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BRUNO DE VITA

Un conflitto sociale diffuso per l’unità del movimento di tutela

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1. “Privato non è bello”

Dalla lunga esperienza di movimento a tutela dei consumatori abbiamo verificato sulla nostra pelle, per riprendere una vecchia battuta politica, che “Privato non è bello”. Ma anzi la gestione privata dei servizi pubblici e di quelli sociali è costata, in tutti i casi di realizzazione delle liberalizzazioni e privatizzazioni, molto di più. Sia in termini di costo diretto del servizio sia in termini di una notevole diminuzione della qualità del servizio medesimo. Quando non ha fatto venir meno addirittura la tutela dell’incolumità pubblica. Si è arrivati anche, nella smania di ridurre tutto a merce vendibile, alla trasformazione dei concetti fondanti una società. Il cittadino-utente è divenuto cliente. Si è trasformato un diritto ad un servizio universale in una facoltà di acquisto ove disponibile. La deregulation, le liberalizzazioni e le privatizzazioni sono state lo strumento per l’allargamento dell’area del mercato anche per servizi in cui il valore sociale imporrebbe criteri solidaristici nella loro fornitura. Esse sono le occasioni per fare nuova impresa commerciale e mercantile, con nuove possibilità di fare utile, in risposta ai processi di concentrazione e di controllo monopolistico dei sistemi produttivi tradizionali. Un grande inganno in cui, sotto le false bandiere della concorrenza commerciale, si realizzava una enorme involuzione sociale, della sfera dei diritti. La concorrenza definita di per se strumento regolatore del mercato e generatore di miglioramento dei prodotti e dei servizi nonché strumento per la diminuzione dei prezzi, realizzava invece lo strumento di un arretramento del livello medio della qualità della vita di intere popolazioni dell’area occidentale, prime fra tutte le nazioni europee portatrici di valori sociali estranei alle economie di oltre atlantico. Si realizza così il processo di completamento e di omologazione anche delle società europee alla regola ferrea dell’economia capitalistica liberista nella sua versione di economia finanziarizzata e mondializzata. Una concezione economica che ha come presupposti e conseguenze indispensabili una precarietà del servizio. Al tempo stesso il “cogli l’attimo” insito nell’idea stessa del busines economico e finanziario non può non avere una elasticità ed una precarietà di tutta la catena economica. Una condizione di mercato, un occasione per fare guadagni, una organizzazione finanziaria e commerciale capace di sfruttare l’occasione, sono gli elementi indispensabili. Poi viene una struttura produttiva a ciò finalizzata e scadenzata. Sia ben chiaro la liberalizzazione nell’area dei servizi non sta producendo solo una precarizzazione del lavoro ma anche una precarizzazione e dequalificazione dei servizi stessi. Come anche la instabilità e l’incertezza del lavoro producono automaticamente una precarietà e contrazione dei consumi, ridotti ai minimi quotidiani, senza alcuna possibilità di programmazione di investimenti a lungo termine. Si tratta di un ulteriore passo del processo di evoluzione del modello economico capitalistico per effetto della sua competitività interna e per le sue contraddizioni interne. Con la mondializzazione e la finanziarizzazione del capitale il punto di accumulazione della ricchezza si è spostato. Non è più solo nelle fabbriche ove si crea il valore aggiunto. Non è più solo nell’ambiente e nel territorio dove si preleva la ricchezza delle materie prime. Essso si è spostato nel mercato, nel controllo delle commesse, nel controllo dei titoli azionari e di finanziamento delle società produttrici nazionali ed internazionali. Addirittura come massima espressione di questo nuovo livello del sistema capitalistico le società manifatturiere e fornitrici di servizi non valgono più per quanti capannoni o quanti operai possiedono, ma esse valgono per quanto sono quotate le loro azioni nel gioco della Borsa. Molti hanno accettato questo modello economico, riconoscendo alle regole dell’ economia di mercato una sorta di primato sulla politica e sul sociale.Una specie di ineluttabilità di questo tipo di concorrenza nazionale ed internazionale come motore di uno sviluppo. Un idea secondo cui la crescita sociale e la tutela degli interessi delle grandi masse di popolazioni siano ottenibili solo con il successo nel mercato delle aziende nostrane. Ma in un mercato così globalizzato con lo sviluppo dei trasporti e delle telecomunicazioni digitali, in cui si produce e si commercializza tutto con grande mobilità dei sistemi produttivi, la concorrenza commerciale non è più fra i singoli prodotti ma è fra gli interi sistemi sociali, fra interi paesi in cui ciò che fa la vera differenza per la concorrenza dei propri prodotti sono il fisco ed il costo del lavoro. Ed allora l’altalena è: a bassi salari e bassa fiscalità corrisponde più occupazione ma meno servizi e meno socialità, a più servizi meno occupazione. Quasi una specie di bilanciamento con i paesi in via di sviluppo. Quasi un gioco al chi scende e chi sale. Al di là della figurazione del gioco è certo che questo tipo di sviluppo non può non prevedere per le aree commerciali europee un ciclo involutivo e di diminuzione della qualità della vita.

2. Il primato del sociale

È proprio in questi processi di trasformazione del sistema economico capitalistico dominante che affondano le radici dei movimenti di tutela dei consumatori. Nella trasformazione dei diritti in merce, hanno trovato motivazione alla loro nascita e crescita. Nell’annullamento economico per via contrattuale di diritti sanciti per legge hanno trovato spazio per le loro battaglie vincenti nei Tribunali. Nello strapotere dei potentati economici insofferenti a qualunque regola, avvezzi a rispettare solo la legge del profitto e soliti sottomettere e comprarsi la politica hanno individuato con chiarezza la loro controparte. Nella estensione dei cosiddetti diritti diffusi da tutelare ritrovano una dimensione di massa del conflitto, che li legittima come forza sociale. Il movimento dei consumatori pone l’esigenza di limiti al mercato, di un mercato regolato e con la pari dignità dei soggetti economici. Pensare che un economia di libero mercato mondiale possa essere la via per avere un futuro socialmente ed economicamente migliore per la gran parte delle popolazioni dell’area occidentale è semplicemente il volersi negare l’evidenza di un processo involutivo di impoverimento di strati sempre maggiori. Per uscire da questa spirale occorre interrompere questa specie di primato, ormai accettato da molti, dell’economia sul sociale e sul politico. Occorre ragionare circa dei limiti oltre i quali il mercato non può andare. Va affermata la necessità di un modello di società con una diversa priorità. Una società in cui la produzione di beni e servizi non sia un fatto incidentale conseguente alla volontà di alcuni che desiderano guadagnare. Ma che essi siano il soddisfacimento di bisogni liberamente espressi in una domanda sociale ed economica Una società che fa della democrazia economica e della parità tra i vari soggetti economici presenti nel mercato uno dei suoi cardini. Che fa della partecipazione sociale alla scelte economiche ai vari livelli l’essenza della democrazia sostanziale. Occorre riaffermare un primato del sociale sulla politica e sull’economia. Va ricostruita una scala di priorità e di valori preordinati secondo criteri di socialità a cui l’utilizzo delle risorse pubbliche e la produzione debbono essere iniformate. Senza con ciò voler imporre niente a nessuno sul piano internazionale, in un contesto di libero scambio ma garantendo stabilità al livello dello sviluppo sociale e della qualità media della vita già acquisita.

3. Per lo sciopero sociale

Al bisogno di un diverso modello di società corrisponde un bisogno di un nuovo conflitto finalizzato alla sua realizzazione. Un conflitto che mette in campo vecchie e nuove soggettività. Una lotta per la difesa dei livelli della qualità della vita che per troppi oggi nel mondo occidentale il sistema economico capitalistico dominante non è in grado di mantenere e progetta di diminuire. Un conflitto per la ricostruzione del nesso tra stabilità del lavoro e dei salari, stabilità dei consumi, stabilità dei mercati e stabilità delle produzioni. La riattrezzatura di un conflitto di massa, per la tutela di interessi diffusi e maggioritari espresso nei veri punti di accumulazione della ricchezza e di costituzione dei veri poteri forti. Necessita cioè la costruzione di una alleanza strategica tra il movimento di tutela dei consumatori, cioè quando il cittadino è soggetto economico nel mercato, ed il movimento sindacale, cioè quando il cittadino è produttore di valore aggiunto e di servizi. Ovviamente a partire da quella parte del mondo consumeristico più accorto al complesso dei mutamenti sociali ed economici, e del mondo sindacale che è rimasto ancorato alla tutela degli interessi diretti dei lavoratori e che non ha ceduto troppo ad una idea tutta economicista delle relazioni sindacali. Un punto su cui occorrerebbe la realizzazione di una intesa strategica è quello degli strumenti per un conflitto vincente. Non è più sostenibile che il diritto di sciopero, costituzionalmente garantito, venga messo in discussione per una presunta conflittualità con un altro diritto al servizio, garantito ai cittadini-utenti, ma ciò però viene gestito dalla politica che quasi sempre è la controparte stessa. Per altro un diritto al servizio pubblico che si riconosce in caso di scioperi ma non si valuta tale nel mercato al momento della fornitura, dove viene considerato come una merce, al pari di altri prodotti. Occorre avere la forza per rimettere in discussione la legge sul diritto di sciopero nel servizi pubblici. Va rilanciato un idea più attuale dello sciopero. Uno sciopero con un maggiore e più ampio consenso, che travalica i confini stessi dei lavoratori addetti. Una specie di sciopero condiviso anche dagli utenti del servizio. Cioè uno sciopero condiviso anche dai diretti portatori del diritto al servizio. Nella convinzione di una comune battaglia per il miglioramento del servizio, poichè un servizio qualificato si ottiene solo in presenza di un qualificato ambiente e condizione del lavoro, mentre un lavoro mal organizzato e mal pagato produce solo cattivo servizio. Conquistare uno sciopero condiviso dagli utenti, attraverso le loro associazioni di tutela, significherebbe la acqusizione di un diritto ad azioni congiunte di responsabilità nei confronti degli amministratori delle aziende che costringono allo sciopero, nonché la delegittimazione di qualunque iniziativa repressiva dei governi. La condizione presente di una presunta contrapposizione di interessi tra i lavoratori e gli utenti di un servizio è una aberrazione ed una strumentalizzazione che non si può consentire. In questo un lavoro comune forse è già possibile subito.

Note

* Segr. Naz. Associazione consumatori ADUSBEF.