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Osservatorio meridionale

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Pecorella Vincenzo
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Rappresentante sindacale FLMU-CUB, SKF Bari

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Meridione e dominio ideologico

Pecorella Vincenzo

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5. Sfruttati e sfruttatori

Anche se in maniera “sincopata”, a tratti e a singhiozzo, anche se i nuovi lavori interinali si stanno dimostrando un vero e proprio regresso, nessuno può mettere in dubbio che sempre nuove e allargate possibilità di consumo hanno annegato finora sul nascere ogni reale e concreto movimento di contestazione di massa di questo sistema socio-economico.

Seconda i punti di vista, secondo le simpatie politiche o secondo le informazioni a cui ognuno di noi ha accesso, si potrebbe prevedere razionalmente o avere fede che agli attuali governanti sfuggirà prima o poi di mano il controllo. Niente di più probabile: essi, pur avendo stuoli di studiosi al loro servizio, non sfuggono al vizio dell’ingordigia né al vizio dell’ingordigia del sistema economico che li sostiene.

D’accordo: ma fino a quando l’ideologia dominante sarà quella della classe dominante; fino a quando la televisione mostrerà il mondo come fatto di un sopra, dove stiamo noi (sia pure al gradino più basso), e di un sotto, dove stanno gli altri che non sono come noi; fino a quando saranno queste le convinzioni diffuse da quel piccolo, moderno e casalingo pulpito a colori che è lo schermo televisivo, come farò a convincere mia madre, figlia di contadini, moglie di operaio e madre di un laureato che le cose non devono inevitabilmente, necessariamente e fatalmente andare avanti così?

Gli operai (e con loro madri, padri, mogli e figli) sono sbandati, divisi tra una condizione che percepiscono come relativamente fortunata (data da un lavoro più o meno stabile, da una retribuzione certa e da diverse possibilità di piccoli guadagni e piccoli risparmi) e le mille storture di un sistema che li sovrasta, li esaurisce e poi li parcheggia, magari in “mobilità”. Essi non sanno a chi credere, tra chi mostra che è possibile arricchirsi (di poco o di molto) individualmente e chi invece predica loro una invitante coesistenza pacifica, tra classi e tra popoli con uguali condizioni. Ma come?

Come risolvere la questione e deciderci al cambiamento se non risolviamo prima la contraddizione nostra più intima e inconfessata; quella che ci immobilizza nel timore di proposte scomode e concrete; quella per cui siamo, contemporaneamente, sfruttati e sfruttatori?

6. Il rigoglioso giardino capitalista

 

Di fronte allo strapotere mediatico del ceto politico al potere non si può dire che le opposizioni siano ridotte all’assoluto silenzio. Sia pure in forme variegate le espressioni di dissenso si fanno sentire; per rompere il “dominio dell’ideologia” della classe al potere i mezzi sono inferiori, ma non mancano.

Ma una parte degli oppositori di questo sistema non accettano di discutere di niente che sia meno di un cambiamento subitaneo, radicale e rivoluzionario, partendo da presupposti che non sempre si preoccupano di dimostrare, mettendosi così in “fuori gioco” da soli. Un’altra parte di “sinistra” è già invece talmente organica al sistema da essere totalmente asservita al potere economico dominante e letteralmente intercambiabile, al governo, con i “conservatori”. Specialmente questi ultimi sembrano coinvolti in quel meccanismo psicologico descritto da Cavour, per cui hanno paura (inconsciamente?) che le cose comincino veramente a cambiare.

È indispensabile capire le dinamiche dominanti del sistema, per poterne indirizzare la rotta. Ma non è cosa che si possa fare senza reimpadronirsi del linguaggio, dei codici, della catena di trasmissione delle idee. Potrebbe sembrare un cominciare dalla fine: un mondo concretamente diverso presupporrebbe dei rapporti tra uomini concretamente diversi, a cominciare dai fatti più concreti di tutti, quelli economici. Poi verrebbero le ideologie. Eppure sembra essere proprio quello ideologico il cemento più forte di questo sistema. Anche se alla maggior parte degli uomini il sistema capitalistico nasconde in profondità i suoi protagonisti, avvolgendoli in un aura di imperscrutabilità e di leggenda. Come un mito moderno, ben rappresentato in certi film hollywoodiani. Altrettanto efficace, ai fini della conservazione di un dato ordinamento sociale, di quello antico.

Torniamo lì, da dove siamo partiti: per rompere quel mito che fa da cemento il ragionamento non può essere lasciato a metà e la proposta alternativa deve essere ragionevole, credibile; non si può progettare un cambiamento reale tralasciando di mettere in conto un fatto fondamentale: noi che siamo contemporaneamente più poveri e più ricchi dovremo rinunciare a qualcosa. Magari ne sarebbe avvantaggiata la qualità, a scapito della quantità; ma cominciare a rinunciare sarebbe comunque un insolito e forse doloroso passo indietro.

Dal mutuo soccorso al commercio “equo e solidale”, ci sono diversi meccanismi che, se cominciassero a diffondersi, metterebbero seriamente in crisi l’immagine dell’attuale modello economico sociale diretto dall’alto, apparentemente unico e incontestabilmente orientato verso lo “sviluppo”; ma quale “sviluppo”? Non tanto in nome dell’ecologia quanto in quello della economia, una seria e credibile opposizione a questo sistema si potrebbe unire nel progettare e proporre un futuro ragionevole, fatto di meno automobili e di meno involucri di plastica, dove si lavorerebbe più di adesso: non aumentando l’età pensionabile degli operai, ma redistribuendo parte dell’attività produttiva tra i tantissimi parassiti di questo grasso e marcio sistema.

In un futuro ragionevole la nostra piramide sociale, con una base produttiva mai tanto ridotta rispetto allo sviluppo in altezza e al moltiplicarsi di “piani” intermedi tra il vertice e la base, dovrebbe tornare ad essere meno “allungata”.

Per usare un’altra immagine, si potrebbe dire che il rigoglioso giardino capitalista appare così rigoglioso perché le sue alte piante spingono le proprie radici ben oltre i “nostri” confini, andando a succhiare risorse ed energia (non solo sotto forma di petrolio) anche in “terre” vicine e lontane. In un futuro ragionevole bisognerebbe pianificare una sana potatura di quelle piante cresciute selvaggiamente, dal fusto inutilmente troppo alto e relativamente poco fruttuose.

Bisogna parlar chiaro: se vogliamo che il futuro ci appaia meno instabile e meno incerto bisogna riequilibrare i consumi di risorse, rinunciando laddove c’è spreco. Non è tanto agli operai o ai lavoratori in genere del mondo “occidentale” che questo risulterebbe improponibile: essi capirebbero delle proposte serie e argomentate. Essendo i meno abbienti, tra l’altro, sarebbero tra quelli che a meno dovrebbero eventualmente rinunciare. Chi si affanna invece a far si che certe idee non vengano nemmeno alla luce sono, naturalmente, i “conservatori”: da chi si trova ai vertici del sistema ai tantissimi, troppi abitanti di quei troppi piani “intermedi” della nostra piramide sociale.

Le “opposizioni”, con proposte come queste, meno incerte e seriamente alternative, si farebbero molti nemici? Certo, è questo il timore che fa parlare di tutt’altro tanti politicanti che si definiscono non conservatori, di “sinistra”. Incerto tutto il resto.