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Tendenze della competizione globale

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Jaime Cesar Coelho
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Professore del Dipartimento di Economia e Amministrazione dell’Università Federale del MS. Insegnante in Sociologia Politica (UFSC) Dottorando dell’area di Stato e Politiche Pubbliche (IFCH-Unicamp)

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Economia, potere di influenza e il contesto latino-americano

Jaime Cesar Coelho

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La relazione esistente tra questo movimento più generale di capitale e il processo di trasformazioni nello spazio concreto della regione, può essere verificata attraverso le politiche pubbliche che iniziano ad essere impiegate a partire dalla seconda metà degli anni ‘80. È importante evidenziare che questo processo non avviene in forma automatica. Tutto il processo di liberalizzazione implica un insieme di fattori che possano legittimarlo. Nel caso latino americano la crisi del modello di sostituzione delle importazioni e la "impossibilità" di trovare una via di scampo è ciò che ha fatto spazio affinché queste politiche di liberalizzazione e privatizzazione prendono forza.

La crisi regionale è strettamente vincolata all’interruzione dei flussi esteri e al prosciugamento delle ricette di cambiamento. I flussi liquidi totali di capitale verso l’America Latina in un decennio si riducono drasticamente. La ripresa dei crediti esteri comincia ad essere vista come condizione primordiale per la ripresa della crescita, ma la questione è qualcosa di più che una semplice ripresa della fiducia degli investitori esteri. Ripetuto fino all’esaurimento, il discorso delle virtù del mercato incontra un luogo comune nei mezzi di comunicazione e nel linguaggio politico. La cosiddetta " ripresa di fiducia" della comunità finanziaria internazionale si inserisce in una fase dove le finanze internazionali sono in vera espansione, e portano con sé una visione del mondo molto diversa da quella del capitalismo organizzato o del fordismo e la sua regolamentazione caratteristica, che ha dominato buona parte dell’ideologia dei governi occidentali nei cosiddetti anni d’oro del capitalismo (Hobsbawn, 1996). Le aperture e la solidità dei conti di commercio e di capitale accompagnate dal processo di stabilità monetaria sono le parole d’ordine per la ripresa della fiducia degli investitori esteri.

Il processo di deregolamentazione dei conti di capitale trovavano la loro legittimazione nei diversi argomenti legati alle virtù del mercato.

Le idee fortemente liberalizzanti andarono prendendo legittimità in tutto il continente. Ad essi si associarono i piani di stabilizzazione, che in breve sarebbero andati a promuovere, contemporaneamente all’apertura commerciale, un’invasione di prodotti esteri. Le conseguenze di queste misure verranno anche evidenziate dagli indicatori inflazionistici e dei flussi di capitale.

Gli indici dei prezzi al consumo cadranno sensibilmente in Argentina a partire dal 1991 e in Messico precedentemente. Per l’America Latina gli indici inizieranno a cadere a partire dal 1994, ma la tendenza al ribasso si poteva verificare precedentemente se non fosse stato per il ritardo brasiliano nell’adozione del piano di stabilizzazione.

L’apertura dei conti di capitale otterrà ripercussioni spettacolari sui flussi finanziari della regione. La percentuale dei flussi liquidi di capitale è salita repentinamente da 1,3% del PIL tra il 1983-1990 al 5,2% tra il 1992-1994. Questa affluenza corrisponde al movimento più generale dei finanziamenti su scala mondiale. La natura di questi capitali è imputabile ad un processo più ampio speculativo, nella misura in cui buona parte sarà di capitali a breve termine in cerca di guadagni finanziari. Anche la natura dell’indebitamento, che crescerà a partire dal riavvicinamento della regione al mercato finanziario internazionale, porterà novità. La grande novità sarà la crescita dell’emissione dei titoli-bonus internazionali, sotto forma di capacità di attirare il risparmio estero. Messico, Argentina e Brasile saranno i leader regionali dell’emissione dei bonus. Bisogna mettere in risalto che anche gli investimenti esteri diretti torneranno fortemente verso la regione, in buona misura per i programmi di trasferimento patrimoniale (concessioni e privatizzazioni) che saranno messi in opera, come anche per l’opportunità di acquisto e fusione che verranno rese possibili. Alcuni dati sull’argomento possono essere riassunti nella seguente forma.

Sia la stabilizzazione di prezzi che la ripresa dei flussi di capitali verso la regione permetteranno la ripresa della crescita. Il PIL regionale arriverà a circa 3,5% tra 1991 e il 1997 contro l’1% tra il 1981 e il 1990. La ripresa della crescita e la caduta degli indici dei prezzi daranno respiro al discorso liberista in contrapposizione a quello dello sviluppo reale, confuso dalle istituzioni multilaterali come modello popolare ed arcaico. Gli argomenti critici, fuori del campo liberale, sono tacciati come oltrepassati e crollati. In un certo modo l’antico nemico rosso dell’epoca della guerra fredda è sostituito dal pericolo popolare (FIORI, op. cit.). In questo senso le istituzioni devono essere riformate, lo Stato deve assumere un nuovo ruolo, infine, un nuovo ambiente deve essere creato per promuovere la competizione e la fine dei privilegi.

Malgrado le virtù del nuovo modello, una serie di problemi rimane aperto ed altri si vanno ad accumulare. Le prime manifestazioni degli effetti collaterali dell’apertura commerciale e del cambiamento possono essere visualizzati nella bilancia commerciale dei principali paesi della regione. Il volume delle importazioni cresce ad un ritmo maggiore di quello delle esportazioni provocando dei deficit ricorrenti durante la prima metà del decennio degli anni ’90. Il tasso di variazione annuale delle importazioni tra il 1990-1997 sarà di 14,2% mentre quello delle esportazioni sarà di 9,1%. È importante evidenziare che una parte considerevole del deficit regionale sarà associato ai successivi surplus degli USA con l’America Latina.

Tutto ciò influirà notevolmente sul tradizionale deficit sul conto corrente regionale. La natura speculativa dei capitali che affluiscono alla regione rende vulnerabili i conti esteri. Qualunque percezione di rischio su un paese può produrre un’immediata fuga di capitali e provocare squilibri insuperabili nei conti interni ed esteri. La prima manifestazione di questo tipo di crisi sarebbe avvenuta nel 1994 in Messico e gli effetti per la regione potrebbero essere stati sentiti nel 1995, quando il tasso di crescita cadde dal 5,4% nel 1994 a -0,2%. Solamente il Messico avrebbe abbassato il suo PIL a -6,6% nel 1995. In funzione della interdipendenza crescente dei mercati di cambio la rapidità di trasmissione della crisi estera tende a crescere violentemente. Cosicché la crisi Asiatica (1997) e Russa (1998) si faranno sentire subito dopo nella regione [1].

Queste crisi segnalano l’esaurimento del modello nella misura in cui evidenziano i suoi punti vulnerabili. Il deficit corrente della regione aumenta considerevolmente, per continuare a finanziare il “buco estero”, i tassi di interesse interni tendevano ad aumentare e ciò finisce per produrre l’aggravamento dei conti interni. Si crea così un circolo vizioso di duplice indebitamento. Alla radice del problema sta la bassa relazione tra il finanziamento estero e il tasso di investimento. Secondo MEDEIROS (Idem) buona parte dei flussi di capitale che sarebbero transitati per la regione furono diretti a finanziare i consumi, e, quelli diretti agli investimenti vennero concentrati in settori con bassa o nessuna capacità generatrice. In questo senso buona parte dei flussi di capitale furono transitori.

“Se i grandi flussi di capitale sono temporanei, come pare accadere quasi sempre in gran parte dell’America Latina, i movimenti menzionati delle variabili-chiave darebbero una visione distorta, giacché creerebbero squilibri economici e la probabilità di aggiustamenti futuri perturbatori con costi molto alti”. (DEVLIN; FFRENCH-DAVIS e GRIFFITH-JONES, Idem: pp. 279-80)

5. L’aggravamento della crisi e la crisi del modello

L’avventura liberale nella storia economica latino americana non è nuova, come provano le esperienze sotto la dittatura cilena, argentina e uruguaiana. Sfortunatamente le amare lezioni non sono servite ad evitare la rinascita dell’ortodossia.

Il risultato di questo modello è chiaramente espresso dalla recente crisi argentina, uruguayana, brasiliana e dalla sottomissione crescente delle economie latino americane al potere del dollaro. Mettendo in conto che le pressioni americane per la concretizzazione dell’ALCA sono sempre più intense, il continente corre il rischio di diventare il vero cortile degli USA. Le crisi dal 2000 fino ad oggi sono state frequenti, ciò rende sospetto tutto il discorso dominante sui guadagni della “stabilità” del modello. Come parlare di stabilità in un paese come l’Argentina, dove la stessa stabilità istituzionale è in prova. Senza regole la regione vive crisi economiche, associate all’aggravamento delle condizioni di vita dei cittadini e persino delle crisi istituzionali. Le missioni degli istituti multilaterali, in special modo quelle della FMI, seguono il modello assurdo di garantire i flussi dei pagamenti, costi quel che costi.

Le giovani democrazie latino americane ancora non sono state in grado di creare coalizioni di potere che rompano con questo ciclo di servitù delle loro elite. Rimaniamo sotto il segno dei nostri “buoni” economisti, addestrati nelle università anglosassoni e che capiscono solo un unico discorso: il mercato è l’unico giustiziere. Il problema di questi “bravi ragazzi” è che il modello che dovrebbero inventare trascinerebbe paesi interi verso il ristagno, con tutte le conseguenze sociali che ciò andrebbe ad arrecare.

I tassi di crescita del PIL durante il decennio sono stati ridicoli. Il PIL pro-capite è cresciuto tra il 1992-2001 solo dell’1,2%, meno del tasso di crescita della popolazione che è stato dell’1,6%. La disoccupazione urbana è passata da 5,5% nel 1990 all’8,4% nel 2001. E ciò che è più grave, ancora una volta le restrizioni esterne creano uno scenario oscuro per i prossimi anni. Il debito estero liquido è più raddoppiato tra il 1990 e il 2001, ossia una crescita approssimativa del 65%. Ciò deve essere visto dentro il contesto attuale di mancanza di liquidità estera, e questo riporta ancora una volta la regione verso la tutela delle istituzioni finanziarie multilaterali.

La crisi economica è una costante negli ultimi 20 anni, fatta eccezione per dei paesi che hanno ottenuto un miglior disimpegno, per fattori che non è compito nostro discutere in questo testo. Dobbiamo tenere in conto che non è una crisi locale, ma è il risultato di un sistema di Stati che sono ossessionati della politica inflazionistica e votata a garantire gli interessi dei detentori della ricchezza liquida. Nel contesto della egemonia americana, i dati rivelano che nel controllare la moneta in corso universale (il dollaro), il governo americano ha la possibilità di finanziare il benessere dei suoi cittadini alle spese di una buona parte del mondo che si vede costretta ad andare avanti anche durante i momenti più duri del ciclo.

6. Conclusioni

Il presente lavoro ha cercato di mettere in risalto le trasformazioni che stanno attraversando l’economia latino americana in un contesto più ampio delle trasformazioni del regime di accumulazione mondiale.

In questo aspetto si è data enfasi alla strategia della politica estera degli Stati Uniti come fattore determinante nel cambiamento di rotta osservato nella regione. Le alterazioni della politica monetaria delle potenze egemoniche hanno prodotto un forte effetto recessivo in America Latina, aggravando il problema della pressione esterna regionale. È così che il decennio degli anni ’80 è stato contrassegnato dal basso tasso di crescita regionale. La nascita di importanti movimenti, associati al problema dello “strozzamento esterno”, ha prodotto effetti devastanti sui conti pubblici aggravando il problema della legittimità delle istituzioni statali.

Il nuovo orientamento pro-mercato e sulla divisa esterna permettono la ripresa dei finanziamenti esterni alla fine degli anni ’80. È fondamentale tenere in conto che la ripresa dei flussi di capitale verso la regione si sono avuti in un quadro di ampia espansione dei mercati finanziari su scala globale. C’è pertanto una forte relazione tra il movimento generale di capitali e l’apertura dei conti di capitale nella regione.

L’onda liberoscambista, che ottiene nuovo impulso sul piano internazionale, può anche essere associata all’interesse dei paesi centrali nel garantirsi spazi in una fase di intensi riassestamenti, riaggiustamenti e di mutamenti nella strategia competitiva dei grandi oligopoli.

Ci sono quindi una serie di relazioni che possono essere stabilite a partire dalla contestualizzazione di aggiustamenti avvenuti in America Latina.

Malgrado i progressi ottenuti sia nel combattere l’inflazione, sia nella ripresa della crescita quantitativa, possono anche osservarsi gravi punti vulnerabili nella politica adottata nella regione. L’aggravamento delle condizioni di finanziamento estero relazionate alle successive crisi finanziarie internazionali mette in scacco il mantenimento della crescita.

Gli effetti politici e sociali delle crisi avvenute a partire dall’aggravamento dei problemi esteri si fanno già sentire attraverso la crescita dei tassi di disoccupazione, principalmente nelle regioni metropolitane, e dalla decelerazione dei tassi di crescita del prodotto. Tutto ciò in un contesto dove è chiaro che un ciclo di finanziamento estero si è esaurito.

Per ultimo, ma non meno importante, bisogna mettere in risalto che una delle maggiori conquiste regionali durante gli ultimi 15 anni è stato l’avvento della democrazia in quasi tutti i paesi della regione. La ripresa dell’istituzionalità democratica è associata all’esaurimento del ciclo dell’autoritarismo che trovava appoggio nelle potenze egemoniche nel periodo della guerra fredda. Resta ancora un lungo cammino verso il consolidamento della democrazia nella regione, se pensiamo, che questo regime implica un patto sociale che riscatti l’enorme debito, a partire dai settori esclusi ed emarginati del continente. Resta da vedere se questo debito può essere estinto alla base . Di sicuro la soluzione non potrà aversi a partire dall’aggravamento della vulnerabilità esterna, che storicamente riguarda la regione, e neanche con l’adozione di un modello che produca successivamente più disoccupati.

É in questo senso che concludiamo mettendo in dubbio l’eccessivo grado di adesione alla cosiddetta “globalizzazione” e agli interessi della politica estera americana che può essersi verificato nella regione. Dubitiamo anche che a medio termine il modello in corso sia compatibile con una istituzione democratica. La stabilità strutturale associata alla liberalizzazione del movimento di capitali è già stata sfruttata nella storia recente del capitalismo. Il modello che si sostiene nelle aspettative della comunità finanziaria internazionale ha poco o quasi niente da offrire in termini di stabilità sociale e pertanto è in ultima analisi incompatibile con lo sviluppo.

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FONTI STATISTICHE

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[1] Dati del CEPAL ottenuti a partire da Devlin; Ffrench-Davis e Griffith-Jones, 1997: p.265.