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Continente rebelde

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Francisco Domínguez
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Head of Latin American Studies; Professore alla Middlesex University, London

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L’elezione di Lula in Brasile: un’eccezione o una tendenza atinoamericana?

Francisco Domínguez

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3. Tendenze politiche in America Latina

Dopo i tumulti del 1989 a Caracas, in Venezuela, la pressione di massa contro un regime che cominciava a disintegrarsi molto rapidamente trovava espressione politica all’interno delle forze armate del Movimento Revolucionario Bolivariano 200. Il MRB-200 era guidato da un giovane ufficiale, Hugo Chavez, coinvolto nel colpo di stato del 1992 e per il quale era stato anche imprigionato, (“por ahora”). Questo divenne il candidato scelto dalla massa popolare alle presidenziali e nel 1998, con un successo inaspettato, vinse diventando il presidente e sottoponendo il paese ad un processo di mutamento politico che lo cambiò completamente. Il successo di Chavez fu tale da dover affrontare la massiccia opposizione orchestrata degli Stati Uniti (come in Cile prima del rovesciamento di Allende nel 1973), in particolare con scioperi generali guidati dalla classe media a Caracas e con un colpo di stato nell’Aprile del 2002. L’attuale amministrazione Bush ebbe un ruolo centrale nell’ultimo colpo di Stato.

Ciò che ha scatenato un’opposizione così feroce è stato il radicale e anti-neoliberale programma di riforme strutturali intrapreso dal governo di Chavez. Questo consiste di una nuova costituzione Bolivariana che rende impossibile la privatizzazione dell’industria petrolifera e dà allo Stato un ruolo centrale in questioni economiche, come la designazione di un nuovo sistema giudiziario, la rimozione del vecchio parlamento e l’elezione dell’Assemblea Nazionale. La nuova costituzione garantisce i diritti culturali delle popolazioni indigene, dà alle donne il diritto all’aborto per ragioni pratiche, garantisce un certo numero di diritti sociali alla popolazione (come l’educazione, l’impiego ecc.) e impegna il governo a farsi carico della riforma agraria. Nonostante le enormi disparità, Chavez è stato in grado di reagire ai vari tentativi di rendere il paese ingovernabile e di far naufragare l’economia nazionale. Ha assorbito il colpo di Stato incoraggiato dagli Stati Uniti e l’ondata di scioperi generali. Non c’è dubbio che la Sinistra latinoamericana si identifichi nella rivoluzione Bolivariana di Chavez e trovi in essa una fonte di ispirazione e di forza. La maggiore debolezza di Chavez è la mancanza di un partito che trasformi le necessità represse di una vasta maggioranza di persone in Venezuela, in una forza politica che dia impulso alla rivoluzione Bolivariana. Tuttavia il fallimento del colpo di Stato del 11 aprile 2002 caldeggiato dagli Stati Uniti (il direttore della CIA aveva detto al Senate Committe on Intelligence due mesi prima che se Chavez non avesse cambiato direzione non avrebbe ultimato il suo mandato [1]) e gli scioperi generali che seguirono avevano rafforzato politicamente Chavez e lo avevano preparato alla reazione. Si deve tenere presente che il presidente rimasto brevemente in carica durante il colpo di stato, Pedro Carmona Estanga, aveva immediatamente sciolto il parlamento, sospeso la Corte Suprema e ripudiato la costituzione. La reazione rapida dei poveri a Caracas e del resto del paese e degli ufficiali rimasti leali a Chavez chiamarono a raccolta una divisione dopo l’altra e “gli abitanti dei ranchitos sulla collina sopra Caracas si riversarono nelle strade, bruciando automobili, saccheggiando negozi e minacciando di occupare la città - come già fecero in precedenza”. La fine della rivolta vide lo straordinario spettacolo dei soldati unirsi nelle strade alla gioiosa folla, “sventolando i loro fucili e i loro berretti mentre la gente comune circondava il palazzo presidenziale” (Jeremy Alderman, New Left Review, Nov/Dec 2002, p. 65)

Un’interessante sviluppo è il Primer Encuentro de Solidaridad con la Revolucíon Bolivariana che sta avendo luogo in questo momento, (9-13 Aprile, 2003, Caracas) e che è rivolto a fare del Venezuela l’epicentro della lotta contro la globalizzazione neoliberale, in particolare del ALCA - FTAA. All’evento parteciperanno, tra gli altri, Evo Morales, Ignacio Ramonet, Nidia Díaz, James Petras, Hebe de Bonafini, Jean-Pierre Chevenement, Jose Bové, Ahmed Ben Bella, Rafael Alegría, Bernard Chancoso. Recentemente Lula e Chavez si sono incontrati per discutere su una più stretta collaborazione tra i due paesi ed verificare la possibilità dell’entrata del Venezuela nel Mercosur.

In Perù, dopo lo sgretolamento del regime di Fujimori, l’APRA mostrò uno straordinario recupero politico con la seconda posizione ottenuta da Alan Garcia in soli tre mesi di campagna, contro il neoliberale Toledo. “Nelle elezioni regionali del novembre 2002 L’APRA ottenne 11 presidenze regionali su 25, controllando la costa del Pacifico e la sierra nord e sud. Quattro peruviani su dieci votarono per candidati indipendenti. Negli altopiani centrali e nella regione dell’Amazonia ci furono molti militanti di sinistra che avevano guidato proteste sociali contro le politiche di privatizzazione di Toledo” (Jeremy Adelman, Andean Impasses, New Left Review, 18 Nov/Dic 2002, p. 61). Altre sette presidenze regionali andarono ad indipendenti, mentre il partito del signor Toledo, Perú Possibile, ne vinse soltanto una. In quel periodo, Toledo aveva un tasso di gradimento del solo 25% (BBC, 18 novembre, 2002). Ciò avveniva durante le elezioni dell’aprile 2001 ossia quando l’APRA di Alan Garcia arrivò al ballottaggio ottenendo il 26% dei voti contro il 36% di Toledo. Questo risultato sorprese tutti poiché Garcia era appena ritornato in Perù dall’esilio. Garcia, infatti, portava con sè il ricordo della sua precedente amministrazione (1980-85) in cui il tasso d’inflazione aveva raggiunto il 7.000% e lui stesso era stato implicato in alcuni scandali di corruzione. Toledo vinse il secondo round a Giugno del 2001 con circa il 52% dei voti, mentre Alan Garcia ottenne un impressionante 43%. Con questo sfondo politico i coltivatori di cocaina avevano iniziato ad ostruire le autostrade protestando contro le politiche antidroga del governo. Il governo, infatti, aveva cominciato a distruggere le coltivazioni di foglie di cocaina portando i coltivatori allo scontro diretto con la polizia. Toledo aveva accusato i cocaleros di essere finanziati dai trafficanti di droga e/o di essere legati al terrorismo. La situazione sembrerebbe migliorare da quando il Perù ha pagato $ 2.25 miliardi per risanare il debito estero e si accinge ad emettere $ 2 miliardi di obbligazioni per riequilibrare la sua bilancia dei pagamenti. Il 54% dei peruviani vive in povertà. ...

Il movimento dei cocalero ebbe origine dalle tradizioni culturali delle comunità indigene precolombiane che coltivavano, consumavano e commerciavano foglie di coca. Questi crearono un movimento che si opponeva al neoliberalismo e che aveva collegamenti con la sinistra, ottenendo risultati impressionanti. Gli indipendenti organizzarono fronti elettorali come il Movimento Popular Regional (MOPRE) o “Luchemos por Huanuco”, Union Popular peruana, Frente Amplio i cui vittoriosi candidati avevano militato nel MRTA, nel Movimiento Nueva Izquierda ecc. Questi agirono e si organizzarono indipendentemente dai principali partiti politici. Furono flessibili a tal punto da coalizzarsi tra loro. Si identificavano negli oppressi e opposero ampiamente le politiche neoliberali di Toledo (o di chiunque altro).

In Argentina lo stato permanente di ribellione delle province, la costante mobilitazione di massa dei disoccupati, la nascita del movimento dei piquetero e di quello delle classi media e operaia dei cacerolazos erano visibili quotidianamente nelle strade di Buenos Aires, rendendo il paese ingovernabile. Nessun partito politico propone alcun supporto ai movimenti che nel frattempo si organizzano da soli includendo i più poveri, i disoccupati, i barrios, gli studenti universitari e gli operai. Questi diventarono gli attori principali di una crisi che aveva messo a terra la nazione a partire dal tracollo economico del 2002. Lo slogan “Que se vayan todos!” è una chiara conferma di ciò. Nel paese ebbero luogo varie conferenze con lo scopo di costituire un nuovo partito su modello del brasiliano Partido dos Trabalhadores. Oratori, intellettuali e leader delle organizzazioni sociali rimpiangevano profondamente di non aver avuto un PT in Argentina che tirasse il paese fuori dalla confusione in cui era stato gettato da decenni di politiche neoliberali [2]. Intellettuali, economisti e esperti di politica avevano proposto il Fenix Plan che indicava soluzioni concrete per risolvere la crisi all’interno di una struttura neoliberale. Le organizzazioni neoliberali, d’altro canto, avevano proposto il Prometeo Plan. Il Fenix Plan criticava le politiche neoliberali applicate in Argentina e proponeva la riduzione del pagamento del debito estero, controlli incrociati per prevenire la fuga di capitali, un sistema di tassazione progressivo al fine di favorire la ridistribuzione del reddito, l’abolizione dei sussidi ai ricchi e l’implementazione di programmi economici per dare nuovo incentivo all’economia (nuove scuole, abitazioni meno care, lavori pubblici ecc.). Il Prometeo Plan, era molto più radicale. Questo proponeva la nazionalizzazione del commercio con l’estero al fine di finanziare l’investimento nel pubblico e l’industrializzazione; la nazionalizzazione del petrolio per finanziare programmi di formazione, infrastrutture e programmi sociali; l’introduzione di un sistema di tassazione progressiva con l’espropriazione come pena per chi tentasse l’evasione fiscale.

Per le elezioni presidenziali regnava una totale confusione. Il partito Radicale era completamente screditato, il che spiega perché la contesa elettorale è avvenuta tra differenti caudillos Peronisti. Questi sono Adolfo Rodríguez Saa (Frente Para La Victoria), Eduardo Duhalde, l’attuale presidente, Nestor Kirchner e Carlos Menen. Accanto a questa troika ci sono pochi candidati della sinistra come il socialista Alfredo Bravo, e Patricia Walsh, candidata per la Izquierda Unida. Mentre scriviamo nessuno dei candidati è riuscito ad ottenere il 25% delle preferenze elettorali della popolazione argentina.

Ciò che caratterizza principalmente la situazione degli argentini è il disgusto per la disoccupazione, per la povertà crescente e per il collasso della nazione, l’avversione per il governo e le altre istituzioni corrotte (la Corte Suprema e il Parlamento), il rigetto per l’intero establishment, la rabbia della gretta borghesia urbana e dei lavoratori più agiati per il congelamento e la svalutazione dei loro depositi bancari e risparmi, la generale ed attivaopposizione alla privatizzazione dei principali servizi pubblici e gli alti prezzi richiesti dalle multinazionali straniere, il senso di umiliazione nel vedere la nazione più ricca e colta del continente essere ridotta allo stato di povertà e quasi ad una colonia. Ciò ha portato ad una generale sfiducia nei confronti dei partiti visti come al servizio di interessi stranieri. Ci sono occupazioni di fabbrica (circa 100), meeting, manifestazioni e intense attività ed organizzazioni autonome di piqueteros e Asembleas de Barrio. La disillusione legata all’azione delle formazioni politiche esistenti è assoluta e daciò ne deriva lo slogan: “Que se vayan todos!

La ricchezza di contraddizioni che emerge tra le vittime del feroce neoliberalismo e il mucchio di criminali che erano stati al potere è costretto a mandare in frantumi il legame storico tra la classe lavoratrice e i poveri con il Peronismo (per lo meno nella corrente dominante). In secondo luogo, l’intensa attivita politica autonoma delle masse dovrebbe verosimilmente portare all’emergere di ampie alleanze politiche ed alla fine ad un partito politico di massa, come il PT. Inoltre le cause delle loro attività ed organizzazioni indipendenti danno l’impressione che il movimento sia parte di dinamiche oggettive o soggettive neoliberali.

In Bolivia Evo Morales e Felipe Quispe, alla guida di una coalizione che includeva movimenti indigeni, sindacati, contadini e poveri in generale, formarono il Movimento para el Socialismo che, nel giugno 2002, li portò quasi a vincere la carica presidenziale. Il suo programma fu decisamente contro il neoliberalismo. Questo propose la bozza di una nuova Costituzione rivolta a recuperare le risorse naturali del paese attualmente nelle mani delle compagnie straniere, all’adozione di politiche economiche di rilancio, alla riduzione del pagamento del debito pubblico, al regime fiscale progressivo ecc. Evo Morales è diventato da allora un attivista a livello continentale partecipando al World Social Forum a Porto Alegre e richiamando vari leader del continente, tra cui Lucio Gutierrez in Ecuador e Hugo Chavez in Venezuela, ad un coordinamento unitario degli sforzi per opporsi alle attuali politiche economiche. Inoltre, Evo Morales ha adottato Bolivar come mantello ideologico per il suo movimento politico. Il 12 e il 13 Febbraio, il governo introdusse una tassa sui redditi da salario che spinse alla ribellione i ranghi più bassi della polizia e ad uno scambio a fuoco con i soldati di guardia al palazzo nazionale di Lima e che provocò 33 morti (The Economist, 22 Feb 2003, p. 57). La questione è così seria che è materia d’investigazione da parte dell’ Organizzazione degli Stati Americani. In Bolivia, e in ogni altro luogo, il neoliberalismo, sta intralciando le attività principali dello Stato.

Già nel 1997, in connessione con la Bolivia, James Petras menzionò l’arrivo di un nuovo movimento che produsse leader come Evo Morales [3] (e Felipe Quispe [4]). In quel periodo, i contadini e gli agricoltori boliviani delusi dai partiti di Centro-Sinistra, facendo sempre più affidamento sul neoliberalismo, costituirono l’ASP (Asamblea para la Soberanía de los Pueblos), mettendo in campo candidati delle regioni della cocaina e vincendo in circa una dozzina di queste (NLR, 223, May/June 1997, p. 26-27). Attraverso tutto il 2000 e il 2001 gli indios, i contadini e coltivatori di coca, i cocaleros, combatterono per i loro diritti marciando verso la capitale sotto lo slogan “Coca o Muerte”, incontrando inevitabilmente la feroce repressione del governo Boliviano. Nonostante il forte schieramento di militari e polizia i dimostranti riuscirono in tutti i modi a bloccare le autostrade.

Come nel caso dell’Argentina, in Bolivia il movimento di massa attuò intense mobilitazioni politiche e sociali contro il governo e tra gennaio e febbraio 2003, le autostrade bloccate e le marce hanno causato oltre 30 morti e centinaia di feriti nel confronto con l’esercito e la polizia.

La vittoria del PT in Brasile è il risultato di un lungo e protratto processo di accumulo di forze che è durato circa venti anni. Già nel 1979 il leader degli operai metallurgici di San Paolo creò un partito politico a difesa delle classi lavoratrici. Nel 1980 nel suo primo manifesto il PT espresse i suoi obiettivi: creare un Brasile migliore e più decente che “sarà il frutto della volontà politica di indipendenza dei lavoratori, che sono stanchi di essere manipolati dai politici che appartengono a partiti che sono stati creati dal basso verso l’alto, dallo Stato alla società, dagli sfruttatori agli sfruttati” (Le Monde Diplomatique, novembre 2002, 4). In questo senso il PT è una formazione altamente originale che nacque dal basso e dalle classi lavoratrici [5]. In quel tempo, il manifesto del PT diceva: “la Nazione, il popolo e il paese saranno indipendenti solo quando esisteranno le condizioni per una libera partecipazione dei lavoratori nelle sue decisioni” (Le Monde Diplomatique, Novembre 2002, 4). Nel suo lungo cammino (che non è ancora terminato) il PT e Lula, furono sconfitti tre volte prima di ottenere l’incarico. I capisaldi del programma del governo Lula sono l’opposizione all’Alca, che egli definisce come un “progetto di annessione” (Le Monde Dipolmatique, Novembre 2002, 4) e un rinvigorimento del Mercosur con un chiaro orientamento verso l’Unione Europea. Recentemente il Brasile ottenne lo status di Most Favoured Nation dall’Unione Europea e il tipico cibo brasiliano, il pollo, inondò il mercato europeo e quello britannico. I problemi sono, ad ogni modo, enormi.


[1] Mentre Chavez era trattenuto prigioniero, tre navi da guerra statunitensi entrarono illegalmente nelle acque territoriali venezuelane e vi stazionarono (Jeremy Alderman, New Left Review, Nov/Dec 2002, p. 64).

[2] Ci sono stati molti eventi nazionali organizzati da questi movimenti sociali che avevano fatto ritenere necessaria la creazione di un Partido dos Trabalhadores in Argentina. Molti affermavano che se Lula si fosse candidato alle presidenziali in Argentina le avrebbe vinte.

[3] Nel gennaio 2001 Evo Morales definì il tipo di organizzazione politiche al quale il loro movimento aveva dato vita come “uno strumento politico per la sovranità dei popoli, meglio conosciuto come Movimento al Socialismo (MAS). Morales e il suo movimento sono altamente critici nei confronti delle multinazionali, delle società locali che riciclano i denari provenienti dalla droga, del Plan Colombia statunitense e del suo corrispettivo boliviano, il Plan Dignidad. Evo Morales propone la creazione di molte Cuba in America Latina per accogliere la sovranità dei popoli del continente” (Bolivia: Entrvista ad Evo Morales,dirigente campesino, Rebelión, 2i gennaio 2002, www.rebelion.org). Evo ha ragione ad enfatizzare questo aspetto della politica boliviana poiché negli ultimi 15 anni le multinazionali sono piombate sui paesi e li hanno depredati delle loro risorse naturali come l’acqua, le miniere e i loro immensi depositi di gas e petrolio. In più Evo e il suo movimento si sono opposti all’ALCA. Uno degli MP di MAS è Chato Peredo, uno dei combattenti della guerriglia boliviana del foco di Che Guevara nel 1967. MAS ha 27 MP e 8 senatori nella legislatura boliviana essendo quindi la seconda forza politica nel paese.

[4] Felipe Quispe Huanca “Mallku”, Indiano Aymara, autore del libro su Tupai Kapar, cofondatore del Ejército Guerillero Tupak Katari, leader del Movimento Indigeno Pachakuti (MIP) è attualmente Executive Secretary of Confederación Sindical Unica de Trabajadaores Campesinos de Bolivia (CSUTCB). Il MIP si è imbarcato su un progetto di autodeterminazione della nazione indigena della Bolivia. Qui sta la base della riformulazione della Bolivia come paese multirazziale.

[5] Ci sono altri due partiti politici (di cui sono a conoscenza) che hanno mutato direzione in questo senso: The Chilean Socialist Workers Party e il British Labour Party.