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La transizione difficile

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l ruolo delle imprese multinazionali nel mercato globale

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È stato possibile dimostrare che, a prescindere dall’area geografica di provenienza e dal settore produttivo di appartenenza, l’assunzione di un modello di gestione reticolare è sinonimo per l’impresa multinazionale di miglioramento delle proprie performance, di acquisizione di maggiori quote di mercato, di avvento a nuove tecnologie e conoscenze e di rafforzamento della propria posizione a livello internazionale.

Concentrando invece l’attenzione sui settori produttivi e sulle aree geografiche studiate, è stato possibile vedere come l’apertura al mercato mondiale si concretizzi con caratteristiche differenti tra i vari settori e Paesi in funzione sia delle necessità di mercato che delle politiche di sviluppo intraprese dai vari Governi. [1]

Dopo aver esaminato le strategie di delocalizzazione, ed alcuni aspetti dinamici ed organizzativi che caratterizzano i comportamenti delle imprese che affrontano il mercato globale, è ora opportuno affrontare il problema da un punto di vista quantitativo. Uno degli aggregati che meglio spiega l’attività delle imprese multinazionali è sicuramente l’investimento diretto estero (IDE). [2]

Gli investimenti diretti esteri, visti come flussi finanziari che si muovono da un’impresa investitrice verso le sue affiliate operanti all’estero, negli ultimi anni hanno intrapreso un trend decisamente crescente. Gli IDE hanno iniziato una fase d’espansione a partire dal 1997. Analizzando i flussi in entrata ed in uscita [3] è possibile vedere come, a partire da tale anno, i tassi di crescita annuali si siano mantenuti decisamente sopra alla media dei periodi precedenti [4]. Nel 1999 i flussi in uscita di investimenti hanno raggiunto gli 800 miliardi di dollari con un incremento del 16,4% rispetto all’anno precedente mentre i flussi in entrata hanno raggiunto gli 865 miliardi di dollari con un incremento del 27,5% rispetto al 1998 [5].

Questi andamenti hanno fatto si che gli IDE divenissero la più importante componente tra i flussi di capitali privati verso le regioni in via di sviluppo. Questi livelli sono stati raggiunti nonostante la presenza di numerose condizioni sfavorevoli nell’economia mondiale; come per esempio la recessione dei mercati finanziari in Asia (compreso il Giappone), e l’instabilità dei mercati dell’ex Unione Sovietica e dell’America Latina, che avrebbero dovuto spingere in basso gli IDE nel 1998, ma ciò non è successo.

I flussi complessivi di investimenti diretti esteri (IDE) nel 2000 sono aumentati del 18% ed hanno raggiunto la cifra record di 1.300 miliardi di dollari. Sia la crescita del 2000 che il previsto calo del 2001 sono dovuti principalmente alle fusioni e acquisizioni di società straniere, che costituiscono una cospicua quota degli IDE in tutto il mondo. Tuttavia, dopo il picco dell’anno scorso, 1.100 miliardi di dollari nel 2000, in aumento di quasi il 50% rispetto all’anno precedente, le M&A (fusioni ed acquisizioni oltre confine) di società straniere mostrano ora una tendenza al calo. Tale fenomeno è a sua volta legato al rallentamento generale della crescita economica.

Un altro elemento che bisogna sottolineare è dato dalla ripresa dei Paesi in via di sviluppo e, al loro interno, delle cosiddette economie emergenti. Infatti la recente esplosione degli investimenti diretti esteri non riguarda soltanto i Paesi industrializzati, ma anche le economie emergenti che stanno occupando un ruolo sempre più importante come destinatari di numerosi progetti d’investimento. Nel corso degli anni Ottanta, a seguito della crisi del debito, il peso di tali Paesi sui flussi (ma anche sugli stock) di IDE si era drasticamente ridotto, anche a seguito di rilevanti disinvestimenti. Nel corso degli anni Novanta si è verificata una ripresa di tali flussi che, nel 1997, hanno superato i 170 miliardi di dollari raggiungendo livelli record. Nell’anno successivo vi è stata una leggera flessione a seguito della crisi finanziaria che ha colpito alcune economie di quest’area; nel 1999 è stato nuovamente intrapreso un trend crescente con un incremento del 15,7% rispetto all’anno precedente. In questo contesto particolarmente attiva risulta l’Asia, la quale riceve circa il 30% dei flussi di IDE destinati ai Paesi in via di sviluppo. La cosa sorprendente è data dal fatto che questi Paesi ricevono più flussi di IDE di quanti se ne potrebbero aspettare sulla base delle condizioni del mercato. Una spiegazione di questo fenomeno è data dal fatto che i fattori di attrazione degli investimenti diretti esteri non sono esclusivamente legati alla dimensione del mercato di sbocco, bensì dipendono fortemente dalle risorse umane e materiali presenti nelle aree di destinazione. In America Latina si registrano forti fluttuazioni dei flussi in entrata, dovute all’andamento del ciclo economico e alle fasi dei processi di privatizzazione, mentre l’Africa resta del tutto marginale, scendendo al di sotto del 2% dei flussi mondiali.

Anche per quanto riguarda i flussi mondiali in uscita possiamo vedere come vi è stato un forte incremento. La principale origine di tali flussi è sicuramente costituita dall’area che comprende tutti i Paesi industrializzati; tale area rappresenta ormai oltre il 90% del totale mondiale. Globalmente si può affermare che tali flussi hanno vissuto una fase di crescita in tutto il periodo considerato. I flussi di IDE in uscita risultano fortemente concentrati; infatti i tre principali investitori (Unione Europea, Stati Uniti e Giappone) rappresentano oltre i due terzi dei flussi mondiali in uscita. Bisogna evidenziare come negli anni Novanta gli Stati Uniti siano tornati ad essere il principale Paese investitore dopo la fase di declino relativa agli anni Ottanta. Per quanto riguarda il Giappone, in quest’area si registrano le conseguenze della crisi finanziaria che ha colpito l’Asia nella metà degli anni Novanta; infatti i flussi appaiono in rallentamento.

Un’ulteriore considerazione riguarda il fatto che le differenze, in tal senso, tra le economie sviluppate e quelle in via di sviluppo stanno lentamente diminuendo, nonostante il fatto che la gran parte degli investimenti ad alto contenuto tecnologico provengono dalle imprese multinazionali con sede principale situata nelle grandi potenze economiche.

Una spiegazione può essere fornita dal fatto che le multinazionali provenienti dalle aree economiche in via di sviluppo basano la loro forza non soltanto su una produzione ad alto contenuto tecnologico, bensì su fattori di competitività e sui vantaggi legati alle politiche di liberalizzazione dei mercati che da qualche anno a questa parte coinvolgono i Paesi di quest’area [6].

Concentrando l’attenzione sul 2000 si evidenziano i seguenti sviluppi a livello regionale.

Sia nei paesi industrializzati sia a livello globale, la cosiddetta Triade (Unione Europea, Stati Uniti e Giappone) continua a dominare i flussi di IDE in entrata (71%) ed in uscita (82%), ancora una volta soprattutto grazie alle M&A di società straniere. Il Regno Unito e la Francia sono subentrate agli Stati Uniti nel ruolo di primo investitore estero e sebbene gli USA, a livello mondiale, siano ancora il principale paese ricevente, i loro flussi in entrata e quelli in uscita sono diminuiti l’anno scorso rispettivamente del 5% e del 2%. La Germania ha superato il Regno Unito diventando il principale paese ricevente in Europa ed il secondo per i flussi globali in entrata. Il Regno Unito è per il secondo anno consecutivo il primo paese di provenienza degli IDE a livello mondiale. Gli IDE verso l’Europa centrale ed orientale sono aumentati del 7%, per un totale di 27 miliardi di dollari concentrati nella Federazione Russa, in Polonia e nella Repubblica Ceca. Complessivamente, questa regione conserva la sua quota del 2% dei flussi globali in entrata. Nell’insieme gli IDE hanno preso la forma di transazioni legate alle privatizzazioni, che continueranno a generare flussi regionali in entrata almeno per tutto il 2002. La parte più consistente degli investimenti continua a provenire dall’Europa occidentale, segnatamente dai paesi membri dell’UE. Per quanto riguarda i flussi di IDE in uscita, l’anno scorso sono aumentati ancora più rapidamente di quelli in entrata, raggiungendo i 4 miliardi di dollari. I principali settori interessati dai flussi in uscita sono i trasporti, il petrolio, il gas naturale e i prodotti farmaceutici. Gli IDE da e verso i paesi asiatici in via di sviluppo hanno registrato livelli record l’anno scorso, con una importante concentrazione a Hong Kong (Cina), che ha superato la Cina continentale in qualità della prima fonte e della prima destinazione degli IDE in Asia. Con un flusso di investimenti di 143 miliardi di dollari, l’Asia ha registrato un aumento del 44% rispetto al 1999; i flussi in uscita hanno raggiunto gli 85 miliardi di dollari, pari ad un aumento del 140%. L’anno scorso, i paesi dell’America Latina e dei Caraibi hanno registrato un brusco calo del 22% dei flussi in entrata, scesi a 86 miliardi di dollari dopo esser triplicati nella seconda metà degli anni 90. Tale declino riflette in realtà una correzione rispetto al 1999, quando i flussi in entrata furono gonfiati da alcune grandi acquisizioni infra-gruppo. I principali paesi destinatari sono stati il Brasile con 34 miliardi di dollari, ed il Messico con 13 miliardi di dollari, mentre il Cile è stato il principale investitore della regione. A livello settoriale, il terziario e le risorse naturali hanno assorbito la maggior parte degli IDE della regione, mentre in Messico sono prevalsi la produzione manifatturiera ed i servizi finanziari. Nel 2000, le fusioni e acquisizioni sono rimaste importanti ed hanno interessato soprattutto il settore dei servizi. I flussi in entrata di IDE in Argentina e Cile sono diminuiti, in parte perché tre grandi fusioni e acquisizioni avevano prodotto un aumento consistente l’anno precedente. L’instabilità politica ed economica ha provocato un calo degli IDE in alcuni paesi quali la Colombia e il Perù, mentre sono aumentati i flussi verso il Venezuela. Nel 2000 una diminuzione dei flussi verso l’Africa di 9,1 miliardi di dollari, pari al 13%, ha fatto scendere la quota di IDE di questo continente a meno dell’1% del totale mondiale, soprattutto a causa del rallentamento dell’economia in Sud Africa, Angola e Marocco. È stato registrato un calo anche nell’Africa sub-sahariana, che comprende i 14 paesi membri della Comunità di Sviluppo dell’Africa meridionale (SADC) e i 34 paesi meno sviluppati dell’Africa; la situazione è rimasta invariata solo in Nord Africa. Il Sud Africa è il primo paese fonte di IDE del continente col 40% del totale dei flussi esteri, pari a 1,3 miliardi di dollari lo scorso anno. I principali paesi riceventi sono stati, nell’ordine, l’Angola, l’Egitto, la Nigeria, il Sud Africa e la Tunisia.


[1] Cfr. R. Martufi e L. Vasapollo, “ EuroBang”, op. cit.

[2] Cfr. AA.VV., “No/Made Italy” op. cit. e lavori vari di L. Vasapollo già citati.

[3] Cfr. UNCTAD “World Investment Report 2001”.

[4] Per il periodo 1997-1999 il tasso medio di crescita degli IDE è stato pari al 31,9% mentre quello degli IDE in uscita è stato pari al 26%.

[5] Cfr.: International Monetary Found: “International Financial Statistics”, Washington D.C., 1999.

[6] Cfr.: OECD “Per l’apertura dei mercati, i vantaggi della liberalizzazione degli scambi e degli investimenti”, 1999.