Rubrica
Analisi-inchiesta: il movimento dei lavoratori:tra cambiamento e indipendenza

Copyright - Gli articoli si possono diffondere liberamente citandone la fonte e inserendo un link all'articolo

Autore/i

Luciano Vasapollo
Articoli pubblicati
per Proteo (48)

Docente di Economia Aziendale, Fac. di Scienze Statistiche, Università’ “La Sapienza”, Roma; Direttore Responsabile Scientifico del Centro Studi Trasformazioni Economico-Sociali (CESTES) - Proteo.

Rita Martufi
Articoli pubblicati
per Proteo (36)

Consulente ricercatrice socio-economica; membro del Comitato Scientifico del Centro Studi Trasformazioni Economico Sociali (CESTES) - PROTEO

Sabino Venezia
Articoli pubblicati
per Proteo (7)

Coordinamento Nazionale RdB Pubblico Impiego

Argomenti correlati

Capitalismo italiano

Sindacato

Nella stessa rubrica

Il contraddittorio legame tra le trasformazioni economico-produttive e alcuni passaggi-chiave della storia del movimento sindacale dal dopoguerra ad oggi (Prima parte)
Rita Martufi, Luciano Vasapollo, Sabino Venezia

 

Tutti gli articoli della rubrica: analisi-inchiesta(in tutti i numeri di Proteo)


Home
Autori
Rubriche
Parole chiave

 

 

 

Il contraddittorio legame tra le trasformazioni economico-produttive e alcuni passaggi-chiave della storia del movimento sindacale dal dopoguerra ad oggi (Prima parte)

Luciano Vasapollo

Rita Martufi

Sabino Venezia

Formato per la stampa
Stampa

6.2 Unità di classe o unità sindacale

La ricerca affannosa dell’unità sindacale, e la sua altrettanto affannosa costruzione, si sviluppa con due percorsi paralleli: dall’alto e dal basso;

* dall’alto si tenterà la svolta con la riunione di Firenze del ’70 per poi concludersi rovinosamente con le Firenze 2 e 3 del ’71 dove si sancirà un accordo tra componenti sindacali di partito, in un periodo che Giugni definirà di “supplenza sindacale”;

* dal basso si realizzerà forse il modello più adeguato, i Consigli di Fabbrica, primo vero esperimento di sindacalismo industriale del paese con la continua ricerca dell’unità e dell’indipendenza di classe.

Quale sia stato il peso all’interno della società e dello Stato della borghesia industriale, è rivelato dai fortissimi ritardi che aveva la nostra legislazione sociale e dagli ostacoli che incontrarono i progetti di legge nel settore. “ Lo Stato borghese in Italia nasce con la rivoluzione industriale e vede il suo avversario principale non nel feudalesimo, che ha rappresentato in definitiva solo uno stadio della sua lotta, ma nella classe operaia; e le lotte contro la classe operaia per batterla e catturarla segnano le tappe della sua storia” [1]

È una borghesia che insieme alle tecniche produttive aveva importato dal modello anglosassone la consapevolezza di contrastare e assoggettare la classe operaia: attraverso i regolamenti di fabbrica, il paternalismo aziendale di reminescenza saintsimoniana distorta [i] con le società di mutuo soccorso che, almeno inizialmente, erano espressione della capacità egemonica esercitata sulle masse popolari dalle varie forze che si disputavano il potere [2].

Contrapposto a questa borghesia, c’è un proletariato industriale che si eleva progressivamente dalla condizione di massa a dignità di classe nel vivo delle lotte, in cui acquista forza e coscienza di sé e determina, al tempo stesso, la presa di coscienza in senso anticapitalistica di larghe fasce di proletariato non di fabbrica in una dimensione di indipendenza e di ricerca dell’unità di classe.

Sono le lotte contro il macchinismo, [3] la razionalizzazione della fabbrica, le misere condizioni di vita operaie; sono le lotte anche perdenti e disperate che si sviluppano nella spontaneità (sullo “spontaneismo” vedremo nel corso degli anni come verrà assunto dapprima come strumento da governare e successivamente come punto di caduta della strategia rivoluzionaria), ma nelle quali maturano le prime tecniche di difesa operaia dallo sfruttamento padronale e le prime esigenze organizzative che superino l’instabilità dell’assemblea di fabbrica: il passaggio dalla resistenza sotterranea e dalla ribellione anarcoide allo sciopero organizzato e cosciente, rappresenta una conquista sul clima dei ricatti, paure, manipolazioni cui l’operaio è sottoposto: conquista difficilissima da raggiungere e altrettanto difficile da tenere e difendere per la totale assenza di tradizioni di lotte, di appoggi, di organizzazione. È il più delle volte il raggiungimento di un livello di coscienza operaio che subito si spegne, magari anche nella sconfitta più dura, ma che ha comunque un gran significato politico in quanto denuncia il fallimento del tentativo padronale di creare una aristocrazia operaia da usare come arma di manovra contro le lotte.” [4]

E ancora

“La lotta spontanea ha portato in primo piano masse operaie di dimensioni prima sconosciute, un tipo di dirigente operaio profondamente diverso dal cospiratore internazionalista e dal funzionario dell’associazione operaia, capace di contatto e di direzione con masse in movimento; ed inoltre un tipo di fabbrica, la fabbrica moderna, che rappresenta un salto economico, organizzativo rispetto anche agli aspetti tecnologicamente più avanzati della manifattura.” [5]

Negli anni ’60 riemerge con forza una spinta autonoma operaia, la classe si fornirà di nuovi strumenti organizzativi di base, carichi di potenzialità. Una classe che pur attraverso delusioni si riconosce nelle organizzazioni storiche ma che guarderà con fiducia al ruolo delle organizzazioni di base. [6]

Tale spinta non riemerge in assenza di un preciso ruolo e di concreti risultati da parte del sindacalismo confederale ma si insinua tra le contraddizioni dell’evoluzione del modello sindacale che CGIL CISL UIL tentano di ridisegnare, pur legittimati da importanti risultati: “Nel 1965 i sindacati riuscirono a concludere importanti accordi interconfederali in tema di licenziamenti individuali e collettivi.

L’imprenditore, in particolare, fu vincolato all’osservanza di una procedura di informazione e di confronto con i sindacati prima di poter precedere a licenziamenti collettivi, che superasse un certo numero di lavoratori, e a scegliere i lavoratori eventualmente da licenziare sulla base di criteri obiettivi.

L’accordo sui licenziamenti individuali sfociò addirittura nella legge fondamentale del 1966 (poi riordinata nel 1990), che vietò i licenziamenti senza giusta causa o giustificato motivo, prevedendo la sanzione della riassunzione o del risarcimento del danno nel caso di inosservanza.

Nel 1968 fu emanata una legge che imponeva ai datori di lavoro, pubblici e privati, di assumere almeno il 15% di lavoratori appartenenti a categorie più svantaggiate, tra cui gli invalidi.” [7]

6.3 La sinistra (oltre il pci) nell’intervento operaio degli anni ’60 e primi anni ’70

Il massiccio flusso migratorio che caratterizzò il “Miracolo Economico” (offrendo quella manovalanza a basso costo, che favorì l’aumento di produzione, dell’operaio massa che successivamente analizzeremo) modificò sostanzialmente la natura della classe operaia.

L’assenza di politicizzazione e sindacalizzazione, l’ostilità al senso di organizzazione (tipica della cultura contadina) e la spiccata propensione alla ribellione (considerando anche le condizioni disagiate di vita oltre che di lavoro), determinarono nei primi anni ’60 un inasprirsi di conflitti sociali tra i “nuovi operai” e la borghesia (e le sue forme di rappresentazione e connivenza).

I conflitti non solo erano inusuali (vedremo come i fatti di Piazza Statuto a Torino si svolsero contro la UIL, rea di aver siglato un contratto FIAT dal quale era stata esclusa la CGIL e si era, per protesta, rifiutata la CISL) ma addirittura si concludevano con forte conflittualità, con veri episodi di guerriglia urbana e questo colse impreparata la CGIL ed il PCI che tacciarono da subito tali episodi come frutto di “provocatori” legati alla FIAT (come il gruppo Pace e Libertà), dimostrando la loro netta incapacità di comprendere ed intercettare i nascenti bisogni di un nuovo e più articolato movimento operaio.

In questa prima fase e fino a metà decennio i lavoratori coinvolti in tale importante processo non sentono il bisogno di orientare il sindacato né di strutturarsi in senso antagonista ad esso; solo il rapporto con le strutture politiche di fabbrica (e con quelle di orientamento marxista) caratterizzerà il percorso (che successivamente analizzeremo) del movimento del ’68 - ’69.

Tre furono i gruppi principali della sinistra di classe che si rapportarono con la nuova realtà (quattro se consideriamo i Marxisti - Leninisti, entristi nel PCI che non svilupparono mai compiutamente - tranne poche realtà di cui una a Napoli - una propria originale posizione sulla questione operaia dell’epoca);

gli Operaisti: (Classe Operaia, Gatto Selvaggio, Quaderni Rossi)

i Trotzkjisti: (Avanguardia Operaia, Gruppi Comunisti Rivoluzionari, Unità Operaia,)

i Bordighisti: (Lotta Comunista, Partito Comunista Internazionalista - Battaglia Comunista, P.C. Internazionalista - Programma Comunista, P.C.Intern. Rivoluzione Comunista, Unità Proletaria - Cremona,..)

Gli Operaisti furono certamente i più rapidi nel percepire il nuovo che andava affacciandosi; dettero subito vita a gruppi che a lungo intervennero dall’esterno delle fabbriche e che, però, solo verso il ’67 - ’68 produsse aggregazioni operaie collegate (Circolo Rosa Luxemburg di Genova, Potere Operaio - Milano, il Potere Operaio - Pisa, Pot.Op. - Veneto Emiliano). L’intuizione più rilevante dei gruppi operaisti fu l’individuazione dell’operaio comune, con la sua carica ribellistica, come soggetto portatore di bisogni nuovi e radicali.

La centralità del salario, se da un lato diventava il vettore della generalizzazione del conflitto in fabbrica, dall’altro, attraverso la tematica degli aumenti uguali per tutti, assicurava la massima partecipazione degli operai comuni, ponendo anche le premesse per un attacco a tutta l’organizzazione del lavoro. ... La battaglia salariale si presentava quindi come l’aggressione al punto critico del sistema produttivo, assicurando il massimo di spinta conflittuale. Intorno ad essa ruotavano poi altri oggetti del conflitto quali la riduzione dell’orario, il rifiuto della disciplina in azienda, la critica alle forme di rappresentanza esistenti, la lotta alla nocività e per il risanamento dell’ambiente di lavoro... sino alla fine degli anni ’60 la linea ufficiale dei sindacati non comprendeva nel proprio orizzonte il risanamento dell’ambiente di lavoro, la nocività diventava così solo uno degli elementi per il calcolo della retribuzione; fu merito dei primi gruppi della Nuova Sinistra la profonda trasformazione di questa ottica con il rifiuto della monetizzazione della salute. Ugualmente si deve ai primi gruppi operaisti (e per la verità anche ad altri gruppi dell’estrema sinistra, ad esempio i trotzkjisti) la critica delle forme di rappresentanza vigenti, cioè il sistema basato sulle Rappresentanze Aziendali Sindacali e le Commissioni Interne.” [8]

La critica alle Commissioni Interne nasce dal fatto che queste coinvolgevano i lavoratori sole in fase di voto inoltre esponevano i delegati a notevoli rischi, tra i quali la corruzione e la repressione della direzione. L’esigenza dell’indipendenza e la ricerca dell’unità di classe si esprime con il bisogno di forme di democrazia diretta e con la necessità di far pesare gli operai non sindacalizzati e dunque facilmente esclusi dalle Commissioni Interne.

I trotzkjisti: nonostante alcune similitudini comportamentali con gli operaisti, non sono attenti al nuovo rappresentato dagli operai comuni, questo probabilmente a causa della politica entrista nel PCI e nella CGIL, politica che comunque gli permise di individuare alcuni operai più politicizzabili e, attraverso questi, costruire una opposizione sindacale.

“È indubbio che tale sistema desse i suoi risultati. Essenzialmente a Milano, ma anche a Roma e a Torino, nacquero in questo modo i primi gruppi da cui prendevano vita i CUB. Ma questo comportava anche il privilegiare gli operai specializzati, i tecnici, talvolta gli impiegati che, più facilmente degli operai comuni, si iscrivevano al PCI e alla CGIL assumendone incarichi dirigenti a livello aziendale. Di qui la percezione meno netta ed immediata della soggettività espressa dagli operai comuni. Peraltro i trotzkjisti si caratterizzavano per una cultura politica più tradizionale ed insieme più ricca di quella degli operaisti (grande attenzione alle questioni internazionali, interesse anche per la dimensione istituzionale della politica,...) il che non facilitava certamente la penetrazione tra i lavoratori meno colti.” [i]

Fatta eccezione che per la questione del salario, le altre tematiche, riduzione dell’orario, rifiuto della monetizzazione delle nocività e critica delle Commissioni Interne, coincideranno con le politiche degli operaisti.

I bordighisti: “furono in larga parte marginali salvo rare situazioni, (Cremona per Battaglia Comunista e Genova per Lotta Comunista) nelle quali, sintomaticamente, essi espressero una linea ampiamente similare a quella degli operaisti (Lotta Comunista si è caratterizzata da sempre per il suo marcato salarialismo).

(“IL SESSANTOTTO - La stagione dei movimenti (1960-1979)” a cura della redazione di “materiali per una nuova sinistra” - Edizioni Associate - Roma, Maggio 1988 pag.107)

6.4 Il PCI e il contesto politico di riferimento (anni ’60)

Va sottolineato che il contesto politico nazionale e internazionale non è dei più idonei allo sviluppo di un processo di analisi funzionale ad individuare la natura del disagio operaio, perché il disagio risiede in ogni aspetto della società, in ogni dimensione in cui si configura la funzione dell’operaio massa, anche nel sociale e nel territorio.

Se da un lato, quello internazionale, prevale la consapevolezza che ben presto si arriverà ad uno scontro armato tra l’occidente ed il blocco comunista (e la DC italiana è convinta di questa tesi), molti pensano che lo scontro si trasformerà in una competizione pacifica tra i due blocchi (riservando l’azione militare alle aree marginali del Sud del mondo)ed in previsione di questo evento (riassunto dai più come prassi di guerra non convenzionale) si avrà cura di:

• integrare nelle maggioranze i socialdemocratici ed i socialisti moderati;

• creare partiti e sindacati anticomunisti;

• determinare una azione di propaganda politica, attraverso giornali, radio e case editrici

In questo contesto Vaticano e Inghilterra sono propensi a sostenere e foraggiare le forze conservatrici, mentre gli USA sono per la strutturazione di una componente antagonista all’espandersi dell’influenza del marxismo nella società e nella cultura in Italia. Influenza che invece sempre più si radica là dove il disagio è più accentuato, là dove le condizioni di sfruttamento del lavoro vivono e si sommano all’alienazione della catena di montaggio, là dove il moderatismo dell’asse PCI-CGIL frena i processi rivoluzionari della classe invece di governarli (o peggio approfitta del movimentismo “di piazza” per intervenire a garanzia dei modelli di democrazia borghese, assumendo sempre più il ruolo di moderatore della fase, ruolo che a distanza di pochi anni non sarà più in condizione di garantire).

La guerra anticomunista passa così dal piano militare (la Gladio ed i vari gruppi militari in funzione di sabotaggio) [i] al piano politico - culturale (che non disdegna comunque le azioni violente, armate, a finalità stragiste dei gruppi fascisti o il ricordo al golpe militare come strumenti adeguati a ricondurre la sinistra al ruolo di semplice spettatore) caratterizzato dal finanziamento(tramite la CIA) di svariati sindacati gialli, di gruppi neofascisti e conservatori ed anche di forze cosiddette socialiste in funzione anticomunista.

È importante però contestualizzare la posizione e le difficoltà del PCI di quegli anni che insisteva, da una parte, per una “via italiana al socialismo”, rispettosa della storia peculiare d’Italia e quindi del contributo che ad essa diedero tutte le forze, borghesia illuminata inclusa, e dall’altra non poteva, e forse ancora non voleva, respingere la forte carica anticapitalista che le masse andavano esprimendo con le lotte dei primi anni ’60.

Ciò corrispondeva, sul piano della storiografia militante, alla difficile elaborazione di lineadel PCIdiquegli anni, teso al sostegno delle lotte operaie, ma anche preoccupato che l’alleanza fra classe operaia e strati diversi della popolazione per l’ampliamento degli spazi democratici, su cui era impegnato, potesse essere messa in crisi dalla combattività nascente sui luoghi di lavoro.

Scriveva a proposito V.Foa: ... “Non bisogna separare le due lotte... la democrazia rappresentativa, come strumento di potere pubblico, diventerà effettiva solo quando sarà stata liberata dalle ipoteche che su essa pesano in modo paralizzante, e che questa lotta di liberazione passa necessariamente, anche se non esclusivamente, nella struttura, nei luoghi di lavoro.”

(V.Foa, Lotte operaie nello sviluppo capitalistico, in Q.R. 1961, 1, p. 11)

E sullo stesso tema negli anni successivi:.. “dare organicità alle nostre risposte, dare organicità alle lotte per la casa, per l’occupazione, per la riduzione dei prezzi, alle lotte di fabbrica, creare un quadro più vasto, ecco una esigenza profondamente sentita; dare ai disoccupati nei momenti in cui la lotta si farà più acuta, degli obiettivi generalizzati, è una necessità assoluta, ...dobbiamo lavorarci sapendo che nella generalizzazione degli obiettivi c’è il pericolo ad un certo punto che l’obiettivo diventi così generale da non mobilitare più, e il problema è di riuscire a saldare queste due componenti...” [9]

C’è da considerare inoltre che la citata combattività nascente nei luoghi di lavoro, teneva unita la classe operaia alle masse di proletariato in cerca di più ampi spazi di democrazia, (il che contribuirà a generare la fase più importante del movimento sindacale di classe, negli anni ’70) ma esponeva pericolosamente il conflitto al rischio di una amplificazione difficilmente controllabile da parte del PCI e della CGIL. Questo elemento, insieme alla già citata difficoltà di elaborazione della linea da parte del PCI, in generale e in particolare in merito alla comprensione delle nuove espressioni dell’autonomia di classe e rapportato al pericolo golpista sempre presente in quegli anni, aprirà il fianco (nella seconda metà degli anni ’70, quando ormai è forte la crisi del movimento comunista e si intravede una ripresa dell’imperialismo) all’esperienza dei movimenti rivoluzionari, alcuni dei quali fanno della lotta armata un rilevante carattere espressivo.

“...la Resistenza nelle fabbriche per colpire i nemici, i sabotatori e i liquidatori dell’unità e della lotta operaia, per contendere palmo a palmo l’iniziativa padronale che sulla sconfitta politica del movimento operaio vuol fare passare qualche altro decennio di sfruttamento e di oppressione.” [i] “Il terrorismo di sinistra, nella sua fase originaria...nasce principalmente come ipotesi e strategia difensiva «vetero resistenziale» nei confronti dell’offensiva fascista e del pericolo di un colpo di stato militare”(a cura di Boato M., “Un terremoto traumatizzante in una società in crisi” in «Ottantagiorni. Racconti di notizie» Gennaio-Febbraio ’82. oggi in “La Politica della Violenza” a cura di R. Catanzaro- Il Mulino - per Istituto Cattaneo - 1990 pag. 65).” Riconsiderando criticamente, nel suo insieme, l’ultimo decennio, si può affermare che molto probabilmente nel quinquennio 1975-’80 il terrorismo di sinistra avrebbe avuto dimensioni molto più ridotte sul piano quantitativo e una incidenza politica assai meno rilevante se lungo tutto l’arco del quinquennio 1969-’74 non si fosse sviluppata pressoché impunemente quella strategia della tensione, della strage e del colpo di stato che aveva visto coinvolte non solo le organizzazioni paramilitari di estrema destra, ma anche in prima persona centri delicatissimi dei corpi armati, di polizia e dei servizi segreti dello Stato”. a cura di Boato M. “ Il terrorismo e il caso italiano” in «Mondoperaio» n° 10)

7. Le lotte... ben oltre CGIL, CISL, UIL

Troppo spesso si considera la fine degli anni ’60 come il periodo delle grandi contestazioni e dei grandi conflitti.

In effetti già dalla seconda metà del ’62 le lotte operaie “segnano livelli altissimi di partecipazione: 181 milioni di ore di sciopero con circa tre milioni di adesioni” [10]. E il grande sciopero del 23 Giugno (60.000 operai FIAT - e anche qualche impiegato - in piazza) e del 6 luglio con quasi tutti gli operai FIAT a Torino coinvolti, oltre gli studenti e molti abitanti del quartiere, (e dei lavoratori in corteo a Piazza Statuto per contestare la UIL, firmataria del contratto bidone) danno il senso delle lotte di massa che si protrarranno per tutto il decennio. Il 4 Luglio la Confindustria aveva interrotto le trattative mentre la FIAT avviò la trattativa aziendale con i «liberi sindacati» UIL, SIDA e CISL, che rifiutò la trattativa; il 6 Luglio a Torino gli operai della FIAT manifestano a piazza Statuto, sede della UIL, contro l’accordo siglato da questo confederazione. Ben presto la manifestazione degenera in una forte risposta repressiva poliziesca. Studenti e cittadini si scontrano per tre giorni con le forze dell’ordine che alla fine conteranno 169 feriti, i fermati saranno 1215, 90 gli arrestati e 100 i denunciati a piede libero. Tre giorni di contestazione cittadina a sostegno degli operai FIAT in lotta a Piazza Statuto, molti iscritti alla UIL, dopo un mese la FIAT licenzierà 88 operai.

Il fermento sociale èe il conflitto si allargano a molte aree del Paese e ancora una volta la destra eversiva presta il fianco ed è strumento armato dell’opera di normalizzazione che lo stato capitalista ha necessità di attuare per riassettare il tiro ed uscire dalla crisi. Nel ’64 con il “piano solo” si tenta di dare una risposta energica alla minaccia eversiva che viene dal mondo del lavoro, 731 tra dirigenti sindacali e parlamentari di sinistra sono nel mirino dei “golpisti”, per loro è previsto il trasferimento forzato in Sardegna; l’operazione salterà all’ultimo momento ma le “prove generali” resteranno vive per molti anni e si riproporranno in particolari momenti con i dovuti correttivi.

Lo scemare della crisi congiunturale del ’64 - ’66 ripropone uno scenario di lotte operaie caratterizzato da un importante avvenimento: in occasione dei festeggiamenti unitari del 1° Maggio, le piazze solitamente occupate dalla sinistra vengono vergognosamente lasciate vuote dal sindacato ufficiale per essere sostituite da altre iniziative che, proprio per la natura unitaria, non hanno necessità di essere troppo caratterizzanti, in queste piazze storiche, gruppi di lavoratori, studenti organizzati in maniera spontanea e in parte da operai con cultura e formazione marxista-leninista, gettano le basi per stimolare una critica di massa alle forze politiche e sindacali che sarà la vera base per la costruzione di aggregazione autonome da CGIL-CISL-UIL, per riaffermare l’indipendenza del movimento di classe.

Già dalla fine del ’67, per tutto il ’68 e prepotentemente nel ’69 le aggregazioni extra confederali si sviluppano in tutto il paese con una caratterizzazione nel Meridione, i Comitati di Lotta (CdL), ed una prevalentemente nel Nord Italia e al Centro, cioè, i Comitati Unitari di Base (CUB).

Ma tutto ciò sarà argomento del prossimo numero di Proteo.


[1] Stefano Merli, “Proletariato di fabbrica e capitalismo industriale. Il caso italiano:1880 - 1900”, La Nuova Italia, Firenze, 1973, 1, p.145.

[i] ibidem cap. IV.

[2] vedi: V. Foa, Sindacati e lotte sindacali, in Storia d’Italia, Einaudi, Torino, 1973, vol.V tomo 2° pag.1791.

[3] S. Merli, Proletariato di fabbrica..., op. cit.

[4] S. Merli, ibidem, 1, p. 530.

[5] S. Merli, ibidem, 1, 372.

[6] Per approfondimenti: A. Potassio, La storiografia marxista in Italia e l’autonomia operaia, in Quaderni Piacentini, n° 60 - 61, pag. 143 - 164.

[7] G. Cannella (magistrato di Corte d’Appello)(pubblicato su D&L, Riv. crit. dir. lav. 4/2001, p.873)L’articolo, che è pubblicato anche su Omissis (www.omissis.too.it), e sul numero monografico di marzo 2002 della rivista “Il Ponte” intitolato “Quale governo quale giustizia” riproduce la relazione introduttiva per l’assemblea pubblica e dibattito dal titolo “No al lavoro senza diritti”, organizzata a Roma il 14/12/01 dal Forum Diritti-Giustizia (Social Forum Roma)-Antigone, Cred, Giuristi democratici, Progetto diritti, Camera del lavoro e del non lavoro, Cobas, Rdb, Avvocati progressisti italiani, Magistratura democratica romana.

[8] ”IL SESSANTOTTO - La stagione dei movimenti (1960-1979)” a cura della redazione di “materiali per una nuova sinistra” - Edizioni Associate - Roma, Maggio 1988 pag. 107.

[i] “IL SESSANTOTTO - La stagione dei movimenti (1960-1979)” a cura della redazione di “materiali per una nuova sinistra” - Edizioni Associate - Roma, Maggio 1988 pag. 106).

[i] “...Nel corso degli anni ’60 la rete clandestina prese definitivamente forma. Nel corso del decennio furono reclutati circa 300 elementi esterni...le armi e i materiali furono dislocati in zone strategiche dell’Italia settentrionale mediante depositi interrati, NASCO, ...nel ’66 la svolta...GLADIO deve orientare la sua attività in un programma che possa dare frutti sin dal tempo di pace e che offra attuali possibilità di valorizzazione quale quella che potrebbe ispirarsi alla dottrina della insorgenza e della controinsorgenza...la suddetta organizzazione sarebbe stata utilizzata anche contro formazioni politiche aventi rilievo nazionale, ed in particolare contro i comunisti italiani...tra le finalità della sessa vi era anche e soprattutto lo svolgere attività di contrasto di attività sovversive di moti di piazza dei comunisti italiani...tra i compiti dell’organizzazione vi era anche quello di eliminare i comunisti italiani ...in caso di conflitto tra la NATO e i paesi del blocco sovietico...”a tal proposito si veda tra gli altri: P.Cucchiarelli e A. Giannuli, Gamberetti, “Lo Stato Parallelo” di Editrice, 1997 - pagg. 77, 99 e seg.).

[9] V. Foa ”Uscire dalla crisi o dal capitalismo in crisi?” Partito di Unità Proletaria per il Comunismo, ora in “atti del convegno di Ariccia 8/9 Febbraio 1975- Alfani Editore).

[i] “Linea di Resistenza” Brigate Rosse - Auto intervista - Marzo 1973 - citato in “Potere Operaio del Lunedì” 11.03.1973 n° 44.

[10] S.Manes - Questione sindacale ed esperienze extraconfederali negli anni ’60 - oggi in Quaderni CESTES n° 9 pag 71.