5. Sfruttati e sfruttatori
Anche se in maniera “sincopata”, a tratti e a singhiozzo,
anche se i nuovi lavori interinali si stanno dimostrando un vero e proprio
regresso, nessuno può mettere in dubbio che sempre nuove e allargate
possibilità di consumo hanno annegato finora sul nascere ogni reale e concreto
movimento di contestazione di massa di questo sistema socio-economico.
Seconda i punti di vista, secondo le simpatie politiche o
secondo le informazioni a cui ognuno di noi ha accesso, si potrebbe prevedere
razionalmente o avere fede che agli attuali governanti sfuggirà prima o poi di
mano il controllo. Niente di più probabile: essi, pur avendo stuoli di studiosi
al loro servizio, non sfuggono al vizio dell’ingordigia né al vizio dell’ingordigia
del sistema economico che li sostiene.
D’accordo: ma fino a quando l’ideologia dominante sarà
quella della classe dominante; fino a quando la televisione mostrerà il mondo
come fatto di un sopra, dove stiamo noi (sia pure al gradino più basso), e di
un sotto, dove stanno gli altri che non sono come noi; fino a quando saranno
queste le convinzioni diffuse da quel piccolo, moderno e casalingo pulpito a
colori che è lo schermo televisivo, come farò a convincere mia madre, figlia
di contadini, moglie di operaio e madre di un laureato che le cose non devono
inevitabilmente, necessariamente e fatalmente andare avanti così?
Gli operai (e con loro madri, padri, mogli e figli) sono
sbandati, divisi tra una condizione che percepiscono come relativamente
fortunata (data da un lavoro più o meno stabile, da una retribuzione certa e da
diverse possibilità di piccoli guadagni e piccoli risparmi) e le mille storture
di un sistema che li sovrasta, li esaurisce e poi li parcheggia, magari in “mobilità”.
Essi non sanno a chi credere, tra chi mostra che è possibile arricchirsi (di
poco o di molto) individualmente e chi invece predica loro una invitante
coesistenza pacifica, tra classi e tra popoli con uguali condizioni. Ma come?
Come risolvere la questione e deciderci al cambiamento se non
risolviamo prima la contraddizione nostra più intima e inconfessata; quella che
ci immobilizza nel timore di proposte scomode e concrete; quella per cui siamo,
contemporaneamente, sfruttati e sfruttatori?
6. Il rigoglioso giardino capitalista
Di fronte allo strapotere mediatico del ceto politico al
potere non si può dire che le opposizioni siano ridotte all’assoluto
silenzio. Sia pure in forme variegate le espressioni di dissenso si fanno
sentire; per rompere il “dominio dell’ideologia” della classe al potere i
mezzi sono inferiori, ma non mancano.
Ma una parte degli oppositori di questo sistema non accettano
di discutere di niente che sia meno di un cambiamento subitaneo, radicale e
rivoluzionario, partendo da presupposti che non sempre si preoccupano di
dimostrare, mettendosi così in “fuori gioco” da soli. Un’altra parte di
“sinistra” è già invece talmente organica al sistema da essere totalmente
asservita al potere economico dominante e letteralmente intercambiabile, al
governo, con i “conservatori”. Specialmente questi ultimi sembrano coinvolti
in quel meccanismo psicologico descritto da Cavour, per cui hanno paura
(inconsciamente?) che le cose comincino veramente a cambiare.
È indispensabile capire le dinamiche dominanti del sistema,
per poterne indirizzare la rotta. Ma non è cosa che si possa fare senza
reimpadronirsi del linguaggio, dei codici, della catena di trasmissione delle
idee. Potrebbe sembrare un cominciare dalla fine: un mondo concretamente diverso
presupporrebbe dei rapporti tra uomini concretamente diversi, a cominciare dai
fatti più concreti di tutti, quelli economici. Poi verrebbero le ideologie.
Eppure sembra essere proprio quello ideologico il cemento più forte di questo
sistema. Anche se alla maggior parte degli uomini il sistema capitalistico
nasconde in profondità i suoi protagonisti, avvolgendoli in un aura di
imperscrutabilità e di leggenda. Come un mito moderno, ben rappresentato in
certi film hollywoodiani. Altrettanto efficace, ai fini della conservazione di
un dato ordinamento sociale, di quello antico.
Torniamo lì, da dove siamo partiti: per rompere quel mito
che fa da cemento il ragionamento non può essere lasciato a metà e la proposta
alternativa deve essere ragionevole, credibile; non si può progettare un
cambiamento reale tralasciando di mettere in conto un fatto fondamentale: noi
che siamo contemporaneamente più poveri e più ricchi dovremo rinunciare a
qualcosa. Magari ne sarebbe avvantaggiata la qualità, a scapito della
quantità; ma cominciare a rinunciare sarebbe comunque un insolito e forse
doloroso passo indietro.
Dal mutuo soccorso al commercio “equo e solidale”, ci
sono diversi meccanismi che, se cominciassero a diffondersi, metterebbero
seriamente in crisi l’immagine dell’attuale modello economico sociale
diretto dall’alto, apparentemente unico e incontestabilmente orientato verso
lo “sviluppo”; ma quale “sviluppo”? Non tanto in nome dell’ecologia
quanto in quello della economia, una seria e credibile opposizione a questo
sistema si potrebbe unire nel progettare e proporre un futuro ragionevole, fatto
di meno automobili e di meno involucri di plastica, dove si lavorerebbe più di
adesso: non aumentando l’età pensionabile degli operai, ma redistribuendo
parte dell’attività produttiva tra i tantissimi parassiti di questo grasso e
marcio sistema.
In un futuro ragionevole la nostra piramide sociale, con una
base produttiva mai tanto ridotta rispetto allo sviluppo in altezza e al
moltiplicarsi di “piani” intermedi tra il vertice e la base, dovrebbe
tornare ad essere meno “allungata”.
Per usare un’altra immagine, si potrebbe dire che il
rigoglioso giardino capitalista appare così rigoglioso perché le sue alte
piante spingono le proprie radici ben oltre i “nostri” confini, andando a
succhiare risorse ed energia (non solo sotto forma di petrolio) anche in “terre”
vicine e lontane. In un futuro ragionevole bisognerebbe pianificare una sana
potatura di quelle piante cresciute selvaggiamente, dal fusto inutilmente troppo
alto e relativamente poco fruttuose.
Bisogna parlar chiaro: se vogliamo che il futuro ci appaia
meno instabile e meno incerto bisogna riequilibrare i consumi di risorse,
rinunciando laddove c’è spreco. Non è tanto agli operai o ai lavoratori in
genere del mondo “occidentale” che questo risulterebbe improponibile: essi
capirebbero delle proposte serie e argomentate. Essendo i meno abbienti, tra l’altro,
sarebbero tra quelli che a meno dovrebbero eventualmente rinunciare. Chi si
affanna invece a far si che certe idee non vengano nemmeno alla luce sono,
naturalmente, i “conservatori”: da chi si trova ai vertici del sistema ai
tantissimi, troppi abitanti di quei troppi piani “intermedi” della nostra
piramide sociale.
Le “opposizioni”, con proposte come queste, meno incerte
e seriamente alternative, si farebbero molti nemici? Certo, è questo il timore
che fa parlare di tutt’altro tanti politicanti che si definiscono non
conservatori, di “sinistra”. Incerto tutto il resto.