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Alessandra Ciattini
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Docente Fac. Lettere, Università “La Sapienza”, Roma

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Resistenza, lotta di classe e religiosità popolare a Cuba

Alessandra Ciattini

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Chi studia la religiosità popolare e le sue trasformazioni in qualsiasi contesto socio-culturale non può esimersi dal tentare di rispondere alla complessa questione delle relazioni, che si instaurano tra la prima e le diverse forme di organizzazione politico-sociale succedutesi nella storia. Nel caso di Cuba tali relazioni sono particolarmente complesse, anche per il fatto che nell’isola caraibica si sono incontrate e scontrate numerose forme religiose colà giunte con i loro fedeli, arrivati volontariamente o strappati con la forza dal loro paese d’origine. Dopo alcuni decenni di colonizzazione spagnola gli abitanti autoctoni dell’isola erano già praticamente scomparsi. Per questa ragione e per fornire manodopera all’economia di piantagione, cominciata a svilupparsi alla fine del sec. XVII, furono importati gli schiavi neri presi soprattutto nell’Africa centro-occidentale ed appartenenti a diversi gruppi etnici. Il progetto spagnolo di colonizzazione dell’America aveva due obiettivi, strettamente legati tra loro: appropriarsi delle nuove terre scoperte e delle loro ricchezze, estendere in quei luoghi la struttura sociale, politica e religiosa propria della penisola iberica. Ciò implicava molte cose, tra le quali sicuramente la conversione al Cristianesimo degli antichi abitatori, che però a Cuba ormai non c’erano più, e dei nuovi arrivati: gli schiavi neri. Come hanno notato alcuni studiosi, il cattolicesimo spagnolo importato a Cuba era una religione intrisa di religiosità popolare, influenzata da credenze e pratiche di origine araba ed ebraica, e non era certo caratterizzato da una chiara struttura dottrinale, quale quella stabilita e consolidata dal Concilio di Trento (1545-1563). Le religioni degli schiavi erano religioni etniche e per questo assai diverse tra loro, anche se sicuramente avevano alcuni importanti punti in comune. Secondo quanto scrive Aníbal Argüellas (2004) questi sono i concetti fondamentali condivisi dalle religioni cubane di origine africano: 1) attribuzione del potere magico alla natura ed alle sue manifestazioni; 2) fede nel potere sovrannaturale delle divinità (orichas) e degli antenati; 3) grande valore attribuito alle offerte e ai sacrifici fatti alle varie manifestazioni del sovrannaturale. Questi aspetti non erano sconosciuti al cattolicesimo popolare spagnolo, il quale non disdegnava e non disdegna in generale pratiche di carattere magico, nelle quali grande potere viene attributo agli oggetti e alle cose (basti pensare al potere anche taumaturgico dell’acqua benedetta, delle reliquie e delle immagini sacre). Un analogo potere straordinario veniva e viene attribuito dai cattolici a tutte quelle figure, che operano come intermediari tra il Dio creatore (presente anche nelle religioni africane) e l’uomo come la vergine, i santi, i defunti. Sempre nel cattolicesimo occupano un posto importante le offerte, fatte alle figure sovrannaturali e ai defunti, per rendere omaggio e/o per chiedere “una grazia” (l’elargizione di un dono, che può concretarsi in un aiuto concreto che sostiene nelle difficoltà della vita quotidiana). Una grande importanza riveste anche il sacrificio, anche se nel cattolicesimo appare in forma metaforica nella messa, nella quale si ripete il sacrificio fatto dal figlio di Dio per redimere gli uomini macchiati dal peccato originale. Tutti questi aspetti del cattolicesimo, che mostrano una certa sintonia con le religioni africane, furono aspramente criticati dai protestanti, che lo consideravano proprio per tali caratteri una religione materialistica e feticistica, nella quale i fedeli giungevano addirittura a mangiare il loro dio durante il rito della comunione celebrato nella messa, che dunque non veniva da loro interpretata come la trasposizione metaforica del sacrificio di Cristo. Gli schiavi neri, giunti a Cuba per lavorare nelle piantagioni, stipati nei barracones, rielaborarono le loro credenze religiose nel contatto tra i diversi gruppi etnici di appartenza. Al contempo, furono sottoposti ad un’evangelizzazione alquanto superficiale, giacché l’indottrinamento, il rispetto delle feste religiose li avrebbero allontanati dal lavoro dei campi, facendo perdere lucrosi profitti ai loro padroni latifondisti. Per evitare però che i diversi gruppi si coalizzassero e si riunissero per ribellarsi ai bianchi (come accadde ad Haiti nel 1791), fu concesso ai vari gruppi etnici di formare distinti cabildos, (confraternite o associazioni) dotati di varie funzioni (mutuo soccorso, culto religioso), i quali furono costituiti per venerare un santo cattolico ed organizzare la sua festa. In realtà, sotto la figura del santo cattolico i neri nascondevano una figura sovrannaturale africana, la quale aveva col primo legami di somiglianza, tali da renderla compatibile con questi e, in un certo senso, una sua estensione. In questa prima fase, precedente all’abolizione della schiavitù, si realizza una forma di sincretizzazione tra cattolicesimo spagnolo e religioni di origine africana abbastanza superficiale, anche se orientata dal bagaglio culturale africano, che sapientemente individua le somiglianze e le analogie tra i personaggi sovrannaturali, selezionandone alcune, trasformando il significato di altre secondo le esigenze pratiche e morali dei neri. Si veda, ad esempio, la sincretizzazione tra l’irriducibile Santa Barbara, martire cristiana, imprigionata dal padre in una torre, santa delle battaglie difficili, protetrice di tutti coloro che usano la polvere da sparo, scudo contro i fulmini, e Changó. Questi è il dio yoruba del tuono e della guerra, signore dei tamburi e della polvere da sparo, dalla cui bocca esce fuoco e dai piedi fumo, e sotto i cui passi la terra diventa ardente. Si veste di bianco e di rosso ed è legato all’amore, alla passione, alla tempesta (González, 1992: 101). In questa prima forma di sincretizzazione si manifesta la volontà degli africani di resistere al violento processo di sottomissione, di sfruttamento e di deculturazione portato avanti dai colonizzatori, mantenendo vive le loro credenze originarie anche se in forma occulta e camuffata, quale mezzo per preservare la loro identità e difendere la loro dignità di esseri umani. D’altra parte, gli spagnoli consideravano con relativa tolleranza le feste celebrate dagli schiavi e talvolta ricorrevano alle pratiche magiche africane, di cui così implicitamente riconoscevano la maggiore potenza, manifestando al contempo di avere un certo timore nei confronti degli stessi schiavi. Possiamo affermare, dunque, che nella fase della colonizzazione, nonostante il superficiale processo di evangelizzazione, le religioni di origine africana si perpetuarono perché rappresentavano un sostegno comunitario, culturale e psicologico nelle terribili condizioni della schiavitù. Con l’abolizione della schiavitù, avvenuta nel 1886 le religioni di origine africana perdono la loro connotazione etnica, si sincretizzano con lo spiritismo, riadattato dalla cultura meticcia, giunto dall’Europa o dagli Stati Uniti. Nel 1898 con l’intervento nordamericano nella guerra tra gli spagnoli e gli indipendentisti cubani inizia una nuova fase storica, nella quale si costituisce la cosiddetta repubblica neocoloniale; ossia un organismo politico nominalmente sovrano ed autonomo, ma di fatto sottomesso alla tutela degli Stati Uniti, i quali costrinsero i cubani ad inserire come appendice nella Costituzione, varata nel 1901, l’emendamento elaborato dal senatore Platt. In esso si stabiliva il principio secondo cui gli Stati Uniti potevano intervenire nelle questioni interne di Cuba. Successivamente tale emendamento fu trasformato nel Trattato permanente tra Cuba e gli Stati Uniti firmato nel 1903, preceduto da un trattato che riguardava le basi militari e navali dei nordamericani nell’isola. Non soddisfatti di aver ottenuto la sottomissione dell’isola, gli Stati Uniti prefiguravano una futura annessione di Cuba (Le Riverend, 1966: 24-26). In questa fase, che ho già descritto altrove, si realizza una sincretizzazione profonda tra cattolicesimo, religioni di origine africana e spiritismo, si forma anche la cosiddetta “religiosità popolare”, che costituisce il risultato dell’interpenetrazione sincretica e che si basa sull’impiego contemporaneo di diverse strategie religiose, senza preoccuparsi molto della loro diversa origine. Si costituiscono le diverse manifestazioni religiose esistenti ed operanti ancora oggi, sempre volte alla risoluzione dei problemi quotidiani che affliggono il credente. In questo periodo storico, caratterizzato dalla marginalizzazione, dalla povertà delle masse popolari (formate da neri, da meticci, ma anche da bianchi), dall’operato di una classe dirigente corrotta del tutto sottomessa agli interessi degli Stati Uniti e del loro potere economico, le religioni di origine africana e la religiosità popolare nel suo complesso sono discriminate e considerate in maniera negativa, nonostante la Costituzione, approvata nel 1940, stabilisca la separazione tra Chiesa e Stato e la libertà di culto nel rispetto però della morale cristiana (Ramirez e Ciattini, 2002: 174). Anche in tale contesto le religioni di origine africana, insieme alle altre manifestazioni della religiosità popolare (cfr. Ramírez e Ciattini, 2002) continuano ad essere praticate e a svolgere una funzione sociale importante. Esse sono un’espressione delle cosiddette “religioni dell’immediato” e, in questo senso, - come si è detto - sono utilizzate dal fedele per risolvere i problemi della vita quotidiana (una malattia, una difficile situazione economica etc.). Infatti, i loro fedeli sembrano mostrare scarso interesse per l’aldilà, per il mondo dopo la morte, per la remunerazione celeste. Proprio per questo carattere “materialistico” e radicato nelle difficili condizioni di vita delle masse popolari cubane esse hanno sempre suscitato simpatia nei dirigenti rivoluzionari ideologicamente ostili o indifferenti verso la ricerca del “paradiso” in cielo. Durante la fase della repubblica neocoloniale, che si è conclusa solo con la vittoria delle Rivoluzione avvenuta nel 1959, la religiosità popolare nel suo complesso ha continuato a fornire sostegno ed aiuto psicologico alle masse popolari, che non trovavano altra forma di soluzione ai loro problemi, e nello stesso tempo ha rappresentato quella concezione del mondo, nella quale si riconoscevano in maniera unitaria le masse popolari cubane, nonostante la loro origine eterogenea, distinguendosi da quelle élites vincolate alla gerarchia cattolica o al protestantesimo. In questo senso, in esse possiamo individuare una sorta di “spirito di scissione”, già individuato da Gramsci nel folclore meridionale, che dovrebbe svilupparsi nella presa di coscienza della propria diversità storica, e che taluni hanno definito “istinto di classe” (Cirese, 1976: 88). In definitiva, possiamo sicuramente affermare che la religiosità popolare ha fornito una serie di elementi importantissimi, legati alla capacità di resistenza e di opposizione, la cui rielaborazione nel corso delle vicende storiche ha prodotto l’identità nazionale e culturale cubana nella sua specificità. Proprio per questa capacità di creare e rinsaldare i legami sociali tra gli individui e i gruppi, talune di esse, in particolare le Società abakuá - come del resto il vodu ad Haiti - furono addirittura utilizzate nelle campagne elettorali per ottenere un sostegno più ampio nella popolazione. Con la vittoria della Rivoluzione ovviamente inizia per Cuba una nuova fase, nella quale molte cose cambiano per i settori popolari seguaci della religiosità popolare, anche se è in atto una revisione critica da parte di alcuni studiosi dell’atteggiamento adottato dallo Stato rivoluzionario nei loro confronti. In primo luogo, bisogna far chiarezza ed affermare che furono proprio i settori popolari, credenti o non credenti, che furono beneficiati dalle grandi Riforme introdotte dalla Rivoluzione. In secondo luogo, bisogna aggiungere che la questione religiosa - mai fortemente dibattuta nella popolazione cubana caratterizzata come si è visto da una religiosità eclettica - fu sicuramente accantonata in quegli anni, in cui la maggioranza si dedicava con passione alla costruzione della nuova società. D’altra parte, la nuova Costituzione del 1976 definiva la Repubblica di Cuba uno stato socialista di operai, contadini e lavoratori, alleati tra loro e guidati dalla classe operaia diretta dal Partito comunista cubano. Essa stabiliva l’uguaglianza di tutti i cittadini senza distinzione di razza, sesso, origine nazionale. Sanciva la libertà di espressione, la libertà religiosa, connessa a quella di praticare il culto prescelto, e la libertà di non credere (AA.VV., 1994:294-295). Ma la Costituzione del 1976, approvata con un referendum popolare da circa il 98% dei votanti, considerava anche la concezione scientifica materialistica come ideologia ufficiale dello Stato cubano. Sulla stessa linea si collocano le Tesis sobre Religión, la Iglesia y los Creyentes discusse in precedenza dal primo Congresso del Partito comunista cubano, tenutosi nel 1975, nelle quali si ribadisce il diritto a praticare qualsiasi forma di culto, purché ciò avvenga nel rispetto della legge e della morale socialiste. In tali tesi si indica come obiettivo da raggiungere l’affermazione della conoscenza scientifica libera da pregiudizi e superstizioni, e si esclude che i credenti possano far parte del partito. Questa decisione scaturì sicuramente dalla volontà di rispondere all’aggressività mostrata soprattutto dalla gerarchia cattolica nei confronti della Rivoluzione, la quale con l’abolizione delle scuole private, approvata negli anni ’60, perdeva un potente strumento di influenza e di penetrazione culturale. Nonostante tali posizioni considerate da molti antireligiose, lo Stato rivoluzionario rivalutò i contenuti estetici, artistici, i valori folclorici legati alla religiosità popolare, tentando di mettere in secondo piano i suoi aspetti religiosi e mistici. Tale atteggiamento e l’effettiva preminenza dei membri del partito comunista nella vita sociale avrebbe spinto quella parte della popolazione, che in qualche modo seguiva una fede religiosa, a nascondere tale fede. Tuttavia, nonostante l’adesione all’oggettivismo positivistico e all’ateismo scientifico, lo Stato cubano perseguì sicuramente la rivalutazione delle tradizioni popolari cubane, come mostrano, ad esempio, l’istituzione del Conjunto Folklórico Nacional (lo straordinario corpo di ballo tutt’ora esistente) e lo spazio dato ad opere teatrali, in cui si rappresentavano idee e valori legati al retaggio africano. Come osserva Lázara Menéndez (2004: II parte) tale rivalutazione fece sì che tali forme culturali e al contempo religiose continuassero ad operare come un fattore di identificazione, come era avvenuto già nelle epoche passate. Ma poiché, ciò avveniva accantonando i contenuti religiosi pur caratterizzanti larga parte della popolazione cubana, si produsse il fenomeno, di cui è difficile valutare l’estensione, che i cubani chiamano della “doble moral”: essere credenti senza dichiararlo apertamente. Sicuramente tali osservazioni, sviluppate per esempio da Lázara Menéndez (2004), sono fondate, ma pongono grossi problemi a chi voglia auspicare e sostenere una radicale trasformazione sociale, i quali non possono essere risolti difendendo a tutti i costi le le antiche tradizioni pur cariche di esperienze esistenziali. Infatti, cambiando il contesto storico-sociale, inevitabilmente queste ultime, anche se con maggiore lentezza e gradualità, si trasformano e si riadattano alla nuove circostanze. Non si capisce pertanto perché un’organizzazione sociale, che si propone di cambiare dalle sue basi la precedente struttura sociale, non debba intervenire per orientare l’innovazione spontanea delle pratiche e delle credenze, favorendo lo sviluppo di convinzioni e valori funzionali alla nuova strutturazione sociale. È questo un processo che si è prodotto in tutte le epoche storiche, sia in quelle rivoluzionarie che in quelle restauratrici. Naturalmente tale intervento non può essere in nessun modo repressivo e del resto a Cuba non lo è mai stato, anche perché come diceva Lenin ai lavoratori interessa mettersi d’accordo sul “paradiso” in terra, lasciando agli altri le dispute sull’aldilà. Le grandi trasformazioni prodottesi nel mondo per il derrumbe del cosiddetto socialismo reale hanno determinato profondi cambiamenti anche a Cuba. Qui mi soffermerò brevemente su quelli che riguardano la presenza delle religioni nella vita sociale. Nel 1991 il IV Congresso del Partito comunista cubano cambia il suo atteggiamento verso i credenti e ne ammette la presenza al suo interno. Nel 1992 viene realizzata la riforma costituzionale, in seguito alla quale è abbandonato l’ateismo scientifico quale ideologia ufficiale dello Stato cubano e il Partito comunista non è più concepito come l’avanguardia della classe operaia, ma di tutto il popolo cubano. Inoltre, la nuova Costituzione sanziona esplicitamente la discriminazione religiosa. Menéndez (2004: parte III) afferma che, dopo queste decisioni, alcuni si sorpresero per il numero di iniziati alla santería, che si vedevano per la strada ed erano individuabili - aggiungo io - perché indossavano senza nessuna preoccupazione i loro simboli. Che nel cosiddetto periodo speciale ci sia stato un risveglio religioso, riguardante tutte le fedi religiose presenti a Cuba, è sicuramente vero, come del resto sembra vero che tale espansione religiosa si sia ormai stabilizzata. D’altra parte, esso è un fenomeno che caratterizza tutto il mondo occidentale ed è probabilmente legato a quella che ci è stata presentata come la “fine delle ideologie”. Come si è visto, la religiosità popolare è sempre stata un fattore di coesione e di identificazione importante nella storia di Cuba. Nella fase rivoluzionaria essa ha avuto rapporti complessi con le istituzioni, ma - a mio parere - una somiglianza di fondo con la ideologia rivoluzionaria le ha consentito di perpetuarsi e di riplasmarsi, continuando ad essere uno degli elementi costituitivi della cubanidad. Al centro delle concezioni popolari sta la nozione di lotta, lotta per l’esistenza che deve essere condotta ogni giorno contro le condizioni avverse procacciandosi l’appoggio del sovrannaturale. Tale atteggiamento non rassegnato, alimentato dalla rebeldía degli schiavi, dalla consapevolezza del proprio valore e coraggio e della propria irriducibile specificità, costituisce anche lo sfondo sul quale sono cresciute la lotta martiana per la sovranità nazionale e la volontà rivoluzionaria di costruire una forma sociale peculiare senza tentennamenti e senza compromessi.

Bibliografia

Argüellas A., Representaciones simbólicas en las religiones de origen african existente en Cuba, dattiloscritto, L’Avana 2004. AA. VV., Historia de la Revolución cubana, Editorial Pueblo y Educación, L’Avana 1994. Cirese A. M, Intellettuali, folclore, istinto di classe, Einaudi, Torino 1976. Menéndez L., El camino de la reciprocidad (parte II e III), http://freeweb.supereva.com/cubania/reciprocidad2-html, 2004. Ramírez Calzadilla J. e Ciattini A., Religione, politica e cultura a Cuba, Bulzoni, Roma 2002. González Herrero l., Panteón yoruba. Conversación con un Santero, Ediciones Holguín 1992. Le Riverend J., La República. Dependencia y Revolución, Editora Universitaria, L’Avana 1966.

Note

* Prof.ssa Univ. “La Sapienza” - Roma.