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Trasformazioni sociali e diritto

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Arturo Salerni
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Associazione Progetto Diritti; Membro del Comitato Scientifico del Centro Studi Trasformazioni Economico-Sociali (CESTES) - Proteo

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Stato, regioni e autonomie locali: il trasferimento delle funzioni legislative ed amministrative tra norme ordinarie e Costituzione

Arturo Salerni

Nel precedente numero di Proteo abbiamo passato in rassegna sia pure in termini generali gli interventi - anche in corso di approvazione - di modifica costituzionale e sul piano della legislazione ordinaria nell’ambito del complesso tema della ripartizione delle funzioni tra Stato, Regioni ed Autonomie Locali.

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L’art. 4 comma 2 del decreto legislativo n.29 del 1993 - anch’esso modificato dal decreto legislativo n.80 del 1998, adottato a seguito della legge “Bassanini” n.59 del 1997 [1] - testualmente recita: “Nell’ambito delle leggi e degli atti organizzativi di cui all’articolo 2, comma 1, le determinazioni per l’organizzazione degli uffici e le misure inerenti alla gestione dei rapporti di lavoro sono assunte dagli organi preposti alla gestione con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro”.

Nella versione originaria dell’art. 2 del decreto originario - che è utile richiamare per evidenziare le modificazioni in ordine al comune concetto di “privatizzazione del rapporto di pubblico impiego” determinatesi nell’arco di un quinquennio, dalla parte terminale della “prima repubblica” al governo del centro-sinistra - i primi tre commi prevedevano quanto segue:

1. Le amministrazioni pubbliche sono ordinate secondo disposizioni di legge e di regolamento ovvero, sulla base delle medesime, mediante atti di organizzazione.

2. I rapporti di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche sono disciplinati dalle disposizioni del capo I, titolo II, del libro V del codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa, salvi i limiti stabiliti dal presente decreto per il perseguimento degli interessi generali cui l’organizzazione e l’azione amministrativa sono indirizzate.

3. I rapporti individuali di lavoro e di impiego di cui al comma 2 sono regolati contrattualmente. I contratti collettivi secondo i criteri e le modalità previste nel titolo III del presente decreto; i contratti collettivi devono conformarsi ai principi di cui all’articolo 49, comma 2.

Scompare ad esempio nella nuova formulazione del secondo comma - ed è un fatto significativo - quel riferimento al “perseguimento degli interessi generali cui l’organizzazione e l’azione amministrativa sono indirizzate” che ancora nel 1993 veniva mantenuto come criterio di discrimine tra lavoro nel settore privato e lavoro in favore di una pubblica amministrazione e come limite, contestualmente, alla assimilazione tout court del pubblico impiego all’attività prestata in favore di un’impresa.

La differenza - essenziale - e la qualificazione dell’attività della pubblica amministrazione, la sua caratterizzazione, la sua specificità, il suo fondamento costituzionale si perdono in una indistinta collocazione nell’area delle attività lavorative, le cui finalità sfuggono ed i cui termini si confondono.

Se riflettiamo al rapporto tra questa configurazione normativa ed il concetto di sussidiarietà orizzontale contenuto nella nuova formulazione dell’art. 118 della Costituzione, con la implicita considerazione dell’indifferenza in ordine al fatto che le attività di pubblico servizio siano svolte da soggetti privati (e mossi da una logica di impresa) o da pubbliche amministrazioni - ed anzi il disfavore che si manifesta nel nuovo testo costituzionale rispetto alla diretta assunzione delle attività di rilevanza pubblica da parte di enti pubblici - si colgono segni e tratti che uniscono i momenti dell’intervento legislativo a Costituzione invariata sulla variegata materia del pubblico impiego e l’intervento di modifica costituzionale in ordine al ruolo ed al significato complessivo della funzione amministrativa; sicché possiamo affermare che non è certo indifferente la caratterizzazione giuridica del rapporto di lavoro con la pubblica amministrazione rispetto al ruolo complessivo della pubblica funzione nell’ambito dell’ordinamento e della vita sociale. Se questo è vero, si può anche affermare che esiste un rapporto, non solo di mera contiguità temporale ma anche di successione e logica conseguenzialità, tra le linee di intervento calibrate sul rapporto di pubblico impiego a partire dal 1993 ed il complessivo disegno - che va ben oltre il trasferimento di funzioni dal centro alla periferia - della “moderna” pubblica amministrazione (della cui modernità peraltro dubitiamo fortemente), sfociato nella riforma costituzionale del marzo 2001 - che quindi - sia pur formalmente limitata al titolo quinto della seconda parte della Costituzione - non intervenire esclusivamente sui rapporti tra Stato, Regioni ed Enti locali.

7. Nell’ambito della riforma del pubblico impiego uno degli elementi caratterizzanti - accanto alla assimiliazione del rapporto di lavoro al rapporto di lavoro privato - è il nuovo ruolo che assume la dirigenza.

Ed infatti, prevede il secondo comma dell’art. 3 del decreto legislativo n.29 del 1993 (anch’esso modificato dal decreto legislativo 31 marzo 1998 n.80), “ai dirigenti spetta l’adozione degli atti e provvedimenti amministrativi, compresi tutti gli atti che impegnano l’amministrazione verso l’esterno, nonché la gestione finanziaria, tecnica e amministraativa mediante autonomi poteri di spesa, di organizzazione delle risorse umane, strumentali e di controllo. Essi sono responsabili in via esclusiva dell’attività amministrativa, della gestione e dei relativi risultati” [2].

Quindi abbiamo dirigenti con poteri di gestione piena e responsabilità in via esclusiva dell’attività amministrativa, della gestione e dei risultati dell’attività: si tratta quindi di coloro rispetto ai quali si soggettivizza la locuzione - contenuta nel già richiamato art. 4, comma 2 - “organi preposti alla gestione con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro”.

Resta all’organo politico-amministrativo la definizione degli obiettivi dell’azione amministrativa e l’indicazione delle priorità e dei programmi da attuare, con il connesso potere di emanare le direttive generali per l’attività amministrativa e per la gestione e di effettuare “l’assegnazione ai dirigenti preposti ai centri di responsabilità delle rispettive amministrazione delle risorse” (art. 14 decreto legislativo n.29 del 1993)  [3].

In particolare - è sempre l’art. 14 - “il Ministro non può revocare, riformare, riservare o avocare a sé o altrimenti adottare provvedimenti o atti di competenza dei dirigenti. In caso di inerzia o ritardo il Ministro può fissare un termine perentorio entro il quale il dirigente deve adottare gli atti o i provvedimenti” e solo laddove l’inerzia permanga (“o in caso di grave inosservanza delle direttive generali da parte del dirigente competente, che determinino pregiudizio per l’interesse pubblico”) può nominare un commissario ad acta.

Prevede ancora l’art. 14 terzo comma del decreto 29/1993 che “resta salvo il potere di annullamento ministeriale per motivi di legittimità”.

Si prevedono due fasce nell’ambito del ruolo unico della dirigenza delle amministrazioni pubbliche, e cioè i dirigenti di uffici dirigenziali generali (i cui compiti e poteri sono tratteggiati dall’art. 16 del decreto legislativo n.29 del 1993) ed i dirigenti, cui si riferisce l’art. 17 (anch’esso come il precedente modificato a seguito dell’adozione del decreto legislativo n.80 del 1998), con un complessivo ampliamento delle prerogative della dirigenza ed una corrispondente diminuzione dell’ambito di intervento dell’organo politico-amministrativo e con una conseguente espansione dell’area di responsabilità dirigenziale (ai sensi delle previsioni contenute nell’art. 21 del decreto legislativo n.29/1993).

Il ruolo unico dei dirigenti delle amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, - conformemente alle disposizioni di cui all’art. 23 del decreto legislativo 29/1993, sostituito dall’art. 15 del decreto legislativo 80/1993 - è istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, e la retribuzione del personale con qualifica dirigenziale viene determinata da contratti collettivi appositamente previsti per le aree dirigenziali. Viene prevista in modo distinto - dall’art. 25 bis dello stesso decreto legislativo - la qualifica dirigenziale per i capi di istituto preposti alle istituzioni scolastiche ed educative alle quali viene attribuita personalità giuridica ed autonomia ai sensi della legge delega n.59/1997 [4].

Riportiamo qui integralmente il secondo comma ed i commi successivi del richiamato articolo 25 bis, anche al fine di rilevare - sul versante della modifica delle funzioni nell’ambito del rapporto di lavoro e dell’ampio potere conferito ai dirigenti rispetto all’insieme del corpo docente - alcuni dei mutamenti introdotti attraverso l’istituzione della cosiddetta “autonomia scolastica”: “2. Il dirigente scolastico assicura la gestione unitaria dell’istituzione, ne ha la legale rappresentanza, è responsabile della gestione delle risorse finanziarie e strumentali e dei risultati del servizio [come debbano essere misurati questi risultati, per la verità, è questione che non emerge dal testo, e crediamo che si tratti di questione assai complessa, certo non riconducibile ad strumenti ed obiettivi matematici e quantitativi]. Nel rispetto delle competenze degli organi collegiali scolastici, spettano al dirigente scolastico autonomi poteri di direzione, di coordinamento e di valorizzazione delle risorse umane, In particolare il dirigente scolastico organizza l’attività scolastica secondo criteri di efficienza e di efficacia formative ed è titolare delle relazioni sindacali.

3. Nell’esercizio delle competenze di cui al comma 2 il dirigente scolastico promuove gli interventi per assicurare la qualità dei processi formativi e la collaborazione delle risorse culturali, professionali, sociali ed economiche del territorio, per l’esercizio della libertà di insegnamento, intesa anche come libertà di ricerca e innovazione metodologica e didattica, per l’esercizio della libertà di scelta educativa delle famiglie e per l’attuazione del diritto all’apprendimento da parte degli alunni.

4. Nell’ambito delle funzioni attribuite alle istituzioni scolastiche, spetta al dirigente l’adozione dei provvedimenti di gestione delle risorse e del personale.

5. Nello svolgimento delle proprie funzioni organizzative e amministrative il dirigente può avvalersi di docenti da lui individuati, ai quali possono essere delegati specifici compiti, ed è coadiuvato dal responsabile amministrativo, che sovrintende, con autonomia operativa, nell’ambito di direttive di massima impartite e degli obiettivi assegnati, ai servizi amministrativi ed ai servizi generali dell’istituzione scolastica, coordinando il relativo personale.

6. Il dirigente presenta periodicamente al consiglio di circolo o al consiglio di istituto motivata relazione sulla direzione e il coordinamento dell’attività formativa, organizzativa e amministrativa, al fine di garantire la più ampia informazione e un efficace raccordo per l’esercizio delle competenze degli organi dell’istituzione scolastica”.

Lo stesso decreto legislativo del 1993 detta norme per la dirigenza del Servizio sanitario nazionale e prevede che [5] “le regioni a statuto ordinario, nell’esercizio della propria potestà statutaria, legislativa e regolamentare, e le altre pubbliche amministrazioni, nell’esercizio della propria potestà statutaria e regolamentare, adeguano ai principi dell’art. 3 e del presente capo i propri ordinamenti, tenendo conto delle rispettive peculiarità. Gli enti pubblici non economici nazionali si adeguano, anche in deroga alle speciali disposizioni di legge che li disciplinano, adottando appositi regolamenti di organizzazione”.

Va considerato che il capo III del titolo II del decreto legislativo numero 29 del 1993- nell’ambito dei principi che lo informano e nello spirito che guida la complessiva ristrutturazione della pubblica amministrazione - detta norme specifiche per l’attuazione del principio di mobilità (ed in particolare con riferimento al passaggio diretto di personale tra amministrazioni diverse - art. 33 -, al passaggio di dipendenti per effetto di trasferimento di attività “svolte da pubbliche amministrazioni, enti pubblici o loro aziende o strutture ad altri soggetti, pubblici o privati
 art. 34 -, alle eccedenze di personale ed alla mobilità collettiva - art. 35
 ed alla gestione del personale in disponibilità -art. 35 bis [6]) e per il reclutamento del personale, la cui assunzione “avviene con contratto individuale di lavoro” (art. 36).

Non è questo il luogo per richiamare le disposizioni su contrattazione collettiva e rappresentatività sindacale [7], che pure segnano - anche attraverso l’istituzione delle r.s.u. - un momento qualificante della nuova normativa (specie a seguito dell’approvazione del decreto legislativo n.396/97 in attuazione della delega contenuta nella legge n.59 del 1997): sul punto e sulla specifica questione della rappresentanza e della rappresentatività sindacale si rimanda alle argomentazioni già sviluppate nei primi numeri della rivista. Anche in relazione a questa materia occorrerà però in seguito concentrare la nostra attenzione al fine di valutare l’impatto che su di essa potrà determinare la riforma costituzionale del marzo 2001.

Il rapporto di lavoro nel suo complesso è disciplinato (salvo il rinvio alla contrattazione collettivo) dal titolo IV del decreto legislativo n.29 del 1993 nel senso di un significativo ingresso di disposizioni di stampo privatistico sia pur temperate da previsioni specifiche (si pensi all’art. 57 sulla disciplina delle mansioni, che si discosta significativamente dai principi contenuti nell’art. 13 dello Statuto dei Lavoratori).


[1] Ampiamente richiamata nell’articolo citato di A.Salerni sul numero di Proteo 3/2000, prima parte del presente dossier.

[2] La versione precedente del comma era la seguente: “Ai dirigenti spetta la gestione finanziaria, tecnica ed amministrativa, compresa l’adozione di tutti gli atti che impegnano l’amministrazione verso l’esterno, mediante autonomi poteri di spesa, di organizzazione delle risorse umane e strumentali e di controllo. Essi sono responsabili della gestione e dei ralativi risultati”.

[3] Sostituito dall’art. 9 del decreto legislativo n.80 del 1998.

[4] Della legge n.59 del 1997 (la cosiddetta legge Bassanini) si è ampiamente trattato nel precedente numero della rivista.

[5] Primo comma dell’art. 27bis introdotto con il decreto legislativo n.80 del 1998.

[6] Tutti gli articoli citati sono stati sostituiti o introdotti con l’adozione del decreto legislativo n.80 del 1998, così come il successivo art. 36.

[7] Contenute nel titolo III del decreto legislativo n.29 del 1993.