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Trasformazioni sociali e diritto

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Arturo Salerni
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Associazione Progetto Diritti; Membro del Comitato Scientifico del Centro Studi Trasformazioni Economico-Sociali (CESTES) - Proteo

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Rappresentanza sindacale. La legge che non c’è

Arturo Salerni

I percorsi normativi nel pubblico e nel privato

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5. Il referendum del giugno 1995

Dopo una intensa e pluriennale battaglia condotta tra la fine degli anni ottanta e l’inizio degli anni novanta da diverse forze sindacali e democratiche, che ha visto anche una diffusa partecipazione di esponenti della magistratura e dell’avvocatura del lavoro, l’art. 19 dello Statuto dei Lavoratori è stato oggetto di due distinte proposte referendarie che puntavano alla sua abrogazione totale o parziale. Peraltro, nell’ambito dell’allora vigente legislatura - ed in quella che la precedette - sono state formulate diverse proposte di modifica del testo dell’art. 19 dello Statuto, ed alcune di iniziativa popolare, in considerazione anche del mutamento della realtà delle aggregazioni e delle relazioni sindacali verificatosi dal 1970 in poi e delle considerazioni critiche espresse alla normativa in vigore dalle pronunzie della Corte Costituzionale.

Per comprendere fino in fondo la necessità di un mutamento legislativo - prima e, ancor più dopo il risultato del referendum abrogativo - va ricordato che, nel settore privato, secondo la giurisprudenza dominante, non esisteva e non esiste per le organizzazioni sindacali alcun diritto alla partecipazione al tavolo delle trattative. Va anche ricordato che, prima del referendum del 1995 (promosso in funzione antisindacale dalla Lista Pannella) sull’art. 23 dello Statuto dei Lavoratori, le diverse organizzazioni sindacali - rientrassero o meno tra quelle indicate dall’art. 19 dello Statuto dei Lavoratori - avevano diritto di percepire i contributi sindacali che i lavoratori avessero loro inteso versare tramite ritenuta sul salario da operarsi a cura del datore di lavoro.

6. Le relazioni sindacali nel pubblico impiego

La legge quadro 29 marzo 1983 n. 93 disciplinava la materia delle relazioni sindacali nell’enorme settore del pubblico impiego. In sostanza questa legge individuava le materie che dovevano essere disciplinate attraverso la contrattazione collettiva ed il procedimento attraverso il quale gli accordi risultanti dalla negoziazione dovevano essere recepiti in atti aventi una portata generale. Infatti nel pubblico impiego la contrattazione collettiva sfociava, a seguito della legge quadro, in provvedimenti normativi (per esempio in Decreti del Presidente della Repubblica) che conferivano agli accordi una portata generale (la cosiddetta validità erga omnes) a differenza di quanto accade nel settore privato, ambito nel quale - non essendo mai stata attuata la disposizione contenuta nell’art. 39 della Costituzione - per determinare l’estensione della validità di un accordo a tutti i lavoratori è necessaria una legge. Con il cosiddetto Decreto Amato, dal nome dell’allora presidente del Consiglio dei Ministri, ovvero con il Decreto Legislativo 29/93, nell’avvio del processo di privatizzazione del pubblico impiego, si è ridotto notevolmente l’ambito delle materie sottoposte alla contrattazione decentrata e si sono parallelamente estesi i poteri dispositivi dei dirigenti.

La legge quadro del 1983 individuava tre ambiti di contrattazione collettiva nel settore del pubblico impiego: l’ambito intercompartimentale, la negoziazione di comparto, e la negoziazione decentrata. Tale tripartizione permane sostanzialmente ancora oggi, ovvero dopo i decreti legislativi 29 del 1993 (Amato) e 395 del 1997 (Bassanini).

Con il Decreto del Presidente della Repubblica n. 68 del 1986, a seguito di accordo sindacale interessante la globalità del pubblico impiego, sono stati individuati otto comparti di contrattazione collettiva.

I comparti, allora delineati ed ancora sostanzialmente esistenti, sono i seguenti: Stato, Parastato (ovvero enti pubblici non economici), Aziende ed Amministrazioni Autonome (che a seguito della trasformazione/privatizzazione delle Poste e di altri enti si è di molto ridotto), Scuola, Regioni ed Enti Locali, Università, Ricerca, Servizio Sanitario Nazionale.

A seguito di un accordo intercompartimentale del 1988 il Ministero per la Funzione Pubblica ha - con successive circolari dell’ottobre 1988 (cosiddetta circolare Pomicino) e del marzo 1991 (cosiddetta circolare Gaspari) - disposto in ordine al riconoscimento del requisito della maggiore rappresentatività alle diverse associazioni sindacali.

Solo le associazioni dotate del requisito della maggiore rappresentatività hanno la titolarità a partecipare alle trattative nei diversi ambiti di contrattazione (intercompartimentale, di comparto, decentrata). Per tutte le associazioni cui viene riconosciuta la titolarità a far parte dei diversi tavoli negoziali consegue generalmente il riconoscimento dei diversi diritti sindacali (locali, permessi, bacheche, assemblee, tutela specifica per i dirigenti sindacali, in alcuni casi distacchi sindacali).

L’art. 11 della legge quadro sul pubblico impiego prevedeva una ulteriore condizione - oltre al possesso del requisito della maggiore rappresentatività con riferimento all’ambito di contrattazione - per permettere alle associazioni sindacali di far parte della delegazione trattante, e cioè il fatto di aver adottato codici di autoregolamentazione dell’esercizio del diritto di sciopero.

La negoziazione decentrata nell’ambito del pubblico impiego è stata dapprima disciplinata dall’art. 14 della legge quadro del 1983. Essa è prevista “per singole branche della pubblica amministrazione e per singoli enti, anche per aree territorialmente delimitate”. E’ quindi possibile una contrattazione decentrata nazionale che riguardi l’intero Ente, così come una contrattazione decentrata locale, ed anche una negoziazione relativa a singoli ambiti lavorativi (nazionali o locali). Anche tale strutturazione, sia pur nelle grandi linee e con variazioni relative all’insieme delle materie da trattare ed alla attribuzione delle singole questioni ai diversi ambiti, resta sostanzialmente simile a seguito dei decreti Amato e Bassanini.

Le già citate circolari degli allora Ministri per la Funzione Pubblica Pomicino e Gaspari dettavano precise regole per il riconoscimento del requisito della maggiore rappresentatività in capo alle diverse associazioni sindacali.

Per il livello intercompartimentale (che riguarda la totalità dei pubblici dipendenti) venivano considerate maggiormente rappresentative su base nazionale le confederazioni presenti nel Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (organo previsto dalla Costituzione ed avente funzione consultiva del Parlamento e del Governo) e quelle per le quali era accertata la maggiore rappresentatività in almeno due comparti di contrattazione collettiva. Per ciascun comparto di contrattazione collettiva venivano considerate maggiormente rappresentative sul piano nazionale le organizzazioni sindacali che avessero un numero di iscritti - risultanti dalle deleghe per la ritenuta del contributo sindacale - non inferiore al cinque per cento delle deleghe complessivamente espresse dai lavoratori dell’intero comparto (ovvero il cinque per cento dei sindacalizzati) oppure quelle che avessero ottenuto nei procedimenti elettivi (per la nomina dei rappresentanti del personale nelle commissioni del personale o nelle commissioni di disciplina o nei consigli di amministrazione) una percentuale di voti pari almeno al cinque per cento del numero complessivo dei votanti per ciascun comparto.

Oltre al possesso di uno o dell’altro dei requisiti indicati si richiedeva che le organizzazioni sindacali avessero strutture territoriali di una certa consistenza in almeno un terzo delle regioni e delle province. Il criterio del cinque per cento delle deleghe o dei voti espressi nell’area decentrata interessata era criterio valido anche per l’individuazione delle organizzazioni maggiormente rappresentative degli interessi collettivi dei dipendenti nelle aree decentrate cui detti accordi si riferivano.

La circolare Gaspari dell’11.3.1991 stabiliva inoltre criteri specifici per l’individuazione delle associazioni maggiormente rappresentative di alcuni interessi particolari. Si tratta delle associazioni sindacali del personale dell’“area medica” del Servizio Sanitario Nazionale, dei dirigenti, del personale dipendente da amministrazioni aventi caratteri di assolute peculiarità (si pensi al Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco), del personale appartenente a particolari categorie che vantano una specificità professionale tale da renderle assolutamente eterogenee rispetto alle altre comprese nello stesso comparto (si pensi ai chimici nel S.S.N.).

Attraverso l’effettuazione delle ritenute - nel pubblico impiego - si giungeva, per espressa previsione normativa, a calcolare il numero degli iscritti al fine di verificare la consistenza associativa (come rapporto tra il numero dei propri iscritti ed il totale del personale sindacalizzato nel determinato ambito di riferimento) da considerare per il riconoscimento della maggiore rappresentatività. Il riconoscimento della maggiore rappresentatività, lo abbiamo visto, comportava - per le richiamate norme e circolari - l’ammissione al tavolo negoziale e la conseguente possibilità… di fruire degli altri diritti sindacali previsti dalle norme.