Nuovo movimento operaio e l’occupazione delle fabbriche in Argentina
Pablo Ghigliani
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5. Prefigurazione del socialismo o di una “economia solidale?”
Abbiamo cercato di dimostrare che il paesaggio dell’occupazione
non è omogeneo, presentando nei limiti del possibile abbondante materiale
empirico. Le fabbriche occupate hanno diversi gradi di sviluppo e di struttura,
hanno diverse difficoltà, e soprattutto perseguono distinte soluzioni, forme di
proprietà e programmi politici.
Mentre la interpretazione consigliare sostiene che siamo di
fronte ad una prefigurazione del socialismo, per un crescente settore di
militanti popolari ciò che si prefigura sono i contorni di una nuova economia
sociale, solidale, popolare o alternativa (Dandan, 2002, 2003; FSM, 2002;
Bambina, 2003; Plou, 2002; Ribecchi, 2002). Questi militanti e le loro
organizzazioni scoprono nella occupazione e nelle cooperative un nuovo sintomo
della potenzialità dimostrata dalle micro-imprese produttive che conduce fin d’ora
i MTD e le assemblee di quartiere con l’obiettivo di assicurarsi livelli
minimi di sussistenza di fronte alla minaccia della disoccupazione,
marginalizzazione e povertà. [2]
Senza che si consolidino in un progetto definitivo, emergono
diverse proposte per lo sviluppo di una nuova economia [3]. Tra queste vi
è anche il programma del MNER analizzato più sopra. Altre incorporano
esplicitamente le piccole e medie imprese (PyMES) nel progetto, malgrado che le
associazioni che si associano al PyMES siano stati gli attori principali della
legge contro i diritti dei lavoratori in nome della flessibilità del lavoro.
Non bisogna dimenticare che “la crescita del PyMES” come nuovo settore
dinamico e creatore di lavoro è stata una componente ideologica centrale del
discorso che ha sostenuto la riforma del lavoro nella metà degli anni novanta.
Infine, per i gruppi autogestionari, si tratta semplicemente di sostenere l’espansione
di queste esperienze popolari fino a quando questa crescita si trasformi in una
alternativa anticapitalista.
Tuttavia, crediamo che sia necessario ripetere ancora una
volta che non vi è economia solidale, popolare, sociale o alternativa nel
capitalismo. Questa nuova economia non può essere l’orizzonte politico delle
lotte sociali perché questa economia non esiste. La sua ambiguità concettuale
è tale che è stato possibile che, accanto a vere iniziative popolari, siano
fioriti vecchi programmi di difesa della industria nazionale, della piccola e
media impresa, dei piccoli produttori rurali e dei piccoli commercianti, per
ottenere protezione e credito.
Sostenere che questo ideale non può essere la meta del
movimento sociale non significa respingere le iniziative di autogestione. Tutte
le coordinazioni che rendono possibile la estensione e la riproduzione materiale
delle iniziative popolari e le occupazioni delle fabbriche hanno un’importanza
strategica e per questo sono benvenute. È un strategia per la riproduzione
materiale e concreta di migliaia di essere umani sprofondati nella più
terribile miseria o minacciati da essa, che non hanno nell’immediato futuro
nessuna altra alternativa. Ed è anche benvenuta perché le organizzazioni
popolari che sono riuscite a sfidare lo status quo in questi ultimi anni si sono
affermate precisamente attraverso la lotta per la riappropriazione dello spazio
di quartiere e del lavoro alla ricerca di condizioni minime di sussistenza.
Anche la lotta per i piani di assistenza sociale concessi dallo stato ha avuto
questo carattere. Il movimento piquetero si è rafforzato a partire dal relativo
potere di supervisione che ha raggiunto su tutti questi piani di assistenza,
molti dei quali sono stati trasformati nello sviluppo di iniziative di tipo
comunitario [4].
Però in questi casi come nel movimento dei piqueteros
possiamo osservare i risultati contradditori e ambivalenti di queste strategie,
e lo stesso si può dire per le distinte traiettorie seguite dalle fabbriche
occupate. Mentre alcune organizzazioni piquetere sono dirette verticalmente con
pratiche clientelistiche e con una politica che mira più alle classi medie che
al movimento operaio, altre organizzazioni si organizzano democraticamente,
incoraggiano la formazione politica dei loro membri, hanno minato la struttura
clientelistica dello stato e dei partiti tradizionali e si dirigono verso la
classe operaia (Perazzi, 2002; Petroni, 2002). Mentre il MNER persegue una
politica di alleanze con settori della burocrazia dello stato, nell’ambito
della legalità e sottolineando che non è, né vuole essere, una minaccia per
il capitale, altre organizzazioni tendono verso una politica di ampie alleanze
sociali con i disoccupati, le assemblee di quartiere, i lavoratori in lotta, i
sindacati e gruppi sindacali combattivi, rivendicando che i padroni non si
indennizzano e che non si riconoscono i loro debiti.
6. Considerazioni finali
Siamo arrivati alla fine di questo articolo e non abbiamo
risposto in nessuna forma esplicita alla domanda con cui lo abbiamo aperto:
perché sono importanti le occupazioni? Per un attributo immanente che la
sinistra argentina attribuisce alle occupazioni delle fabbriche?
Crediamo di no.
È vero che per molti militanti le occupazioni prefigurano
una nuova società: l’economia popolare e alternativa. Ed è anche vero che
essi mettono in dubbio la proprietà privata alla quale oppongono la proprietà
collettiva delle cooperative. In relazione allo stato, più che con embrioni di
doppio potere, il quadro generale è quello del puro e semplice pragmatismo: si
ricorre ad esso cercando un appoggio legislativo mentre si fa fronte
coraggiosamente al suo braccio armato di fronte a ciascun tentativo di sgombero.
È probabile che essi contribuiscano una volta di più a dimostrare che i
lavoratori possono produrre senza i padroni. Tuttavia, la supposta rilevanza
ideologica che il mito della funzione sociale dell’imprenditore avrebbe nel
capitalismo non è evidente e merita di essere dibattuta. Si può sostenere
seriamente che è ampiamente accettato nella società che i lavoratori sono
incapaci di produrre senza i padroni? È difficile. Quando i lavoratori riescono
a produrre in maniera redditizia, lo fanno in maniera competitiva. Però questo
è un altro problema, l’altro lato del quale è la debolezza ideologica
dimostrata da molti promotori delle occupazioni che cercano difese produttiviste
delle stesse senza rompere in tal modo con il corso della logica capitalista.
L’ansietà rivoluzionaria non è buona consigliera quando
bisogna interpretare le realtà che dobbiamo trasformare se si rimpiazza l’analisi
dell’insieme con quella dei casi particolari che ci entusiasmano. “Ottimismo
della volontà, pessimismo dell’intelligenza” continua ad essere un buon
consiglio. L’importanza delle occupazioni non è nella prefigurazione ideale,
che è aliena all’orizzonte della grande maggioranza dei loro protagonisti e
della loro conduzione delle occupazioni, ma nelle sue ripercussioni politiche
concrete, anche quando queste possano sembrare modeste.
Prima di tutto, la nostra analisi dimostra che non c’è
motivo di sperare nelle tradizionali burocrazie politiche che si annidano nello
stato. Un esempio di ciò sono i limiti di quello che hanno offerto ai
lavoratori tramite le pseudo-espropriazioni, l’assenza di qualsiasi appoggio
finanziario alle cooperative nascenti, e gli sfacciati intenti di salvare un
insieme di creditori e capitalisti che per il loro numero, potere politico, e
rilevanza economica si meritano appena questo nome nel mondo contemporaneo.
In secondo luogo, le occupazioni, le esperienze di controllo
operaio, e i dibattiti che ne scaturiscono, rivitalizzano vecchie aspirazioni e
pratiche del movimento operaio. Per incominciare, reintroducono nuovamente nella
scena argentina l’occupazione della fabbrica come una forma di lotta
legittima. Per esempio, recentemente furono occupati per cinque giorni gli
edifici della Telecom. Nella casa editrice Perfil furono evitati, con l’occupazione,
i licenziamenti pianificati dall’impresa. E, l’anno passato, questa minaccia
ha fatto retrocedere Parmalat e attualmente sta in agguato nella politica di
licenziamenti della Renault. Per di più, sia nella forma maggioritaria dell’autogestione
cooperativa, sia nella statalizzazione con controllo operaio (Zanon e Brukman),
sia nel controllo e supervisione dei dirigenti (come nella YCRT, fino ad un
certo punto La Esperanza, e le recenti proposte in Astilleros Río Santiago),
migliaia di lavoratori hanno iniziato a discutere dei loro problemi in termini
molto diversi da quelli degli anni ’90. Questo è un cambiamento qualitativo e
l’obiettivo della sinistra dovrebbe essere quello di approfondirlo. Per ora,
questa possibilità dipende dalla continuità delle esperienze più radicali -
oggi minacciate dalle forze repressive - che sono quelle che sono riuscite a
raggruppare e ad attrarre i lavoratori in lotta in liste sindacali combattive.
In terzo luogo, le occupazioni dimostrano una volta di più l’impatto
che le azioni indipendenti intraprese dai lavoratori hanno sulle lotte popolari.
Non esageriamo nella nostra analisi, al contrario. È il riconoscimento che i
settori finora coinvolti in tale processo sono del tutto marginali al cuore
dinamico del capitale, il che mostra la rilevanza di ogni lotta aperta di
classe. Molto rapidamente, molte fabbriche occupate si sono trasformate in perni
di organizzazioni e iniziative popolari e hanno raggruppato distinti settori in
lotta. In tal modo hanno esteso gli spazi di militanza e politicizzazione che si
stanno aprendo nell’Argentina dalla metà degli anni ’90 e che si sono
moltiplicati dai giorni che posero fine al governo De la Rua. Grazie a ciò, un
gruppo di fabbriche occupate è riuscito a tessere alleanze con piqueteros e
assemblee di quartiere in maniera congiunta. L’unità dei distinti settori
diventava una richiesta ricorrente delle organizzazioni del campo popolare.
Anche se in forma limitata, debole o congiunturale, se questa aspirazione è
cresciuta nell’anno passato ed è riuscita a tradursi in azioni comuni, è
stato in parte per la direzione esercitata dai lavoratori più politicizzati
delle occupazioni [5].
In fine, sono un segnale che mette in guardia il padronato.
Non importa che molti capitalisti abbiano tratto vantaggio dalla situazione
attraverso le diverse forme di salvataggio descritte; questo è un altro
problema. Ciò che è importante dal punto di vista di un’analisi di classe è
che l’esempio offerto dalle migliaia di lavoratori che non hanno abbandonato i
loro posti di fronte alla chiusura delle fabbriche potrebbe essere seguito da
altrettante migliaia se lo stato e la borghesia non invertono il processo
tramite la sua integrazione, il suo strangolamento economico o la sua sconfitta.
Tutte queste alternative di smobilizzazione sono in corso.
L’integrazione si materializza nel flirtare dei funzionari
pubblici con il programma del MNER. Tuttavia, questa è un’alternativa con
seri limiti perché, nel mezzo della crisi economica argentina, non è possibile
né un modello Spagnolo néil recupero massiccio delle imprese. I successi del
MNER sono deboli come è dimostrato dalle espropriazioni transitorie; la proroga
concessa a Unión y Fuerza pospone solamente il problema. Non lo risolve, né
scoraggia future occupazioni.
Neanche lo strangolamento economico è un semplice cammino
dato che, di fronte alla prospettiva della disoccupazione, anche i minimi
livelli di sussistenza giustificano agli occhi dei lavoratori la continuazione
della lotta.
Questi limiti alimentano la volontà di disarmare il polo
più combattivo. Come abbiamo appena menzionato, la repressione pende una volta
in più sulla testa di Zanon e Brukman sotto la forma di ordini giudiziari di
evacuazione. Il programma di questo polo potrebbe diventare più attraente e
rafforzarsi di fronte al fallimento delle espropriazioni temporanee o al
fallimento delle cooperative più deboli. Lo stato avrebbe concesso una proroga
a Unión y Fuerza se non vi fossero state queste esperienze con il loro
potenziale di mobilizzazione e direzione? È impossibile rispondere a questa
domanda, però almeno vale la pena di formularla. Il futuro di tutto il processo
pare dipendere in gran parte dalla capacità di resistere alle evacuazioni. Ciò
metterà alla prova la forza delle alleanze politiche e sociali costruite
attorno alle occupazioni. Una volta di più, bisogna lamentare il fatto che
continua a mancare all’appuntamento l’appoggio attivo e decisivo delle
centrali operaie nazionali. Una volta di più, bisogna lamentare il fatto che i
partiti della sinistra coinvolti nelle occupazioni danno lezioni grandiloquenti
mentre si danno a litigi insignificanti. Nel frattempo, il momento delle
repressione si avvicina, per lo meno per la Zanon e per la Brukman.
Appendice, 8 Maggio, 2003
Dopo aver scritto quest’articolo, all’alba di venerdì 18
Aprile, 2003, 200 poliziotti hanno sgombrato i cinque lavoratori tessili che
erano in quel momento di guardia alla Brukman. L’ordine di evacuazione non
prevedeva solo uno stretto segreto del procedimento legale, ma raccomandava
anche compiti di spionaggio preliminare e si basava su uno sbaglio messo in
evidenza tra le righe, che “non vi è supremazia della vita e della integrità
fisica di fronte agli interessi economici”, almeno quando si tratta degli
interessi economici dei capitalisti.
In seguito all’evizione, ci sono state ampie e immediate
dimostrazioni di attiva solidarietà con i 54 lavoratori della Brukman. In poche
ore, si sono raggruppate di fronte alla fabbrica più di 4000 persone convocate
da diverse organizzazioni. Le manifestazioni di solidarietà sono continuate per
tutto il fine settimana e vi sono state trattative per il ritiro della polizia,
come passo preliminare a qualsiasi negoziazione con il Ministero del Lavoro e i
vecchi proprietari. Tuttavia, di fronte alla reazione popolare, la presenza
poliziesca è stata fortemente rafforzata. Il lunedì 21, una nuova
mobilitazione ha convocato più di 7.000 manifestanti mentre parallelamente si
approfondivano le iniziative tendenti ad una riduzione della tensione. Caduta la
sera e di fronte alla mancanza di risposte, gli operai hanno deciso di entrare
nella fabbrica dalla quale erano stati evacuati quattro giorni prima e hanno
iniziato a marciare verso le sua porte. Questo è stato l’inizio di una feroce
repressione.
Spiegare la repressione con l’intenzione di entrare in
fabbrica sarebbe come spiegare la Prima Guerra Mondiale con l’attentato di
Sarajevo. Che la repressione sia stata pianificato indipendentemente dall’intenzione
di recuperare la fabbrica è dimostrato dalla partita di caccia ai manifestanti
che ha avuto luogo su un’estensione di 30 caseggiati e da diversi fronti con
forze di fanteria, polizia, cani, moto, polizia stradale, e carri armati d’assalto.
Neppure l’ospedale infantile Garraham, dove molti feriti e manifestanti hanno
cercato rifugio, è stato risparmiato dalla polizia che ha attaccato l’edificio
sparando lacrimogeni e pallottole di gomma. A solo una settimana dalle elezioni
presidenziali, questa è stata la brutale dimostrazione di forza e di volontà
politica della burocrazia statale e un messaggio tanto all’establishment
quanto al movimento sociale.
Abbiamo detto alla fine dell’articolo che l’appoggio
attivo delle centrali operaie nazionali è stato manifestamente assente durante
le occupazioni; deplorevolmente, ha continuato ad essere assente in questo
momento cruciale. Abbiamo anche detto che le organizzazioni di sinistra si
lanciavano in lezioni grandiloquenti mentre bisticciavano per cose inutili;
purtroppo hanno continuato nei loro tic e nello loro pratiche. Tuttavia, a
differenza delle centrali operaie, i partiti di sinistra sono stati presenti
come lo sono stati durnate tutta l’evoluzione delle occupazioni, opponendosi
alla repressione assieme ai lavoratori di altre fabbriche occupate, piquetero,
organizzazioni per i diritti umani, assemblee di quartiere, e gruppi di
studenti.
Lo sgombero della Brukman conferma una volta di più che il
vigore dimostrato da ampi settori del movimento sociale sul piano micro-sociale
(soprattutto nei quartieri ma anche nelle occupazioni) riesce a raggiungere alti
livelli di mobilitazione ma che non riesce a raggiungere un grado significativo
di articolazione e unificazione politica. Per di più, e ancora più
sorprendentemente, che non c’era alcuna strategia per affrontare quella che
era semplicemente una questione di tempo, cioè il terzo tentativo di evizione.
Anche se ferita a morte, la lotta dei lavoratori della
Brukman prosegue in tutti i modi con l’obiettivo di occupare di nuovo la
fabbrica e metterla in moto con controllo operaio. Esprimo qui la mia
solidarietà con la loro lotta.
[1] Ringrazio Juan Grigera e Marcelo Raimundo per i loro commenti critici.
[2] Per altri, ciò che si prefigura è il modello
conosciuto in Europa come cluster. Questo sarebbe il caso almeno del Siam i cui
consiglieri subaffittano il terreno a piccolo imprese di prodotti complementari.
In tal modo, ammortizzano con l’affitto i propri costi puntando allo stesso
tempo sul muto rafforzamento tramite i vincoli dei propri processi produttivi.
[3] Ciò comprende due
Incontri di Economia Solidaria in un ex-bar occupato dai vicini che hanno
organizzato assieme ad altre assemblee di quartiere una mensa popolare e una
cooperative che vende pane e latte a mense popolari e vicini.
[4] L’importanza materiale e concreta di questo tipo di iniziative
autogestonarie si può apprezzare meglio alla luce di alcuni dati fondamentali.
Il 57.5% della popolazione argentina vive al di sotto della linea della
povertà, il 24% al di sotto della linea di indigenza, la disoccupazione è
salita al 20% e la sottooccupazione al 22%. Pertanto, l’importanza politica
della appropriazione dei mezzi attraverso l’autogestione e all’interno dei
piani sociali gestiti dai piquetero può dedursi dalle condizioni che il BID ha
posto per finanziare i future aiuti sociali: congelare la soma di ciascun piano
a 150 pesos, riduzione degli stessi a 150,000, e il passaggio del loro controllo
ai funzionari della banca. Cioè, toglierli dalle mani dei piquetero.
[5] L’importanza della dimensione politica delle occupazioni è
enfatizzata dal collettivo Taller de Estudios Laborales (TEL) che ha messo in
evidenza, nel mezzo della ondata piquetera, che non si rovescerà la l’attuale
sfavorevole relazione di forza se non si incorporano decisamente nella lotta i
lavoratori salariati e le loro organizzazioni (AA.VV. 2002; FSM, 2002);
Martínez e Voscos, 2002).