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Società e processi immateriali

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Alessandra Ciattini
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Docente Fac. Lettere, Università “La Sapienza”, Roma

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Il Papa sta veramente dalla parte degli oppressi contro il capitalismo selvaggio? La “crisi delle ideologie” e la strategia culturale della Chiesa cattolica

Alessandra Ciattini

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1. La cosiddetta crisi delle ideologie

Con questo breve intervento mi propongo di cogliere la tendenza di fondo delle trasformazioni ideologiche e culturali del mondo attuale, trascurando volutamente le molteplici sfumature e varianti.

Ben prima del dissolvimento del socialismo centro ed est-europeo uno dei temi della lotta ideologica era rappresentato dalla necessità della “deideologizzazione”, la quale aveva come obiettivo l’uso ideologico e radicale delle scienze sociali nella società capitalistica. Ricordo che il libro di Daniel Bell, esponente di primo piano della ricerca futurologica nordamericana, “La fine dell’ideologia”, è del 1960.

Fautori di questa posizione filosofica, alimentata da due tendenze contraddittorie (il relativismo per il quale non esistono verità forti da affermare e da difendere, il ritorno al neutralismo positivista favorito dall’economia neoliberale) sono stati studiosi come Edward Shils, Raymond Aron etc. Richiamandosi alla maggiore problematicità della nozione scientifica di verità, ma gettando il bambino con l’acqua sporca del bagno, questi autori hanno condannato il dottrinarismo e il fanatismo delle diverse ideologie. Tuttavia, non si sono resi conto - come si fece già notare all’epoca - che di fatto la fine delle ideologie non è altro che ideologia, o anche è semplicemente l’ideologia della fine, ossia la rinuncia alla coscienza politica come fenomeno sociale (cfr. Arab-Ogly, 1977: 11). In questo senso non è certamente un caso, che in tempi più recenti si è addirittura parlato di fine della storia, una volta accettata la premessa che il capitalismo è una forma di vita sociale eterna e non trasformabile.

Mi sembra che negli ultimi decenni, quasi per meccanismo fisico, il cosiddetto vuoto ideologico creato dalla lotta (tutta ideologica) contro le ideologie è stato riempito da due diversi sistemi, nel senso di costruzioni intellettuali elaborate dagli uomini e non meccanicamente fondate sulla natura delle cose, non sempre in sintonia tra loro, ma accomunati da una prospettiva universalistica e imperiale di diverso segno.

Il primo è rappresentato dal cosiddetto “pensiero unico”, che tende a presentare le ragioni e gli obiettivi economici come oggettivi, inerenti allo stato stesso delle cose, dimenticando che politica ed economia vanno di pari passo, che l’attività economica è frutto di valutazioni e di scelte politiche appunto.

Non dobbiamo credere che il “pensiero unico” sia il frutto spontaneo della riflessione di qualche studioso isolato. Come mostra puntualmente Frances Stonor Saunders (2003) in particolar modo oggi ogni sistema ideologico è il prodotto di un processo altamente organizzato, che necessita di grandi investimenti, di personale altamente qualificato, ed infine di strumenti che possano trasformare quanto elaborato dai grandi centri di ricerca (come l’Università di Harvard) in ideologia quotidiana; ossia in credenze e pratiche comprensibili ed accettabili dall’uomo comune.

Si possono ricavare interessanti indicazioni sul modo in cui viene prodotta l’ideologia nei paesi capitalisti da un vecchio libro sovietico (Arab-Ogly, 1977), che ho già citato, e che è sbalorditivo perché descrive con precisione la trasformazione attuale della società a partire dai progetti di cambiamento auspicati e messi in opera dai grandi centri nordamericani di ricerca sociologica, legati al capitale transnazionale. Tali progetti sarebbero stati una sorta di vaticini e di profezie che si sono “autorealizzate”, dal momento che indicavano ciò che i centri di potere intendevano realizzare.

L’altro sistema ideologico, che è visibile e penetrante come il primo, propone una visione etica e religiosa del mondo, lanciata dall’attuale potentefice, il cui obiettivo sembra essere la cristianizzazione o ricristianizzazione del pianeta (Editoriale, Limes, n. 1, 2000).

Mi propongo con questo scritto di illustrare brevemente alcuni aspetti di questa seconda concezione del mondo, tentando di individuare anche i rapporti tra questa visione, il pensiero neoliberale e il sistema sociale da esso generato. Lo scopo di questo articolo è di valutare realisticamente la politica della Chiesa cattolica, non molto chiara - mi pare - nemmeno alla cosiddetta sinistra radicale per le recenti prese di posizione della prima in favore della pace.

In primo luogo, per chiarire la mia posizione, voglio dire che considero la religione un’ideologia, nel senso appunto di un prodotto intellettuale umano, la quale pertanto non ha uno status privilegiato rispetto agli sistemi di credenze (senso comune, scienza, filosofia etc.). Certamente, presenta caratteristiche sue peculiari, che la distinguono dalle altre forme di pensiero, su cui esiste una sterminata letteratura.

Devo aggiungere che, nel caso di tutte le ideologie comprese quelle religiose, lo studioso deve distinguere sempre due dimensioni: la dimensione esplicita, ossia quanto viene esplicitamente comunicato e sostenuto pubblicamente dai sostenitori di un certo sistema di pensiero e di azione; la dimensione implicita, meno evidente, talvolta in contraddizione con la prima, che riguarda invece le prese di posizione effettive, le valutazioni e le decisioni, i cui contenuti non sempre sono resi noti, le relazioni col potere politico. Ossia, dobbiamo distinguere i materiali destinati agli iniziati dalla merce ideologica di largo consumo (Arab-Ogly, 1977: 22).

È una cosa ovvia affermare che la Chiesa cattolica ha per sua natura una prospettiva universale e millenaria, ma tale prospettiva ha certamente registrato significativi cambiamenti nell’attuale fase segnata dall’egemonia di una sola potenza e dall’estensione all’intero pianeta di un solo sistema economico fortemente aggressivo.

La risposta della Chiesa a tali cambiamenti è stata quella di rendersi più internazionale [1] e di non identificarsi piattamente con il disegno egemonico degli Usa, elaborando una sua propria visione originale, mirando da un lato a non entrare in conflitto con il mondo islamico, dall’altro ad estendere la sua influenza nei territori di fede ortodossa [2].

In un certo senso si potrebbe dire che, giacché diversamente dal Medioevo oggi l’imperatore non è cattolico, il papa non può ridurlo a più miti consigli, richiamandolo ai principi della fede cattolica; egli può avere la supremazia su di lui solo mostrandosi del tutto svincolato dagli interessi politici e muovendosi in difesa di valori etico-religiosi più forti di quelli del suo antagonista, ai quali la stessa politica dovrebbe sottomettersi. Il papa perciò pone questi ultimi al di sopra di tutto e li considera il criterio per giudicare il comportamento umano in generale e le decisioni dei politici in particolare.

In questo modo, in quanto espressione di valori etico-religiosi, considerati eterni perché dettati dalla parola divina, il messaggio del papa dovrebbe aver la supremazia su quello degli altri leader, e la sua maggiore potenza dovrebbe stare proprio nel fatto che esso non è imposto con la forza materiale, ma con l’autorevolezza dell’uomo carismatico, rappresentante di Dio.

Se le cose stanno effettivamente così, abbiamo in un certo senso due imperatori, il primo si muove nel dominio temporale in difesa di una forma di civiltà, anche se ha i suoi ispiratori religiosi (i neoconservatori protestanti), il secondo si muove invece sul piano etico-religioso, sviluppando un discorso, che si dichiara diretto a tutti gli uomini, indipendentemente della loro appartenenza culturale e politica.

Si tratterebbe di un nuovo spiritualismo (di facciata) diverso da quella, corrente - appunto spiritualistica -, che in alcuni casi nel passato ha cercato di rompere i forti legami sempre intrattenuti dalla Chiesa cattolica col potere politico.

A questo proposito dobbiamo osservare una prima contraddizione nel messaggio del pontefice. Infatti, se da un lato egli si presenta come il difensore dei diritti degli uomini, in particolare dei poveri, che popolano in maggioranza il Terzo Mondo, dall’altro proponendosi di cristianizzare o ricristianizzare il mondo, in realtà (è questa la dimensione implicita e meno evidente) intende diffondere una religione storicamente determinata anche là dove questa religione non è mai stata accettata, anzi in molti casi respinta.

In breve, presentandosi come il paladino dell’umanità anche non occidentale, egli in realtà, in nome di valori che sono presentati come eterni e astorici, ma sono invece frutto di una determinata tradizione culturale, intende occidentalizzare in senso religioso i non cattolici e riportare all’ovile quei cattolici occidentali, che se ne sono allontanati.

 

2. Valori e metafore

Ma quali sono questi valori etico-religiosi che ispirano i discorsi e i documenti papali, e che in una certa forma sono anche depositati in documenti fatti propri dalle Organizzazioni internazionali, come la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (1948)?

Vorrei soffermarmi solo su alcuni valori (nozioni di “persona umana” e di “guerra giusta”), presenti nei discorsi del papa, e su un’espressione metaforica da lui impiegata, perché contengono una certa visione della società e dell’ordine internazionale, che è opportuno portare alla luce. In particolare, per comprendere il messaggio del papa, penso sia utile soffermarsi dapprima sulla nozione di “persona umana”, intesa come valore imprescindibile.

Per andare avanti nell’analisi è necessaria una chiarificazione. Secondo la tradizione cattolica, iniziata da Agostino e sviluppata da Tommaso di Aquino, il mondo naturale e sociale è governato da leggi eterne, che derivano direttamente da Dio. La legge naturale sarebbe, invece, solo espressione del modo in cui la ragione umana riesce a cogliere, nella sua limitatezza e imperfezione, la legge eterna. Le leggi positive degli stati e le leggi internazioni sono accettabili solo nella misura in cui si richiamano alla legge naturale, riflesso della legge eterna, riconoscendo in questo caso la persona come soggetto di diritti.

È evidente che in questa prospettiva ogni ordinamento giuridico e politico non ha nessuna validità e giustificazione in sé, ma è valido e buono solo se non si contrappone alla legge divina. Naturalmente ciò svaluta la cosiddetta città terrena, in nome della città celeste ed attribuisce la supremazia spirituale al papa.

Un’ulteriore svalutazione della città terrena, elaborata per contrastare l’idea teocratica per cui il potere politico deriverebbe da Dio e sarebbe mediato dal papa, è la teoria tomistica, secondo cui il sovrano riceve il potere dal popolo, mentre la Chiesa e le sue prerogative derivano direttamente da Dio attraverso l’investitura di Pietro.

Dobbiamo aggiungere che nel diritto canonico, come nel diritto in generale, la nozione di persona corrisponde a soggetto di diritti; tuttavia, tale nozione è stata articolata dai documenti del Concilio Vaticano II. In particolare il diritto canonico distingue tra i battezzati nella Chiesa cattolica, che sono soggetti primari del suo ordinamento, e tra gli appartenenti alle altre comunità cristiane, i quali possono esercitare i loro diritti a seconda della relazione tra le loro Chiese e la Chiesa cattolica. Vi sono infine i non battezzati (prima del Concilio erano definiti “infedeli”), che sono soggetti secondari, perché devono essere evangelizzati ed essere così salvati dal messaggio cristiano.

Anche se prima ho fatto riferimento alla Dichiarazione universale dei diritti, non bisogna pensare che i diritti umani, di cui la persona umana sarebbe il soggetto, siano intesi dal papa nella stessa maniera. Seguendo quanto scrivevo prima sul modo di intendere la legge da parte della filosofia scolastica, il papa concepisce i diritti dell’uomo come il corollario dei diritti teologici e religiosi, e ritiene che la libertà religiosa sia il fondamento di tutti gli altri diritti (Zizola, 1985: 212-13).

In questa prospettiva i diritti umani (diritto al lavoro, alla salute, all’istruzione etc.) che solo il frutto di una lunga battaglia per l’emancipazione tuttavia non conclusa, sono per così dire sbiaditi, diventano insignificanti e secondari rispetto al diritto di praticare la propria fede.

È importante ricostruire la struttura del ragionamento del papa per valutarne le conseguenze etiche e politiche, che non mi pare - come alcuni pretendono - portino all’affermazione di un umanesimo cattolico in una società materialista e irreligiosa.

La persona umana e i suoi diritti sono pensati come entità transtoriche, in questo senso “naturali”. In quanto entità transtoriche e religiose, in quanto opera divina essi sono conosciuti da chi è è più vicino a Dio e per questo può comunicarli meglio degli altri agli uomini. Ciò corrisponde a quanto viene definito magistero della Chiesa.

Ne consegue che la nozione di “naturalità” e di transtoricità di un evento storico non può essere scissa dalla nozione di autorità, di dogmatismo, la quale è in evidente contraddizione con l’idea affermatasi con la scienza moderna, secondo cui la conoscenza umana è il prodotto dello scontro e della battaglia tra punti di vista diversi, giacché nessuno di noi ha la prerogativa di aver disvelata dinanzi a sé la natura del reale.

Se effettivamente così stanno le cose, alle incerte verità delle ideologie è stata sostituita la pretesa verità assoluta, perché religiosamente e ontologicamente fondata, proposta da un sistema sitematizzato di credenze, che nei suoi duemila anni di storia non ha mutato il suo nucleo ideologico fondamentale. L’esistenza di Dio è la garanzia che il mondo esiste e che gli uomini siano in grado di coglierne la veracità.

Questa posizione non pare riconducibile all’umanesimo, giacché essa pone al centro del mondo e della storia Dio e non l’uomo, il cui compito è quello di recepire il messaggio divino e di cercare di metterlo in pratica.

Un secondo tema su cui vorrei soffermarmi è rappresentato dalla nozione metaforica di “famiglia umana”, spesso presente nei messaggi papali. L’uso di questa metafora e il riferimento ai popoli, alle nazioni più che agli Stati hanno un senso ben preciso, anche se non immediatamente evidente. In primo luogo, l’interesse è volto a quelle realtà che appaiono come “naturali”, anche se naturali non sono e che dovrebbero venire, nell’ottica scolastica prima descritta, prima degli Stati, in quanto organismi costruiti artificialmente.

Descrivere l’umanità con la metafora della famiglia vuol dire mettere l’accento sull’idea che l’umanità sia un’entità omogenea, all’interno della quale valgono esclusivamente le relazioni di parentela. In termini logici con questo espediente retorico si produce l’estensione di una proprietà (appartenere all’umanità per consanguineità) a una intera classe di individui con una generalizzazione astrattiva, che non tiene conto delle differenze empiriche della realtà (Violi, 1977: 88). Ossia, con questo espediente retorico si considerano i diversi individui, facenti parte dell’umanità, differenti per appartenenza sociale, storica, culturale, solo tenendo conto del fatto che sono “imparentati” come i membri di una vera e propria famiglia.

Ho detto generalizzazione astrattiva, che finisce in genere con l’essere arbitraria, perché essa cancella tutte le differenze empiriche tra gli individui, i popoli, le etnie, non tiene conto del loro diverso accesso alle risorse materiali e spirituali, della loro diversa relazione con i centri internazionali di potere.

Ma bisogna aggiungere che l’uso di questo tropo retorico più che a descrivere la situazione di fatto mira a suscitare la convinzione che i membri della famiglia umana fanno tutti parte di una comunità, benevola e compiacente come la famiglia. Si potrebbe dire che Wojtyla non ha letto Freud, perché altrimenti avrebbe un’altra idea di famiglia, all’interno della quale non mancano certo i conflitti, così come non mancano i conflitti e le contraddizioni all’interno dell’attuale società contemporanea.

Scopo quindi della metafora, che però finisce con l’essere intesa non come un’analogia ma come un’identificazione realistica, è quello di suscitare coesione ed unità, offuscando tutte le ragioni per le quali nello stato attuale esse non possono diventare realtà, a meno che non le scambiamo con la sottomissione tacita ad una potenza egemone. In questo senso la pax romana, come quella americana, producono coesione e unità.

Studiosi della Chiesa cattolica hanno parlato di restaurazione e di un ritorno alla fase precedente il Concilio Vaticano II, a proposito della visione e del comportamento politici dell’attuale pontefice e del suo entourage, nel quale hanno ruolo importantissimo sia l’Opus Dei sia la conservatrice Chiesa tedesca (Zizola, 1985).

Credo che la questione sia più complessa, e mi pare che in entrambi i momenti la Chiesa cattolica - con strumenti diversi perché diverse erano le circostanze storiche - abbia proposto una sua visione del mondo e della società nella quale si è attribuita e si attribuisce un ruolo centrale. E questo mi pare il punto nodale da comprendere se si vuole capire sin nei suoi lati più oscuri l’istituzione ecclesiastica, la quale - come riconoscono molti studiosi (Bennassar, 1994) - è stata l’ispiratrice della struttura organizzativa dello Stato moderno ed utilizzando l’Inquisizione ha prefigurato quel controllo sulle coscienze reso sistematico dallo stato totalitario.

Nell’attuale fase mi pare che la Chiesa cattolica voglia giocare tale ruolo centrale presentandosi come la depositaria di un progetto universale esplicitato dai discorsi papali, i quali sono diffusi utilizzando i mass media, i viaggi, le grandi audience; strumenti di cui si avvalgono i leader politici, ma anche l’industria culturale per far penetrare capillarmente i suoi prodotti.

Un esempio di questo adattamento all’industria culturale capitalistica è rappresentato dalla diffusione del film “La passione” di Mel Gibson, sponsorizzata ufficialmente dalla Chiesa e che porterà nelle tasche del suo autore circa due miliardi di dollari. Infatti, un suo importante esponente, Padre Agostino di Noia sottosegretario della Congregazione per la Dottrina della Fede, ha dichiarato che, dopo aver visto le immagini - sconvolgenti e catturanti - rappresentate nella “Passione”, per i cattolici l’esperienza della messa non sarà più la stessa (Erderly, 2004: 56). Secondo Erderly scopo dell’opera di Gibson, appartenente al movimento tradizionalista cattolico statunitense, che sta in buoni rapporti con i conservatori protestanti, è il rilancio di un ecumenismo religioso e conservatore, caratterizzato dal ritorno al Medioevo e dalla rivalutazione dell’esperienza totalmente irrazionale del sacro.

 

3. L’antropologia cristiana

I caratteri fondamentali del progetto universale della Chiesa li possiamo ricavare da un documento frutto di un’intesa siglata in Italia dal Ministro dell’Istruzione Moratti e dal presidente della CEI cardinale Camillo Ruini il 26 maggio 2004.

Tale intesa riguarda gli argomenti che dovranno essere insegnati durante l’ora di religione agli studenti della scuola secondaria di primo grado.

Ne citerò qualcuno per dare un’idea di cosa dovranno studiare coloro che opteranno per l’insegnamento cattolico, tenendo conto del fatto che nel nostro paese gli insegnanti di religione sono pagati dallo Stato, ma sono scelti dal vescovo. Gli studenti dovranno non solo studiare, ma anche essere capaci di utilizzare sul piano pratico ed etico temi come «la ricerca umana e la rivelazione di Dio nella storia: il cristianesimo a confronto con l’ebraismo e con le altre religioni», come «l’identità storica di Gesù, il riconoscimento di lui come figlio di Dio», «l’insegnamento di Gesù come via, verità e vita per l’umanità» (Montefiore, 2004: 13).

L’insieme di questi temi costituirebbe quanto viene chiamato l’Antropologia cristiana, ossia il modo in cui la Chiesa cattolica si rappresenta il mondo attuale, l’ordine sociale e internazionale, la storia, il ruolo del uomo.

Se quanto ho detto in precedenza è corretto l’Antropologia cristiana è attualmente l’altra ideologia che è in grado di sfidare il pensiero neoliberale e le sue derivazioni nell’attuale società capitalistica euroamericana, pur condividendo con il secondo alcuni temi importanti. Basti citare l’Enciclica Laborem exercens (1981), nella quale Giovanni Paolo II attacca l’organizzazione capitalistica produttiva per per la sua logica materialistica ed economicistica, ma riconosce la legittimità della proprietà privata dei mezzi di produzione, considerando corregibili gli eccessi del capitalismo e accantonando il principio conciliare della destinazione universale dei beni (Zizola, 1985: 146).

Negli altri continenti la situazione è più complessa e la Chiesa non è nelle condizioni di lottare per diventare egemone ideologicamente a causa della presenza storica di altre forme di religiosità fortemente radicate tra le masse popolari, o della diffusione dei nuovi movimenti religiosi, molti dei quali sono di matrice protestante. Quest’ultimo sembra essere il caso dell’America Latina, nella quale la Chiesa sta perdendo molti fedeli, i quali sono attirati in particolare dal neopentecostalismo protestante, importato dagli Stati Uniti.

Come si vede, dunque i rapporti tra Chiesa cattolica e mondo protestante-statunitense sono assai complicati: vi sono conflitti, ma - come si è visto - anche convergenze.

4. La teoria della “guerra giusta”

Prima di concludere vorrei trattare brevemente un altro tema, quello dell’atteggiamento della Chiesa verso la pace e la guerra, perché ci consente di cogliere bene la distinzione tra l’appello pubblico alla pace in nome dei principi evangelici e l’effettivo comportamento della gerarchia sempre incline alle mediazioni politiche.

È noto che fa parte della dottrina della Chiesa la teoria della “guerra giusta” rielaborata da Francisco de Vitoria (1486-1546) nel XVI sec., ripresa anche nel Nuovo Catechismo del 1992.

I principi fondamentali della “guerra giusta”, individuati da de Vitoria per limitare gli orrori prodotti dalla conquista dell’America, sono: 1) la guerra è giustificata solo come atto di difesa o come mezzo per rimediare a un grave torto subito; 2) vi deve essere una relazione proprorzionale tra i fini della guerra e i costi umani e materiali; 3) prima di scatenare la guerra bisogna aver esaurito tutti i mezzi pacifici per giungere ad una conciliazione.

Come sempre accade i principi sono norme astratte che possono essere adeguatamente adattate ai contesti concreti, seguendo valutazioni diverse, per perseguire ben precisi obiettivi politici.

Così, ad esempio, la Chiesa cattolica è stata pacifista durante la prima e la seconda guerra all’Iraq (anche se negli ultimi mesi gli appelli alla pace si sono fatti sempre più generici), ma come scrive Ilari (1993: 248) è stata interventista in Bosnia e - aggiungo io - in Kosovo, riconoscendo per prima l’indipendenza delle repubbliche cattoliche Slovenia e Croazia dalla Jugoslavia. Anzi - scrive ancora Ilari (ibidem) - «la più ampia teorizzazione del dovere di intervento umanitario è quella formulata da papa Wojtyla».

L’intervento umanitario è sicuramente il prodotto della fine del mondo bipolare, la cui esistenza aveva tenuto lontana la guerra dall’Europa per più di 50 anni e da alcuni punti nevralgici, relegandola alle regioni periferiche nella forma di scontro indiretto tra le due grandi potenze. I suoi sostenitori debbono esser ritenuti responsabili di tutte le devastazioni, le morti, le distruzioni provocate dalla sua programmata e cosciente applicazione.

Bisogna aggiungere che per de Vitoria le potenze coloniali avevano il diritto di difendere con la forza i missionari inviati a evangelizzare gli amerindiani. Tale criterio può essere riciclato a favore degli esportatori della democrazia e dell’american way of life (leggi capitalismo).

Ma se ciò è possibile, si può dire sicuramente che la Chiesa ha elaborato una sua visione del mondo, che è utile anche a sostenere il disegno politico dello Stato dotato del più potente apparato strategico-militare, probabilmente in cambio di analoghi favori.

Come si può ricavare da queste pagine, tale convergenza, seppure talvolta conflittuale, non può certo apportare qualcosa di buono né ai cosiddetti poveri del Vangelo né alla masse popolari del mondo intero.

 

Bibliografia

Arab-Ogly, E., Nel labirinto dei vaticini, Edizioni Progress, Mosca 1977.

Editoriale, Limes, n. 1, 2000.

Bennassar, B., Storia dell’Inquisizione spagnola. L’influenza sulla scena mondiale dell’Inquisizione spagnola sui costumi politici, religiosi e sessuali dal XV al XIX sec., BUR, Milano 1994.

Erderly, J., La Pasión según Mel Gibson. Separando la ficción de la realidad, Publicaciones para el Estudio científico de las religiones, Città del Messico 2004.

Ilari, V., “Pacifismo e interventismo nella cultura politica italiana”, Limes, n. 3, 1993.

Jean, C., “‘Guerre giuste’ e ‘guerre ingiuste’, i pericoli del moralismo”, Limes, n. 3, 1993.

Montefiore R., “L’ora di religione minuto per minuto”, l’Unità, 28 maggio 2004.

Stonor Saunders F., La Cia y la guerra fría cultural, Editorial Ciencias Sociales, L’Avana 2003.

Violi, P. I giornali dell’estrema sinistra, Garzanti, Milano 1977.

Zizola, G., La restaurazione di papa Wojtyla, Laterza, Roma-Bari 1985.

Zubov, A., “Uno sguardo dall’Est sul Ostpolitik vaticana”, Limes, n. 3, 1993.

 


[1] Negli ultimi decenni la Chiesa ha visto accrescersi la sua importanza politica, soprattutto per il sostegno dato a Solidarnosc e alla “chiesa del silenzio” nei paesi dell’est europeo, che ha favorito la fine del mondo bipolare. In questo nuovo contesto, il Vaticano è riapparso sulla scena mondiale, operando negli organismi internazionali e moltiplicando le nunziature (cfr. Jean, 1993: 271).

[2] Su questo tema si può leggere un interessante articolo di Zubov (1993) sulla riscossa degli uniati (cattolici appartenenti ai vari riti orientali) in Ucraina e sull’attività del clero polacco nello stesso paese e in Bielorussia, volte a ridimensionare anche con la violenza la Chiesa ortodossa.