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L’analisi-inchiesta: lavoro che cambia, lavoro che non c’è

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Vivian Aranha Saboia
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per Proteo (1)

Profess. Facoltà Scienze Economiche all’Universidade Federal do Maranhão (UFMA), DEA in Economia all’Università di Parigi 8 - Vincennes Saint-Denis in Sociologia all’Università di Parigi 8

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Flessibilità, precarietà dell’impiego femminile nella “nuova” società salariale (un paragone tra Francia e Brasile negli anni ’90)

Vivian Aranha Saboia

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Negli ultimi decenni abbiamo assistito al superamento del modello di crescita fordista e all’emergere di un “nuovo” modello di crescita di tipo americano. Questo nuovo modello d’accumulazione, chiamato anche nuovo capitalismo o new economy, si è concretizzato attraverso due fenomeni distinti: le innovazioni finanziarie (capitalismo patrimoniale) e quelle scientifiche e tecnologiche (capitalismo cognitivo). Il loro emergere ha implicato una serie di mutamenti nel rapporto salariale fordista, al punto tale da poter permettere di parlare di formazione di una “nuova” società salariale. In effetti, è soprattutto a partire dagli anni ’90 che si è assistito al passaggio da una società salariale di tipo fordista ad una post-fordista e globalizzata. Questo passaggio è stato contraddistinto dall’adozione di politiche pubbliche dai caratteri tanto neoliberali quanto social-liberali, che hanno, tra le altre cose, reso flessibile il lavoro e l’impiego. In questo saggio si mette in risalto come tale passaggio abbia assunto caratteristiche diverse in termini di razza, sesso, età, ecc.

1. Introduzione: la crisi del modello fordista

A partire dalla seconda metà degli anni ’70, si è assistito ad un movimento che ha determinato il passaggio da una società salariale fordista ed internazionale ad una salariale post-fordista e cosiddetta globale. Poiché questo passaggio non è avvenuto in maniera continua ed uniforme, lo si deve individuare nello spazio e nel tempo. In occasione di un’analisi sulle disparità tra sessi, le conseguenze di questo movimento, considerate all’interno del contesto più ampio dell’emergere di un nuovo modello di crescita, si differenziano per profondità e per intensità, sia in un paese capitalista centrale come la Francia, sia in uno più periferico come il Brasile.

Il regime d’accumulazione fordista si è rivelato instabile durante i “Trinta Gloriosos” (1945-1975). Secondo Boyer questo si baserebbe su certe forme d’istituzioni che costituiscono un insieme “coerente” (1986: 121). In tal senso questo modello è stato definito in termini di arrangiamenti istituzionali per quanto riguarda i seguenti settori: il rapporto capitale/lavoro; le forme di coerenza nel mercato dei prodotti; le istituzioni che governano i mercati finanziari e la gestione della moneta; le norme di consumo; le forme d’intervento statale nell’economia; l’organizzazione del sistema internazionale dei cambi (CORIAT & DOSI, 2002: 102).

Alcuni autori sostenitori delle regolamentazioni, mettono in evidenza come queste forme (o pilastri) istituzionali possiedono una relazione di complementarità e sono organizzate in maniera gerarchica (BOYER, 1999; AMABLE, 2000). In questo modo, “il coração del post-guerra”, analizzato sulla base del regime fordista, è il “[...] compromesso capitale/lavoro il cui impatto si fa sentire sull’insieme delle altre forme istituzionali” (BOYER, 1999: 21). A causa di questo compromesso, la domanda di beni di produzione segue, in funzione della ridistribuzione dei guadagni sulla produttività, il ritmo dell’estensione della capacità di produzione, permettendo l’aumento dei salari e quindi della domanda. La concorrenza si rivela ogni volta sempre più oligopolista, allo stesso modo in cui lo Stato capitalista diventa “anche” espressione degli interessi dei lavoratori (consumo di massa, costituzione dei sistemi di copertura sociale). La dinamica economica è regolata da una politica di stabilizzazione a breve termine; il regime monetario e finanziario è attenuato da un’inflazione permanente e dall’aggiustamento del tasso di cambio, reso possibile soltanto da una politica tesa a mantenere la stabilità [op. cit.:21].

La crisi del modello di crescita fordista, alla fine degli anni ’70, ha accelerato l’insorgere di un nuovo modello di crescita (non ancora stabile). Questo processo ha provocato importanti mutamenti nel rapporto tra capitale e lavoro e più in particolare, nel rapporto tra capitale e forza lavoro femminile. Di fatto, in un contesto di crescente apertura al commercio mondiale e di globalizzazione dei mercati finanziari, si sono avuti dei nuovi cambiamenti istituzionali come risposta alla maggiore interazione dei paesi nell’economia mondiale. La nuova gerarchia che ne risulta comporta conseguenze su altre forme istituzionali poiché i “nuovi meccanismi di determinazione del prezzo tengono conto degli aspetti strategici della concorrenza. Oltre a ciò, il crescente peso dei mercati finanziari sul modo di gestire le aziende, influisce direttamente sulla ridistribuzione dei redditi, che a sua volta si ripercuote sulla gestione del lavoro e sui rapporti salariali” [35]. In questo nuovo modello di crescita della gestione, sono i mercati finanziari internazionali che determinano il regime monetario e finanziario, così come le variazioni sul tasso di cambio. Così, mentre le politiche messe in pratica dalla Banca Centrale durante il periodo fordista favorivano la crescita, nel nuovo contesto queste si limitano a soddisfare soprattutto le esigenze dei mercati finanziari - l’eliminazione dell’inflazione, l’indebolimento della fiscalizzazione dei fattori della produzione mobile (capitale speculativo), ecc. Oltre a ciò tenendo conto dell’aumento dei tassi d’interesse, il problema del debito pubblico si è aggravato, influenzando direttamente la politica nazionale di bilancio. Questa, a sua volta, tende a diventare ciclica, a differenza della politica non ciclica adottata nel periodo fordista. Le politiche sul bilancio e quelle fiscali degli Stati-nazione sono state condizionate da questi mutamenti nel regime internazionale.

2. Flessibilità e lavoro femminile

Questo è un nuovo quadro che si differenzia dal periodo fordista, quando il rapporto salariale si manifestava in maniera gerarchicamente superiore, vis-a-vis con gli altri pilastri internazionali. Nel nuovo modello, il rapporto salariale sarà la variabile fondamentale in seno al nuovo aggiustamento delle forme istituzionali, o meglio, questa sarà dominata in maniera gerarchica. In questo contesto, assistiamo al consolidamento delle regolamentazioni concernenti il Diritto dei Lavoratori, così come all’avvento di politiche pubbliche d’impiego che indeboliscono i lavoratori di fronte ai datori di lavoro. Queste politiche pubbliche sono state adottate e rese generali dai governi neoliberali e social-liberali. Queste sono state propagandate come fondamentali per uscire dalla crisi, così come la ricerca della stabilità monetaria e la flessibilità del lavoro, all’interno di altre premesse considerate indispensabili per la crescita economica. La deregolamentazione e la liberalizzazione del mercato del lavoro, sempre più caratterizzato dalla flessibilità dell’impiego, sono quindi diventati un imperativo per l’accumulazione capitalista. I mutamenti avvenuti in seno al rapporto salariale ci permettono di parlare di sviluppo di una società salariale, o meglio di una società salariale post-fordista, nella quale s’inserisce il progresso dell’impiego femminile. Nel frattempo le conseguenze della flessibilità dell’impiego acquisiscono caratteristiche differenti a seconda dell’età, della razza, del sesso, ecc.

La complessità del tema e la storicità dei fatti ci portano a sviluppare un’analisi comparativa nel tempo e nello spazio, basata sull’esperienza di un paese capitalista centrale (la Francia) e di uno periferico (il Brasile), negli anni ’90.

3. Trinta Gloriosos (1945-1975) di pianificazione contro neoliberalismo

Partiremo dal concetto di “società salariale” [1] formulato da Aglietta e Brender [1984]. Questa è una società progressista e ordinata, i cui principali agenti sociali - capitalisti, uomini di scienza, lavoratori delle imprese private e pubbliche - agiscono in direzione dell’ottenimento di un progresso materiale (crescita) e di un progresso sociale (socialità), entrambi legati da una stessa dinamica: il progresso tecnico. Questo è il motore di un regime d’accumulazione che riunisce, da un lato il locale funzionamento nella produzione d’oggetti e dall’altro le pratiche di regolamentazione delle relazioni sociali.

Nella società salariale, i conflitti sono regolati da istituzioni statali (gestione interventista) e da istituzioni originarie della società civile (sistema di negoziazione collettiva). Esiste la costituzione di un patto sociale che ha escluso i comportamenti in termini di antagonismo di classe, affinché i lavoratori s’integrassero nel progetto di social-democratizzazione, le cui acquisizioni principali che favoriscono il consumo di massa, sono l’aumento del potere d’acquisto e il pieno impiego. Il piano aveva assunto un ruolo chiave nell’organizzazione della società durante i “Trinta Gloriosos” (1945-1975), sottoforma di pianificazione produttiva (taylorismo), pianificazione economica (keynesianismo) e pianificazione politica (fordismo). Secondo Liepietz, il modello di sviluppo della società salariale può essere espresso come modello basato su tre aspetti: l’organizzazione del lavoro, il regime d’accumulazione e il metodo di regolamentazione [in ALBRITTON et al., 2001: 18]

Esiste una relazione tra piano e mercato (nel quadro di uno Stato previdenziale) che è stata modificata nelle ultime due decadi e, soprattutto dall’inizio degli anni ’90, con l’adozione delle politiche neoliberali. Il rallentamento della crescita, causato dal tracollo dei guadagni di produzione ha diminuito, considerata la rigidità dei salari nei confronti di una loro riduzione, gli utili dei capitalisti. Si assiste all’aumento dell’inflazione e ad una disoccupazione strutturale, dovuta all’incapacità di dare una risposta alla crescente caduta dei consumi (crisi della domanda). Dopo la crisi della regolamentazione fordista, lo Stato ha diminuito la sua azione interventista attraverso la riduzione della spesa pubblica e le privatizzazioni.

Allo stesso tempo, si assiste alla sostituzione del sistema a cambi fissi, stabilito negli accordi di Bretton Woods (1944), con quello a cambi fluttuanti (1973) e ad un aumento della sfera finanziaria come risposta alla tendenza al ribasso dei guadagni nella sfera produttiva. Questo è stato l’inizio del processo di mondializzazione, nel quale si è osservata una separazione tra le forme istituzionali che permangono nazionali e la dinamica della produzione che è diventata internazionale [PLIHON, 2001: 61). Da ciò la deregolamentazione e la flessibilità sono diventati d’importanza centrale per combattere la rigidità dei salari e controllare il costo della produzione. Infatti,

questi fenomeni, così come l’intensificarsi della concorrenza internazionale, legati al rallentamento della crescita, sono decisivi per la flessibilità [...] Di fatto in regime di cambi fluttuanti, per evitare una svalutazione indesiderata, i costi di produzione e in particolare i salari devono poter variare verso il basso. Così, al contrario di un criterio salariale nazionale che determini la posizione internazionale dell’economia, ci ritroviamo nella situazione inversa: attualmente il criterio salariale è “pilotato” dal sistema monetario finanziario” [Nadel & Barbier, 2000: 64].

Si può costatare come le politiche economiche nazionali perdono il loro potere di fronte alla globalizzazione finanziaria. S’insediano politiche d’ispirazione neoliberale, a danno degli interessi dei lavoratori e in favore delle imprese e dei detentori del capitale finanziario. La nozione stessa di pieno impiego è modificata, giacché durante i “Trinta Gloriosos” il tasso di disoccupazione accettato (o tasso naturale) variava tra l’1% e il 2%. Questo nuovo dogma ideologico è stato praticato dagli Stati (inizialmente dai governi degli Stati Uniti e della Gran Bretagna) come mezzo per l’attuazione di una serie di riforme, come ad esempio la liberalizzazione del commercio e delle finanze attraverso il primato degli investimenti internazionali e dei mercati finanziari e a danno degli investimenti nazionali e produttivi. Viene anche messa in risalto la deregolamentazione del mercato del lavoro e la privazione delle imprese pubbliche. Secondo Plihon [2001: 31], queste riforme colpiscono soprattutto il mercato del lavoro e il sistema finanziario, comportando importanti mutamenti nel rapporto salariale. Ciò è accaduto in maniera tale che, già a partire dagli anni ’70, si è potuto assistere al “disgregarsi della condizione salariale”, in cui “la centralità del lavoro era brutalmente messa in questione” [CASTEL, 1995: 385].

In questa nuova situazione la teoria della società salariale ci servirà come riferimento per capire l’avvento della società salariale post-fordista (e della globalizzazione) nel quadro del nuovo regime d’accumulazione. Pertanto, saranno esaminati, in maniera sintetica, i due seguenti approcci: il “capitalismo patrimoniale”, segnato dall’innovazione finanziaria [ORLÉAN, 1999; BRUNHOFF et al., 2001; GADREY, 2000] e il “capitalismo cognitivo”, segnato dall’innovazione scientifica e tecnologica [VERCELLONE et al., 2001].

4. La new economy: i due approcci del nuovo capitalismo

Questi due approcci sono stati formulati nel periodo delle innovazioni più evidenti della “new economy” americana, come l’azionariato dei lavoratori e lo sviluppo di nuove tecnologie per l’informazione e la comunicazione (NTIC). Queste evidenziano l’arrivo di una nuova “grande trasformazione” [POLANYI, 1983] del capitalismo, o meglio, di una rivoluzione incoraggiata dall’evoluzione attuale del progresso tecnico. Nella teoria del capitalismo patrimoniale, l’elemento decisivo s’incontra nel primato dell’innovazione finanziaria nelle imprese [AGLIETTA, 1995;1998]. Questo primato significa che la creazione e l’accumulo di ricchezze sono soggette al capitale finanziario. In questa maniera, il capitalismo patrimoniale diventa un “regime d’accumulazione in prevalenza finanziario”, costruito in un contesto in cui il potenziale potere regolatore delle istituzioni (sia attraverso lo Stato, sia attraverso le negoziazioni collettive), in relazione ai conflitti di classe, diventa sempre più fragile. Il capitale infatti, attraverso misure di liberalizzazione dei mercati finanziari e di deregolamentazione del mercato del lavoro, ha consentito una completa libertà di manovra, [CHESNAIS, 2001a]. Cosi nel cuore di questo regime

[...] si collocano le nuove forme di concentrazione del capitale-denaro (in primo luogo, i fondi pensione e i fondi d’investimento finanziario), i meccanismi per la cattura e l’accentramento dei frammenti di valore e di plusvalore e infine le istituzioni che garantiscono la sicurezza politica, ma anche finanziaria, delle operazioni d’investimento finanziario” [CHESNAIS, 2001b: 46].

In questo contesto si assiste allo sviluppo di nuove forme di gestione delle imprese, particolarmente evidenti nei rapporti tra azionariato, dirigenti e salariati. Il corporate governance basato su un nuovo modello di finanziamento delle imprese (capitale-rischio) fa sorgere un nuovo metodo di remunerazione per i salariati (azionariato dei lavoratori) e per i dirigenti (stock options). Così da un lato le imprese ottengono finanziamenti attraverso il “capitale-rischio” che consiste in risorse raccolte attraverso fondi specializzati per le imprese e gli investitori istituzionali e particolari. Queste risorse sono trasformate in azioni quotate nei mercati finanziari, il che “permette ai fondi del capitale-rischio di essere ritirati, assicurando così la liquidità dei loro investimenti” [ARTUS, 2001: 17). Dall’altro lato i salariati, poiché investono il loro diritto alla pensione in fondi pensione, si trasformano in azionisti, determinando un nuovo compromesso tra capitale e lavoro. Così,

i salariati/azionisti si trovano in una situazione ’schizofrenica’: infatti mentre da salariati desiderano avere un aumento del salario e garantirsi il mantenimento del posto di lavoro, da azionisti desiderano un rendimento massimo per i loro risparmi, il che significa sovente una riduzione dei costi salariali per l’impresa [...]” [PLIHON, 2001: 83].

Questo tipo d’investimento non offre nessuna garanzia agli azionisti. Il rischio di una caduta delle borse rimane sempre presente e con il crollo delle quotazioni in borsa, può accadere anche che crollino le rendite future dei salariati. Da un lato il sistema pensionistico per ripartizione che prevale durante il periodo fordista, è poco a poco sostituito dal sistema di fondi pensione, ossia dal pensionamento capitalizzato. Dall’altro “[...] l’incremento del risparmio salariale investito in azioni contribuisce anche al nuovo dispositivo, che aumenta la dipendenza dei salariati al variare dei risultati dell’impresa e della congiuntura economica [...]” [BRUNHOFF, et al., 2001: 58] In questo regime, le frontiere tra classi diventano imprecise, poiché i lavoratori hanno accesso ad una parte del capitale delle imprese in cui lavorano [op. cit.: 55]. Quindi la proprietà del capitale diventa anche dei salariati.

Ora nella teoria del capitalismo cognitivo, l’elemento decisivo riguarda le innovazioni legate al primato, nella “new economy”, delle attività intellettuali. Ossia, nel capitalismo cognitivo, il potere risiede nelle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione (NTIC), così come nel ruolo sempre più centrale della conoscenza e del sapere. Pertanto il capitalismo cognitivo è fondato sulla “[...] esplorazione sistematica della conoscenza e delle nuove informazioni” [PAULRÉ, in AZAIS et al., 2001: 10].

Mentre si osservano una serie di trasformazioni tecnologiche nell’industria e la crescente integrazione d’attività terziarie e conoscitive in seno alle attività produttive, si favorisce l’aumento del lavoro “indipendente”, “atipico” e “autonomo”. Le caratteristiche di questo tipo di lavoro sono difficilmente percettibili dal punto di vista organizzativo e normativo, cosicché, in funzione della centralità della conoscenza e dell’innovazione, queste diventano sempre più difficili da misurare [FUMAGALLI, in AZAIS et al., 2001: 116]. Aldilà di questo, lo sviluppo delle NITC ha contribuito

al confronto a tempo reale tra offerta e domanda, tanto da permettere una estensione e una razionalizzazione evidente dei mercati finanziari globalizzati. Il capitale produttivo si trova così sotto la sua stretta dipendenza: la sua capacità di seguire a tempo reale le variabili della produzione, esacerbando l’ottenimento immediato di lucro, obbliga a produrre e a diminuire i costi, provocando come conseguenza la ricerca della flessibilità del processo di lavoro e degli impieghi” [BARBIER & NADEL, 2000: 72].

Il nuovo modello di crescita, ottenuto secondo quanto esposto sopra, è decisivo nella formazione della nuova società salariale post-fordista. Gli effetti nocivi che riguardano il rapporto salariale del post-fordismo sono più forti quando si analizza il rapporto capitale/lavoro femminile.


 [2] [3]


[1] “Perché qui il salariato è il modo prevalente d’esistenza sociale e che in funzione del trovarsi escluso implica una serie di effetti, il cui accumulo dimostra un’esclusione della stessa società” [PISANI-FERRY, 2000: 59].

[2] Sul RTT, vedere Gubian e Passeron [in TRONQUOY, 2001: 81-87].

[3] Per maggiori informazioni sul PROGER vedere Tomei [in OIT & MTE-BRASIL, 1999: 325-357].