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Gianni Marsili
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Direttore del reparto Valutazione Impatto Ambientale del laboratorio di Igiene Ambientale dell’Istituto Superiore di Sanità

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La partecipazione della popolazione e dei lavoratori esposti ai rischi alla gestione della sicurezza industriale. Esercizio di un diritto o elemento centrale della prevenzione?
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La partecipazione della popolazione e dei lavoratori esposti ai rischi alla gestione della sicurezza industriale. Esercizio di un diritto o elemento centrale della prevenzione?

Gianni Marsili

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Un elemento di particolare importanza che non può essere escluso da questa lista quando di tratta di impianti a rischio è certamente quello connesso alle capacità dell’individuo di mantenere un alto livello di vigilanza. Questa variabile, che numerosi studi hanno dimostrato incidere sensibilmente sulla capacità dell’individuo di rilevare lo stimolo, dipende significativamente, tra l’altro:

• dalla durata del periodo di attenzione richiesta all’operatore;

• dal tipo di azione da condurre qualora il segnale venga rilevato;

• dalla frequenza di attivazione del segnale.

Ciò implica che l’intervento di un operatore per evitare una situazione di pericolo risulti intrinsecamente più soggetto ad errore di uno analogo finalizzato alla normale operatività produttiva in quanto trattasi di una risposta ad uno stimolo poco frequente che deve essere decisa in condizioni di stress psicologico indotte dalla coscienza degli effetti avversi che un errore può provocare a sé e/o agli altri. Particolare attenzione dovrà essere pertanto riservata a tali mansioni nella fase di identificazione delle misure di protezione che generalmente richiedono sia un’idonea organizzazione del lavoro sia una specifica attività di formazione che non escluda simulazioni capaci di conferire all’operatore una certa familiarità con l’evento.

Intimamente connessa al processo di valutazione del rischio, e sua logica conseguenza, è, nel campo della sicurezza industriale, l’identificazione dei dispositivi di protezione più idonei per la specifica realtà esaminata. Un dispositivo di sicurezza infatti è tanto più efficace quanto maggiore è la riduzione del rischio che esso garantisce. In questo contesto, il rischio si presta ottimamente quale parametro di misura poiché la sua soggettività, e la conseguente ampia incertezza che ne affligge la stima, risulta priva di effetti distorcenti quando le decisioni vengono prese per comparazione tra opzioni diverse. In altri termini, per valutare l’efficacia di un dispositivo di protezione è necessario sviluppare un’analisi del rischio del sistema tecnologico umano sia in presenza che in assenza del dispositivo, ed utilizzare il rapporto tra i rischi come indicatore di efficacia della misura di protezione. Tale comparazione può in alcuni casi non essere molto semplice. Nessun problema esiste infatti qualora il rischio è riferito ad un singolo lavoratore, ed è quindi espresso come probabilità che lo stesso possa subire un definito effetto avverso. In questo caso, infatti, il rapporto tra i rischi indica direttamente di quante volte diminuisce la probabilità che il lavoratore subisca l’effetto avverso e l’identificazione tra i possibili diversi dispositivi di sicurezza di quello più efficace diviene un’operazione assolutamente meccanicistica. Molto diverso è invece il caso in cui i possibili effetti avversi coinvolgono più persone, come ad esempio nel rilascio accidentale all’interno di un ambiente di lavoro di una sostanza pericolosa. In questo caso, il rischio è infatti espresso come curva sul piano probabilità/entità delle persone coinvolte e la decisione può richiedere una scelta di tipo soggettivo da cui non possono ovviamente restare esclusi i lavoratori esposti. Ad esempio, si supponga che esistano due diverse opzioni A e B per incrementare la sicurezza di un sistema. La fig. 7 riporta le possibili condizioni in cui la decisione può dover essere assunta evidenziando:

• nel grafico (7a), che nessun problema decisionale esiste qualora una delle due opzioni mostri sempre una minor probabilità ed una minor entità delle conseguenze. Non c’è infatti alcun dubbio in questo caso che l’opzione B sia più efficace dell’opzione A in termini di incremento della sicurezza;

• nel grafico (7b), che l’opzione A mostra una minor probabilità che si verifichino effetti di minor entità ma al tempo stesso una più alta probabilità per il verificarsi di effetti diversi con entità maggiore. In questo caso la scelta è assai più complessa poiché deve tener conto che gli effetti avversi attesi per scenari incidentali con probabilità più bassa (nell’ambito della sicurezza industriale le probabilità sono generalmente minori di 0.01 e possono scendere di alcuni ordini di grandezza) sono quelli che più verosimilmente si verificheranno durante il tempo di vita dell’impianto. Ne consegue che scegliere l’opzione B può risultare più gravoso in termini di effetti avversi complessivi riferiti all’intera vita dell’impianto in quanto può aumentare di alcuni ordini di grandezza la probabilità di verificarsi degli eventi incidentali a conseguenze minori al fine di evitare la possibilità di accadimento di scenari incidentali a conseguenze più alte, i quali potrebbero anche non verificarsi mai durante la vita operativa dell’impianto. E’ evidente in questo caso che la decisione inerente l’efficacia delle due opzioni, coinvolgendo valori culturali ed etici, necessita che al punto di vista dei lavoratori esposti sia attribuito un peso rilevante.

In termini generali, si può concludere che la partecipazione dei lavoratori può e deve incidere profondamente sul processo decisionale ispirandosi al concetto che il rischio può essere ridotto, ma in molti casi non eliminato. Uno dei metodi più intuitivi a cui spesso si fa ricorso per accrescere la sicurezza è fondato sulla ridondanza dei dispositivi di protezione e prevenzione finalizzata a ridurre la probabilità di accadimento degli eventi incidentali. Tale approccio si scontra però, in molti casi, con le esigenze di bilancio dell’azienda ed è quindi fonte di conflittualità tra management e lavoratori. Ne deriva un andamento del livello di sicurezza raggiunto nell’azienda che varia in funzione dei rapporti di forza che si instaurano momento per momento. Tale fluttuazione non può comunque permettere che il livello di sicurezza scenda sotto il limite specificato nelle normative di sicurezza le quali rappresentano la coscienza collettiva, e quindi il grado di civiltà del paese, e devono costituire quindi il punto di partenza per la ricerca di equilibri più avanzati. In questo senso l’introduzione dell’analisi di rischio nel contesto normativo inerente la sicurezza industriale, così come l’informazione dei lavoratori e la loro partecipazione alla gestione della sicurezza, costituiscono dei validi strumenti di progresso sui quali può fondarsi la ripartizione per settori delle risorse aziendali.

Nello stesso quadro logico dell’informazione e formazione dei lavoratori si inserisce, per quanto riguarda le attività a rischio di incidente rilevante, la comunicazione del rischio alla popolazione che può essere coinvolta in eventi incidentali prevedibili per l’impianto.

L’enfasi posta su tale aspetto della gestione del rischio industriale dalle normative europee (Direttive 82/501/CEE e 96/82/CE) non nasce quindi esclusivamente dalla necessità di ribadire il principio democratico per cui ognuno ha il diritto di essere informato sui rischi ai quali è esposto, ma sottolinea l’importanza della partecipazione della popolazione al processo di pianificazione dell’emergenza e della conoscenza dei rischi nel garantire l’assunzione di atteggiamenti e comportamenti adeguati alla minimizzazione delle conseguenze, nel caso che un evento accidentale abbia a verificarsi. A dimostrazione di ciò è bene ricordare che già la prima Direttiva Seveso (82/501/CEE) sanciva espressamente il dovere delle autorità di informare la popolazione e che la sua modifica (Direttiva 96/82/CE) affianca a tale dovere delle autorità il diritto della popolazione di essere informata e consultata relativamente alla stesura del piano di emergenza esterna. Per questo motivo quest’ultima direttiva stabilisce esplicitamente che alla popolazione deve essere garantito l’accesso al rapporto di sicurezza.

A fronte di tale riconosciuta importanza sta l’approccio normativo italiano (Legge 137/97), il quale propone un modello di comunicazione che prevede:

• che i fabbricanti, contestualmente alla notifica degli impianti inviino a varie autorità, tra cui il Sindaco, una scheda informativa;

• che i Sindaci rendano immediatamente note alla popolazione le misure di sicurezza e le norme di comportamento da seguire in caso di incidente rilevante, tramite distribuzione, nella forma integrale in cui è pervenuta, della scheda di cui al punto precedente.

Detta scheda contiene informazioni descrittive relative:

- all’identificazione della società e dei suoi rappresentanti ufficiali nonché dei riferimenti presso la pubblica amministrazione e dei responsabili per l’informazione pubblica; per il primo intervento e per la pianificazione dell’emergenza esterna;

- alle attività svolte nello stabilimento;

- agli adempimenti amministrativi posti in essere nell’ambito dell’applicazione del DPR 175/88;

- all’identificazione delle sostanze e dei preparati capaci di causare un incidente rilevante nonché alla natura dei rischi connessi con questi eventi;

- alla tipizzazione degli effetti per la popolazione e l’ambiente, delle misure di prevenzione e sicurezza adottate, dei comportamenti da seguire per mitigare le conseguenze, dei mezzi disponibili per la segnalazione degli incidenti, per la comunicazione durante l’emergenza e per il pronto soccorso delle persone coinvolte.

Dato il breve tempo intercorso dall’emanazione del dispositivo legislativo l’efficacia di questo modello non consente ancora una valutazione di campo, anche se alcuni dei Sindaci investiti di questa responsabilità si sono resi conto che un approccio così meccanicistico può risultare in un fallimento dal punto di vista informativo e in un ulteriore elemento di induzione di un conflitto sociale già endemico in quasi tutte le aree in cui sono presenti attività industriali a rischio di incidente rilevante.

Nonostante ciò, alcune generali considerazioni possono essere svolte seguendo le conoscenze acquisite in numerose ricerche inerenti la tematica e sulla base del concetto di rischio discusso nei paragrafi precedenti. Non c’è infatti alcun dubbio che gli atteggiamenti che gli individui assumono rispetto ad un rischio dipendano dalla loro percezione del rischio e possano oscillare da una totale sottovalutazione ad un estremo allarmismo. Naturalmente entrambe queste condizioni tendono a vanificare il processo informativo ed a complicare l’intera gestione del rischio. Si aggiunga a ciò sia che la valutazione soggettiva propria della popolazione si basa su caratteristiche e valori estremamente diversi da quelli che informano le valutazioni oggettive usate dagli esperti, sia che la natura del fenomeno consente solo stime probabilistiche le quali non incontrano le attese della popolazione di una risposta dicotomica del tipo effetto avverso certo o impossibile.

In questa situazione, la disseminazione di informazioni relative alla pericolosità delle sostanze, alla natura dei rischi ed alla tipologia degli effetti avversi opposta a quella relativa alle misure di sicurezza adottate ed ai dispositivi di mitigazione del rischio potrebbero non essere sufficienti ad evitare una logica estremizzata oscillante tra rassicurazione ed allarmismo. Enfatizzando infatti le informazioni sulla pericolosità e gli effetti avversi è facile cadere nell’allarmismo ingiustificato mentre, al contrario, enfatizzando le informazioni sulle misure di sicurezza e di mitigazione delle conseguenze potrebbe essere altrettanto facile scivolare in un’ingiustificata rassicurazione. Ne consegue che il rapporto fiduciale tra popolazione ed autorità responsabili del processo informativo, il quale può ovviamente essere influenzato da elementi che nulla hanno a che vedere con la gestione del rischio di incidente rilevante, è sempre più destinato a divenire l’elemento discriminante tra questi due estremi.

Indagini condotte in Italia intorno a siti industriali ricompresi nel D.P.R. n. 175/88 hanno segnalato l’estrema importanza che la popolazione potenzialmente esposta al rischio attribuisce al rapporto fiduciale che può instaurarsi sia con i tecnici delle autorità locali preposti alla protezione della salute sia con i tecnici dello stabilimento responsabili per la sicurezza dell’impianto. Esse hanno anche suggerito che la fiducia dei cittadini può essere rafforzata all’interno di un processo informativo che, lungi dall’essere un semplice processo di trasmissione di nozioni e prescrizioni protettive, si configuri come momento di controllo del rischio da parte della popolazione che si esplica nel confronto con le autorità preposte al controllo della sicurezza ed alla protezione della salute.

Un secondo elemento di riflessione su questa tematica è costituito dalla natura probabilistica del rischio e dalla difficoltà connessa con il processo di comunicazione dell’incertezza ad esso associata. Infatti, in quanto variabile attraverso cui si cerca di prevedere il futuro, il rischio è intrinsecamente affetto da soggettività ed ampia incertezza ed il suo uso risulta efficace in processi decisionali basati sulla comparazione di diverse opzioni, ma molto problematico in situazioni, quali quelle proposte dalla gestione degli incidenti industriali rilevanti, in cui esso deve essere considerato per il suo valore assoluto. Ciò implica ovviamente processi comunicativi assai complessi ed articolati la cui trattazione esula dagli scopi del presente articolo. E’ comunque doveroso ricordare, seppur schematicamente, che un efficiente processo di comunicazione del rischio dovrebbe coinvolgere almeno due livelli d’intervento, intimamente connessi, riferiti: il primo ad un contesto educativo più generale inerente la cultura del rischio; ed il secondo alla specifica situazione di rischio oggetto della comunicazione. In ogni caso tale processo dovrebbe articolarsi in almeno tre fasi (progettazione, realizzazione e verifica), dinamicamente interconnesse, finalizzate a rispondere efficientemente alle esigenze informative e di controllo poste dalla popolazione.

Osservato alla luce delle considerazioni generali sin qui esposte, il modello informativo proposto dalla legge n. 137 del 19 maggio 1997 appare estremamente semplificato e lascia molti dubbi sulla sua capacità di risolvere la complessa problematica posta dal processo di comunicazione del rischio. Naturalmente esso potrebbe rilevarsi un utile strumento qualora posto all’interno di un processo informativo più articolato capace di coinvolgere la popolazione nelle decisioni inerenti la gestione ed il controllo del rischio. Ciò implica però la disponibilità di specifiche ed idonee competenze a livello locale e non esclude, di conseguenza, la possibilità di osservare nel futuro una grande disomogeneità territoriale nell’applicazione di questa parte della normativa. A tale possibilità dovrebbero perciò prestare molta attenzione non soltanto i Sindaci nei cui comuni insistono impianti a rischio di incidente rilevante, ma anche le forze politiche e le autorità nazionali onde evitare il pericolo che la discriminante per il siting di aziende a rischio possa divenire una funzione esclusiva della carenza di competenze a livello locale.