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L’analisi-inchiesta

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Luciano Vasapollo
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Docente di Economia Aziendale, Fac. di Scienze Statistiche, Università’ “La Sapienza”, Roma; Direttore Responsabile Scientifico del Centro Studi Trasformazioni Economico-Sociali (CESTES) - Proteo.

Rita Martufi
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per Proteo (36)

Consulente ricercatrice socio-economica; membro del Comitato Scientifico del Centro Studi Trasformazioni Economico Sociali (CESTES) - PROTEO

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Le tendenze macroeconomiche del processo di ristrutturazione capitalistica
Luciano Vasapollo, Rita Martufi

 

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Le tendenze macroeconomiche del processo di ristrutturazione capitalistica

Luciano Vasapollo

Rita Martufi

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In Italia i salari lordi, valutati al netto dei contributi a carico dei lavoratori e delle imposte, pur essendo aumentati di circa l’1% nel 1997 risultano essere ancora inferiori a quelli del 1991. Infatti dal 1992 tutto il settore privato e pubblico registra una diminuzione della retribuzione reale media per unità di lavoro (nella Pubblica Amministrazione i salari reali sono diminuiti di circa il 10% tra il 1991 e il 1995, mentre nel settore privato la retribuzione reale era il 99% di quella del 1991. L’andamento dei salari nominali e l’incremento dei guadagni di produttività (il 5.6% nel 1994 e il 7% nel 1995) hanno provocato una riduzione del costo del lavoro per unità di prodotto pari al 3,3% nel 1994 e dello 0,7% nel 1995; il costo del lavoro per unità di prodotto nell’industria in senso stretto è stato inferiore nel 1995 a quello del 19927. Tale indice (costo del lavoro diviso valore aggiunto) ha avuto un calo del 10% circa negli anni 1982-1988 per la maggior parte dei paesi occidentali, con l’unica eccezione della Germania nella quale la diminuzione è stata della metà.

Negli anni ‘90 le aziende maggiori hanno avuto un aumento della produttività ed hanno adottato una dinamica retributiva più sostenuta a conferma del fatto che i risultati aziendali, la produttività e il potere contrattuale della forza lavoro determinano lo slittamento salariale. Infatti nei settori più avanzati tecnologicamente e maggiormente protetti dalla concorrenza internazionale i salari risultano essere più elevati se confrontati con quelli adottati nei settori maggiormente condizionati dalla concorrenza estera e più tradizionali.

 

 

8. Un confronto tra i paesi europei

 

Per completare questa Prima Parte dell’analisi-inchiesta verranno presentate alcune figure che immediatamente possono evidenziare per i maggiori paesi europei il confronto fra i parametri che abbiamo analizzato nelle pagine precedenti (orario di lavoro, retribuzioni, tasso di disoccupazione e rapporto spesa sociale per la disoccupazione su PIL); è ovvio che in ogni figura gli andamenti delle variabili riferite a scale di misura fra loro differenti non sono comparabili.

La Fig.1 mette a confronto per la Germania l’andamento degli orari di lavoro, delle retribuzioni, del tasso di disoccupazione e delle Spese sociali per la disoccupazione nell’arco di tempo che va dal 1983 al 1993. Emerge chiaramente che a fronte di una tendenza ad una lieve diminuzione dell’orario di lavoro si ha un aumento delle retribuzioni di circa il 20% in dieci anni; anche il tasso di disoccupazione diminuisce nel corso degli anni raggiungendo il valore minimo nel 1991, fino a quasi il 4%, riprende poi a salire fino ad attestarsi nel 1993 al 6%. Per quanto riguarda le spese sociali per i disoccupati in rapporto al PIL si registra una diminuzione negli anni (il valore minimo si è avuto nel 1991).

Lo stesso confronto è stato effettuato per la Francia (vedi Fig.2); si nota subito una certa stabilità nell’orario di lavoro mentre per quanto riguarda le retribuzioni i dati disponibili (fino al 1987) non permettono di effettuare una analisi completa (si registra comunque dal 1983 al 1987 una crescita abbastanza contenuta). Il tasso di disoccupazione cresce notevolmente negli anni esaminati arrivando all’11,7% nel 1993, anche le spese sociali per i disoccupati registrano un leggero aumento.

Per quanto riguarda l’Italia (vedi Fig.3) il confronto è stato fatto solo tra l’orario di lavoro, il tasso di disoccupazione e le spese sociali per i disoccupati non essendo stato possibile avere i dati riguardanti le retribuzioni. A fronte di una tendenza alla stabilità registrata nell’orario di lavoro (nel 1993 le ore settimanali dei lavoratori dipendenti si sono attestate sul valore di 37,8) si nota un aumento del tasso di disoccupazione (nel 1993 si arriva al 10,3%) non accompagnato da un incremento delle spese sociali che si mantengono su valori estremamente bassi (nel 1991 lo 0,39% del PIL).

L’Olanda (vedi Fig.4) mostra un andamento dell’orario di lavoro decrescente nel periodo 1983-1984 per poi stabilizzarsi intorno alle 32 ore negli anni seguenti; le retribuzioni crescono anche se in modo molto lento mentre il tasso di disoccupazione diminuisce (nel 1993 è introno al 7%). Le spese sociali per i disoccupati hanno raggiunto il valore massimo nel 1984 (circa il 4%) per poi scendere negli anni seguenti intorno al 2,6%. Si configura quindi una politica occupazionale fortemente caratterizzata dal part-time, da lavori precari che abbassano solo apparentemente la disoccupazione, diminuendo invece le forme di Welfare State e di protezione in genere per i disoccupati.

Anche il Belgio (vedi Fig.5) mostra una certa stabilità nell’orario di lavoro (intorno a 35 ore settimanali) a fronte di una tendenza all’aumento lieve delle retribuzioni (i cui valori massimi sono nel 1993). Il tasso di disoccupazione è in diminuzione attestandosi intorno al 9% nel 1993, mentre la spesa sociale per i disoccupati si riduce (l’anno che registra i valori minori è il 1989).

Il Lussemburgo (vedi Fig.6) registra una stabilità nell’orario di lavoro accompagnata da un leggero aumento delle retribuzioni. Va rilevato che la propensione alla diminuzione del tasso di disoccupazione, che ha avuto il suo valore minore nel 1991 (1,7%) ha mostrato una leggera inversione di tendenza nel 1993 anno in cui si è avuto un aumento (2,7%), mentre le spese per prestazioni sociali per la disoccupazione in rapporto al PIL si mantengono costanti a livelli bassissimi.

La Gran Bretagna (vedi Fig.7) registra una stabilità nell’orario di lavoro (i valori sono intorno alle 37 ore settimanali) ed un leggero aumento delle retribuzioni. Il tasso di disoccupazione ha un andamento fluttuante in quanto si riduce al massimo nel 1989 raggiungendo il 7% per poi aumentare di nuovo gli anni seguenti ed arrivare al 10,4% nel 1993. Le spese sociali per i disoccupati sono molto limitate e mostrano una tendenza alla diminuzione (nel 1989 arrivano ad appena lo 0,85%) attestandosi poi intorno all’1,3%.

La Danimarca, (vedi Fig.8), ha un andamento abbastanza stabile dell’orario di lavoro (i valori sono intorno alle 34 ore settimanali); le retribuzioni mostrano un andamento lentamente crescente mentre il tasso di disoccupazione ha registrato il suo valore minimo nel 1987 (5,4%) ed è risalito poi negli anni seguenti (nel 1993 il valore è stato del 10,1%). Per quanto riguarda le spese sociali i dati mostrano una tendenza alla stabilità registrando valori intorno al 3%.

Si riportano, infine, i dati riepilogativi al 1996 dei paesi precedentemente esaminati, potendo così confrontare l’andamento di alcuni parametri macroeconomici tra i singoli paesi e il dato complessivo dell’Europa dei 15.

Come si può osservare dalla Fig.9 la crescita del PIL del 1996 in tutti i paesi europei è molto contenuta, tanto è vero che il dato complessivo dell’Europa dei 15 segna una crescita annua dell’1,6% nettamente inferiore a quella degli Stati Uniti (2,4%) e del Giappone (3,6%). A fronte di tali livelli di crescita i dati della disoccupazione ufficiale, sempre per il 1996, evidenziano per l’Europa dei 15 oltre 18 milioni di disoccupati contro gli oltre 7 milioni degli Stati Uniti e i 2.259.000 del Giappone, con rispettivamente un tasso di disoccupazione del 10,9% per l’Europa dei 15, il 5,4% per gli USA e il 3,4% per il Giappone (si ricorda che nelle rilevazioni USA e giapponesi qualsiasi forma di occupazione anche a pochissime ore di lavoro mensili fa si che il lavoratore sia considerato un occupato). Anche tutti gli altri parametri macroeconomici presenti nella Figura 9 rispecchiano l’andamento dei primi anni ‘90 già presentato precedentemente con, in generale tassi di disoccupazione maschile e femminile che aumentano fortemente in tutti i paesi europei e retribuzioni dirette e indirette (in termini salariali e di prestazioni sociali), che si incrementano in modo assai lento senza assolutamente rispondere ad una equa redistribuzione ai fattori produttivi capitale e lavoro degli incrementi di prodotto e di produttività, segnando, infatti, una forte carenza redistributiva verso le forme di remunerazione al fattore lavoro.

Ciò è anche confermato con l’andamento dei parametri macroeconomici per il 1997 che segnano un incremento del PIL sull’anno precedente del 3,8% per gli USA, dello 0,9% per il Giappone, del 2,2% per la Germania, del 2,3 per la Francia, del 3,3% per il Regno Unito e infine dell’1,5% per l’Italia; rispettivamente negli stessi paesi si hanno variazioni percentuali sull’anno precedente dell’occupazione del 2,3%, 1,1%, -1,4%, 0,3%, 1,7 e valori anche estremamente bassi per l’Italia.

Nel 1997 si hanno tassi di disoccupazione del 5% per gli USA, del 3,4% per il Giappone, dell’11,5% per la Germania, del 12,5% per la Francia, del 5,6 per il Regno Unito e del 12,3% per l’Italia. Per gli stessi paesi è infine importante riferire gli indicatori economici relativi al costo del lavoro per unità di prodotto che vede rispettivamente incrementi dello 0,9% in USA, del -2,8% in Giappone, del -5,8% in Germania, del -3% in Francia, del 3,3% nel Regno Unito e del 2% in Italia.

E’ proprio a partire da tale ultimo indicatore riferito al CLUP ( Costo del Lavoro per Unità di Prodotto) che si rende necessario un immediato raffronto con l’andamento della produttività, degli investimenti, dei ricavi e dei profitti relativi ai singoli paesi e ai vari settori economici per meglio capire la forte distorsione distributiva a favore dei profitti che si sta verificando da ormai moltissimi anni.

E questo sarà l’argomento che verrà trattato nel prossimo numero di PROTEO (n.1/99) nella Seconda Parte di questa analisi-inchiesta.

Le Tappe dell’Unità europea

Per collocare storicamente l’idea di un’Europa unita si deve risalire al 1951, anno in cui è stato firmato il Trattato della Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio; i paesi aderenti alla CECA sono stati: il Belgio, l’Italia, il Lussemburgo, la Germania Federale, i Paesi Bassi e la Francia.

Nel 1957 i sei stati membri della CECA hanno firmato dei trattati relativi alla costituzione di un mercato comune per mezzo dell’unione doganale e nel 1958 si è riunita a Strasburgo per la prima volta l’assemblea parlamentare della CEE (142 deputati ); la politica agricola comune (PCA) è stata attivata nel 1961, mentre la prima moneta della Comunità Europea è stata l’unità di conto (UC).

Nel 1968 si è attuata l’unione doganale tra i sei paesi membri e nel 1973 entrano a far parte della Comunità Europea il Regno Unito, la Danimarca e l’Irlanda. Lo SME (sistema monetario europeo) costituito nel 1979 rappresenta un sistema fondato su tassi di cambio stabile tra le monete degli Stati aderenti basato su tassi di riferimento disposti in funzione della nuova unità di conto, l’ECU (European Currency Unit) con una banda di oscillazione intorno al 2,25%.

Sempre nel 1979 per la prima volta vengono eletti direttamente dai cittadini i 410 deputati del Parlamento europeo; nel 1981 anche la Grecia aderisce alla comunità europea, nel 1986 la Spagna e il Portogallo (i deputati salgono così a 518) e nel 1990 , dopo il crollo del muro di Berlino nel 1989, anche la Germania orientale.

Il Trattato di Maastricht entra in vigore il 1 novembre 1993 ed istituisce l’Unione Europea ( i paesi si impegnano a realizzare una unione monetaria ed economica con una moneta stabile ed unica e ad attuare politiche estere comuni in grado di consentire il mantenimento della pace).

Nel 1995 i deputati europei salgono a 626 con l’adesione dell’Austria, della Svezia e della Finlandia ; in questo stesso anno entra in vigore la convenzione di Schengen (libera circolazione delle persone entro i confini dell’unione) e si decide che la moneta comune sarà l’Euro (che dovrà entrare in vigore entro il 2002 con valutazioni dei singoli Stati per l’ammissione all’Unione Monetaria nel 1998 sui dati effettivi del 1997).

Il 17 giugno del 1997 si riunisce ad Amsterdam il Consiglio Europeo che si accorda per un nuovo progetto di Trattato e fissa disposizioni per un passaggio “più facile” alla terza fase dell’Unione Economica e Monetaria.

Ed infine il 2 maggio 1998 viene redatta la lista dei Paesi che dovranno adottare l’euro contabile dal 1 gennaio 1999.

A PROPOSITO DI POLITICHE PER L’OCCUPAZIONE

Per quanto riguarda l’occupazione il Trattato di Maastricht ha istituito il Fondo Sociale Europeo che ha l’obiettivo di “promuovere all’interno della comunità le possibilità di occupazione e la mobilità geografica e professionale dei lavoratori.....in particolare attraverso la formazione e la riconversione professionale”(art.123) al fine di promuovere pari opportunità di lavoro, lottare contro la disoccupazione e l’esclusione dal mercato del lavoro e favorire la creazione di nuovi posti di lavoro.

Tra il 1994 e il 1999 il Fondo Sociale Europeo ha messo a disposizione die paesi dell’Unione Europea circa 93.000 miliardi di lire del bilancio comunitario per cofinanziare le attività degli stati membri.