Rubrica
Eurobang

Copyright - Gli articoli si possono diffondere liberamente citandone la fonte e inserendo un link all'articolo

Autore/i

Giovanni Russo Spena
Articoli pubblicati
per Proteo (1)

Capogruppo al Senato del PRC

Argomenti correlati

Capitalismo

Europa

Recensioni

Nella stessa rubrica

EuroBang e l’onda anomala nel villaggio globale
Arrigo Giovannetti

La "rivoluzione restauratrice" del capitale
Giovanni Russo Spena

EuroBang e la crescita senza sviluppo
Fabio Sebastiani

Alternative al capitalismo: una chimera?
Nino Galloni

 

Tutti gli articoli della rubrica "Eurobang"(in tutti i numeri di Proteo)


Home
Autori
Rubriche
Parole chiave

 

 

 

La "rivoluzione restauratrice" del capitale

Giovanni Russo Spena

Formato per la stampa
Stampa

Ritengo che il libro "EuroBang" di Martufi e Vasapollo abbia una interessante impostazione ed anche molto condivisibile.

Mi convince, soprattutto, l’analisi del contesto: ritengo, infatti, che sarebbe errato ritenere sempre uguali a se stessi i processi di valorizzazione del capitale. Il capitale, infatti, non ha caratteristiche conservative: siamo di fronte a quella che, con un ossimoro, abbiamo chiamato "rivoluzione restauratrice" del capitale. Parlo di "rivoluzione" perché (come ho ampiamente analizzato nella prima parte di questa relazione, che do, in questa sede, per assunta) il capitale ha prodotto un radicale mutamento di paradigma sia per quanto riguarda luoghi e mercati del lavoro, che le culture, le statualità, lo stesso immaginario collettivo. Parlo, dialetticamente, inoltre, di "restaurazione" perché, pur in forme inedite, il capitale ha promosso un processo immane e pervasivo di svalorizzazione del lavoro, ristabilendo l’assoluto primato dei profitti e delle rendite, abbattendo salari e redditi proletari: in questo senso siamo giunti, in alcuni segmenti della forza lavoro, perfino a forme di erogazione della forza lavoro di tipo semischiavistico, all’interno delle quali precarizzazioni, caporalato di massa, lavoro dei fanciulli non sono "nicchie" di arretratezza ma punti avanzati ed organici della "modernizzazione" produttiva.

La deregolamentazione del lavoro, l’ingente, puntiglioso, ottuso processo di privatizzazioni, lo smantellamento dei settori fondamentali e tecnologicamente più avanzati dell’economia e del sistema produttivo hanno, inoltre, reso l’Italia un paese quasi "coloniale" all’interno della nuova divisione internazionale dei lavori e delle produzioni.

La competitività del sistema produttivo italiano, infatti, lungi dall’attingere forme di cooperazione non liberista e di produzione sociale, non è affidata all’innovazione ed alla qualità del prodotto ma all’inseguimento della forza lavoro al livello ed al prezzo più basso, alla deregolamentazione del lavoro, al peggioramento complessivo delle condizioni di erogazione della forza lavoro.

I lavori, precarizzati e svalorizzati, sono diventati luoghi di strage di lavoratori e lavoratrici (4 morti sul lavoro al giorno); è il segno di un dramma e di una inaudita vergogna, che allude al complessivo sistema politico/economico e, in profondità, alle forme, ai modi, ai modelli di sviluppo. Ne consegue la bancarotta della "politica", intesa come luogo della riflessione, della ricerca, della sperimentazione, della progettualità trasformatrice, soprattutto.

Questo vuol dire che la vittoria, in questa fase storica, del capitale, proprio perché devastante, è irresistibile? Che la criticità anticapitalista non possa che oscillare tra modeste e banali tendenze alla omologazione da un lato (diventando esausta ed inerte) e impotente testimonianza massimalista, dall’altro? Non credo. Bisogna saper leggere, in filigrana, ritornando alla radicalità della critica marxiana del capitale, ed è quello che fanno gli autori di "Eurobang", le contraddizioni interne alla feroce competitività interimperialistica, le debolezze strutturali, l’incapacità di costruire l’egemonia di un modello di civiltà globale. Certo, la condizione è che il movimento anticapitalista si liberi definitivamente di ogni meccanicismo, di ogni determinismo economicista, pur profondamente e drammaticamente presenti nella sua vicenda storica. Il capitale, come è ovvio, non crollerà da solo; all’interno delle sue contraddizioni deve essere rifondata soggettività politica, linea di massa, progettualità.

Un punto di attacco mi sembra, in questa fase, essenziale: il capitalismo, questo è il punto che mi pare essenziale sottolineare, ha separato la sua forte capacità di innovazione dal processo sociale e culturale. Stiamo entrando nel cono d’ombra di una "crisi di civiltà". È, questo, un dato inedito, un cambiamento di paradigma, non un mero mutamento di fase. Il progetto di trasformazione deve, necessariamente, iscriversi all’interno del rapporto dicotomico tra innovazione e civiltà.

Potrei citare un emblema, che a questa aporia allude: l’insano e perverso ossimoro di una «guerra umanitaria», che ha preteso di assurgere addirittura a "costituente" di un "nuovo ordine mondiale" degrada in barbarie di fronte alle malformazioni genetiche che uranio "impoverito", plutonio, disastro ambientale scientificamente perseguito dalle potenze "vincitrici" hanno prodotto. O vogliamo ricordare l’alimentazione con farine animali delle mucche, vero e proprio attentato alla salute pubblica, prodotto in nome del profitto assoluto, della mercificazione globale, della nuova dislocazione mondiale dei poteri economici, finanziari, scientifici? Il capitale vince, ma la sua vittoria, in questa fase, genera progressivamente un distacco dalla convivialità, dalla solidarietà, dalla socializzazione. Predomina la privazione di senso. È qui che bisogna riaprire il conflitto per un altro modello di società e di civiltà, ripartendo dalla materialità delle contraddizioni sociali.

Ritorna, ed è spesso sottolineato nelle pagine di "EuroBang", la necessità, il ruolo ineludibile e fondamentale del conflitto di classe. Una concezione "moderna" e classista dell’antagonismo deve superare, ovviamente, ogni errore economicista, ogni visione banalmente produttivista e "sviluppista", figli dell’ingenuità prometeica delle «magnifiche sorti e progressive»: nuovi soggetti, nuovi temi devono irrompere nella costruzione del "blocco storico" contemporaneo.

Marxianamente, l’«uno si divide in due»: contraddizioni di classe, di specie, di genere, senza alcuna visione gerarchizzata, concorrono alla costruzione della criticità e della progettualità alternativa. Non va, in questo senso, sottovalutato l’intreccio di temi, di sensazioni, di pulsioni, di conflitti che sottendono l’esplosione e l’espansione del cosiddetto "popolo di Seattle". Esso allude simbolicamente, a livello molto alto, alle forme, ai modi, ai contenuti di un conflitto inedito "dentro" e "contro" la globalizzazione liberista; esso si proietta, nel tragitto tra Seattle e Porto Alegre, sino ad embrioni di progetto di una nuova economia sociale, di una nuova democrazia partecipativa, che potranno trovare momenti e luoghi di approfondimento nella fase preparatoria della convenzione contro la riunione del G8 a Genova, nei prossimi mesi.

Siamo ad un possibile salto di qualità, ad un momento di rottura dell’assoluta rimozione del conflitto sociale, dell’appannamento assoluto di ogni criticità che ha caratterizzato soprattutto gli anni più recenti. Siamo, forse, di fronte a numerosi segnali di "disgelo" sociale, a reti, certo ancora fragili e modeste, che vengono ritessute: sono tendenze che vanno seguite con attenzione, tensione, passione.

Bisogna, io credo, ricominciare a definire contesti economici sociali, pronunciando parole che il liberismo imperante ritiene impronunciabili, in quanto pericolose tendenze "bolsceviche": programmazione democratica, controllo pubblico e socializzato dell’economia, introduzione di misure di regolazione della circolazione dei capitali, Tobin Tax.

Ma non voglio, in questa sede, parlare di singoli obiettivi programmatici, bensì del senso e della direzione di un impegno trasformatore: riprendersi tempi, salari, redditi sociali, conquistare forme di regolamentazione ed arricchimento della formazione e della polifunzionalità che contrastino il degrado nelle schiavistiche precarizzazioni, introducendo, con il conflitto, anche radicale ed aspro, nuove rigidità nel meccanismo di accumulazione capitalistica e nel mercato. Se le sinistre politiche sono spaesate e confuse, occorre incominciare da qui, dalla società, in questo senso analisi e inchieste come quelle approntate da Martufi e Vasapollo su "EuroBang" devono essere incoraggiate e condivise per rafforzare anche con un approccio scientifico una forte ripresa del conflitto sociale.