Rubrica
Tendenze della competizione globale

Copyright - Gli articoli si possono diffondere liberamente citandone la fonte e inserendo un link all'articolo

Autore/i

Sergio Cararo
Articoli pubblicati
per Proteo (5)

Ricercatore socio-economico di CESTES-PROTEO

Argomenti correlati

Geopolitica

Poli imperialistici

Risorse energetiche

Zona euroasiatica

Nella stessa rubrica

Sul capitalismo tedesco
Joseph Halevi

Risorse energetiche e controllo geopolitico.Il Grande Gioco nell’Asia centrale
Sergio Cararo

Perché la guerra fa bene all’economia (I)
Vladimiro Giacché

Lo scontro geoeconomico per il controllo dell’”ombelico del mondo”
Rita Martufi, Luciano Vasapollo

 

Tutti gli articoli della rubrica "Tendenze della competizione globale"(in tutti i numeri di Proteo)


Home
Autori
Rubriche
Parole chiave

 

 

 

Risorse energetiche e controllo geopolitico.Il Grande Gioco nell’Asia centrale

Sergio Cararo

Formato per la stampa
Stampa

Chi governa l’Europa orientale comanda la zona centrale; chi governa la zona centrale comanda la massa eurasiatica; chi governa la massa eurasiatica comanda il mondo.

Harold Mackinder (padre della moderna geopolitica)

1. Introduzione

Per cercare di comprendere le cause e gli obiettivi di una guerra, occorre prendere in esame tutte le ipotesi, gli interessi materiali in gioco, le forze sociali o economiche che spingono verso un conflitto e soprattutto verso un esito dello stesso che corrisponda ai propri obiettivi.

L’amministrazione statunitense, ha dichiarato che la "guerra infinita" durerà mesi se non anni, che un intero sistema politico, economico, civile ed internazionale dovrà piegarsi alle esigenze di un conflitto con caratteristiche nuove.

È indubbio che, in questa vicenda, il casus belli - gli attentati dell’11 settembre al cuore economico e politico degli Stati Uniti
 sia stato al di sopra dell’immaginazione [1].

È anche vero che nella storia più recente, gli autori degli attentati e gli attentati stessi, sono passati in secondo piano rispetto allo sviluppo degli avvenimenti. Nell’esame della storia, che rapporto di grandezza è rimasto tra l’attentato di Sarajevo, l’affondamenento del piroscafo Lusitania e la Prima Guerra Mondiale? O tra l’affondamento della nave americana Maine e la conquista di Cuba e l’espulsione definitiva della Spagna dal gruppo delle potenze coloniali? Oppure, per parlare di casus belli, tra il bombardamento su Pearl Harbour e la parte della Seconda Guerra Mondiale combattuta in Asia e nel Pacifico?

Della guerra infinita conosciamo solo alcuni dettagli: l’individuazione e la caccia a Osama Bin Laden ritenuto il responsabile degli attentati sulle Twin Towers, i bombardamenti e i massacri sull’Afganistan dei taliban accusato di ospitarlo, il pieno controllo della prima fase della guerra nelle mani degli Stati Uniti.

Gli obiettivi dichiarati di questa guerra sono la lotta al terrorismo internazionale e la "dissuasione" per chiunque - siano essi una organizzazione terroristica o Stati - dal minacciare o attaccare gli interessi strategici statunitensi nel proprio territorio nazionale o nel resto del mondo.

È noto che le dottrine elaborate dai vari centri decisionali del potere degli Stati Uniti, hanno una concezione molto ampia e flessibile dei propri interessi strategici. In fasi diverse, mutano le linee guida che ispirano e orientano la politica internazionale statunitense (inclusa quella militare). In alcune fasi si impongono interessi materiali, scuole di pensiero e chiavi di lettura, in fasi diverse se ne impongono altre. Il cambiamento della politica USA verso il Medio Oriente, cioè verso Israele e palestinesi, oppure verso l’Iraq e l’Arabia saudita, indica la "flessibilità" degli orientamenti che si impongono di volta in volta.

In questo lavoro, si è cercato di ricostruire i passaggi delle scelte operate nell’ultimo decennio dagli Stati Uniti in un’area come l’Asia centrale che oggi - con l’attacco all’Afganistan - appare al centro dell’azione politica e militare degli USA. Dalla ricostruzione degli eventi, emerge un cambiamento di posizione degli Stati Uniti già nella seconda metà degli anni Novanta.

Con la nuova amministrazione Bush, sembrano aver acquisito maggiore influenza e potere decisionale i settori ispirati da una chiave di lettura fortemente geopolitica degli interessi strategici statunitensi. Consiglieri come Brzezinski, Huntington, Wolfowitz in questa fase paiono avere maggiore peso decisionale nella formazione degli orientamenti della politica internazionale statunitense e di una amministrazione fortemente compenetrata con il business del petrolio e l’economia di guerra.

2. La preparazione geopolitica della guerra infinita

Uno dei padri della geopolitica, Harold Mackinder, sostiene che chi ha il controllo della zona centrale controlla l’Eurasia e chi controlla l’Eurasia controlla il mondo. Con la dissoluzione dell’URSS, gli Stati Uniti hanno sicuramente ipotecato il comando della zona centrale a proprio favore. Per aspirare a conquistare e mantenere la supremazia mondiale, occorre passare al comando della massa eurasiatica. "La capacità degli Stati Uniti di esercitare un’effettiva supremazia mondiale, dipenderà dal modo in cui sapranno affrontare i complessi equilibri di forza nell’Eurasia, scongiurando soprattutto l’emergere di una potenza predominante e antagonista in questa regione". [2] Questa ambizione, esplicitata da Brzezinski, sembra aver ispirato la "svolta" della amministrazione statunitense nella seconda metà degli Novanta e soprattutto l’escalation di questi ultimi mesi. L’Afganistan dunque potrebbe trovarsi - suo malgrado - al posto giusto.

Per comprendere le motivazioni "forti" dell’attuale intervento militare contro l’Afganistan ed in Asia Centrale, sarebbe sufficiente aprire una carta geografica che includa tutta l’area definita eurasiatica. È un’area assai ampia che include paesi con sistemi, risorse economiche e potenzialità militari assai diverse tra loro. Ma è soprattutto l’area che a partire dal biennio 1989-91, con la dissoluzione dell’URSS e del COMECON è stata "aperta" agli interessi ed agli investimenti americani ed europei.

3. Negli anni Novanta inizia l’assalto all’Eurasia

Dal 1993 l’Unione Europea ha lanciato il Traceca (Corridoio Caucasico TransEuropeo) entrato in fase attiva tra il 1994 e il 1995. Obiettivo di questo progetto era quello di bypassare la Russia per i trasporti, gli oleodotti e gli investimenti più generali tra l’Europa e l’Asia Centrale.

Tale progetto, non investiva solo le ambizioni degli europei e degli Stati Uniti, ma coinvolgeva anche le ambizioni di altri Stati della regione come la Turchia (membro della NATO, alleato di ferro degli USA, candidato ad entrare nell’Unione Europea).

Tra il 1993 e il 1994, a seguito di due incidenti navali,la Turchia avviava una offensiva a tutto campo tesa a ridurre il traffico di petroliere nello stretto del Bosforo. Veniva addirittura ventilata l’ipotesi di annullare il Trattato di Montreaux che "internazionalizza" il traffico nei Dardanelli e nel Bosforo. Le petroliere incriminate, provenivano tutte dai terminali petroliferi russi sul Mar Nero.

Nel 1994, un articolo comparso sul quotidiano turco Milliyet, rendeva nota l’esistenza di un progetto di oleodotto tra Baku (Azerbaijan) e Ceyhan (Turchia) che avrebbe tagliato defitivamente fuori la Russia dalle nuove rotte del petrolio dall’Asia centrale.

Nel 1994, con il "contratto del secolo" firmato tra l’Azerbaijan ed un consorzio di compagnie petrolifere guidato dalla British Petroleum (AIOC) è iniziata la "corsa" all’oro nero, al gas e ai mercati dell’Asia Centrale.

Sono state create così le condizioni per la "svolta" della strategia geopolitica degli Stati Uniti su quest’area. Parlare di svolta, non è una semplificazione ma è un indicatore storico, economico e geopolitico capace di spiegare molti avvenimenti della seconda metà degli anni Novanta.

Fino al 1993, infatti, gli USA puntavano a cooptare la Russia negli accordi sul Traceca e sulle pipelines. Dopo una fase di discussione, intorno al 1995 l’approccio dell’amministrazione statunitense cambia radicalmente sia per quanto riguarda l’Asia Centrale che i Balcani.

Nello stesso anno - il 1995, oltre l’Azerbaijan, anche Georgia e Uzbekistan, entrano nell’orbita degli interessi americani.

Tale cambiamento di posizione produrrà scelte operative a partire dal 1996, ossia l’anno in cui i Taleban conquistano Kabul dopo una "marcia trionfale" partita dal Pakistan e iniziata proprio nel 1995.

La dissoluzione dell’URSS e la frantumazione delle sue repubbliche, hanno consentito agli Stati Uniti di intervenire con efficacia in quest’area sia sul piano bilaterale sia sul piano multilaterale (es: includendo alcuni di questi paesi nella "parnership for peace" con la NATO).

I paesi europei ex Comecon (Polonia, Repubblica Ceca, Ungheria etc.) sono già stati integrati nella NATO e nella penetrazione degli IDE grazie alle privatizzazioni, alle facilitazioni per gli investimenti esteri, al cambiamento delle leggi sulla proprietà imposti dal FMI e dagli istituti finanziari internazionali. Ma nelle repubbliche asiatiche della ex URSS e nei Balcani le cose ancora non erano a questo punto.

4. La "normalizzazione" della regione Balcanica

Nel 1999 è stata "sistemata" la regione balcanica. Sono stati necessari due interventi militari della NATO (uno, cronologicamente indicativo, nel ’95 in Bosnia ed uno più pesante nel ’99 in Kossovo e Federazione Jugoslava) per definire degli assetti soddisfacenti per gli interessi americani e più vulnerabili per i "partner europei".

Attualmente nei Balcani, gli USA possono contare su alcuni risultati sicuri: hanno costruito una grande base militare in Kossovo (Camp Bondsteel); hanno neutralizzato il Corridoio strategico nr.10 sul quale convergevano gli interessi di Russia, Serbia, Grecia ed anche Germania; hanno dato il via al versante più occidentale del Corridoio strategico nr.8 sul quale convergono invece gli interessi americani e inglesi; possono contare sull’alleanza di tre paesi funzionali al Corridoio: Albania/Kossovo, Bulgaria ed una parte della riottosa Macedonia. L’attuale convergenza con i movimenti nazionalistici pan-albanesi, consente inoltre di controllare tutti gli snodi strategici dell’area in Kossovo, Albania e Macedonia. [3]

La situazione è talmente consolidata, che il Dipartimento di Stato USA sta valutando l’ipotesi di ritirare una parte dei contingenti operativi in Kossovo, Macedonia e Bosnia, di lasciare solo gli uomini incaricati della piena operatività della base di Camp Bondesteel e di affidare il compito di polizia militare e di controllo al contingente militare italiano destinato a diventare il più numeroso nei Balcani.

5. I rapporti di forza nella regione eurasiatica

La situazione nel versante orientale della regione euroasiatica (Asia Centrale), presenta maggiori problemi per l’egemonia e il controllo da parte degli Stati Uniti. In questa regione convergono infatti gli interessi strategici della Russia e in qualche modo quelli della Cina. Vi sono poi potenze regionali ostili come l’Iran e potenze alleate come la Turchia in espansione nell’area turcofona ma con crescenti contraddizioni e spinte dissonanti all’interno. Alla sua periferia più prossima vi sono due potenze nucleari regionali come il Pakistan e l’India (quest’ultima dispone però di un potenziale umano enorme).

In mezzo, ma proprio in mezzo, vi è una terra di nessuno (una no man’s land) chiamata Afganistan.

Quando l’URSS occupò l’Afganistan nel dicembre 1979, vi furono reazioni diverse. I palestinesi esultarono perché la videro come un ritorno dell’URSS ad occuparsi dell’area più prossima al Medio Oriente ed un possibile punto di resistenza dopo il goodbye di Brzezinski all’OLP.

Per gli Stati Uniti - anche a seguito della caduta del regime dello sciah in Iran - ebbe lo stesso effetto, fatte le dovute proporzioni, degli attentati alle Twin Towers. Scattò dunque l’escalation della seconda guerra fredda che portò all’installazione dei missili in Europa, alla costituzione della Rapid Deployment Force (Forza di Intervento Rapido) con base nell’isola di Diego Garcia nell’Oceano Indiano, al confronto globale Est-Ovest in tutte le aree e all’organizzazione economica, militare e politica delle forze che si opponevano alla presenza sovietica in Afganistan (tra questi anche Osama Bin Laden).

Le mappe a disposizione dimostrano alcune cose.

1. Gli Stati Uniti sono ancora assenti dall’Eurasia sul piano di strutture di controllo permanenti (basi militari, corridoi aerei riservati, accordi bilaterali o organismi multilaterali in cui operare come primus inter pares.

2. In quest’area possono manifestarsi ambizioni di potenze rivali all’egemonia statunitense (Cina, Russia, India, singolarmente o in accordo tra loro);

3. In Eurasia si sono rivelate riserve petrolifere significative e ancora poco sfruttate. Con la dissoluzione dell’URSS si è aperta la possibilità di raggiungerle e controllarle, cosa questa impossibile fino al 1991.

4. L’Afganistan, dal punto di vista geopolitico, è collocato al posto giusto.

Nel momento in cui gli Stati Uniti hanno deciso di intervenire in Afganistan, la situazione sul campo a livello euroasiatico era la seguente:

1) I Balcani (terminale del Corridoio nr.8), dopo la guerra contro la Jugoslavia nel 1999 e la "rimozione" di Milosevic nel 2000, sono in gran parte sotto controllo statunitense. Le ambizioni europee e l’influenza della Russia sull’area slava sono state ridimensionate.

2) Nella regione caucasica, Georgia e Azerbaijan (tratto intermedio del Corridoio nr.8) sono sotto controllo statunitense. La prima con il porto di Supsa sul Mar Nero, è il terminale petrolifero di un oleodotto proveniente da Baku. Questo corridoio è alternativo a quello che da Baku va in Russia, attraversa la Cecenia e sfocia sul terminale russo di Novorossik sul Mar Nero. Georgia e Azerbaijan hanno chiesto di entrare nella NATO. In attesa di definizione dello status di membri NATO, la Georgia nel 1997 ha dato vita al GUUAM (patto di assistenza militare tra Georgia, Ucraina, Uzbekistan, Azerbaijan, Moldavia) sotto la supervisione americana (è indicativo che la seconda riunione del GUUAM sia stata tenuta... a Washington). La Turchia, vantando anche le comunanze turcofone, si è incaricata di custodire l’Azerbaijan e di affiancarlo contro il nemico comune, l’Armenia, che si è ovviamente legata alla Russia e ne ospita alcune basi militari. L’Azerbaijan ha assunto un valore strategico particolare:"Un Azerbajian indipendente, collegato ai mercati occidentali da oleodotti che non passino attraverso il territorio controllato dai russi, rappresenterebbe un importante canale di accesso per le economie avanzate e consumatrici di energia alle repubbliche ricche di petrolio dell’Asia centrale" esplicita ancora una volta Brzezinski.

3) A Sud-ovest, nell’autunno del 1999, il progetto petrolifero Baku-Ceyhan (Turchia) era riuscito a vincere le resistenze delle compagnie petrolifere statunitensi impegnate in Azerbaijan (grazie alla promessa di rilevanti sgravi fiscali). Questo percorso avrebbe dovuto tagliare definitivamente fuori la Russia dalle rotte del petrolio del Mar Caspio.

Più a nord, dopo mesi di attentati e "sifonamenti" dei secessionisti islamici (vicini anch’essi a Bin Laden) all’oleodotto Baku-Novorossik ed a quello in costruzione tra Kazachistan e Novorossik, il riaccendersi della guerra in Cecenia (ottobre ’99) aveva il compito di evidenziare agli occhi degli investitori come quella rotta non "fosse più sicura";

4) Più a Est gli Stati Uniti avevano cercato di bypassare la Russia e l’Iran avviando un corridoio energetico (gas e petrolio) verso sud. Dai giacimenti del Turkmenistan e tendenzialmente del Kazachistan, il corridoio doveva attraversare l’Afganistan, il Pakistan e sfociare nel porto pakistano di Gwadar. In pratica questo sarebbe diventato il terminale orientale del Corridoio nr.8. Era la quadratura del cerchio. Le riserve di idrocarburi sarebbero state veicolate a Ovest ed a Est saltando i "rivali" Russia e Iran e sotto stretto controllo americano. Il regime dei taliban in Afganistan e quello militare in Pakistan dovevano assicurare tale quadratura del cerchio.

6. Il "Silk Road Strategy Act"

Come è stato già segnalato, dal 1993 è iniziata la grande marcia di avvicinamento degli USA al controllo dell’Eurasia. Per dare un ritmo sostenuto a questa marcia, alla fine del 1997, il Congresso USA ha discusso il "Silk Road Strategy Act" (Documento strategico per la "Via della Seta").

Il primo obiettivo del documento era quello di recidere le relazioni tra le repubbliche asiatiche della ex URSS e la Russia.

Il secondo era quello di riannodare il filo del dialogo con l’Iran approfittando di eventuali divisioni tra "riformisti" e "conservatori" come suggerito in un articolo di Foreign Affairs del maggio/giugno 1997 scritto a sei mani proprio da Brzezinski insieme a Scowcroft e Murphy e da un documento curato nel 1998 dall’attuale viceministro della Difesa, il falco Wolfowitz.

Il terzo era quello di installare basi militari permanenti negli snodi strategici della regione. A tale scopo può essere utilizzata l’estensione della NATO ai paesi dell’Est (inclusi Georgia e Azerbaijan). Ma nel versante orientale non esisteva fino ad oggi nulla di paragonibile alla NATO, ragione per cui gli Stati Uniti hanno ritenuto di dover operare direttamente sul campo e dotarsi delle strutture necessarie: "La densità dell’infrastruttura fissa e mobile degli Stati Uniti è minore che in altre regioni cruciali. Ciò rende importante assicurare agli Stati Uniti ulteriori accessi alle regione e sviluppare sistemi capaci di effettuare operazioni impegnative a grandi distanze con un minimo supporto basato sul teatro di operazioni" ammette una importante pubblicazione strategica americana [4]

Il progetto di costruzione di basi militari statunitensi in Afganistan, Uzbekistan e Pakistan, corrisponde pienamente ai disegni strategici USa in Asia Centrale. Anche qui, una volta diradato il polverone della guerra e dell’emergenza, resteranno così come è accaduto nel Golfo e nei Balcani, delle basi militari permanenti degli Stati Uniti.


[1] In realtà sarebbe più corretto parlare della "nostra immaginazione", perché è impressionante il numero di libri pubblicati negli Stati Uniti che vedevano come scenario attentati suicidi contro la Casa Bianca o le Twin Towers.

[2] Zbignew Brzezinski: "La Grande Scacchiera", p.8, Longanesi 1998.

[3] Vogliamo ricordare l’intervista al gen. Jackson di Alberto Negri del Sole 24 Ore, nel quale si affermava testualmente che i contingenti militari americano e inglese, erano nei Balcani "per rimanerci a protezione degli oleodotti strategici che attraverseranno questa regione" (Sole 24 Ore, aprile ’99).

[4] Quadriennal Defense Review, 30 settembre 2001.