Reddito Sociale Minimo: una riflessione sulla prospettiva
Vincenzo Bellini
Questo secondo articolo dedicato al Reddito sociale minimo (Rsm), è la continuazione di quello pubblicato sul precedente numero di Proteo. Nell’articolo in questione si sono evidenziate le condizioni concrete: internazionali, economiche, politiche e sociali, entro cui la proposta del Reddito Sociale è nata ed è andata avanti.
Si è fatto altresì il punto delle iniziative promosse e dei passaggi individuati per chiarire il tipo di percorso adottato.
Dopo di ciò diventa utile passare a ragionare sulle prospettive. |
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6. L’iniziativa rispetto al corpo sociale
Nei prossimi mesi, in Parlamento, non ci sarà spazio per
nessuna vera discussione sul riconoscimento di reddito sociale. Si annunciano
sacrifici per risanare i conti pubblici e a pagare saranno milioni di
lavoratori, d’anziani e di giovani. A dircelo è il Dpef che il Governo ha
preparato e che prevede una Finanziaria che eguaglia le peggiori proposte
negli anni ’90. La manovra conferma il rigore finanziario, la cura da
cavallo cui il nostro paese sarà sottoposto.
Il caro vita dà segni di peggioramento. La riforma
berlusconiana dell’irpef, se arriva in porto, aumenta le sperequazioni
sociali.
Può, tra autunno e l’inverno, non crescere il
malcontento, gia manifesto, e dunque la protesta del mondo del lavoro nel suo
complesso?
Le prospettive del Reddito sociale minimo si rafforzano se
riguardiamo poi le cose sotto il profilo, oltre che politico, della
composizione sociale e dei collegamenti permessi dalla Rete.
Precari e lavoratori stabili si somiglieranno un po’ di
più. L’idea del reddito sociale minimo, in queste condizioni, può
funzionare al di là delle attese.
Riguardo strettamente ai settori precari.
Non migliorare la situazione del precariato del Pubblico
Impiego non sarà facile. Qui siamo però di fronte ad un fenomeno crescente.
Sorprende la quantità di manodopera utilizzata e sottopagata - nelle
università si arriva a punte del 40% rispetto agli occupati a tempo
indeterminato; si utilizza personale con un rapporto giuridico che legalizza
il lavoro nero nella pubblica amministrazione.
Le aree coinvolte sono diverse: la sanità, il parastato,
la Croce rossa, i vigili del fuoco, gli enti locali, le agenzie del territorio
e le università.
Contro la precarizzazione e per unificare le diverse
battaglie in corso la Rdb-Cub, che è parte della Rete, ha lanciato una
battaglia per l’assunzione di tutti i lavoratori precari.
Rispetto al settore privato le proposte della Rete
cominciano ad avere una verifica. Ambiti come quelli della grande
distribuzione commerciale e delle comunicazioni sul piano sindacale hanno già
dato segno d’organizzazione. Ci sono proteste e vertenze legali contro i
datori di lavoro, mentre la parola d’ordine del reddito per tutti trova
maggiori attenzioni. Per il lavoro legato ai servizi sociali, esistono
esperienze di lotta consolidate e relazionate alla vertenza per il reddito
sociale minimo, che potranno rafforzarsi e crescere in quantità.
In questi mesi, le lotte nel trasporto pubblico, hanno
funzionato in modo incredibile; qui l’idea della dignità e della
rivendicazione del reddito hanno attecchito e lasciato una sedimentazione di
rapporti che rafforza la Rete.
Il capitolo disoccupazione. Si pensa subito a Napoli e non
si fa peccato. In questa città, soprattutto, si sta preparando la risposta
sociale e critica alla legge approvata dalla Regione Campania (una miseria di
legge) e gli sportelli sono un elemento con cui si cerca di raggiungere ed
organizzare migliaia di persone.
Nel Mezzogiorno, poggiando sulle proposte per il Rsm
indiretto, i comitati dei disoccupati unitamente ai membri della Rete
apriranno un capitolo vertenziale locale.
Obiettivo dei prossimi mesi è andare in profondità nel
contatto con il corpo sociale. “Nella Rete”, dovrà finire quella parte di
lavoratori che subisce al massimo le angherie del padrone, fatta da prestatori
di manodopera giornaliera soggiogata dal caporalato, sommersa in attività che
sanno di schiavitù, e che si trova disseminata ed isolata nel territorio.
Considerando gli immigrati, si colgono segnali di
resistenza e tentativi di fare qualcosa di più per uscire da una condizione
dove i diritti sono al minimo, quando esistono. Nei programmi della Rete, c’è
quello di unire le richieste degli immigrati a quelle del reddito, di
costruire luoghi d’organizzazione comuni, di tessere legami con questo
mondo.
La rete nazionale degli sportelli, trova qui una ragione
aggiuntiva per essere realizzata. Dall’autunno la Rete, con alcune strutture
che ne fanno parte, definirà un primo utile nucleo di collegamenti.
Le leggi regionali avanzate dalla Rete, s’è detto, sono
un altro strumento. In Lombardia a fine novembre, avrà termine la raccolta
delle firme necessarie per la presentazione della legge; in Basilicata, in
Sicilia, in Puglia il percorso è cominciato e andrà avanti anche qui per
condizionare subito le scelte dei bilanci regionali. In ogni caso con il nuovo
anno, le vertenze e lotte contro le giunte di varie regioni potranno entrare
nel vivo.
Non solo. Nell’obiettivo dell’iniziativa territoriale
ci sono anche le amministrazioni comunali di varie città.
Gli sportelli e le proposte di legge ricordate,
costituiscono un volano per sedimentare rivendicazione del reddito.
La proposta del reddito sociale minimo è senz’altro
migliorabile, ma ha già un pregio fondamentale: si rivolge al lavoratore
precario, al disoccupato, al giovane, allo studente, all’immigrato. Guarda,
allo stesso tempo, al lavoratore più garantito e a tempo indeterminato che ha
una retribuzione inadeguata (working poor), dà un’alternativa vera a chi
rimane senza il lavoro.
Il Reddito sociale minimo è una proposta pericolosa per i
padroni, perché così come costruita è un mezzo per abbassare qui e ora il
ricatto del lavoro e il conseguente sfruttamento che si subisce ogni giorno.
È uno strumento unificante del lavoro precario e di questo
con quello stabile. La Rete lavora, per parte sua, a questa difficilissima
sintesi di cui è manifesta l’urgenza.
La proposta di legge del reddito sociale minimo ha quest’impianto:
riconosce pari dignità tra italiani e uomini e donne d’altri paesi che
vivono al Nord come al Sud della nostra penisola. Considera i pensionati
sociali e al minimo persone cui va riconosciuto sul serio un corrispettivo
pensionistico non da fame. Individuano i giovani e gli studenti, come
depositari del diritto al reddito, ai servizi gratuiti e all’accesso ai
saperi.
I giovani e gli studenti sono parte qualificante e non
trascurabile del conflitto che vogliamo portare avanti. Al riguardo, i centri
sociali costituiscono il tramite più vicino a questo mondo per coinvolgerlo
concretamente nel rivendicare reddito.
7. L’identità
Da settembre la Rete ripartirà col percorso di lotta
delineato. Le lotte hanno un’importanza straordinaria perché fanno
riconoscere alle singole individualità la loro comunanza, ma da sole non
bastano.
La parola d’ordine della dignità per tutti i lavoratori,
ha fatto breccia; è servita a sostenere la radicalità di comportamenti
dimenticati per buona parte degli anni ottanta e per tutti gli anni novanta
del secolo scorso.
La situazione più combattiva si esaurisce se non si
aggiunge la forza che viene dall’identità. Si deve avere la consapevolezza
che le “normali” differenze dipendono da un dato contesto produttivo e
socio culturale; che si è oggetto del medesimo sfruttamento e che si è
trattati come merci; che esistono differenze di classe che il capitale
perpetua.
La Rete, nel suo piccolo, tenta di porre la questione dell’identità
intervenendo sull’universo del mondo del lavoro, del non lavoro e del
precariato.
La proposta del Rsm è un passaggio di ricomposizione dell’identità.