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Osservatorio sindacale internazionale

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Brasília Carlos Ferreira
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Professoressa del dipartimento di scienze sociali dell’Universidade Federal do Rio Grande do Norte (UFRN)

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Le traiettorie del sindacalismo brasiliano

Brasília Carlos Ferreira

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3. Il “Nuovo Sindacalismo”

Il ciclo di scioperi dei metalmeccanici che sarebbe entrato nella storia come il “nuovo sindacalismo”, si protrae, nella regione dell’ABC paulista, dal 1978 al 1985, inaugurando un nuovo periodo per il sindacalismo e per l’intera società brasiliana. Gli scioperi avvengono in un contesto di crisi economica, di compressione salariale e d’iniziale pressione per una politica di “apertura”. Spinto da rivendicazioni salariali e dalla necessità di miglioramenti nelle condizioni di lavoro, il movimento sfida il regime autoritario e finisce per diventare l’elemento decisivo per la fine della dittatura militare.

Questo movimento osa sfidare il potere autoritario spingendo i lavoratori, organizzati in commissioni e nuclei di gruppi di fabbrica, ad esternare le loro rivendicazioni e il loro scontento sulla pubblica piazza. Questi scioperi sono segnati da grandi innovazioni sul piano organizzativo: la partecipazione delle basi, i fondi per gli scioperi a livello nazionale, l’articolazione con i movimenti popolari e le organizzazioni di quartiere danno supporto ai lavoratori affinché resistano ai metodi repressivi del governo.

Il sindacalismo comincia a differenziarsi dai periodi precedenti assumendo caratteristiche di movimento di massa. Nelle campagne salariali, le assemblee realizzate nello stadio di calcio di Vila Euclides a San Bernardo raccolgono 60.000 lavoratori. Le celebrazioni per il Primo Maggio del 1980, segnate dalla tensione per gli scontri tra manifestanti e polizia militare, riuniscono 100.000 persone nel Paço Municipal di San Bernardo. Oltre ai lavoratori compaiono in queste manifestazioni le leadership politiche ed intellettuali dell’opposizione e i settori liberali contrari al regime militare.

Questa nuova generazione di sindacalisti, nel difendere un sindacalismo indipendente dallo Stato e autonomo rispetto ai partiti politici, mette le basi per un nuovo modello sindacale e per una nuova azione, diventando il protagonista principale della collettività. Mentre la crisi economica penalizza i lavoratori, la società intera si prepara a nuovi passi verso la democrazia. I metalmeccanici, nel pieno della loro recente riorganizzazione, puntano ad un sindacalismo di confronto che si esprima in un’intensa attività di scioperi. Gli scioperi continuano a segnare le campagne salariali degli anni seguenti e soltanto nel 1985 se ne contano 900. In questi scioperi, oltre alle dispute salariali, c’è un contenuto politico che esprime la necessità di un riscatto della propria dignità e di un desiderio d’affermazione dell’identità collettiva di fronte alla proprietà, al governo e alla stessa società.

Il movimento dei metalmeccanici dell’ABC, rafforzato dalla pressione di tutti quei settori ansiosi di vedere la fine della dittatura, persuade rapidamente tutta la società brasiliana. I vecchi sindacati cambiano il loro scenario attraverso la lotta delle opposizioni sindacali, per sloggiare gli “interventores” collocati dai governi militari alla direzione delle varie entità. La riorganizzazione dei lavoratori del settore privato stimola il movimento associativo delle cosiddette classi medie salariate che cominciano ad organizzarsi in sindacati. I funzionari pubblici, cui era stata proibita la possibilità d’accesso alla sindacalizzazione dalla legge del 1931, danno nuova vita alle loro vecchie associazioni, dotandole di pratiche sindacali. Sorsero anche i Movimenti Sociais Urbanos, sottoforma di Associações de Bairros, Conselhos Comunitários, Movimentos Contra a Carestia ecc. Tutta la società civile si organizza, cercando particolari forme per rivendicare quanto a lungo negato.

I funzionari pubblici portano all’interno dei sindacati importanti settori della burocrazia statale. In un paese dove l’accesso all’educazione era stato, da sempre, un problema per gli strati sociali più bassi, l’ingresso della classe media che include i professori della scuola pubblica, da ai sindacati la possibilità di arricchirsi con scambio d’esperienze concrete: il sapere implicito, con il sapere scolastico. I funzionari pubblici, ancor prima d’ottenere il diritto alla sindacalizzazione che arriva soltanto con la Costituzione del 1988, s’inseriscono nella dinamica sindacale dei lavoratori del settore privato, dando inizio ad una giornata di scioperi per motivi salariali e politici che avrà ripercussioni su tutta la società.

L’opposizione al “vecchio sindacalismo” designa un nuovo movimento. L’emergenza per un sindacalismo combattivo ed autentico attrae l’attenzione del pensiero accademico che forgia l’idea di rottura tra passato e presente, generando due temporalità diverse: “vecchio” e “nuovo” sindacalismo. Passato ormai del tempo, ad un’osservazione più prudente, si capisce che parte delle analisi, prodotte nell’entusiasmo della novità, colorano di tinte più forti il movimento nascente, oscurando le tracce importanti del sindacalismo precedente, che è invece parte integrante di quello rinnovato. Proprio riconoscendo che non c’è una rottura assoluta e neanche una continuità reale, gli studiosi affermano unanimemente che questo è stato un momento di flessione nella storia del sindacalismo brasiliano.

Il “nuovo sindacalismo” si distingue per la critica pratica alla legislazione sindacale precedente. In questa si ritrova una generazione giovane, vincolata a settori di punta dell’economia, che inaugura una nuova agenda, creando una diversa forma di relazione con lo stato, con la proprietà, e con l’insieme della società.

In termini ideologici il “nuovo sindacalismo” è composto di tre matrici differenti: quella sindacale, quella della chiesa popolare e quella della sinistra. Riunisce lavoratori senza esperienza di militanza politica, lavoratori vincolati al movimento della chiesa cattolica ispirata alla Teologia da Libertação e gli originari membri dei partiti tradizionali della sinistra e delle sue ramificazioni. Queste matrici si trovano unite sulla questione della struttura sindacale, e nel criticare le strategie in vigore nel periodo 1945-1964, il cui “cupulismo” subordinava il movimento sindacale agli interessi della borghesia nazionale.

In un contesto politico di ricerca di soluzioni istituzionali per il regime dittatoriale in crisi, i lavoratori s’impongono come elemento imprescindibile per il nuovo arrangiamento politico ed istituzionale che darà luogo al processo d’apertura politica del paese. Quest’inserimento si distingue da quello degli anni ‘30 in cui i lavoratori vengono accettati come interlocutori, purché si sottomettano alle imposizioni della legislazione che definisce i limiti della loro presenza e della loro azione. Inoltre, si distingue anche da quello del periodo 45-64, in cui i lavoratori subiscono l’esperienza di un inserimento soggetto alle ingiunzioni politico-partitiche dell’egemonia del PC. In questo nuovo contesto i lavoratori chiedono di poter sottoporre le proprie richieste e rendono effettive le loro pratiche in modo autonomo dal rapporto con lo Stato e in maniera indipendente dai partiti politici.

L’incontro all’interno del “nuovo sindacalismo”, tra l’area intellettuale e quella dei salariati è uno dei punti di partenza del processo che ha portato, negli anni a seguire, alla nascita della Central Única dos Trabalhadores (CUT) e alla fondazione del Partido dos Trabalhadores (PT), entrambi tributari di un’esperienza sindacale che, grazie all’introduzione di nuovi soggetti politici e di nuove pratiche nella sfera pubblica, ha provocato profondi cambiamenti nell’ambito pubblico brasiliano.

4. Dal “nuovo sindacalismo” al sindacalismo rinnovato

Con il ritorno del paese ad un regime democratico e con la rinascita di un movimento sindacale con una nuova configurazione politica ed organizzativa, in Brasile inizia la discussione sulla riforma dei rapporti di lavoro. Le proposte di cambiamento danno origine ai lavori della Costituente che si conclude con l’emanazione della Costituzione del 1988, anche detta “cidadã”. La nuova Costituzione accondiscende alle nuove richieste di libertà del diritto allo sciopero. Nel frattempo però mantiene due importanti pilastri di sostegno della vecchia struttura sindacale: l’unicità sindacale e l’imposta sindacale obbligatoria, dando al nuovo sistema sindacale brasiliano una forma che è l’espressione della coesistenza di tracce della vecchia struttura corporativa e aspetti di una nuova concezione. Esempio di ciò sono la pluralità sindacale al culmine della sua struttura attraverso le Centrais Sindacais e il mantenimento del monopolio della rappresentanza alla base del sistema, con un sindacato unico su base territoriale e suddiviso per categorie professionale.

Negli ultimi decenni l’intensa attività di ristrutturazione dei settori dell’economia è stata motivo di cambiamenti nel modello di gestione e regolamentazione del lavoro. La ricerca della competitività sui mercati globali ha comportato, come fattore determinante, la flessibilità del mercato del lavoro, favorendo ideali contrari alla regolamentazione statale e contrattuale della forza lavoro. Sebbene questa fosse la tendenza generale, la natura e la portata di questi mutamenti hanno cominciato ad essere discussi in ogni paese a partire da un insieme d’elementi intrinseci al particolare contesto dei rapporti di lavoro costituiti storicamente e sono il risultato di diversi arrangiamenti istituzionali, sociali e culturali. “Oltre alla pura forza di mercato il contratto di lavoro coinvolge sempre istituzioni formali ed informali che regolano l’insieme delle norme contrattate” (Pessanha e Morel, 1999).

Il tema della flessibilità dei rapporti di lavoro è applicato in ogni paese a partire dagli elementi di una cultura politica che si esprime negli accordi, nelle mediazioni e nel grado di sostegno e copertura della legislazione. In Brasile questo dibattito incontra una tradizione profondamente normativa ed interventista, limite fondamentale nei rapporti di lavoro nel paese. In maniera episodica, a partire dal contesto di democratizzazione degli anni ‘80, lavoratori, imprenditori e governo cominciano a dare prova della volontà di effettuare profondi cambiamenti nella legislazione, in materia di lavoro e di sindacati. Al centro di questa discussione si trova il ruolo dello Stato e il suo rapporto con il sistema di lavoro. Questo dibattito non si rifletterà soltanto sul rapporto tra Stato e lavoratori, ma definirà anche la posizione proposta a questi ultimi all’interno di un nuovo “patto” tra Stato e società.

Durante gli anni ‘90 i profondi mutamenti registrati nel mondo del lavoro raggiungono i sindacati brasiliani, portandoli verso una crisi dalla quale scaturiranno importanti trasformazioni del movimento sindacale erede del “nuovo sindacalismo”. Due decenni dopo essere diventato il “protagonista collettivo” più importante nella società brasiliana, questo sindacalismo, autore del rinnovamento della tradizione sindacale, deve scontrarsi con la necessità di cambiare ancora gli orientamenti e le pratiche, ridefinendo la sua stessa identità.

Il cambiamento strategico porta il “nuovo sindacalismo” a dare priorità alla negoziazione con la proprietà, a discapito del sindacalismo di confronto che lo aveva distinto. Il passaggio da un sindacalismo di confronto e conflitto ad uno di negoziazione genera un forte dibattito all’interno della CUT, rendendo protagonista la corrente minoritaria che si oppone alla direzione. Responsabile dell’introiezione nei gruppi di salariati d’una cultura sindacale aggressiva e conflittuale, l’esperienza sindacale di questi ultimi 20 anni si cristallizza come tradizione e mostra resistenza ai mutamenti che il nuovo quadro esige.

I mutamenti nell’azione sindacale si scontrano con la mancanza di una tradizione nella negoziazione della società brasiliana. In Brasile, la struttura sindacale aveva sostituito la negoziazione tra lavoratori ed imprenditori con la Justiça do Trabalho, come forma per evitare il conflitto. Il “nuovo sindacalismo” è stato responsabile della rottura di questo modello e della creazione di spazi politici ed istituzionali che avevano reso possibile la partecipazione dei sindacati alle negoziazioni. In questo scenario, caratteristico degli anni ‘80, con un’elevata inflazione e con una recessione delle attività produttive, un tipo di sindacalismo conflittuale che si esprimeva con grandi e numerosi scioperi, era stato decisivo per le negoziazioni. Questo quadro, con la crisi dell’impiego degli anni ‘90, è stato nuovamente e significativamente alterato rendendo il sindacato più fragile e riducendo il numero degli scioperi.

Il cambiamento di strategia, dal confronto alla negoziazione, sposta alcuni settori del sindacalismo al di fuori dei limiti delle rivendicazioni corporative, collocandoli in posizioni attive d’intervento sul piano più generale della società. Importanti gruppi del movimento sindacale brasiliano sono coinvolti in dibattiti sul sistema pubblico dell’Educazione e sul Programa de Qualificação Profissional. Questi partecipano a livello nazionale sia al Conselho Tripartite che gestiva il Fundo de Amparo ao Trabalhador (FAT) sia al Conselhos Estaduais. La presenza di gruppi sindacali ai Conselhos de Saúde a livello federale, statale e municipale, al Conselho Curador do FGTS e al Conselho de Administração do Banco Nacional de Desenvolvimento Econômico e Social (BNDES), evidenziano un sindacalismo in grado di intervenire nelle dispute sulla gestione dei fondi pubblici e sulla formulazione di politiche pubbliche che riguardano tutta la società.

Per quanto riguarda la CUT, la sostituzione del confronto conflittuale con la negoziazione e l’incorporazione di nuovi elementi nell’agenda sindacale, come l’enfasi posta dalla Central ai programmi di Qualificação Profissional, incontrano una forte resistenza dei gruppi oppositori. Queste correnti si oppongono a ciò che considerano una perdita di potere conflittuale della Central. Secondo questi, dando priorità al campo di formazione professionale, il CUT stava cambiando la propria identità e perdendo l’aggressività della sua origine classista, pregiudicando la sua formazione sindacale e politica, parte integrante del suo progetto strategico.

Parlare delle prospettive del sindacalismo brasiliano non è prudente, considerati il grado d’eterogeneità della sua organizzazione, la capacità d’azione, i concetti sindacali e la stessa importanza economica dei settori produttivi, sebbene appaia chiaro che, specialmente i gruppi del sindacalismo legati alla CUT, vivono attualmente una fase di transizione, nella forma e nel contenuto delle rivendicazioni.

All’inizio degli anni ‘90 l’agenda sindacale è stata modificata e attualmente possiamo identificare quattro grandi percorsi d’azione. Il primo riguarda azioni che cercano di dare una risposta alla sfida del cambiamento del piano di produzione e ai suoi effetti immediati nella crisi dell’impiego e nella tendenza al precariato nel lavoro. Un secondo sforzo è rivolto al dibattito sulla riforma della struttura sindacale e ai mutamenti nella legislazione sul lavoro. Un terzo fronte d’azione s’incontra nel tentativo di creare una nuova forma di struttura verticale e d’organizzazione nello spazio del lavoro, con l’obiettivo di rafforzare il rapporto tra le basi e la direzione.

Tuttavia è il quarto punto quello che ci richiama a maggiore attenzione, ossia l’attività in aree che non sono di competenza specifica dei sindacati. Gruppi sindacali della frangia della CUT, stanno sempre più uscendo dagli interessi corporativi delle categorie che rappresentano e intervengono in questioni riguardanti la società più in generale. Cercano collaborazioni con le prefetture in campagne che hanno lo scopo di eliminare l’analfabetismo, che propongono programmi per la costruzione di abitazioni popolari e per la partecipazione ai numerosi Conselhos Públicos. Inoltre, intervengono in campagne a difesa dei bambini e degli adolescenti, contro la discriminazione razziale, a favore dell’ambiente e nel conseguimento della parità tra i sessi. Questi cambiamenti nell’agenda sindacale sono stati motivo di grandi discussioni. Gli atti dei congressi mostrano l’insoddisfazione di alcuni gruppi per ciò che considerano una deviazione dalle funzioni proprie dei sindacati. La questione della cittadinanza è stata al centro di questi dibattiti, poiché legata all’agenda e alla dialettica sindacale.

5. Sindacati e Cittadinanza

In termini generali il quadro sindacale brasiliano somiglia a quello che si osserva a livello internazionale. L’aumento della disoccupazione, la competizione per il mantenimento del posto di lavoro, le tensioni con coloro che mantengono un impiego più o meno fisso, l’eterogeneità in ambito lavorativo, il crescente precariato, ostacolano la possibilità di una effettiva solidarietà e indeboliscono i sindacati. La disoccupazione colpisce direttamente il sindacato riducendo il numero di membri (anche potenziali) e la loro fiducia nella sua efficacia ed inoltre, poiché sussiste una chiara diversità di situazioni in coloro che lavorano, impedisce l’azione congiunta. L’attività sindacale è meno incisiva nei settori più precari del mercato del lavoro, con una bassa coesione e una ridotta capacità di negoziazione collettiva. Inoltre questa si riduce per diverse ragioni anche tra i lavoratori con maggiori qualifiche e capacità. Coloro che lavorano nel settore dei servizi privati, tendenzialmente in crescita, sono tradizionalmente meno inclini a aderire al sindacato.

Tuttavia l’attuale crisi del sindacalismo che riguarda tutta la cosiddetta società occidentale, ha un carattere generale il cui manifestarsi è però influenzato dalle peculiarità particolari e specifiche d’ogni formazione storica. Pertanto il paragone tra le diverse esperienze internazionali deve essere fatto con prudenza. Le traiettorie tracciate anteriormente dai protagonisti di ciascuna formazione sociale hanno dato luogo ad esperienze sindacali distinte, la cui specificità deve essere ricercata negli elementi unici ed irripetibili caratterizzanti la storia d’ogni società.

Pertanto, l’intensità della crisi così come le strategie usate dai sindacati per affrontarla, esprimono la specificità politico-sociale di ciascuna società. Questa constatazione ci porta a riflettere sull’importanza storica del sindacato in Brasile, come maestro di cittadinanza. In Brasile la crisi sindacale sembra rivestirsi d’altri contenuti e significati. Le ricerche che abbiamo realizzato dimostrano che per la gran parte dei lavoratori, specialmente quelli con un livello basso di educazione scolastica e minori qualifiche, il sindacato sembra un luogo dove, per la prima volta si acquistano le nozioni di diritti e doveri, dove si vivono concretamente ideali di appartenenza e sentimenti di esistenza collettiva e sociale.

Storicamente si può costatare che in Brasile la conquista della cittadinanza [i] per i gruppi salariabili appare fortemente legata alla questione del lavoro. L’inserimento nel mercato del lavoro formale in Brasile serve da porta d’ingresso per ciò che può essere definito come il processo di costruzione della cittadinanza nazionale: condividere diritti e doveri garantiti, la cui esistenza è più percettibile in un contesto di lavoro formale. Il mercato del lavoro brasiliano si caratterizza per la coesistenza tra un mercato formale ristretto contraddistinto da bassi salari, da un fragile vincolo impiegatizio e da una forza lavoro poco qualificata e un immenso mercato del lavoro atipico fuori d’ogni inquadramento legislativo.

D’altro canto, in un paese in cui il lavoro, in particolare quello non qualificato, è valorizzato negativamente, l’associazione tra cittadinanza e lavoro ha diverse implicazioni che devono essere considerate. La sfida posta ai settori salariati è stata la formazione di un’identità di lavoratore, dove l’elemento che la identificasse - il lavoro - si riempisse di una forte carica negativa. Ostacolata nella sua realizzazione sul piano più generale della società quest’identità sarà cercata all’interno del movimento associativo. I sindacati sono riusciti a dare ai lavoratori una condizione d’autocoscienza e un contorno alla loro esistenza sociale.

Per spiegare questa specificità, alcuni autori (Bonfim, 1996; Cândido, 1987) identificano un certo “male originario” nella formazione delle classi lavoratrici brasiliane. Per queste l’esperienza storica della presenza del lavoro forzato degli schiavi, accanto al lavoratore libero avrebbe segnato negativamente l’incipiente processo d’industrializzazione capitalista e quindi i rapporti sociali nel lavoro: la dignità dei braccianti e dei manovali, a modo di vedere di tali autori avrebbe avuto la sua origine, secondo l’immaginario collettivo brasiliano, da una certa contaminazione del lavoro libero, capitalista, da parte di quello degli schiavi.

Riflettendo sugli elementi che sono alla base della nostra eredità sociale elitaria ed esclusivista, Antônio Cândido, afferma che (...) “in quest’eredità coloniale, il tratto più funesto è il conservatorismo” che “non si può dire ostinato, per essere in gran parte incosciente ma che si può chiamare conservatorismo essenziale, più affettivo che intellettuale” (Cândido, 1990; 27).

Il pensiero di questi autori ci sembra sufficientemente suggestivo da dover considerare gli ostacoli nel nostro paese per l’incorporamento dei lavoratori nell’ambito pubblico. La storia politica brasiliana ha dimostrato largamente la presenza di uno spazio pubblico ridotto, delineato da protagonisti individuali e collettivi oriundi e/o rappresentanti delle elite di proprietari. In Brasile, paese la cui vita politica è stata storicamente segnata dall’emarginazione sociale e dalla dominazione politica, dove la cittadinanza e la democrazia si presentano come un processo caratterizzato da fragilità e da discontinuità, i sindacati, più che in altri paesi, hanno avuto e hanno tuttora, a nostro giudizio, un ruolo civilizzatore (Ferriera, 1997).

Le peculiarità della cultura politica brasiliana, danno un nuovo valore al sindacato attribuendogli lo stato d’unica entità pubblica dove i lavoratori possono esercitare la loro pluralità attraverso l’azione e il dialogo. (Arendt, 1988). Questo sindacato ridimensionato guadagna un’importanza centrale nella laboriosa costruzione della nostra democrazia. All’interno della profonda eterogeneità che caratterizza il sindacalismo brasiliano, possiamo identificare una specie di smembramento per ciò che (in mancanza di un nome) si potrebbe chiamare sindacalismo “cittadino”. In un paese con indici perversi di concentrazione dei redditi che nega ad ampi settori della popolazione l’accesso a beni essenziali come la salute, l’educazione, l’alloggio, questo sindacato rinnovato sembra stia occupando quello spazio che le elite e il governo si sono rifiutati di occupare. Stiamo assistendo ai primi segni di cambiamento del sindacato come espressione esclusiva degli interessi delle categorie di lavoratori, verso un sindacato depositario delle richieste d’ampi settori della società, ossia un “sindacato-cittadino” o un “sindacato dei cittadini”?


[i] Ndt: Come viene successivamente spiegato, per “cittadinanza” s’intende l’insieme dei diritti che, anche tramite il lavoro, devono essere garantiti a tutta la società.