Verso quale Costituzione europea?
Arturo Salerni
In questa seconda parte del dossier che la rivista intende dedicare al processo costituente che investe l’Unione Europea (la prima parte è stata pubblicata nel precedente numero di Proteo) dobbiamo analizzare il “prodotto” venuto da fuori dalla Convenzione ed offerto al Consiglio dei Ministri dell’Unione al termine del semestre di presidenza greco. Nel semestre attuale - sotto la Presidenza italiana, accompagnata dalle tante note polemiche - il percorso di definizione del trattato costituzionale potrebbe concludersi. Sarà a quel punto che l’attenzione potrà fermarsi - con maggiore precisione - su un testo definito. Sono peraltro noti i contrasti che a livello degli schieramenti politici, tra i diversi Stati membri e tra i vari organismi dell’Unione si stanno manifestando - e con ogni probabilità continueranno a manifestarsi - su molti passaggi del trattato, ed in particolare sulla portata del voto a maggioranza degli Stati membri rispetto alla procedura del voto unanime che di fatto significa un blocco del processo di ulteriore integrazione. La Convenzione presieduta da Valery Giscard d’Estaing (e che ha avuto tra i vice presidenti l’ex capo del governo italiano Giuliano Amato) è stata ampiamente attraversata da tali contrasti ed ha prodotto un testo che contiene molte mediazioni tra i diversi punti di vista. Analizzeremo quindi, nelle grandi linee, il testo che fornisce la base di discussione dei prossimi vertici intergovernativi, ed in particolare di quello che si terrà a Roma nell’ottobre di quest’anno. |
Stampa |
Ed ancora significativa (in questo convivere di elementi di
politica comune, di elementi riconducibili alle sole decisioni dei singoli
Paesi, dei legami di alcuni con le scelte compiute al di là dell’Atlantico,
ed in questo loro rapporto ancora molto fluido) è la previsione contenuta nella
seconda parte di questo secondo comma: “La politica dell’Unione a norma
del presente articolo non pregiudica il carattere specifico della politica di
sicurezza e di difesa di taluni Stati membri, rispetta gli obblighi derivanti
dal trattato dell’Atlantico del Nord per alcuni Stati membri che ritengono che
la loro difesa comune si realizzi tramite l’Organizzazione del trattato del
Nordatlantico, ed è compatibile con la politica di sicurezza e di difesa
adottata in tale contesto”. L’Europa una ed indipendente è ancora
lontana.
Sul piano delle scelte militari va richiamato il seguente
passaggio contenuto nel quinto comma dell’art.40: “Gli Stati membri s’impegnano
a migliorare progressivamente le loro capacità militari. È istituita un’Agenzia
europea per gli armamenti, la ricerca e la capacità militari, incaricata di
individuare le esigenze operative, promuovere misure per rispondere a queste,
contribuire a individuare e, se del caso, mettere, in atto qualsiasi misura
utile a rafforzare la base industriale e tecnologica del settore della difesa,
partecipare alla definizione di una politica europea delle capacità e degli
armamenti, e di assistere il Consiglio dei Ministri nella valutazione delle
capacità militari”. Una simile dettagliata indicazione, una serie di
accenti come quelli riposti sulla scelta di nuove avanzate tecnologie tali da
rafforzare la costruzione di nuovi armamenti non solo cozza con una grande
sensibilità pacifista che si è diffusa nel continente (e che si è manifestata
con ampiezza soprattutto nelle poderose manifestazioni del 15 febbraio 2003), ma
appare anche impropriamente inserita nell’ambito di una carta costituzionale.
Oltre alla cooperazione giudiziaria e di polizia, si prevede
all’art.42 la cosiddetta “clausola di solidarietà”, fortemente
determinata dal clima del post-11 settembre (e omogenea a quegli elementi di
legislazione antiterroristica su cui abbiamo avuto modo di soffermarci nel
numero precedente di Proteo). “L’Unione mobilita tutti gli armamenti di
cui dispone, inclusi i mezzi militari messi sua disposizione dagli Stati membri,
per:
a) prevenire la minaccia terroristica sul territorio degli
Stati membri;
- proteggere le istituzioni democratiche e la popolazione
civile da un eventuale attacco terroristico;
- prestare assistenza ad uno Stato membro nel suo
territorio, a richiesta delle sue autorità politiche, in caso di attacco
terroristico;
b) prestare assistenza a uno Stato membro sul suo
territorio, a richiesta delle sue autorità politiche, in caso di calamità.”
5. Abbiamo avuto modo di parlare nella prima parte di
questo dossier di una Europa a più velocità, che vede percorsi comuni solo di
alcuni Stati membri (si pensi alla vicenda dell’euro che coinvolge per ora
solo undici Stati), all’interno del più generale quadro comunitario.
Il Capo III del Titolo V della prima parte considera la
questione delle cosiddette cooperazioni rafforzate, cui è dedicato l’art.43
del nuovo testo. Ai sensi del terzo comma “l’autorizzazione a procedere
ad una cooperazione rafforzata è accordata dal Consiglio dei ministri in ultima
istanza, qualora in tale sede sia stato stabilito che gli obiettivi da essa
perseguiti non possono essere conseguiti entro un termine ragionevole dall’Unione
nel suo insieme, e a condizione che la cooperazione rafforzata raccolga un
minimo di un terzo degli Stati membri” (ovvero nella nuova Europa a
venticinque, almeno nove Stati membri). Ed ancora: “Gli atti adottati nel
quadro di una cooperazione rafforzata vincolano solo gli Stati partecipanti. Non
sono considerati un acquis che deve essere accettato dai candidati all’adesione
all’Unione”.
6. Il sesto titolo della prima parte del trattato
costituzionale è dedicato alla “vita democratica dell’Unione”. In
tale titolo sono richiamati i principi dell’uguaglianza democratica, della
democrazia rappresentativa (“I cittadini sono direttamente rappresentati a
livello dell’Unione nel Parlamento europeo. Gli Stati membri sono
rappresentati nel Consiglio europeo e nel Consiglio dei Ministri dai rispettivi
governi, che sono essi stessi responsabili dinanzi ai parlamenti nazionali,
eletti dai loro cittadini” [1]), della democrazia
partecipativa (con una valorizzazione delle associazioni rappresentative).
All’art.47 del testo di trattato costituzionale “l’Unione
europea riconosce e promuove il ruolo delle parti sociali a livello dell’unione,
tenendo conto della diversità dei sistemi nazionali; facilita il dialogo tra
tali parti, nel rispetto della loro autonomia”.
Si prevede la figura del mediatore europeo, nominato dal
Parlamento europeo ed indipendente, il quale “riceve le denunce riguardanti
casi di cattiva amministrazione all’interno delle istituzioni, degli organi e
delle agenzie dell’Unione, le esamina e riferisce al riguardo”
[2]
Il titolo VIII della prima parte del testo approvato dalla
Convenzione (“L’Unione e l’ambiente circostante”) prevede - all’articolo
56 - che “l’Unione sviluppa con gli Stati limitrofi relazioni
privilegiate al fine di creare uno spazio di prosperità e buon vicinato fondato
sui valori dell’Unione e caratterizzato da relazioni strette e pacifiche
basate sulla cooperazione”, con possibilità di concludere accordi
specifici con gli Stati interessati. Una sorta, cioè, di cooperazione
rafforzata con alcuni Stati che non sono membri dell’Unione. Cooperazioni con
Paesi esterni e confinanti possono peraltro preludere ad ulteriori successivi
allargamenti (oltre a quelli previsti per il 2007: Bulgaria e Romania, e forse
Turchia e Croazia).
7. La prima parte del testo si conclude con il titolo IX
(“Appartenenza all’Unione”), e su questa parte del testo si misura
forse con più evidenza la differenza che esiste tra uno Stato classicamente
inteso e l’unione configurata dal trattato costituzionale (che non è uno
Stato federale ma è molto di più di un accordo tra Stati pienamente sovrani).
Per l’art.57 l’Unione è aperta a tutti gli Stati europei
che rispettano i valori dell’Unione (indicati all’art.2 della Costituzione).
Sulla richiesta di adesione si esprime all’unanimità il Consiglio dei
Ministri, a seguito di consultazione della Commissione e dell’approvazione da
parte del Parlamento europeo. L’accordo tra gli Stati membri (e quindi non l’Unione)
e lo Stato candidato viene sottoposto a ratifica da tutti gli Stati contraenti.
Il Consiglio dei ministri può con la maggioranza dei quattro
quinti dei suoi membri constatare “che esiste un evidente rischio di
violazione grave da parte di uno Stato membro dei valori di cui all’articolo 2”.
Il Consiglio europeo - all’unanimità e previa approvazione da parte del
Parlamento europeo può constatare “l’esistenza di violazione grave e
persistente”: in tali casi - a maggioranza qualificata - il Consiglio dei
ministri può sospendere alcuni dei diritti “derivanti allo Stato membro
dall’applicazione della Costituzione, compresi i diritti di voto dello Stato
membro in seno al Consiglio dei ministri”. [3]
Ai sensi dell’art.59 “ogni Stato membro può, in
conformità delle proprie norme costituzionali, decidersi di ritirarsi dall’Unione
europea” ed in tali casi viene definito un accordo tra l’Unione e lo Stato
volto a definire le modalità del ritiro.
Il testo prosegue con una seconda parte costituita dalla
Carta dei diritti fondamentali dell’Unione, che abbiamo già avuto modo di
analizzare nel numero precedente della rivista, con una terza parte dedicata a
“le politiche ed il funzionamento dell’Unione”, composta da 342 articoli,
che esamineremo - forse nella sua stesura definitiva - nel prossimo numero di
Proteo ed una quarta contenente disposizioni generali e finali. Al testo si
aggiungono un protocollo sul ruolo dei Parlamenti nazionali nell’Unione
europea, uno relativo all’applicazione dei principi di sussidiarietà e di
proporzionalità, un altro sulla rappresentanza dei cittadini nel parlamento
europeo e sulla ponderazione dei voti in seno al Consiglio dei Ministri, uno sul
gruppo euro ed uno sulle modifiche al trattato Euratom.
[1] Art.45, secondo comma.
[2] Articolo 48
[3] Articolo 58