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Rita Martufi
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Consulente ricercatrice socio-economica; membro del Comitato Scientifico del Centro Studi Trasformazioni Economico Sociali (CESTES) - PROTEO

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I diversi modelli del capitalismo internazionale si confrontano sulle strategie di privatizzazione

Rita Martufi

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1. Un primo approccio definitorio e quantitativo

Nel corso di quest’ultimo secolo si è avuta una notevole crescita dell’intervento pubblico nell’economia e nella produzione; il nuovo ruolo assunto dallo Stato - uno Stato imprenditore - ha caratterizzato quasi tutti i paesi industrializzati almeno fino alla fine degli anni ’70.

E’ opportuno, da subito, effettuare una distinzione tra due tipologie di aziende pubbliche: da un lato si avranno quelle con capitale sociale posseduto totalmente o come quota maggioritaria allo Stato; dall’altro c’è invece l’impresa che si caratterizza per la presenza di fattori extraeconomici e che quindi è diversa da quella privata sia per la proprietà sia per la sostanza; in quest’ultimo caso ci si riferisce alle imprese nate per assolvere problemi sociali (come, ad esempio, per mantenere il livello dell’occupazione), o per consentire il mantenimento di un giusto equilibrio in economia tra pubblico e privato.

E’ opportuno effettuare una classificazione delle varie tipologie di impresa che possono essere definite “pubbliche”; si hanno : le aziende di Stato, le aziende di proprietà dello Stato, e le aziende finanziate dallo Stato.

Le prime sono quelle che vengono sottoposte a un controllo diretto dello Stato e che hanno la propria contabilità in tutto o in gran parte inserita nel bilancio statale ; le aziende di proprietà dello Stato, invece, sono in tutto simili alle imprese private ma sono caratterizzate da una elevata partecipazione dell’operatore pubblico che riesce in tal modo a garantirsi il loro controllo. Le aziende finanziate dallo Stato infine, pur essendo a carattere pubblico, agiscono secondo un determinato grado di autonomia di gestione.

Nel 1980 (Direttiva 723/80/CEE del 25 Giugno) la Comunità Europea ha fornito una prima definizione di impresa pubblica intesa come “public undertaking”, ossia come un soggetto “su cui le pubbliche autorità possono esercitare direttamente o indirettamente un’influenza dominante in virtù della loro proprietà su di esso, della loro partecipazione finanziaria, oppure delle regole che lo governano, definendo per autorità pubblica, sia le autorità statali e regionali, che quelle locali”. [1]

Il diritto comunitario (Trattato Istitutivo della CEE) analizza da vicino il problema delle privatizzazioni soprattutto in due articoli: nell’art. 90, comma1 [2], si sancisce il principio di parità di trattamento tra imprese pubbliche e private e l’art. 222 decreta il principio dell’indifferenza comunitaria nei confronti dei meri profili soggettivi della proprietà. In sostanza comunque appare chiaro che il diritto comunitario dà una rilevanza molto minima al profilo soggettivo dell’impresa in quanto le norme enunciate non “consentono di ritenere che l’affidamento privato di azienda ed attività sia maggiormente conforme alle finalità del Trattato di quanto lo sia l’esercizio effettuato da parte dello Stato, di enti pubblici ovvero di imprese da esse detenute”. [3]

L’obiettivo delle aziende pubbliche, comunque, non va ricercato nella massimizzazione del profitto ma in una diversa serie di traguardi che devono essere raggiunti in nome dell’interesse della collettività. E’ chiaro infatti che pur essendo fondamentale per questo tipo di aziende raggiungere dei risultati di gestione positivi, d’altro canto è necessario anche tenere in seria considerazione tutti i fattori collegati all’economia nazionale. In questo senso si può dire che un’impresa pubblica ha tra i suoi obiettivi principali il raggiungimento dell’efficienza allocativa, redistributiva e sociale che permettano di rendere massima la soddisfazione dei consumatori, di assicurare la maggiore trasparenza possibile e di correggere i fallimenti del mercato.

A questo proposito va rilevato che vi sono degli specifici settori dell’economia che da sempre sono soggetti a controllo da parte dello Stato in quanto forniscono dei servizi strategici ed essenziali ai cittadini e alle altre imprese. Ci si riferisce alle imprese operanti nel campo dell’energia, dell’acqua, telecomunicazioni ecc., senza poi considerare i consumi collettivi, pubblici per eccellenza, come quelli dell’assistenza, sanità, difesa, previdenza ecc., cioè la “produzione di welfare”. In questi settori l’intervento dello Stato è garanzia per tutti di un accesso paritetico alla qualità dei beni e servizi prodotti, che potrebbero in caso contrario essere distribuiti in maniera non uniforme ed equa, sia in termini economici sia in un senso sociale generale. A conferma di quanto detto basti ricordare, ad esempio, quanto sia stato importante in Italia e soprattutto nel Mezzogiorno l’intervento dello Stato nella delicata fase della ricostruzione post-bellica. La presenza delle imprese pubbliche nell’economia ha caratterizzato anche gli altri Paesi europei, in particolare quelli particolarmente colpiti dai danni del secondo conflitto mondiale, in quanto l’intervento statale è stato in grado di coprire l’offerta insufficiente di capitale delle imprese private.

2. Alcuni dati caratterizzanti le economie miste

Se si prendono in considerazione alcuni aggregati economici relativi alle aziende pubbliche rapportati al dato del paese considerato relativamente allo stesso aggregato si ottengono degli indicatori che consentono di comprendere qual’è l’incidenza dell’economia pubblica nell’economia complessiva di un paese (ad esempio peso della produzione delle aziende pubbliche, degli investimenti o degli occupati pubblici rispetto al totale della forza lavoro, ecc.). Va rilevato però che questi indici risultano a volte essere di difficile costruzione, così come spesso si determina una quasi impossibilità ad effettuare efficaci confronti tra i vari paesi a causa di modalità dio rilevazione diverse e di dati non omogenei.

Analizzando alcuni dati relativi agli anni ’70 è facile dedurre dall’analisi della Tab. 1 che la media di incidenza degli investimenti effettuati dalle aziende pubbliche rispetto al totale nazionale (messo a 100) della formazione del capitale era del 13,4% con riguardo a tutti i paesi ad economia mista, mentre il peso della produzione delle imprese pubbliche era mediamente del 9,4% della produzione nazionale.

Va subito rilevato che mentre si ha una sostanziale stabilità, nei vari paesi e per il periodo considerato, relativamente all’incidenza della “produzione pubblica”, diverso è il discorso in merito al contributo delle aziende pubbliche alla formazione del capitale, cioè alla parte del reddito nazionale destinato agli investimenti; infatti la percentuale pubblica è in significativo calo in tutti i paesi considerati, ed in Italia in particolare passa dal 19,4% del 1970-73 al 15,2% del 1979-80 (vedi anche Graf.1).

In specifico se si considera anche l’incidenza relativa alla forza-lavoro si nota che in Austria, ad esempio (vedi Tab.2), negli anni che vanno dal 1976 al 1982, il rapporto fra lavoratori del settore pubblico e totale occupati è diminuito, (vedi Graf.2) mentre si è avuto un aumento di un punto percentuale del contributo pubblico al valore aggiunto complessivo; nella Repubblica Federale Tedesca invece l’occupazione nel settore pubblico rimane stabile in questi anni (vedi Graf.3 e Tab.3). In Belgio si può rilevare facilmente dai dati della Tab.4 e Graf.4 che la forza lavoro occupata nelle aziende pubbliche è cresciuta tra il 1980 e il 1982 sia in termini assoluti (si passa da 216.000 a 219.000 occupati) sia in termini percentuali (dal 5,7% del 1980 si arriva al 6% del 1982); ciò soprattutto a causa della diminuzione del totale degli occupati. [4]

Se si osservano i dati relativi alla Francia ( Tab.5 e Graf.5) si nota un aumento accentuato del valore percentuale degli occupati nel settore pubblico negli anni che vanno dal 1963 al 1982, in particolare negli ultimi anni del periodo considerato; questo incremento è dovuto soprattutto alle politiche di nazionalizzazione che hanno caratterizzato l’economia della Francia negli anni presi a riferimento.

Per quanto concerne i dati riguardanti l’Italia (Tab.6 e Graf.6) va evidenziato il fatto che non possono essere fatti utili confronti con quelli omogenei degli altri paesi poiché si sono rilevate solo le aziende con più di 20 dipendenti; in questo modo restano fuori le cosiddette piccole imprese che rappresentano nel nostro Paese una quota e un peso economico molto rilevante.

Dall’analisi della Tab.7 e Graf.7 va rilevato comunque che, pur essendo molto difficile effettuare dei confronti efficaci tra i vari paesi a causa della disomogeneità dei dati, in tutte le situazioni esaminate risalta un dato univoco: la presenza elevata delle imprese pubbliche e le ricadute positive in termini macroeconomici nei sistemi produttivi e il peso fondamentale nell’economia generale di questi paesi. Tale situazione si è mantenuta fino all’avvio del cosiddetto “intenso processo a tappe forzate” di privatizzazione che ha interessato, anche se in formee con tempi diversi, i maggiori paesi europei dal 1982 ad oggi (Cfr. Graf.8).

 


[1] Parris H. et al.: “L’impresa pubblica nell’Europa occidentale”, Franco Angeli, Milano, 1988, pag. 14. In sostanza comunque l’impresa pubblica viene considerata nel Trattato dell’U.E. “.... in due distinte accezioni. Anzitutto è impresa pubblica quella in cui l’influenza dominante dei pubblici poteri si esercita attraverso diritti e facoltà inerenti alla proprietà od alla partecipazione finanziaria indipendentemente dall’attività svolta (si pensi alla miriade di società in partecipazione statale). In secondo luogo va considerata pubblica l’impresa esercente una attività ad inerenza pubblicistica per la quale l’ordinamento interno prevede la possibilità di deroghe al regime ordinario delle libertà di iniziativa sino al limite della sua completa soppressione, con il contestuale affidamento riservato (nel nostro ordinamento sicuramente trasporti, telecomunicazioni, energia, acquedotti, attività portuali, ecc.) ai pubblici poteri, i quali possono esercitarla direttamente (con amministrazioni a personalità indistinta) o a propria volta affidarne lo svolgimento (in esclusiva anche per singoli aspetti) ad enti costituiti appositamente, società in proprietà comune o di proprietà privata ( nel caso dello svolgimento delegato dell’attività in riserva i diritti speciali od esclusivi saranno per lo più conferiti utilizzando gli schemi organizzatori della concessione).”, in Amorelli G., “Le privatizzazioni nella prospettiva del Trattato istitutivo della Comunità Economica Europea”, CEDAM, Padova, 1992, p.28-29.

[2] “Gli Stati membri non emanano né mantengono, nei confronti delle imprese pubbliche e delle imprese cui riconoscono diritti speciali o esclusivi, alcuna misura contraria alle norme del presente Trattato.....”; le imprese di cui si parla nella norma sono quindi assoggettate alle regole della concorrenza.

[3] Cfr. Amorelli G.., “Le privatizzazioni...”, op. cit., pag.242-243.

[4] Va ricordato che questi dati si riferiscono solo alle aziende pubbliche intese in senso stretto, ossia le aziende autonome (Poste, Telefoni, ecc.) ed aziende municipalizzate (gas, trasporti, elettricità, ecc.).