Il contraddittorio legame tra le trasformazioni economico-produttive e alcuni passaggi-chiave della storia del movimento sindacale dal dopoguerra ad oggi (seconda parte)
Luciano Vasapollo
Rita Martufi
Sabino Venezia
Dal conflitto permanente alla “partecipazione” concertata
Questo lavoro costituisce una prima bozza di discussione che la redazione di PROTEO presenta ai propri lettori dalle cui osservazioni ci proponiamo non solo di “imparare” su un argomento storico-economico tutto aperto, e in cui sicuramente non siamo specialisti, ma anche di prender spunto per le eventuali correzioni di impostazione e gli ulteriori approfondimenti. |
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Solo verso la fine del decennio degli anni ’70, grazie alla
riproposizione del contesto politico e sindacale che ne aveva determinato la
nascita e grazie anche alla corretta individuazione degli elementi che ne
avevano decretato la fine, si svilupperanno modelli simili di sindacalismo di
base che faranno dell’indipendenza dai partiti la strategia di lunga durata e
della coerente rappresentanza della base lo strumento di lotta quotidiana.
Coordinamento Macchinisti Uniti (COMU) e Rappresentanze
Sindacali di Base (RdB) (oltre ad una innumerevole galassia di realtà
territoriali che al loro modello si rifanno) nasceranno nelle fabbriche ma ben
presto si svilupperanno anche tra i lavoratori del Pubblico Impiego, con
dinamiche diverse. Successivamente nasce l’esperienza della realtà sindacale
della Confederazione di Base della Scuola (COBAS Scuola, poi estesa a vera
Confederazione).
Le RdB, dall’esperienza del precariato (L. 285/80), si
affermano poi come realtà sindacale consolidata, con strutture di federazione
radicate su tutto il territorio nazionale, fortemente caratterizzata da una
attenta analisi e da una corretta strategia che ne legittima il peso sullo
panorama sindacale nazionale. Le RdB sapranno coniugare gli elementi portanti
dell’esperienza dei sindacati di base del decennio precedente (l’indipendenza
dai partiti e il costante rapporto con la base) adeguando costantemente le
strategie alla fase politica di riferimento, con un occhio sempre attento (dalla
base) all’involuzione delle dinamiche sociali frutto del capitalismo
neoliberista ed un altro vigile sullo scenario internazionale. Le Rdb saranno
elemento indispensabile per la costruzione della Confederazione Unitaria di Base
(CUB), da alcuni anni unica realtà di base tra le Confederazioni maggiormente
rappresentative presenti nel Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro
(CNEL).
I COBAS si sviluppano come soggetto politico-sociale che si
serve anche dell’azione sindacale come strumento di alternativa e antagonismo
alle politiche liberiste,
- Quaderni Rossi (QR) [1] è la prima rivista di
operaismo a cimentarsi in una analisi politica del movimento operaio attraverso
una indagine sociologica specifica: l’inchiesta operaia.
L’indagine parte dalla FIAT e per la prima volta si
analizzano concretamente le condizioni di vita e di lavoro nella fabbrica; lo
studio non si ferma alla FIAT e il modello di inchiesta viene esportato in altre
fabbriche del Nord. Il risultato è significativo già nel fatto che si
individuano due tipologie di operaio:
- operai con anzianità di lavoro medio / alta, ben
integrati nel tessuto sociale di riferimento, iscritti prevalentemente al PCI
ed alla CGIL con un profondo attaccamento al lavoro ed alla propria azienda
- operai giovani, prevalentemente immigrati dal Centro-Sud
e difficilmente integrati nel contesto sociale, spesso non iscritti a
PCI/CGIL,con una bassa qualifica, addetti alla catena di montaggio e con
salari molto bassi; è questa la figura dell’“ operaio massa”.
La rivista si occuperà prevalentemente dell’organizzazione
del lavoro e dei rapporti sociali insistendo sul concetto di autorganizzazione
operaia nelle fabbriche. Il gruppo dei Quaderni Rossi avvierà percorsi politici
strutturando momenti permanenti di analisi a Torino, Milano, Ivrea, Biella, M.
Carrara, ecc. Molte strutture della sinistra tradizionale (che avvertono la
necessità di comprensione della fase) si dimostreranno sensibili all’iniziativa:
la FIOM a Torino, la sezione università del PCI a Roma, i giovani del PSIUP a
Bologna. Successivamente questi gruppi si incontreranno sempre più con gli
operai politicizzatisi con le lotte del 68-69 ed anche da queste aggregazioni
prenderanno vita alcuni dei più importanti movimenti della nuova sinistra:
Lotta Continua e Potere Operaio per primi [2].
4. Il sindacato cavalca la protesta, i padroni la reprimono
La forte crescita economica degli anni ’60 ha prodotto ingiustizie nel
mondo del lavoro. Alla fine di questo decennio, l’Italia sarà un paese
industrializzato e competitivo rispetto agli altri Paesi, e la classe operaia
sarà costretta a pagare un prezzo altissimo in termini di sfruttamento e di
bassi salari.
“Si considerino, innanzitutto, i dati relativi all’incremento
della produttività. Nel periodo 1959 - ’68, nel complesso dell’industria
italiana la produttività del lavoro è aumentata del 61,8%. Nell’industria
manifatturiera, invece, tale aumento è stato ancora superiore: esattamente del
76,6%. Incrementi della produttività tanto rilevanti come questi non si
riscontrano nella evoluzione economica della stragrande maggioranza dei paesi
capitalistici.
La filosofia dell’efficienza, che ha sorretto il processo
di ristrutturazione tecnico produttivo e finanziario avviato nel momento stesso
in cui esplodeva la congiuntura favorevole, ha comportato infatti un tipo di
investimento la cui caratteristica fondamentale è consistita nella combinazione
di radicali innovazioni nell’organizzazione del lavoro e di relativamente
modeste introduzioni di nuovi beni capitali. Da ciò una impressionante e
intollerabile intensificazione dello sforzo fisico e psichico richiesto ai
lavoratori, che ha finito per dare tanto rilievo ai problemi della salute e
della loro tutela fisica. Tutto questo peraltro è stato favorito dalle
condizioni generali di larga sottoutilizzazione della forza - lavoro
disponibile, che continuano a caratterizzare il mercato del lavoro in Italia e
che influenzano, quindi, pesantemente la condizione operaia in modo sia diretto
(perché il lavoratore quando non è sfruttato è disoccupato) che indiretto.
La dinamica salariale estremamente contenuta che ha
caratterizzato nell’insieme questo periodo è stata anch’essa il riflesso
della vasta disoccupazione presente nel mercato del lavoro, in Italia”
[3].
Questo particolare periodo di fermento politico e sociale,
alla fine degli anni sessanta, si caratterizza con le lotte per il rinnovo dei
contratti; CGIL CISL UIL proseguono nella logica unitaria forzati in senso
rivendicativo da una ormai consolidata voglia di nuovo che viene dal movimento
operaio; le piattaforme stesse sono realmente innovative, complici anche i “riscoperti”
strumenti partecipativi che costringono il sindacato confederale ad osare
prepotentemente.
Da parte loro i sindacati, per non perdere il consenso
operaio, proprio perché questi scontri erano avvenuti su base
autonoma [4], avvia altri cicli di lotte, volti a modifiche di carattere
prettamente normativo. Si delinea, così, un doppio ciclo di proteste, i primi
provenienti dalle fabbriche, mentre gli altri dai vertici sindacali per tentare
di recuperare il consenso di classe. Tale lotta, condotta in alcuni casi
valicando i limiti della legalità avviene anche lontano dai confronti
strettamente contrattuali, coinvolgendo tutto il Paese.
La reazione padronale sarà dura, il muro delle negazioni
darà il via ad una serie di manifestazioni che troveranno lo Stato impreparato
e rigidamente incline alla repressione, complice anche una destra spesso silente
ma sempre pronta ad approfittare dei momenti di difficoltà per sviluppare
strategie golpiste. Le risposte alle lotte per il rinnovo dei contratti e alle
battaglie sociali che hanno già caratterizzato gli anni immediatamente
precedenti, renderanno più esplicita quella “strategia della tensione” che
vedrà nelle bombe del 12 Dicembre del ’69, il primo momento di sintesi
tra la connivenza di alcuni settori repressivi dell’apparato dello Stato e il
prepotente squadrismo fascista, mai combattuto dallo Stato e da sempre al soldo
della borghesia; quello squadrismo spontaneamente utilizzato durante la
contestazione studentesca, debolmente organizzato nel florido periodo dello
sviluppo della sinistra extraparlamentare e strutturalmente funzionale nelle “stragi
di Stato” che segneranno, da quel 12 Dicembre, piazza Fontana, l’intera
vita del Paese.
In questo contesto il sindacato italiano rischia per la prima
volta di perdere il ruolo da protagonista a vantaggio dei lavoratori; ovunque,
nelle assemblee, si registra una crescente insofferenza rispetto ad organismi,
personaggi e metodi del sindacato tradizionale, rifiutato spesso per la sua
inadeguatezza.
Le Commissioni Interne, sovente usate dal sindacato
confederale per giustificare la distanza degli organismi dalla base, non
assolvono la necessità di partecipazione dei lavoratori che le scavalcano,
nonostante la strenua difesa delle direzioni, e che cominciano a sperimentare i
Consigli dei Delegati, organismi “di democrazia diretta che, dunque, è
estremamente complicato controllare; sono organismi di democrazia operaia, non
sindacale, dunque, ancora più difficili da tenere al guinzaglio perché
rappresentano tutta la classe, non soltanto i tesserati, e perché si pongono su
un terreno molto più ampio, generale, schiettamente politico e, quindi, con un
potenziale tendenzialmente dirompente” [5].
Si strutturano, di fatto, organismi democratici che
privilegiano la dialettica interna, il confronto delle idee e delle proposte e
dove l’appartenenza ad un sindacato è irrilevante ai fini della
rappresentanza.
I Consigli di Fabbrica, semplice coniugazione del precedente
in ambito industriale, rappresenteranno la più “gramsciana” forma di
sindacato di classe mai esistita, saranno il sindacato in fabbrica e non la base
del sindacato confederale in fabbrica, anzi saranno costantemente denigrati e
delegittimati dalle centrali sindacali che tenteranno sempre di ricondurli a
propria struttura di base. Lo sviluppo di tale importante esperienza, poco
approfondita e studiata per essere ridimensionata a semplice casualità della
fase politica, porterà fuori dalle fabbriche, là dove è indispensabile
cogliere le necessità, i bisogni del territorio ed i riflessi del lavoro nella
vita sociale e politica, sperimentando la capacità e la forma attraverso la
quale la classe operaia garantisce la sua direzione, non solo in fabbrica ma
anche sulla società. A tali organismi, i Consigli di Zona, sarà riservata lo
stesso ostruzionismo dei CdF fino a ricondurli nelle “leghe territoriali” e
quindi sotto il controllo dei sindacati confederali.
Sul versante sociale, il biennio ’68-’69 caratterizzò la
spinta verso la democratizzazione attraverso la messa in discussione del
concetto di autorità.
“Il datore di lavoro non deve essere più il “padrone”,
come si diceva allora e si era sempre detto, e i lavoratori non devono essere i
suoi “sudditi”, bensì collaboratori in una struttura organizzativa di cui
il datore di lavoro è il “dirigente”, il “coordinatore”.
Lo Statuto dei lavoratori, approvato nel maggio del 1970
sotto la spinta del famoso “autunno caldo” del ’69, fornì le condizioni
per la realizzazione di quel sogno.
Il sogno di un lavoratore con una propria dignità, libertà
e consapevolezza dei propri diritti.
La norma fondamentale fu certamente l’art. 18, nei
confronti del quale oggi rischia di realizzarsi il sogno contrario degli
imprenditori, la sua abrogazione o per ora sospensione.
L’art. 18 consente, nelle imprese con più di 15
dipendenti, un’effettiva tutela del lavoratore licenziato ingiustamente. Non
più solo il risarcimento dei danni, ma la “reintegrazione” nel posto di
lavoro: il datore di lavoro è cioè obbligato a riammetterlo in azienda e a
farlo lavorare.
È una rivoluzione!
Prima dell’introduzione dell’art. 18 erano pochissime le
cause di lavoro introdotte durante il rapporto e lo stesso avviene ancora oggi
per le imprese fino a 15 dipendenti.
Infatti, senza lo scudo dell’art. 18, di fatto il
lavoratore non faceva valere i propri diritti, né individuali nè collettivi,
nel corso del rapporto per paura di essere licenziato ed era quindi soggetto a
qualsiasi abuso da parte del datore di lavoro.
La norma consente quindi l’effettivo esercizio dei diritti
del lavoro, senza paura di eccessive ritorsioni.
Un altro articolo dello Statuto, d’altra parte, vieta
qualsiasi atto o patto discriminatorio (art. 15, che troverà poi un’importante
conferma nella legge del 1977 per la parità tra uomini e donne nel lavoro): l’imprenditore
non è più il dittatore dell’impresa!
Il sindacato non è più una presenza quasi segreta,
cospiratrice, ma entra a pieno titolo nella vita dell’azienda, può fare
proseliti e raccogliere contributi alla luce del sole, può affiggere comunicati
ed organizzare referendum ed assemblee e l’imprenditore deve assicurargli
bacheche e locali, ha diritto a permessi, anche retribuiti, per i suoi
rappresentanti, è tutelato in modo efficace e rapido contro i comportamenti
antisindacali dell’imprenditore.
Lo Statuto tutela, inoltre, il lavoratore sotto ogni profilo,
garantendo la dignità e la libertà di manifestare il proprio pensiero,
vietando l’uso di impianti per il controllo a distanza e gli accertamenti
sanitari diretti, limitando le visite personali di controllo, regolando il
procedimento disciplinare e consentendo soprattutto al lavoratore di difendersi
prima della sanzione, vietando la dequalificazione (spostamento a mansioni
peggiorative), anche con il consenso del lavoratore.
All’acme della parabola il lavoratore sembra davvero
definitivamente diventato persona anche dentro l’azienda” [6].
Gli anni ’60 si chiudono all’insegna della lotta con una
vittoria sostanziale del mondo del lavoro e con un ruolo nuovo dei lavoratori
sulla scena politica. Gli aumenti salariali, la riduzione dell’orario di
lavoro e la conquista delle ore di assemblea sindacale, saranno il sintomo
concreto di una nuova fase rivendicativa in termini di diritto che segnerà il
suo momento più alto con l’approvazione dello “Statuto dei Lavoratori”
e con esso delle regole che ricollocano: il lavoratore come soggetto attivo
della propria salute e il mondo sindacale nelle condizioni di trasformare
profondamente la sua presenza sui luoghi di lavoro [7].
Se le lotte per le riforme ottengono dei risultati che
saranno apprezzati soltanto nel tempo, le battaglie per le conquiste normative
portano dei riscontri immediati. Infatti, vengono abolite le cosiddette “gabbie
salariali”, ossia quello strumento che manteneva differenziali di costo del
lavoro tra le diverse aree (8), vengono concesse ai lavoratori dell’industria
150 ore annuali per attività formative, vengono istituite apposite tutele di
natura procedurale nei rapporti tra lavoratore e datore di lavoro. Come si è
detto raggiungendo l’apice nel 1970 con l’emanazione dello Statuto dei
Lavoratori.
Sul versante più propriamente politico la tensione resta
altissima, al fianco degli operai migliaia di studenti si uniscono alla lotta
attratti dal desiderio di cambiamento che pervade la gioventù di tutto il
mondo, e accanto ad essi ampi settori di classi intermedie e di intellettuali a
legittimare un percorso verso il progresso, permanentemente mobilitati ed
attenti ai risvolti sociali, economici e politici in campo nazionale e
internazionale.
[1] Nel 1961 esce il 1° numero di Quaderni
Rossi caratterizzati per tutto il corso della loro esistenza dalla
attenzione costante alla condizione operaia, allo scontro di fabbrica,per la
conquista continua e graduale di potere operaio, poiché “nella grande
fabbrica, quando nasce la coscienza di classe, l’operaio avverte con esattezza
la potenza organizzativa e tecnica del capitalista, sa che è lì che si
decidono le cose, impara che il potere di decisione del padrone sul suo lavoro
è anche di decisione della sua vita e quella dei suoi compagni...”. V.
Foa, “Lotte operaie nello sviluppo capitalistico”, in “Quaderni
Rossi”, 1961, 1, pp.10-11.
[2] Per approfondimenti :
www.xs4all.nl/cronologia.htlm www.cronologia.it
www3.iperbole.bologna.it/asnsmp/index.htm
[3] E. Peggio, “Capitalismo Italiano Anni ‘70” Editori Riuniti -
Febbraio ‘70, pag. 71 e seg. Eugenio Peggio nel 1966 è stato segretario del
CESPE - il Centro Studi di Politica Economica del PCI.
[4] Risalgono a questo periodo la nascita dei CUB (Comitati Unitari di
Base), dei Consigli di Zona e dei Consigli di Fabbrica. Quaderni Cestes, n.9,
anno 2002.
[5] S. Manes, - “Questione
sindacale ed esperienze extraconfederali negli anni ‘60” - oggi in
Quaderni CESTES n.9 pag. 78
[6] G. CANNELLA
(magistrato di Corte d’Appello) pubblicato su “D&L, Riv. crit. dir.
lav.” 4/2001, p.873. L’articolo, che è pubblicato anche su Omissis
(www.omissis.too.it), e sul numero monografico di marzo 2002 della rivista
“Il Ponte” intitolato “Quale governo quale giustizia”,
riproduce la relazione introduttiva per l’assemblea pubblica e dibattito dal
titolo “No al lavoro senza diritti”, organizzata a Roma il 14/12/01
dal Forum Diritti-Giustizia (Social Forum Roma-Antigone, Cred, Giuristi
democratici, Progetto diritti, Camera del lavoro e del non lavoro, Cobas, Rdb,
Avvocati progressisti italiani, Magistratura democratica romana).
[7] Per approfondimenti: D.
Francisconi - “Lavoratori e Organizzazione Sanitaria” - De Donato
Editore - Bari 1978.