebbe è che la sfida si
rivelasse, alla fine, essere contro l’uomo e la sua natura, contro il suo
giusto anelito a sfuggire all’alienazione e a vivere in un mondo che sia,
nella realtà fisica ancora prima che in quella virtuale, pienamente vivibile.
Non si può dimenticare al riguardo uno dei più accesi accusatori della
tecnica, M. Heidegger, che aveva ben anticipato il ruolo pressoché negativo
della tecnica affermando che “strappa e sradica sempre più l’uomo dalla
terra” [1], grembo naturale da “abitare poeticamente”. “Il recupero della
ragione dall’alienazione intellettuale è particolarmente importante oggi che
si prospetta la trasformazione della simbiosi naturale in una nuova simbiosi
uomo-macchina. Per capire in che cosa consista la mutazione culturale che la
tecnologia va attuando è necessario capire che la macchina è, soprattutto,
razionalità, e che codesta razionalità non può essere alienata, pena la sua
inefficacia. La macchina di oggi è un utensile costruito da una disciplina
scientifica che ha per fondamento la meccanica razionale, la macchina del futuro
sarà una macchina costruita dall’ingegneria cibernetica. È necessario capire
da dove la ragione venga fuori, niente affatto alienata, bensì potenzialmente
adeguata alle successive scelte che le daranno il potere di organizzare con le
macchine il nuovo rapporto uomo-ambiente naturale” [2].
Tuttavia sarebbe opportuno, per consentire all’uomo di
guidare il timone per navigare in questi nostri tempi soggetti a mutamenti tanto
complessi, coltivare anche abilità emozionali, fondamentali proprio come quelle
intellettuali; forse c’è bisogno di autocontrollo, empatia, attenzione agli
altri, quelle stesse attitudini che hanno consentito ai nostri progenitori di
sopravvivere in un ambiente che potrebbe diventare ostile.
La fiducia nell’intelletto, unita alla sopravvalutazione
della tecnica e al primato della soggettività, potrebbe trasformare la natura
in oggetto di controllo e sfruttamento ad opera del soggetto umano, potrebbe
creare la simbiosi uomo-macchina di cui si è parlato in precedenza. L’interrogativo
che ci si pone è se non sia necessario ridefinire il ruolo dell’uomo che ha
il dominio sul resto delle creature terrestri. Questo aspetto è stato, senza
dubbio, ben affrontato dal filosofo ebreo H. Jonas (1903-1993). Dai suoi scritti
emerge come diritto di ognuno, di fronte al continuo estendersi della tecnica,
quello di dover ricercare un nuovo principio morale che possa garantire un
futuro umano per le generazioni che seguiranno, parlando di diritto del futuro e
di responsabilità dell’uomo verso l’uomo. [3] Occorrono dunque delle regole
precise, del buonsenso nell’utilizzo dei mezzi tecnologici a disposizione
poiché “la minaccia proviene da un uso cattivo della tecnica, nella
quotidianità, per migliorare le condizioni della vita umana”. [4] L’uomo non dovrebbe perdere la cognizione dei limiti
temporali entro cui gli effetti del suo agire si esplicano, di conseguenza “il
sentirsi responsabile in anticipo per l’ignoto costituisce una condizione
della responsabilità dell’agire: appunto quel che si definisce il coraggio
della responsabilità a favorire il diritto alla vita”. [5]
[1] Cfr. M. Heidegger, Vortrage und Aufsatze, Pfullingen 1954, tr. it.
Saggi e discorsi, Milano, Mursia, 1980. Recentemente il rapporto uomo-tecnica è
stato ripreso da M. Perniola, Enigmi, Genova, Costa & Nolan, 1990. Per i
rapporti fra nuove tecnologie e comunicazione cfr. R. Martufi, L. Vasapollo, op.
cit.
[2] V. Tonini, op. cit.,
pagg. 242-243.
[3] H. Jonas, Wandel und Bestand.
Vom Grunde der Verstrhbarkeit des Geschichtlichen in Wissenschaft und Gegenwart,
Klostermann, Frankfurt (1970), tr. it. Dalla fede antica all’uomo tecnologico.
Saggi filosofici, Bologna, Il Mulino, 1991.
[4] H. Jonas,
op. cit., pag. 64.
[5] H. Jonas, Das
Prinzip Verantwortung. Versuch einer Ethick fur die Technologische Civilisation,
Insel, Frankfurt (1979), tr. it. Il principio responsabilità. Un’etica per la
civiltà tecnologica, Torino, Einaudi, 1990, pag. 70.