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Diritto al Reddito Sociale Minimo. Lotte di resistenza nel Sud Italia

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Diritto al Reddito Sociale Minimo.

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Lotte di resistenza nel Sud Italia

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Non è raro ascoltare nei dibattiti televisivi sullo stato di salute del sistema economico italiano affermazioni del tipo: “l’erogazione di un reddito di cittadinanza ai tantissimi cittadini disoccupati o con un reddito sotto la soglia di povertà, è puro assistenzialismo”. Invece, quando gli industriali nostrani chiedono più sostegno in termini detassazioni, sgravi fiscali e quant’altro alle imprese questo tipo di richieste non sono indicate come assistenzialismo ma imbellettate come iniziative per favorire l’occupazione e lo sviluppo economico. Su una intuizione del sindacato RDB/CUB e la rete per il reddito sociale, negli ultimi anni dopo aver presentato proposte di legge nazionali, costituito comitati locali, la questione del reddito sociale minimo o reddito di cittadinanza è entrata nell’agenda politica di tutte le forze politiche, in particolar modo del centro sinistra e nel più variegato e articolato movimento dei movimenti che contesta, giustamente, il liberismo economico e la guerra. In modo particolare le lotte del movimento per la riapropriazione del reddito, ad esempio con le occupazioni di case, presidi contro il carovita davanti agli ipermercati, lotte per l’autoriduzione delle tariffe, acqua, luce, gas, trasporti, sanità, ecc., le grandi manifestazioni nazionali come il 1 maggio a Milano e la manifestazione del 6 dicembre a Roma, hanno messo in evidenza la portata di questa proposta politica. Una proposta che, giustamente, non parla solo ai disoccupati ma ha la forza per rivolgersi a tutto il mondo del lavoro precario e flessibile, fino ai lavoratori e pensionati che vivono con pensioni e salari al di sotto della soglia di povertà. Anche le stesse istituzioni locali, non solo la Regione Campania ha varato una legge regionale per il reddito di cittadinanza ma altre regioni seppur con forme e modalità diverse, si pongono questa questione. Noi riteniamo che la questione del reddito deve essere generalizzata e per farlo è necessario che il Governo nazionale si faccia carico dei costi economici e della individuazione dei criteri di erogazione del reddito e le Regioni legiferino per tutta la parte del reddito indiretto istituendo tariffe sociali su acqua, luce, trasporti, sanità, ecc. In questa direzione la rete per il reddito, unitamente alle varie strutture del movimento, ha avviato in tutte le regioni raccolte di firme per la presentazione di leggi regionali e cercando di unificare e rilanciare le numerose lotte spontanee (e non) che si sviluppano sui territori, i lavoratori precari e cognitari nel nord, migranti e disobbedienti nel nord est, i disoccupati napoletani e corsisti di Palermo e le numerose vertenze dei lavoratori socialmente utili sparse in tutto il sud. Il governo continua nella sua politica di smantellamento dello stato sociale e di precarizzazione del lavoro, impoverendo ulteriormente larghe fasce di cittadini e lavoratori: le flessibilità del lavoro introdotte dalla legge 30 o legge Biagi (con le sue oltre 40 tipologie di contratto di lavoro, dal contratto a progetto a contratto interinale a contratto a chiamata, ecc.) non sono - ne tanto meno possono esserlo - una risposta concreta alla richiesta di occupazione e di vita dignitosa nel nostro paese, anzi hanno l’obbiettivo di istituzionalizzare la situazione di disagio e precarietà di intere fasce di cittadini dal sud al nord del paese. Anche la stessa legge Bossi Fini per gli immigrati rientra nel processo di precarizzazione del lavoro, infatti si lega il diritto al permesso di soggiorno ad un contratto di lavoro, e si programmano i flussi d’ingresso in base alle esigenze degli industrialotti nostrani sempre alla ricerca di manodopera a basso costo e ricattabile in ogni momento. È ormai da tutti affermato che la ripresa economica nel paese Italia non è avvenuta, anzi siamo di fronte ad un fallimento che potremmo definire epocale: la percentuale della disoccupazione in Italia oramai si attesta al 8% e raddoppia 15/16 % nelle regioni meridionali; questi dati la dicono lunga sullo stato di salute del sistema industriale italiano e a fronte di questa situazione gli imprenditori nostrani continuano ad ottenere grandi profitti economici, grazie alle politiche del governo basate ancora una volta solo sullo sfruttamento della manodopera, con rinnovi contrattuali che prevedono aumenti salariali al di sotto della inflazione reale, determino un impoverimento delle condizioni di vita dei cittadini che non riescono più ad arrivare a fine mese con il proprio salario. Poco molto poco viene investito sulla ricerca, innovazione tecnologica, formazione e sulla produzione di qualità. La precarietà del lavoro investe pesantemente anche larghi settori della pubblica amministrazione e, per effetto della privatizzazione dei servizi, del privato sociale (terzo settore e cooperative). Il caso della Puglia (ma è la storia di tutte le regioni meridionali) è emblematico. Infatti si stima che circa 150.00 giovani pugliesi sono stati costretti negli ultimi anni ad emigrare al nord e molti sono purtroppo diventati carne da macello nelle missioni “umanitarie” in Irak, Afganistan, kossovo, ecc. La politica delle delocalizzazioni in particolar modo nei paesi come Albania, Polonia, Bulgaria, hanno avuto l’effetto di mettere in crisi tutta la filiera del settore tessile calzaturiero, con gravi ripercussioni sulla occupazione, senza proporre alcuna politica concreta di sviluppo. Le numerose lotte dei lavoratori e cittadini meridionali, con i disoccupati napoletani in testa, hanno dimostrato concretamente che il sud non è più terra di conquista e di sperimentazioni economiche e politiche, non siamo più cavie ma protagonisti nel rivendicare un nuovo modello di sviluppo economico armonico ed in sintonia con le vocazioni del territorio, agricoltura, turismo, un sud in relazione pacifica e cooperante con i paesi del mediterraneo. Tutt’altro rispetto ai progetti di ponti sullo stretto e mega opere inutili e dannose: proprio mentre si propone la costruzione di ponti sullo stretto sono assenti infrastrutture finalizzate allo sviluppo ed è impossibile persino la viabilità ordinaria. La consapevolezza di questi obiettivi, non a caso, sono diventante oggetto della campagna elettorale per il rinnovo dei consigli regionali, al sud come in tutto il resto del paese. Con questa consapevolezza le strutture del movimento che si batto per il reddito sociale,contro la precarietà, per la dignità dei fratelli migranti, saranno presenti nelle prossime iniziative del movimento a partire dalle manifestazione del primo maggio a Milano.

Note

* Rete per il Reddito Sociale e i Diritti, Bari.