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Guglielmo Carchedi
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Competizione per blocchi e classi transnazionali

Guglielmo Carchedi

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Ma oggigiorno anche l’opposto è vero. Anche i capitali delle altre nazioni imperialiste penetrano i capitali statunitensi. Questo vale non solo per il capitale produttivo (il centro dell’attenzione di Poulantzas) ma anche, e ancor di più, per il capitale finanziario e speculativo. Il ruolo dominante del capitale (e della borghesia) statunitense, quindi, non si basa su una riproduzione a senso unico del capitale USA all’interno di altre realtà socio-economiche (con le conseguenze politiche e ideologiche che ne conseguono). Anzi, la tesi di questo scritto è che la riproduzione di un capitale nazionale all’interno di un’altra nazione è solo un aspetto delle questione della dominazione di classe a livello internazionale. Come implicito nella sezione precedente, tale dominazione si basa non tanto sul peso relativo della reciproca interpenetrazione dei capitali quanto sulle ragioni menzionate nella sezione precedente e cioè sulla appropriazione da parte degli USA del plusvalore degli altri paesi imperialisti e sulla imposizione su questi paesi delle condizioni economiche e non-economiche per la continuazione di questa appropriazione. Nella fase in cui la UE sta emergendo come un temibile concorrente degli USA sul piano economico, tale imposizione si basa sempre più sullo strapotere militare USA. Per di più, Poulantzas nega troppo facilmente quei capitali che continuano ad avere solamente o principalmente una base nazionale per il loro processo di accumulazione. Ne consegue che la borghesia nazionale è composta sia da quegli agenti che rappresentano capitali con base nazionale sia da quegli agenti che rappresentano il risultato della mutua interpenetrazione dei capitali nazionali. Sono gli interessi di queste due frazioni delle borghesie internazionali (nella loro interrelazione) che sono trasformati dalle istituzioni internazionali negli interessi comuni della borghesia mondiale nei confronti di altre classi (nazioni) e sotto l’egemonia della borghesia statunitense.

In secondo luogo, oggigiorno si sostiene di sovente che il capitale finanziario è dominante nei confronti del capitale industriale e più in generale del capitale produttivo. Anche questo punto deve essere chiarito. Dato che il capitale finanziario vive a spese del plusvalore prodotto dal capitale produttivo, è il secondo che è la condizione di esistenza (il fattore determinante) del primo. Il capitale finanziario, a sua volta, è la condizione di riproduzione del (è determinato dal) capitale industriale. [1] Questo è un esempio di una relazione dialettica.

Questo può significare che il capitale finanziario pone le sue proprie regole, che possono comprendere la distruzione di unità di capitale industriale, al fine di assicurare la riproduzione di quest’ultimo e quindi del sistema nel suo insieme. Il modo appariscente in cui il capitale finanziario adempie a questo compito viene percepito erroneamente come la sua dominazione sul capitale industriale. L’enorme dimensione dei capitali finanziari e speculativi che si muovono giornalmente sui mercati mondiali rafforza ulteriormente questa illusione. Tuttavia, la frazione dominante all’interno della borghesia mondiale è quella produttiva (che include anche quella industriale) anche se in certe circostanze può delegare il compito di assicurare la propria riproduzione (e quella del sistema) ad altre frazioni.

In terzo luogo, gli stati nazionali assicurano la riproduzione (anche su scala allargata) degli oligopoli a base nazionale attraverso politiche economiche e di altra natura che sono in definitiva nell’interesse del settore oligopolistico. Questo è valido sia che l’oligopolio abbia la propria base in una nazione (la regola) che in più di una (l’eccezione). Quindi, la frazione dominante all’interno della borghesia internazionale è quella oligopolistica mentre le borghesie nazionali, includendo le elite politiche nazionali, rendono la sua riproduzione possibile. Sulla base di quanto detto nella sezione precedente, all’interno della borghesia mondiale è ancora la borghesia statunitense che è dominante. In breve, la frazione dominante all’interno della borghesia mondiale è quella dei capitalisti oligopolistici del settore produttivo statunitense.

Ma stiamo assistendo all’emergere anche di una borghesia Europea. Essa è composta delle varie borghesie nazionali europee nella misura in cui esse hanno interessi comuni, sono coscienti di tali interessi, e hanno a loro disposizione (si danno) strumenti comuni per perseguire tali interessi. Di massima importanza per esprimere questi interessi sono i Summit Europei, il Consiglio dei Ministri, la Commissione Europea, il Parlamento Europeo, e la Banca Centrale Europea. [2] Queste istituzioni sono gli strumenti attraverso cui si manifesta la borghesia Europea. Essi sono anche l’arena in cui si promuovono interessi puramente nazionali (e quindi opposti) e interessi sopranazionali (e quindi comuni). Talvolta la differenza è puramente analitica ma talvolta le differenze sono molto chiare. Se si pone l’accento solo sulla mediazione degli interessi nazionali, si nega la dimensione Europea della borghesia. La specificità di queste istituzioni, in relazione a quelle a disposizione della borghesia mondiale, è che esse formulano politiche in un modo relativamente autonomo dato che alcune aree decisionali sono state trasferite ad esse dagli stati nazionali. La borghesia Europea è quindi una formazione di classe più unificata della borghesia mondiale, a causa delle istituzione che rendono possibile alla prima di perseguire le sue politiche di classe, ma è meno unificata delle borghesie nazionali. L’emergere di classi (sopranazionali) è un processo graduale. All’interno della borghesia Europea le frazioni dominanti sono gli oligopoli industriali tedeschi seguiti da quelli Francesi e Inglesi. Quindi, queste sono le frazioni che hanno un accesso privilegiato ai centri decisionali Europei.

La borghesia Europea si trova in una fase in cui, pur non potendo rimpiazzare quella statunitense come classe egemone mondiale, ha incominciato a gettare le basi per tale sfida. La sfida è principalmente sul terreno economico, commerciale e, dall’avvento dell’Euro, finanziario. Ma il tallone di Achille della UE è il piano militare, su cui gli USA dominano incontrastati. Ed è attraverso il loro strapotere militare che gli USA possono assicurarsi la condizione per la sistematica appropriazione di plusvalore internazionale, non tanto dagli altri paesi imperialisti che sono già i molti campi temibili concorrenti, quanto dai paesi del Terzo Mondo (ricchi di materie prime), a scapito degli altri paesi imperialisti (UE inclusa). Proprio come l’emergere di una classe (transnazionale) è un processo graduale ma grandemente contraddittorio e conflittuale, così lo è l’emergere di una classe egemone o il rimpiazzo di una classe egemone da un’altra.

La situazione è notevolmente meno favorevole per il proletariato e le classi lavoratrici Europee, per non menzionare il proletariato e le classi lavoratrici mondiali.

Mentre è chiaro che vi sono interessi comuni [3], i lavoratori Europei non ne sono coscienti. Ovviamente, non ci si riferisce a individui singoli ma ad una coscienza collettiva capace di individuare ed elaborare tali interessi e di darsi gli strumenti per perseguirli. In genere, nella misura in cui i proletariati nazionali difendono i propri interessi sul piano internazionale, lo fanno solo come classi nazionali e quindi in reciproca opposizione. Le ragioni di tale debolezza sono molte, sia congiunturale che non. Qui se ne possono considerare solo tre.

Primo, una classe emerge come un agente attivo di lotta di classe nella misura in cui sia aggrega attraverso e attorno ai suoi mezzi, sia istituzionali che non, di dominazione su altre classi. [4] I mezzi di dominazione della borghesia Europea (che includono le istituzioni Europee) sono allo stesso tempo i mezzi attraverso cui si impedisce l’emergere delle classi lavoratrici Europee come agenti attivi della lotta di classe (o attraverso cui si promuove la loro disgregazione) attraverso il ricatto, la cooptazione individuale, il fuoco di fila ideologico, e la creazione di divisioni tra di loro e all’interno di ciascuna di loro. Per esempio, l’influenza degli oligopoli europei, attraverso i loro gruppi di pressione, come la Tavola Rotonda degli Industriali, sulle istituzioni europee è molto maggiore di quella delle altre classi. [5] Ma la questione non è soltanto del come queste istituzioni sono usate e da chi. È la loro stessa natura che è inerentemente anti-lavoro. Come sottolinea Accattatis, esse hanno preso come modello istituzionale quello Francese, Bonapartista, che è caratterizzato dalla concentrazione del potere nell’esecutivo, da una democrazia passiva, e da un attivo paternalismo, tutti elementi il cui scopo è quello di favorire gli interessi degli entrepreneur.  [6] Le classi lavoratrici europee non solo non hanno le loro proprie istituzioni che permetterebbero loro di unificarsi e emergere come un agente attivo. A loro è anche negata una influenza significativa nelle istituzioni esistenti.

Secondo, per quanto riguarda il proletariato, le nuove tecnologie causano una tendenza verso la proletarizzazione e dequalificazione (e una contro-tendenza nella direzione opposta).

Mentre verso la fine degli anni ’70, a causa di un movimento dei lavoratori molto forte, una ricomposizione dei compiti in nuove mansioni in genere indicava una riqualificazione della mansione (imposta dai lavoratori), questo non è più il caso oggigiorno. Oggigiorno, a causa delle debolezza del movimento operaio, il capitale, specialmente nei settori tecnologicamente dinamici, può imporre la ‘flessibilità’ ai lavoratori, che passano da una mansione dequalificata ad un’altra mansione dequalificata, e un riassemblaggio di compiti dequalificati che sfocia non in nuove mansioni riqualificate ma nel loro opposto (nonostante le versioni ufficiali promosse dal capitale, dai sociologi del lavoro, ecc. che mantengono la tesi esattamente contraria). Per di più, queste nuove mansioni possono contenere, di nuovo, aspetti della funzione del capitale (che spesso e volentieri viene confusa con un elemento della funzione del lavoro, la coordinazione del processo lavorativo). Nell’attuale congiuntura ideologica, e in parte a causa della reintroduzione della funzione del capitale in molte mansioni, ‘flessibilità’ e dequalificazione possono essere contrabbandate nella coscienza dei lavoratori come riqualificazione, maggiore responsabilità, indipendenza, opportunità per la crescita personale, e infine come la ‘fuga’ dalla condizione proletaria. Un ruolo importante qui è giocato dall’uso del computer e tecnologie connesse per compiti che, anche se dequalificati, sono considerati, proprio a causa del suo uso, come qualificati. Tanto maggiore è questa mistificazione, tanto minore è la coscienza di classe del lavoratore collettivo.

L’imperialismo rafforza questa falsa percezione, e quindi la debolezza del proletariato europeo, in almeno tre modi. Primo, in termini molto generali validi per localizzare una tendenza, nella misura in cui i processi lavorativi materiali vengono esportati nei paesi dipendenti e i processi lavorativi mentali rimangono nei paesi tecnologicamente avanzati, imperialisti, si crea la percezione che la condizione operaia sia esportata in quei paesi. Ciò è falso sia perché i processi lavorativi mentali possono implicare, e in genere implicano, lavoro mentale dequalificato, sia perché la identificazione delle classi dipende da criteri diversi dal lavoro mentale o materiale, siano essi qualificati o non. [7] Secondo, questa mistificazione si basa su una ridistribuzione di una parte del plusvalore dai paesi dipendenti ai lavoratori dei paesi imperialisti. Questi alti standard di vita (alti cioè relativamente a quelli dei lavoratori dei paesi dipendenti) causa la percezione sbagliata (abilmente coltivata dal capitale) che i lavoratori non sono più lavoratori ma ‘classi medie’. Ciò, assieme alla debolezza politica della Sinistra (la Sinistra basa la sua strategia su questa fesseria, sul “siamo tutti classi medie”, il che spiega almeno parzialmente la sua predisposizione a scimmiottare la politica della Destra e quindi la propria debolezza) spiega in buona parte la caduta della coscienza di classe dei lavoratori negli anni 1990.

Il terzo fattore che spiega questa debolezza è il ricatto a cui sono soggette le classi lavoratrici europee, e cioè la grande mobilità del capitale e quindi la minaccia di trasferimento delle attività produttive in caso le domande dei lavoratori diventino ‘eccessive’. Allo stesso tempo, l’afflusso di lavoratori ‘stranieri’ nei paesi imperialisti della UE è usato per diminuire i salari e per minacciare con serrate. Mentre è vero che il lavoratore collettivo Europeo ‘si approfitta’ delle briciole dell’imperialismo (la ridistribuzione di valore sopramenzionata) è anche vero che molti settori sono soggetti ad una pauperizzazione crescente (in relazione al livello di vita europeo socialmente determinato). Una volta di più l’insicurezza per quanto riguarda il lavoro e il salario è un potente alleato del capitale.

Per di più, vengono anche creati falsi conflitti di interesse tra lavoratori autoctoni e lavoratori stranieri. Gli ideologi del capitale giocano un ruolo importante in questo caso. Se, come sostengono gli economisti neo-classici, la riduzione dei salari fosse la via per uscire dalla crisi e quindi per aumentare l’occupazione, avrebbe senso espellere i lavoratori stranieri al fine di ridurre il salario ‘sociale’ (pensioni di anzianità, spese per la salute, per l’educazione, ecc.) e quindi per aumentare i profitti che, investiti, daranno un nuovo impulso all’economia. Se, come sostengono gli economisti Keynesiani, si dovrebbero aumentare i salari al fine di uscire dalla crisi e quindi per aumentare l’occupazione (maggiori salari implicano un maggior potere d’acquisto da parte dei lavoratori e quindi una maggior produzione per far fronte alla maggiore domanda), avrebbe senso aumentare i salari attraverso un maggior potere contrattuale derivante dall’espulsione dei lavoratori stranieri. Ma entrambe queste vedute sono anti-lavoro ed entrambe sono sbagliate.

Le crisi e la disoccupazione non sono causate né da salari troppo alti né da salari troppo bassi. È vero che salari più bassi aumentano subito i profitti ma essi aumentano susseguentemente le difficoltà di realizzazione (cioè di vendere i prodotti) a causa del minore potere d’acquisto. Maggiori salari riducono le difficoltà di realizzazione ma allo stesso tempo diminuiscono i profitti. Il livello salariale può modificare la forma del ciclo, ma non può eliminarlo. Se questo è il caso, una politica di porte chiuse può avere solo un effetto temporaneo e marginale sulla disoccupazione. Non esistono interessi economici inerentemente contradditori tra questi due settori del lavoratore collettivo Europeo. Questa contraddizione emerge solo se il lavoro è visto come un costo invece di una delle due fonti di ricchezza (assieme alla natura). Ma questo è il punto di vista del capitale, non del lavoro. E questa è una reale debolezza delle classi lavoratrici europee, la tendenza dei suoi leader ad accettare il punto di vista del nemico di classe. Come sempre, la Destra vince non perché la Destra è forte ma perché la Sinistra è debole.

 

Bibliografia

ACCATTATIS, V. (2000), Quale Europa?, Edizioni Punto Rosso, Milano

CARCHEDI, G. (1977), On The Economic Identification Of Social Classes, Routledge and Kegan Paul, London

CARCHEDI, G. (1983), Problems In Class Analysis. Production, Knowledge And The Function Of Capital, Routledge and Kegan Paul, London

CARCHEDI, G. (1991), Frontiers of Political Economy, Verso, London

CARCHEDI, G. (2000), Imperialism, dollarization and the Euro, The Socialist Register, 2002

CARCHEDI, G. (2001), For Another Europe. A Class Analysis of European Economic Integration, Verso, London

EMMANUEL, A. (1972), Unequal Exchange, Monthly Review Press

KWAN, C.H. (1999), ’A Yen Bloc in Asia?’, Euro, 46, p. 64.

POULANTZAS, N. (1974), Les Classes Sociales dans le Capitalisme Aujourd’hui, Éditions du Seuil, Paris, ch. 1, part II.

SABHASRI, C. (1999), ’Euro and Asia: Hope and Fear’, Euro, 46, p. 58


[1] Ciò deriva da una nozione di relazione dialettica sviluppata in altra sede: (Carchedi, 1991, Appendix). Marx, come si sa, non ha mai scritto un trattato sulla dialettica e tanto meno sulla dialettica come metodo di ricerca nelle scienze sociali. La mia tesi è che la nozione qui sopra è implicita nelle opere di Marx da cui è stata estratta.

[2] Per una discussione del processo decisionale (la cui complessità aumenta nella misura che aumenta l’importanza delle decisioni) si veda Carchedi, 1991, capitolo 1.

[3] Si veda Carchedi, 2001, capitolo 8.

[4] In questo contesto, la differenza tra classe in sé e classe per sé è insufficiente.

[5] La Tavola Rotonda Europea degli Industriali fu fondata nel 1983 da Umberto Agnelli della Fiat, Wisse Dekker della Philips, e Pehr Gyllenhammer della Volvo.

[6] Accattatis, 2000.

[7] Per una teoria del lavoro mentale e materiale si veda Carchedi, 1983, 1991.