Rubrica
Tendenze della competizione globale

Copyright - Gli articoli si possono diffondere liberamente citandone la fonte e inserendo un link all'articolo

Autore/i

Marcos Costa Lima
Articoli pubblicati
per Proteo (3)

Prof.Dr. del Programma di Dottorato in Scienze Politiche dell’Università Federale di Pernambuco-Recife-Brasil. Attualmente compie studi di post-dottorato presso l’Università di Parigi XIII-Villetaneuse

Argomenti correlati

America Latina

Brevetti

Globalizzazione

Nella stessa rubrica

Il dominio dei brevetti e la globalizzazione diseguale
Marcos Costa Lima

Quando gli americani propongono il libero scambio
Claudio Jedlicki

 

Tutti gli articoli della rubrica "Tendenze della competizione globale"(in tutti i numeri di Proteo)


Home
Autori
Rubriche
Parole chiave

 

 

 

Il dominio dei brevetti e la globalizzazione diseguale

Marcos Costa Lima

Il ritardo tecnologico e le possibilità di sviluppo in America Latina attraverso il mercosud: opportunità in scienza e tecnologia

Formato per la stampa
Stampa

2. Politica dei Brevetti, Farmaci, Biotecnologia, Biodiversità

2.1 Appunti storici

Il primo documento internazionale [1] di protezione delle invenzioni è datato 20 marzo 1883, quando a Parigi, 11 paesi, incluso il Brasile, crearono l’Unione Internazionale per la Protezione della Proprietà Industriale, dando origine alla Convenzione di Parigi che, da allora, è stata rivista sei volte. L’ultima revisione è stata realizzata a Stoccolma nel 1967 e ratificata dal Brasile secondo il decreto n° 1263 del 10 ottobre 1994.

La Convenzione di Parigi ha consacrato quattro grandi principi, che costituiscono i punti fondamentali che i sottoscriventi si impegnavano a rispettare:

I il diritto dell’inventore, nazionale o straniero, di registrare la sua invenzione ed usufruire conseguentemente dei privilegi relativi alla sua utilizzazione;

II l’equivalenza dei diritti dell’inventore straniero, posti allo stesso livello di protezione assicurato agli inventori nazionali;

III il diritto di “priorità”; che gode il richiedente di un brevetto per avere, per il periodo di un anno, precedenza in altri paesi in relazione a richieste che vengano presentate da altri;

IV il “principio di indipendenza” tra i brevetti concessi in diversi paesi per uno stesso processo o prodotto.

La decisione brasiliana di non riconoscere più brevetti di prodotti chimico-farmaceutici è datata 1945, alla fine del governo Vargas. Nel 1969, anche durante il governo Costa e Silva non venivano riconosciuti i brevetti relativi a processi nello stesso settore. Le due esclusioni vennero confermate dal Governo Médice, nel 1971. Decisioni simili vennero prese da Giappone, Italia, Svizzera, Canada, negli anni ’70 e non si scontravano il protocollo della Convenzione di Parigi.

L’ambasciatore Paulo Nogueira Baptista, che era a capo della delegazione brasiliana nel GATT tra il 1983 ed il 1987, spiega che l’adesione alla Convenzione di Parigi non rappresentava la rinuncia del paese su aspetti sostanziali e processuali, come i seguenti: i) definizione di cosa è un brevetto; ii) l’estensione dei privilegi concessi per il brevetto; iii) la definizione delle aree soggette a brevettabilità; iv) la durata di protezione assicurata dai brevetti; v) l’obbligo del registrante di sfruttare economicamente il brevetto ottenuto; vi) le sanzioni a cui è soggetto il registrante per abuso di potere economico nell’esercizio dei privilegi conferiti per il brevetto; vii) le sanzioni a cui sono soggetti i terzi, per l’infrazione dei privilegi concessi per un brevetto (Tachinardi, 1993).

Vari autori informano che, malgrado il rifiuto del governo brasiliano di brevettare prodotti e processi nel settore chimico-farmaceutico, queste misure non furono sufficienti a stimolare la sostituzione delle importazioni attraverso l’attivazione di industrie di capitale nazionale nel settore (Barbosa, 2001); (Tachinardi, 1993).

“Nel nostro paese, l’assenza di protezione del brevetto (dei farmaci) non ha inibito l’investimento straniero, (...) che è arrivato a dominare il 90% delle attività delle imprese del ramo, evidenziando una de-nazionalizzazione ineguagliabile per qualsiasi altro ramo dell’industria di trasformazione” (Barbosa, op. cit. p.95).

Lo stesso autore presenta un quadro abbastanza utile in relazione ai paesi sviluppati e periferici che hanno iniziato a proteggere con i brevetti il settore farmaceutico, soprattutto a partire dalla fine degli anni ’60.

Per Barbosa, il progresso scientifico negli anni ’70 e la nascita dell’ingegneria genetica, aprendo grandi possibilità tecniche alla produzione di medicinali, ha finito per rinnovare l’industria farmaceutica mondiale e farle aumentare gli investimenti e recuperare gli interessi. Questo processo ha sospinto il mutamento nel quadro della legislazione dei brevetti, principalmente nel continente europeo.

Maria Helena Tachinardi, che aveva pubblicato “A Guerra das Patentes”, trattando dei conflitti tra i governi brasiliano e nordamericano in relazione alla proprietà intellettuale, afferma che tra il 1970 ed il 1990 in Brasile, gli Investimenti Diretti Esterni (IDE) nell’area della chimica crebbero di quasi otto volte e, in relazione alla farmaceutica, di 13 volte, oltrepassando gli IDE in altri settori industriali. Il fatto rafforza l’argomentazione che, anche senza un regime per i brevetti, gli investitori stranieri non si sentirono disincentivati ad impiantarsi in Brasile. Gli USA accusano il Brasile di non rispettare l’articolo 27 del TRIPs, quando la legislazione brasiliana decise di istituire lo strumento legale che prevede la possibilità della licenza obbligatoria ai brevetti (art. 28), con la convinzione che la sua legge non andava contro l’accordo internazionale [2].

2.2 La licenza obbligatoria, i generici, l’AIDs e la biodiversità.

Le nuove regole di proprietà industriale nel paese, attraverso la legge 9.279/96, vennero elaborate in conformità con l’Accordo Internazionale sulle Trips, firmato dal Brasile e da più di 123 paesi il 15 aprile 1994 (Barbosa, op. cit: 113). È risaputo che l’Accordo delle Trips è il risultato delle pressioni nordamericane [3] sui diversi gruppi di paesi, con l’intento di rafforzare la proprietà industriale. Gli USA promossero una denuncia (un comitato di indagine) nell’organo di soluzione delle controversie dell’OMC il 19 gennaio del 2001, contro la disposizione della legge di proprietà industriale brasiliana (art. 68, paragrafo I, 1) che esige lo sfruttamento dell’oggetto brevettato sul territorio brasiliano. Il punto nevralgico della questione è stato il Programma Contro l’AIDS, sviluppato dal Ministero della Salute, che minacciava di licenza obbligatoria i medicinali Nelfavinir e Evabirenz, dei laboratori Roche e Merck, utilizzati nel cocktail che combatte la malattia. La legge 9.279/96, esigendo lo sfruttamento del brevetto nel paese (local working requirement) da parte dell’impresa detentrice, la obbliga in caso contrario a concedere licenza di produzione a chi la faccia realmente, pena la perdita dei diritti di esclusività.

Il Brasile lancia ancora la Legge dei Medicinali Generici (l. 9.787/99) ed emana due misure legali nel campo della proprietà industriale, regolamentando la legge 9.279/96, soprattutto rispetto all’area dei medicinali. Il decreto n°3.201, del 6/10/1999, regola la concessione ex-officio della licenza obbligatoria, in casi di emergenza nazionale e di interesse pubblico, regolamentando l’articolo 71 della Legge 9.279/96. Per il decreto, l’emergenza nazionale o il pericolo pubblico comprendono i fatti relazionati alla salute pubblica, alla nutrizione, alla difesa dell’ambiente, e quelli importanti per lo sviluppo tecnologico o socio-economico del paese (Scholze, 2001, p.53).

Il mercato dei generici [4] in Brasile è stato possibile solo grazie all’introduzione degli strumenti legali, in primo luogo, ma anche per le pressioni della società civile, che si è associata agli interessi dell’industria nazionale privata, che oggi è leader non solo della produzione, ma anche della ricerca e della commercializzazione. La produzione e la commercializzazione dei medicinali sostitutivi è comune nei paesi industrializzati. Solo negli Stati Uniti il 72% delle ricette mediche corrisponde a medicinali generici. La OMS difende la loro diffusione come strategia per la riduzione dei prezzi. Anche in questo campo la concentrazione è molto grande; gli Stati Uniti, il Giappone e la Germania rappresentano il 60% di questa produzione mondiale. Il grande interesse per i generici, afferma Fonseca, è che il mercato mondiale cresce in media dell’11% l’anno, inoltre si prevede che una cifra considerevole investita nei brevetti di medicinali scadranno nei prossimi anni, ma anche l’aumento dell’aspettativa di vita e dell’invecchiamento della popolazione mondiale, con l’aumento delle malattie croniche, innalza le spese pubbliche nel settore della salute (Fonseca, 2001: 198).

Il governo brasiliano commise il grave errore, in relazione alla legge delle licenze, di concederne più di quello che la Convenzione dell’Unione di Parigi e l’Accordo dei Trips esigevano e, secondo Celso Campilongo, ha intaccato l’interesse nazionale e pubblico, ampliando in questo modo, i diritti privati e limitando gli obblighi sociali, che sono di prassi nelle legislazioni dei paesi sviluppati. E per quanto riguarda i titolari dei diritti, va rilevato che i non residenti, sono più favoriti dei titolari nazionali. Da lì l’esser stata chiamata Trips-plus, per aver concesso più diritti e meno salvaguardia di quanto stabilito nell’Accordo suddetto. Per esempio, la nuova legislazione ha eliminato tutte le restrizioni relative alla rimessa delle royalty fisse. Il fatto si spiega con la riduzione dell’intervento dello Stato nel settore e, di conseguenza, con i tentativi di aumentare il livello degli investimenti diretti esterni. L’autore conclude che l’adozione della legge dei brevetti da parte dei paesi periferici, molto più che un’alternativa al progresso tecnologico, consiste in un meccanismo per evitare rappresaglie internazionali. Indebitati in dollari, questi paesi subiscono pressioni per cedere in regolamentazione ed autonomia, in un trade-off perverso, che penalizza sia i consumatori sia la sovranità, rendendo difficile la possibilità di sviluppo autonomo in R&S, aumentando l’evasione fiscale in valuta e riducendo il livello di occupazione.

L’industria farmaceutica è un settore estremamente oligopolizzato, dove circa 50 imprese controllano l’80% del mercato mondiale dei farmaci [5]. La ricerca nel settore è concentrata in sette paesi (Usa, Giappone, Inghilterra, Germania, Svizzera, Francia e Italia) nei quali si convoglia l’80% degli investimenti in R&S dell’area. È un settore che muove 170 milioni di dollari all’anno.

La questione della proprietà intellettuale, pertanto, non è nuova, ma con la trans-nazionalizzazione dei mercati e la conversione della scienza in fattore privilegiato di produzione, acquista una nuova dimensione. Secondo il sociologo portoghese Boaventura de Souza Santos (1989), le ricerche considerate promettenti in termini di possibilità commerciali, saranno mantenute segrete, come modo per preservare i vantaggi competitivi dell’impresa, e i risultati saranno resi pubblici solo quando la registrazione del brevetto venga garantita. In questo senso la rivoluzione multimediale è servita come pretesto alle multinazionali perché lanciassero un ciclo generale di revisione del diritto di proprietà intellettuale, iniziato nel 1976 con la revisione della legge sul diritto di autore (Copyright Act) negli Stati Uniti [6]. Anche in Europa l’appetito giuridico è evidente nella direttiva sulle Banche Dati (96/9/CE, del 11 marzo1996) e sulla protezione dei programmi informatici (91/250, del 14 maggio 1991) e ancora nella OMC con le TRIP (Accordo sui diritti della proprietà intellettuale). Prima di questo accordo, la Cina, l’Egitto, l’Argentina e l’India riconoscevano i brevetti sui procedimenti farmaceutici, ma non sui prodotti finali, cosa che permetteva loro la fabbricazione locale dei medicinali generici, che avevano costi considerevolmente minori. Le Nazioni Unite attraverso il PNUD affermavano, in maniera comparativa nel 1999, che il prezzo dei medicinali era 13 volte più alto in Pakistan piuttosto che in India, perché quel paese accettava il brevetto sul prodotto.

La vera tragedia che rappresenta oggi l’Africa del Sud, con i suoi 22 milioni di malati di AIDS, 65% delle persone sieropositive nel mondo, dimostra l’abuso e la crudeltà dei laboratori farmaceutici multinazionali, che insistono nella difesa dei loro brevetti, lasciando senza trattamento, per la restrizione del prezzo, la grande maggioranza degli ammalati.

La discussione sui prezzi dei farmaci e i diritti di licenza è arrivata all’apice quando il governo dell’Africa del Sud riuscì, per tre anni, a rompere il muro di resistenza delle multinazionali dei farmaci che producono medicine contro l’AIDS, come Bristol-Meyers, Glaxo, Merck, Boehringe [7], soprattutto europee e nordamericane.

Il portavoce della Federazione Internazionale dell’Industria [8] di Medicinali ha affermato che le leggi sudafricane avevano creato un “pessimo precedente” che poteva minacciare la protezione dei brevetti nel mondo, pericolo che poi si poteva disseminare nei paesi della periferia.

Si osservi nel quadro 2 la differenza nel prezzo annuale a persona in dollari, di una sostanza per il trattamento dell’AIDS, negli Stati Uniti, in Africa (prezzo offerto dai detentori di brevetto), ed in due laboratori indiani:

Il reddito medio annuale degli Stati Uniti è valutato in 35 mila dollari all’anno, quando in Africa lo stesso reddito è inferiore a US$ 350 per persona all’anno. Quindi, il cittadino africano non potrà mai pagare un trattamento che costa 10 volte ciò che guadagna tutto l’anno. Significa morire o morire.

In tutta questa polemica, argomenti come quello dell’economista Jeffrey Sachs (2001), che propone la definizione di prezzi differenziati dei medicinali per i paesi ricchi e poveri, mantiene la logica dell’assistenzialismo e della carità, ma non propone di alterare ciò, che lui stesso chiama “gallina dalle uova d’oro”, che rappresenta il sistemi dei brevetti o licenze. Anche la soluzione è ipocrita, perchè è risaputo che queste grandi multinazionali stanno cedendo i loro diritti di proprietà solo momentaneamente, soprattutto perché si tratta di una malattia che è fatale in breve tempo e, in certa misura, ha richiamato l’attenzione dell’opinione pubblica mondiale, rivelando peraltro la violenza interna al sistema. Infine, queste imprese non sono affatte disposte a cedere parte sostanziale delle loro percentuali sui medicinali, che non sono così urgenti come quelli per l’AIDS, ad esempio gli antibiotici, gli anti-ipertensivi o gli anti-infiammatori.

La ricerca scientifica patrocinata dai governi per un determinato numero di malattie, soprattutto quelle che colpiscono i paesi della periferia, sarebbe una misura di giustizia mondiale facilmente applicabile se venisse creato un “fondo globale di salute” partendo da una piccola percentuale imposta sulla vendita dei farmaci in tutto il mondo.

Ma l’AIDS non è l’unica minaccia ai poveri della periferia. I rimedi contro la meningite batterica, particolarmente attiva nei paesi del Sud, non sono stati più prodotti a partire dal 1995 dal gruppo Roussel Uclaf (che si fuse con la Hoescht nel 1997). La molecola attiva contro la leishmaniosi, che causa serie lesioni cutanee e porta alla morte, è stata messa fuori produzione per ragioni di basso ritorno degli investimenti. Il dottor Bernard Pécoul, della ONG Medici Senza Frontiere e coordinatore del progetto-farmaci, osserva che delle 1.223 molecole poste in vendita tra il 1975 ed il 1997, solo 143 erano per le malattie tropicali. E solo 5 tra queste erano prodotti della ricerca veterinaria (Bulard, 2000). È preoccupante verificare che 4/5 delle spese mondiali per la salute servono solo a 1/5 della sua popolazione.

A partire dal 1994, con le creazione dell’Organizzazione Mondiale del Commercio e delle Trips in linea di principio diviene impossibile produrre un medicinale, o di comprarlo all’estero senza autorizzazione (esborso in royalty fisse) del proprietario dell’invenzione, che conserva questo privilegio per 20 anni. Tuttavia, in seguito alla pressione esercitata dalla Spagna e dal Canada, la situazione ammetteva clausole di eccezione: 1) in caso di urgenza nazionale; 2) quando il proprietario smette di produrre un medicinale per più di tre anni. In questi casi, qualunque governo poteva ricorrere alla “licenza obbligatoria”, e alle importazioni parallele. Le prime danno la possibilità di ricorrere ai medicinali generici, senza necessità di accordo dell’inventore e, le seconde, rendono possibile l’acquisto del medicinale dove fosse più economico.

Il deposito del brevetto, pertanto, torna ad essere una questione centrale e decisiva nell’ambiente scientifico mondiale, poiché quando la biodiversità viene associata ad una mercanzia, si impone una presa di posizione etica. Si sa oggi che ci sono da cinque a dieci volte più informazioni sui genomi nelle Banche Dati private, di accesso ristretto e a pagamento, che quella di dominio pubblico, di libero accesso. L’utilizzazione dei brevetti e i costi esorbitanti delle licenze, impediscono che medici e laboratori medici effettuino test genetici, limitano l’accesso ai trattamenti, riducano la qualità e aumentino i costi sperimentali. Questo processo è andato nel senso di una monopolizzazione di ciò che è vivo, attraverso la confisca di diversità genetiche da parte di un pugno di imprese. È forse il pericolo maggiore attualmente vissuto dall’umanità, vedere instaurarsi ufficialmente un’associazione tecnologica e finanziaria dei paesi ricchi, una sorta di G8 dei medicinali, che decide il livello delle ricerche, il lancio di questo o di quell’altro prodotto. Il corso degli eventi sta accentuando ancora di più gli squilibri tra paesi ricchi e poveri, per cui alcuni avranno il diritto di accesso alle terapie di punta, dispendiose e protette da diritto d’autore, gli altri potranno solo utilizzarle dopo 20 anni, quando scade il brevetto, oppure rischieranno di essere esposti ai prezzi a livello di estorsione dei medicinali. È per queste e altre ragioni che la ONG Medici Senza Frontiere si sta battendo per decretare che le ricerche sul genoma umano e sulla biodiversità siano configurate come beni pubblici mondiali.


[1] L’approccio storico della proprietà intellettuale è parte della dottrina monopolistica. In questo senso si veda l’eccellente lavoro, ancora poco conosciuto di Maria Stela Pompeu Frota (1993), che presenta la preistoria e la storia recente della proprietà intellettuale, ritornando alla Venezia del 1474, con lo Statuto Veneziano che garantiva privilegi di dieci anni per gli inventori di nuove tecniche e macchine.

[2] L’industria farmaceutica degli USA non pensa di tornare indietro sulla valutazione nella problematica della legge dei brevetti del Brasile nell’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC). Negoziatori brasiliani riconoscono che la contestazione degli USA non include solo i farmaci. L’attacco che fanno all’articolo 68 della Legge di Proprietà Industriale brasiliana, che tratta della licenza obbligatoria, può riguardare politiche altre, come quella della salute, della nutrizione, della tecnologia. In: Assis Moreira (2001), Gazeta Mercantil, 23 Aprile, p. A-19.

[3] Dal 1980 fino alla firma del Brasile per l’Accordo delle Trips, il paese subì delle sopratasse su diversi prodotti dal governo nordamericano-acciaio, scarpe, succo di arancia, tessuti, tra gli altri.

[4] Il mercato dei generici in Brasile conta appena 217 principi attivi disponibili, fabbricati in 33 laboratori e rappresenta solo il 5% del volume di rendita dell’industria farmaceutica che, nel paese, smuove R$ 12 miliardi (circa 4 miliardi di euro (Jornal do Comércio, 16/05/2002: “Genérico pode variar até 223,65%”).

[5] La partecipazione nel settore farmaceutico dell’America latina in tutto il mercato mondiale era di 2,4% nel 1970, è passato al 2,0% nel 1980 ed è caduto allo 0,8% nel 1989.

[6] Alcuni anni fa un’impresa editoriale degli USA avendo effettuato una certa codificazione nella Costituzione Federale, relazionando la terminologia di famosi casi di diritto penale, aveva sollecitato la propria licenza.

[7] Il guadagno di queste imprese è fantastico, quando si calcola che una terapia-tipo con medicinali anti-AIDS costa intorno ai US $ 10 mila per paziente all’anno, nei paesi ricchi, quando il costo di produzione di questi medicinali varia da US$ 300 a US$ 500 all’anno per ogni cocktail di tre.

[8] IP Magazine, 1999, set. “Triping over Trips”, Mike Mckee. San Francisco.