Argentina: 18 mesi di lotte popolari - un bilancio
James Petras
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Nel 2003, con le elezioni presidenziali alle porte, la
stragrande maggioranza dei lavoratori votò per Nestor Kichner, una alternativa
moderata a Menem, uomo di destra - e i sindacalisti di sinistra non poterono
esercitare alcuna influenza sul comportamento elettorale dei loro sostenitori:
la campagna astensionista fallì e i candidati dei partiti marxisti ottennero
meno del 2%. I sindacalisti marxisti criticarono i partiti di sinistra -
compreso i loro partiti - per aver fatto politica con “un secchio sopra le
loro teste”, cioè i loro slogan rimbombavano nelle loro orecchie e loro
scambiavano l’eco delle loro voci con quello che pensava e diceva la grande
maggioranza dei lavoratori. I leader sindacali di sinistra a Rio Turbo,
differentemente dai marxisti a Buenos Aires, non considerarono il sollevamento
popolare del dicembre del 2001 come una ‘situazione pre-rivoluzionaria’
perché, essi sostennero, “non vi era alcuna struttura rivoluzionaria, allora
come adesso”. I leader dei minatori videro il declino del movimento di massa
dalla fine del luglio del 2001 ad ora (giugno del 2003) e individuarono l’intervento
statale nelle miniere nel giugno 2002, che rimpiazzò l’assemblea dei
lavoratori con ufficiali nominati, come il punto cruciale.
7. Il presidente Kirchner: prospettive per il 2003
L’elezione di Nestor Kirchner nel maggio del 2003 segna una
nuova linea di divisione nella politica argentina, che avrà probabilmente un
impatto significativo sulla classe lavoratrice e sulle lotte popolari nel futuro
immediato. I commenti inaugurali di Kirchner, le nomine governative, la purga
militare, le promesse di far pulizia dei giudici corrotti di destra della Corte
Suprema, e i suoi incontri con gruppi dei diritti umani sono di buon auspicio
per il futuro del paese. Le sue nomine riflettono un approccio moderato e
pragmatico che mette assieme i suoi sostenitori personali di Santa Cruz, il suo
Stato di origine, un social liberale eterodosso ministro dell’economia, e
molti sostenitori dell’uscente governo Duhalte. La sua opposizione alle
domande del FMI di un pagamento immediato del debito e la promessa di posporre o
di far dipendere il pagamento dalla ripresa economica del paese, sono risposte
razionali ad un paese in cui il 60% della popolazione è al di sotto della linea
della povertà e circa il 20% è disoccupata. Il suo ‘pensionamento’ di 50
generali e ammiragli di destra e la loro sostituzione con ufficiali di
guarnigione a Santa Cruz, la sua provincia di origine, è una misura di
sicurezza per indebolire la capacità di organizzare un colpo di stato da parte
degli Stati Uniti e dei loro alleati tra l’elite argentina. Kirchner ha dato
priorità al finanziamento di un progetto di lavori pubblici per 3 miliardi di
dollari per ridurre il tasso di disoccupazione.
Queste sono misure progressive che piacciono alla stragrande
maggioranza degli argentini. Tuttavia, vi sono molti elementi contradditori nel
programma di Kirchner. Il primo e più importante è il problema del potere
politico: la sua strategia economica di un capitalismo regolato e diretto dallo
Stato dipende dalla cooperazione, dagli investimenti, e dalla produzione delle
banche, degli esportatori di prodotti agricoli e dalle imprese sotto controllo
straniero - nessuna delle quali ha indicato una grande soddisfazione per nessuna
delle misure menzionate qui sopra. Se, come sembra probabile, esse continueranno
le loro attività speculative, se continueranno a spedire i loro guadagni all’estero,
e se continueranno a non investire, Kirchner dovrà scegliere tra aumentare il
ruolo dello Stato e ri-nazionalizzare ditte lucrative o capitolare e rinnegare i
suoi impegni.
La seconda contraddizione è tra la sua promessa di
continuare con una stretta politica fiscale e ricompensare le ditte private che
soffrirono una perdita a causa della svalutazione e la necessità di aumentare
la spesa statale per finanziare progetti capaci di generare occupazione.
Kirchner propone di finanziare nuovi investimenti attraverso una più stretta
riscossione delle tasse e di punire gli evasori - ma, se la storia è un
esempio, avrà grandi difficoltà nell’implementare queste misure. Per di
più, la maggioranza della classe dominante argentina considera la punizione
degli evasori fiscali un ‘atto ostile’ e potrebbe fare di una politica
indulgente verso gli evasori una condizione per futuri investimenti.
Quarto, i peronisti di destra, compresi i sostenitori di
Menem e del regime di Bush, e i banchieri sono una forza significativa nel
Congresso, nella Corte Suprema a tra i governatori delle varie province. Essi
devono essere rieletti quest’anno. Se Kirchner spera di poter perseguire la
sua politica, egli deve mobilitare e organizzare le classi popolari - il che
richiede una rottura con il partito peronista - e questo è qualcosa che egli
probabilmente non farà. Conseguentemente, egli dovrà usare i decreti
presidenziali o fare compromessi che daranno la maggior parte delle sue riforme
alla struttura di potere istituzionale.
Al momento della sua inaugurazione, egli aveva il sostegno
effettivo di tre confederazioni sindacali, della grande massa della classe media
impoverita, di importanti settori degli impiegati pubblici e dei loro sindacati,
così come della maggioranza delle imprese medie e piccole. È posto sotto
pressione dal FMI e dal capitale finanziario locale e internazionale per
permettere ai creditori di riscuotere i mutui di decine di migliaia di
proprietà della bassa classe media argentina, che è la classe che cerca in lui
le nuove iniziative per muovere il paese verso un maggior sviluppo nazionale.
L’avvento di Kerchner è una importante sfida per i nuovi
movimenti dei lavoratori disoccupati e dei sindacalisti militanti. La maggior
parte ha accettato di sospendere scontri militanti per 3 mesi per dare tempo al
regime di definire e implementare le sue politiche sociali e economiche. Dato il
vasto sostegno di cui gode Kirchner, questo è un approccio realistico e
pratico. Ma la possibilità rimane di riprendere l’azione diretta se Kirchner
fallisce.
8. Conclusioni
La politica argentina è ritornata al punto di partenza, da
un sollevamento popolare che ha forzato le dimissioni di un presidente e di
molti potenziali presidenti al ritorno di un presidente quasi-eletto (Menem si
è ritirato prima dello spareggio). Gli argentini sono passati dalle lotte di
strada ai seggi elettorali, dal disprezzo per i politici tradizionali all’aspettativa
che il nuovo presidente eletto incomincerà ad invertire il declino dello
standard di vita e a riattivare l’economia. Il punto di svolta del ciclo non
fu un qualche ‘movimento del pendolo’ ma si basò sulla inabilità della
sinistra, dei marxisti, dei socialisti, degli anarchismi, degli ‘orizzontalisti’,
e di molti altri di organizzare e incanalare la generalizzata rabbiosa
scontentezza che aveva circolato per il paese per sei mesi, prendendo l’occasione
offerta dal collasso del sistema finanziario e dall’impoverimento di massa.
Se mai le ‘circostanze oggettive’ avevano favorito una
trasformazione radicale, il periodo buono sarebbe stato tra il dicembre 2001 e
il luglio del 2002. I movimenti di massa per le strade, una classe media
proletarizzata nei suoi standard di vita anche se non nel suo modo di vedere, la
classe dominante molto discreditata ma mai dislocata o sconfitta. Un movimento
di lavoratori disoccupati per occupare le fabbriche abbandonate - 160
occupazioni tra le 1.500 ditte chiuse nel 2001-2002. Al di là degli sbagli
tattici, molti problemi teorici affiorarono. Una ribellione popolare di massa
non è una rivoluzione. La conclusione di molti anarchici e gente di sinistra
che ci si trovava in presenza di una ‘situazione pre-rivoluzionaria’
(dicembre 2001- gennaio 2002) e che la pratica di agire come se il tendere verso
“questioni riformiste” e la formazione di coalizioni con sindacati
progressisti non fosse più necessaria ha condotto all’isolamento dell’avanguardia
del movimento e alla perdita di contatto con la grande maggioranza dei
lavoratori disoccupati e della classe media malcontenta. Il secondo punto
teorico è che nessuna organizzazione aveva il sostegno per assumere il ruolo di
leadership (anche se ciascuna fingeva di essere auto-sufficiente) e per definire
un progetto politico per prendere il potere dello Stato nel futuro. Nell’assenza
di una leadership unificata e coesiva, intellettuali dilettanti e leader locali
divisero il movimento nel nome di un feticismo autonomista e di un vanaglorioso
avanguardismo - tutti si sono messi ‘il secchiello sulla testa’ e cedettero
nei loro slogan ‘spontaneisti’ o rivoluzionari che certamente non
risuonarono nelle masse.
Il terzo punto è che i movimenti sociali, anche quelli (o
specialmente quelli) che non hanno una vocazione politica per il potere e
rifiutano la lotta politica, finiscono per diventare gruppi di pressione
all’interno di un sistema politico dominato dai politici e dai partiti
tradizionali. Lo slogan anti-politico “che se ne vadano tutti” intimidì
promettenti candidati della sinistra e in ultima istanza condusse al dominio
totale delle politiche elettorali da parte dei tradizionali partiti della
sinistra.
Il punto finale e cruciale è che quando la massa della
popolazione si ribellò rivoltando la schiena ai partiti tradizionali essa non
era pronta per una insurrezione o organizzata per un tipo di politica di stile
‘barricata’: essa cercava una formazione politica unificata e credibile
capace di offrire all’elettorato una uscita dalla crisi. Mentre è possibile
che una minoranza degli attivisti credesse che era giunta l’ora per la
conquisa del potere, essi nella realtà erano frammentati, divisi, e non avevano
una esperienza di leadership capace di organizzare un serio tentativo per la
presa del potere - perfino una leadership minoritaria senza i mezzi militari
necessari per tale conquista. Chiaramente, le illusioni ‘insurrezionali’
scomparsero dopo gli inebrianti giorni del dicembre 2001 e del gennaio 2002. Il
compito di organizzare i 3 o 4 milioni di disoccupati era parte del programma; i
lavoratori occupati del settore privato erano ancora controllati dai padroni
sindacali. Queste sfide non furono mai affrontate. Le centinaia di attivisti
radicalizzati non divennero mai milioni. Tuttavia vi era un modo per organizzare
una alternativa elettorale unificata di massa per incominciare il processo di
cambiamento dato che la classe dominante era divisa in cinque fazioni
concorrenti. Anche questo non fu capito dagli anarchici che rifiutavano le
elezioni e dai leader dei movimenti che rifiutavano la politica come se fosse
corrotta per natura e dalle sette marxiste ciascuna delle quali presentò i suoi
guru per consolidare il loro 2% dei voti. Un’occasione persa per una
trasformazione però non è tutto. Come si vede dai nostri studi della Zanon,
dei minatori del Rio Turbo e dei giovani lavoratori della telefonia, furono
raggiunte vittorie sostanziali. Zanon dimostrò che le fabbriche auto-gestite
possono farcela; i lavoratori temporanei possono cambiare il loro contratto di
lavoro; le assemblee popolari possono cooperare con sindacalisti e gruppi di
disoccupati. Il sollevamento di dicembre è un punto di riferimento per
milioni di argentini. I giorni eroici della solidarietà di massa e i
cambiamenti di regime sono un ricordo di quanto il potere popolare può fare e
farà - anche se è in larga parte spontaneo. Un avvertimento: se il presidente
Kirchner fallisce, il ciclo potrebbe rivolgersi di nuovo verso le politiche di
massa, con la speranza di esperienze positive, ma anche negative, per guidare i
lavoratori attivisti e militanti.