Rubrica
Osservatorio sindacale internazionale

Copyright - Gli articoli si possono diffondere liberamente citandone la fonte e inserendo un link all'articolo

Autore/i

Pablo Ghigliani
Articoli pubblicati
per Proteo (2)

Ricercatore Istituto studi sociali de L’AIA

Argomenti correlati

America Latina

Argentina

Classe operaia

Conflitto capitale-lavoro

Sindacato

Nella stessa rubrica

Nuovo movimento operaio e l’occupazione delle fabbriche in Argentina
Pablo Ghigliani

Un movimento sindacale indipendente nelle imprese occupate in Argentina
Julio Gambina

L’agenda economica del nuovo governo del partito dei lavoratori in Brasile e il confronto con il movimento sindacale. Servirà a combattere la povertà?
Suranjit Kumar Saha

 

Tutti gli articoli della rubrica "Osservatorio sindacale internazionale" (in tutti i numeri di Proteo)


Home
Autori
Rubriche
Parole chiave

 

 

 

Nuovo movimento operaio e l’occupazione delle fabbriche in Argentina

Pablo Ghigliani

 [1]

Formato per la stampa
Stampa

5. Prefigurazione del socialismo o di una “economia solidale?”

Abbiamo cercato di dimostrare che il paesaggio dell’occupazione non è omogeneo, presentando nei limiti del possibile abbondante materiale empirico. Le fabbriche occupate hanno diversi gradi di sviluppo e di struttura, hanno diverse difficoltà, e soprattutto perseguono distinte soluzioni, forme di proprietà e programmi politici.

Mentre la interpretazione consigliare sostiene che siamo di fronte ad una prefigurazione del socialismo, per un crescente settore di militanti popolari ciò che si prefigura sono i contorni di una nuova economia sociale, solidale, popolare o alternativa (Dandan, 2002, 2003; FSM, 2002; Bambina, 2003; Plou, 2002; Ribecchi, 2002). Questi militanti e le loro organizzazioni scoprono nella occupazione e nelle cooperative un nuovo sintomo della potenzialità dimostrata dalle micro-imprese produttive che conduce fin d’ora i MTD e le assemblee di quartiere con l’obiettivo di assicurarsi livelli minimi di sussistenza di fronte alla minaccia della disoccupazione, marginalizzazione e povertà. [2]

Senza che si consolidino in un progetto definitivo, emergono diverse proposte per lo sviluppo di una nuova economia [3]. Tra queste vi è anche il programma del MNER analizzato più sopra. Altre incorporano esplicitamente le piccole e medie imprese (PyMES) nel progetto, malgrado che le associazioni che si associano al PyMES siano stati gli attori principali della legge contro i diritti dei lavoratori in nome della flessibilità del lavoro. Non bisogna dimenticare che “la crescita del PyMES” come nuovo settore dinamico e creatore di lavoro è stata una componente ideologica centrale del discorso che ha sostenuto la riforma del lavoro nella metà degli anni novanta. Infine, per i gruppi autogestionari, si tratta semplicemente di sostenere l’espansione di queste esperienze popolari fino a quando questa crescita si trasformi in una alternativa anticapitalista.

Tuttavia, crediamo che sia necessario ripetere ancora una volta che non vi è economia solidale, popolare, sociale o alternativa nel capitalismo. Questa nuova economia non può essere l’orizzonte politico delle lotte sociali perché questa economia non esiste. La sua ambiguità concettuale è tale che è stato possibile che, accanto a vere iniziative popolari, siano fioriti vecchi programmi di difesa della industria nazionale, della piccola e media impresa, dei piccoli produttori rurali e dei piccoli commercianti, per ottenere protezione e credito.

Sostenere che questo ideale non può essere la meta del movimento sociale non significa respingere le iniziative di autogestione. Tutte le coordinazioni che rendono possibile la estensione e la riproduzione materiale delle iniziative popolari e le occupazioni delle fabbriche hanno un’importanza strategica e per questo sono benvenute. È un strategia per la riproduzione materiale e concreta di migliaia di essere umani sprofondati nella più terribile miseria o minacciati da essa, che non hanno nell’immediato futuro nessuna altra alternativa. Ed è anche benvenuta perché le organizzazioni popolari che sono riuscite a sfidare lo status quo in questi ultimi anni si sono affermate precisamente attraverso la lotta per la riappropriazione dello spazio di quartiere e del lavoro alla ricerca di condizioni minime di sussistenza. Anche la lotta per i piani di assistenza sociale concessi dallo stato ha avuto questo carattere. Il movimento piquetero si è rafforzato a partire dal relativo potere di supervisione che ha raggiunto su tutti questi piani di assistenza, molti dei quali sono stati trasformati nello sviluppo di iniziative di tipo comunitario [4].

Però in questi casi come nel movimento dei piqueteros possiamo osservare i risultati contradditori e ambivalenti di queste strategie, e lo stesso si può dire per le distinte traiettorie seguite dalle fabbriche occupate. Mentre alcune organizzazioni piquetere sono dirette verticalmente con pratiche clientelistiche e con una politica che mira più alle classi medie che al movimento operaio, altre organizzazioni si organizzano democraticamente, incoraggiano la formazione politica dei loro membri, hanno minato la struttura clientelistica dello stato e dei partiti tradizionali e si dirigono verso la classe operaia (Perazzi, 2002; Petroni, 2002). Mentre il MNER persegue una politica di alleanze con settori della burocrazia dello stato, nell’ambito della legalità e sottolineando che non è, né vuole essere, una minaccia per il capitale, altre organizzazioni tendono verso una politica di ampie alleanze sociali con i disoccupati, le assemblee di quartiere, i lavoratori in lotta, i sindacati e gruppi sindacali combattivi, rivendicando che i padroni non si indennizzano e che non si riconoscono i loro debiti.

6. Considerazioni finali

Siamo arrivati alla fine di questo articolo e non abbiamo risposto in nessuna forma esplicita alla domanda con cui lo abbiamo aperto: perché sono importanti le occupazioni? Per un attributo immanente che la sinistra argentina attribuisce alle occupazioni delle fabbriche?

Crediamo di no.

È vero che per molti militanti le occupazioni prefigurano una nuova società: l’economia popolare e alternativa. Ed è anche vero che essi mettono in dubbio la proprietà privata alla quale oppongono la proprietà collettiva delle cooperative. In relazione allo stato, più che con embrioni di doppio potere, il quadro generale è quello del puro e semplice pragmatismo: si ricorre ad esso cercando un appoggio legislativo mentre si fa fronte coraggiosamente al suo braccio armato di fronte a ciascun tentativo di sgombero. È probabile che essi contribuiscano una volta di più a dimostrare che i lavoratori possono produrre senza i padroni. Tuttavia, la supposta rilevanza ideologica che il mito della funzione sociale dell’imprenditore avrebbe nel capitalismo non è evidente e merita di essere dibattuta. Si può sostenere seriamente che è ampiamente accettato nella società che i lavoratori sono incapaci di produrre senza i padroni? È difficile. Quando i lavoratori riescono a produrre in maniera redditizia, lo fanno in maniera competitiva. Però questo è un altro problema, l’altro lato del quale è la debolezza ideologica dimostrata da molti promotori delle occupazioni che cercano difese produttiviste delle stesse senza rompere in tal modo con il corso della logica capitalista.

L’ansietà rivoluzionaria non è buona consigliera quando bisogna interpretare le realtà che dobbiamo trasformare se si rimpiazza l’analisi dell’insieme con quella dei casi particolari che ci entusiasmano. “Ottimismo della volontà, pessimismo dell’intelligenza” continua ad essere un buon consiglio. L’importanza delle occupazioni non è nella prefigurazione ideale, che è aliena all’orizzonte della grande maggioranza dei loro protagonisti e della loro conduzione delle occupazioni, ma nelle sue ripercussioni politiche concrete, anche quando queste possano sembrare modeste.

Prima di tutto, la nostra analisi dimostra che non c’è motivo di sperare nelle tradizionali burocrazie politiche che si annidano nello stato. Un esempio di ciò sono i limiti di quello che hanno offerto ai lavoratori tramite le pseudo-espropriazioni, l’assenza di qualsiasi appoggio finanziario alle cooperative nascenti, e gli sfacciati intenti di salvare un insieme di creditori e capitalisti che per il loro numero, potere politico, e rilevanza economica si meritano appena questo nome nel mondo contemporaneo.

In secondo luogo, le occupazioni, le esperienze di controllo operaio, e i dibattiti che ne scaturiscono, rivitalizzano vecchie aspirazioni e pratiche del movimento operaio. Per incominciare, reintroducono nuovamente nella scena argentina l’occupazione della fabbrica come una forma di lotta legittima. Per esempio, recentemente furono occupati per cinque giorni gli edifici della Telecom. Nella casa editrice Perfil furono evitati, con l’occupazione, i licenziamenti pianificati dall’impresa. E, l’anno passato, questa minaccia ha fatto retrocedere Parmalat e attualmente sta in agguato nella politica di licenziamenti della Renault. Per di più, sia nella forma maggioritaria dell’autogestione cooperativa, sia nella statalizzazione con controllo operaio (Zanon e Brukman), sia nel controllo e supervisione dei dirigenti (come nella YCRT, fino ad un certo punto La Esperanza, e le recenti proposte in Astilleros Río Santiago), migliaia di lavoratori hanno iniziato a discutere dei loro problemi in termini molto diversi da quelli degli anni ’90. Questo è un cambiamento qualitativo e l’obiettivo della sinistra dovrebbe essere quello di approfondirlo. Per ora, questa possibilità dipende dalla continuità delle esperienze più radicali - oggi minacciate dalle forze repressive - che sono quelle che sono riuscite a raggruppare e ad attrarre i lavoratori in lotta in liste sindacali combattive.

In terzo luogo, le occupazioni dimostrano una volta di più l’impatto che le azioni indipendenti intraprese dai lavoratori hanno sulle lotte popolari. Non esageriamo nella nostra analisi, al contrario. È il riconoscimento che i settori finora coinvolti in tale processo sono del tutto marginali al cuore dinamico del capitale, il che mostra la rilevanza di ogni lotta aperta di classe. Molto rapidamente, molte fabbriche occupate si sono trasformate in perni di organizzazioni e iniziative popolari e hanno raggruppato distinti settori in lotta. In tal modo hanno esteso gli spazi di militanza e politicizzazione che si stanno aprendo nell’Argentina dalla metà degli anni ’90 e che si sono moltiplicati dai giorni che posero fine al governo De la Rua. Grazie a ciò, un gruppo di fabbriche occupate è riuscito a tessere alleanze con piqueteros e assemblee di quartiere in maniera congiunta. L’unità dei distinti settori diventava una richiesta ricorrente delle organizzazioni del campo popolare. Anche se in forma limitata, debole o congiunturale, se questa aspirazione è cresciuta nell’anno passato ed è riuscita a tradursi in azioni comuni, è stato in parte per la direzione esercitata dai lavoratori più politicizzati delle occupazioni [5].

In fine, sono un segnale che mette in guardia il padronato. Non importa che molti capitalisti abbiano tratto vantaggio dalla situazione attraverso le diverse forme di salvataggio descritte; questo è un altro problema. Ciò che è importante dal punto di vista di un’analisi di classe è che l’esempio offerto dalle migliaia di lavoratori che non hanno abbandonato i loro posti di fronte alla chiusura delle fabbriche potrebbe essere seguito da altrettante migliaia se lo stato e la borghesia non invertono il processo tramite la sua integrazione, il suo strangolamento economico o la sua sconfitta. Tutte queste alternative di smobilizzazione sono in corso.

L’integrazione si materializza nel flirtare dei funzionari pubblici con il programma del MNER. Tuttavia, questa è un’alternativa con seri limiti perché, nel mezzo della crisi economica argentina, non è possibile né un modello Spagnolo néil recupero massiccio delle imprese. I successi del MNER sono deboli come è dimostrato dalle espropriazioni transitorie; la proroga concessa a Unión y Fuerza pospone solamente il problema. Non lo risolve, né scoraggia future occupazioni.

Neanche lo strangolamento economico è un semplice cammino dato che, di fronte alla prospettiva della disoccupazione, anche i minimi livelli di sussistenza giustificano agli occhi dei lavoratori la continuazione della lotta.

Questi limiti alimentano la volontà di disarmare il polo più combattivo. Come abbiamo appena menzionato, la repressione pende una volta in più sulla testa di Zanon e Brukman sotto la forma di ordini giudiziari di evacuazione. Il programma di questo polo potrebbe diventare più attraente e rafforzarsi di fronte al fallimento delle espropriazioni temporanee o al fallimento delle cooperative più deboli. Lo stato avrebbe concesso una proroga a Unión y Fuerza se non vi fossero state queste esperienze con il loro potenziale di mobilizzazione e direzione? È impossibile rispondere a questa domanda, però almeno vale la pena di formularla. Il futuro di tutto il processo pare dipendere in gran parte dalla capacità di resistere alle evacuazioni. Ciò metterà alla prova la forza delle alleanze politiche e sociali costruite attorno alle occupazioni. Una volta di più, bisogna lamentare il fatto che continua a mancare all’appuntamento l’appoggio attivo e decisivo delle centrali operaie nazionali. Una volta di più, bisogna lamentare il fatto che i partiti della sinistra coinvolti nelle occupazioni danno lezioni grandiloquenti mentre si danno a litigi insignificanti. Nel frattempo, il momento delle repressione si avvicina, per lo meno per la Zanon e per la Brukman.

Appendice, 8 Maggio, 2003

Dopo aver scritto quest’articolo, all’alba di venerdì 18 Aprile, 2003, 200 poliziotti hanno sgombrato i cinque lavoratori tessili che erano in quel momento di guardia alla Brukman. L’ordine di evacuazione non prevedeva solo uno stretto segreto del procedimento legale, ma raccomandava anche compiti di spionaggio preliminare e si basava su uno sbaglio messo in evidenza tra le righe, che “non vi è supremazia della vita e della integrità fisica di fronte agli interessi economici”, almeno quando si tratta degli interessi economici dei capitalisti.

In seguito all’evizione, ci sono state ampie e immediate dimostrazioni di attiva solidarietà con i 54 lavoratori della Brukman. In poche ore, si sono raggruppate di fronte alla fabbrica più di 4000 persone convocate da diverse organizzazioni. Le manifestazioni di solidarietà sono continuate per tutto il fine settimana e vi sono state trattative per il ritiro della polizia, come passo preliminare a qualsiasi negoziazione con il Ministero del Lavoro e i vecchi proprietari. Tuttavia, di fronte alla reazione popolare, la presenza poliziesca è stata fortemente rafforzata. Il lunedì 21, una nuova mobilitazione ha convocato più di 7.000 manifestanti mentre parallelamente si approfondivano le iniziative tendenti ad una riduzione della tensione. Caduta la sera e di fronte alla mancanza di risposte, gli operai hanno deciso di entrare nella fabbrica dalla quale erano stati evacuati quattro giorni prima e hanno iniziato a marciare verso le sua porte. Questo è stato l’inizio di una feroce repressione.

Spiegare la repressione con l’intenzione di entrare in fabbrica sarebbe come spiegare la Prima Guerra Mondiale con l’attentato di Sarajevo. Che la repressione sia stata pianificato indipendentemente dall’intenzione di recuperare la fabbrica è dimostrato dalla partita di caccia ai manifestanti che ha avuto luogo su un’estensione di 30 caseggiati e da diversi fronti con forze di fanteria, polizia, cani, moto, polizia stradale, e carri armati d’assalto. Neppure l’ospedale infantile Garraham, dove molti feriti e manifestanti hanno cercato rifugio, è stato risparmiato dalla polizia che ha attaccato l’edificio sparando lacrimogeni e pallottole di gomma. A solo una settimana dalle elezioni presidenziali, questa è stata la brutale dimostrazione di forza e di volontà politica della burocrazia statale e un messaggio tanto all’establishment quanto al movimento sociale.

Abbiamo detto alla fine dell’articolo che l’appoggio attivo delle centrali operaie nazionali è stato manifestamente assente durante le occupazioni; deplorevolmente, ha continuato ad essere assente in questo momento cruciale. Abbiamo anche detto che le organizzazioni di sinistra si lanciavano in lezioni grandiloquenti mentre bisticciavano per cose inutili; purtroppo hanno continuato nei loro tic e nello loro pratiche. Tuttavia, a differenza delle centrali operaie, i partiti di sinistra sono stati presenti come lo sono stati durnate tutta l’evoluzione delle occupazioni, opponendosi alla repressione assieme ai lavoratori di altre fabbriche occupate, piquetero, organizzazioni per i diritti umani, assemblee di quartiere, e gruppi di studenti.

Lo sgombero della Brukman conferma una volta di più che il vigore dimostrato da ampi settori del movimento sociale sul piano micro-sociale (soprattutto nei quartieri ma anche nelle occupazioni) riesce a raggiungere alti livelli di mobilitazione ma che non riesce a raggiungere un grado significativo di articolazione e unificazione politica. Per di più, e ancora più sorprendentemente, che non c’era alcuna strategia per affrontare quella che era semplicemente una questione di tempo, cioè il terzo tentativo di evizione.

Anche se ferita a morte, la lotta dei lavoratori della Brukman prosegue in tutti i modi con l’obiettivo di occupare di nuovo la fabbrica e metterla in moto con controllo operaio. Esprimo qui la mia solidarietà con la loro lotta.


[1] Ringrazio Juan Grigera e Marcelo Raimundo per i loro commenti critici.

[2] Per altri, ciò che si prefigura è il modello conosciuto in Europa come cluster. Questo sarebbe il caso almeno del Siam i cui consiglieri subaffittano il terreno a piccolo imprese di prodotti complementari. In tal modo, ammortizzano con l’affitto i propri costi puntando allo stesso tempo sul muto rafforzamento tramite i vincoli dei propri processi produttivi.

[3] Ciò comprende due Incontri di Economia Solidaria in un ex-bar occupato dai vicini che hanno organizzato assieme ad altre assemblee di quartiere una mensa popolare e una cooperative che vende pane e latte a mense popolari e vicini.

[4] L’importanza materiale e concreta di questo tipo di iniziative autogestonarie si può apprezzare meglio alla luce di alcuni dati fondamentali. Il 57.5% della popolazione argentina vive al di sotto della linea della povertà, il 24% al di sotto della linea di indigenza, la disoccupazione è salita al 20% e la sottooccupazione al 22%. Pertanto, l’importanza politica della appropriazione dei mezzi attraverso l’autogestione e all’interno dei piani sociali gestiti dai piquetero può dedursi dalle condizioni che il BID ha posto per finanziare i future aiuti sociali: congelare la soma di ciascun piano a 150 pesos, riduzione degli stessi a 150,000, e il passaggio del loro controllo ai funzionari della banca. Cioè, toglierli dalle mani dei piquetero.

[5] L’importanza della dimensione politica delle occupazioni è enfatizzata dal collettivo Taller de Estudios Laborales (TEL) che ha messo in evidenza, nel mezzo della ondata piquetera, che non si rovescerà la l’attuale sfavorevole relazione di forza se non si incorporano decisamente nella lotta i lavoratori salariati e le loro organizzazioni (AA.VV. 2002; FSM, 2002); Martínez e Voscos, 2002).