Ancora una riforma delle pensioni tra crisi fiscale e attacco al salario
Vladimiro Giacché
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3. La fiscalità come forma della lotta di classe
Una cosa, dunque, è chiara: si fa la controriforma
delle pensioni perché quello che si doveva fare in campo fiscale non è stato
fatto. Ciò, però, non è avvenuto per caso o per incapacità del
Governo: al contrario, si tratta di una politica che rispecchia precisi
interessi di classe. Perché il problema della fiscalità non è una
questione di carattere morale: è invece una delle forme storicamente più
efficaci assunte dalla lotta di classe nel nostro Paese.
In Italia è rovesciato il principio costituzionale
secondo cui i cittadini debbono pagare le tasse “in ragione della loro
capacità contributiva” e con un sistema tributario “informato a criteri
di progressività” (art. 53 della Costituzione). Nel nostro Paese -
caso unico tra le nazioni a capitalismo avanzato - il gettito proviene infatti
in misura quasi esclusiva dal lavoro dipendente. Mentre i padroni (ma
anche le grandi corporazioni professionali e la grande maggioranza dei
lavoratori autonomi) le tasse semplicemente non le pagano. Questo è quanto si
ricava dal rapporto della Corte dei Conti sul 2002: tra le grandi imprese
controllate si è scoperto che ben il 98,38% [sic!] evadeva il fisco; il dato
medio di evasione (sui 694.300 controlli effettuati dal fisco nel 2002) è
invece “appena” dell’87,98%. [i] Ovviamente questi dati si riferiscono a tutti coloro a cui le
tasse non sono prelevate direttamente dalla busta paga - ossia a tutti coloro
che non sono lavoratori salariati.
A questo riguardo il Governo Berlusconi non ha fatto che
portare alle estreme conseguenze le caratteristiche di fondo del sistema
fiscale italiano. Lo ha fatto con la riforma dell’IRPEF, che nella sostanza
cancella il principio della progressività delle imposte e penalizza il 75%
dei lavoratori italiani, favorendo il 15% che percepisce redditi più alti.
[1] Ma lo ha fatto anche in molti altri modi. Ad esempio,
cancellando le tasse di successione. Consentendo il rientro dei capitali
esportati illegalmente (per lo più evasione fiscale mascherata) dietro il
pagamento di un obolo ridicolo - e il 10-15% di questi capitali sono già
tornati all’estero. [i] Inventandosi condoni fiscali a ripetizione,
grazie ai quali la pratica dell’evasione è stata di fatto premiata, in
virtù del fatto che l’importo per “mettersi in regola” è del tutto
sproporzionato all’entità dell’evasione: ad esempio, la Fininvest ha
versato al fisco 35 milioni di euro per avere il condono su oltre 190 milioni
di evasione. [i]
Il risultato di questi incentivi a non pagare le tasse e a
violare le leggi è una crisi del gettito senza precedenti. Se ai tempi dell’Ulivo
l’evasione fiscale annua era stimata in circa 200.000 miliardi di
lire, è certo che oggi le cose stiano in maniera molto peggiore. Insomma: ogni
anno padroni e grandi corporazioni si intascano, sotto forma di tasse non
pagate, l’equivalente di più del doppio di una finanziaria “lacrime e
sangue” come quella del primo governo Amato.
Ma, soprattutto, si intascano molto di più di quanto
sarebbe sufficiente per mantenere in equilibrio a lungo termine il sistema
previdenziale.
[i] Corriere della Sera del
27/7/2003.
[1] Ad esempio, un lavoratore con un reddito lordo annuo di 30 milioni di lire
pagherà 900 mila lire di tasse in più. Chi ha un reddito di 100 milioni
risparmierà 8 milioni di tasse. Per un altro 10% degli occupati la situazione
sarà invariata.
[i] “Tre miliardi di euro tornati in Svizzera”, il
Sole 24 ore, 13/10/2003.
[i] “Berlusconi chiude i conti (quelli con il fisco)”, MF, 5/9/2003.