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Trasformazioni sociali e diritto

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Arturo Salerni
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Associazione Progetto Diritti; Membro del Comitato Scientifico del Centro Studi Trasformazioni Economico-Sociali (CESTES) - Proteo

Carla Serra
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Lavori atipici e nuove forme del lavoro

Arturo Salerni

Carla Serra

Maria Rosaria Damizia

Dossier a cura di Arturo Salerni, Maria Rosaria Damizia, Carla Serra dell’Associazione Progetto Diritti

Nel precedente numero di Proteo abbiamo preso in esame - sia pur sommariamente - la proposta approvata dal Senato in tema di lavori “atipici”. La proposta è attualmente all’esame della Commissione Lavoro della Camera dei Deputati che ha terminato in un primo esame e sta per avviare le consultazioni delle “parti sociali”. In questo numero della rivista intendiamo ripercorrere alcune delle nuove figure in cui oggi vengono inquadrati i rapporti di lavoro, siano essi formalmente rapporti di lavoro dipendente o rapporti di lavoro caratterizzati da una sostanziale subalternità del lavoratore al datore o al committente e sia pur definiti in termini diversi.

Riteniamo di svolgere un servizio utile al lettore pubblicando in appendice il testo della proposta cosiddetta Smuraglia, approvata dal Senato della Repubblica.

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4. Il lavoro interinale

 

Tale forma di lavoro, conosciuta come "lavoro in affitto", si sostanzia in un rapporto di tipo triangolare, che coinvolge l’utilizzatore dell’opera del lavoratore, il fornitore dello stesso (ovvero l’intermediario, il procacciatore di manodopera) e il lavoratore.

L’impresa fornitrice pone a disposizione di un altro datore di lavoro proprio personale, assunto secondo specifiche modalità. Il soggetto fruitore dell’opera del lavoratore può essere un’impresa o un non imprenditore (studi professionali, associazioni, ecc.) o un non datore di lavoro, ad es. un soggetto privato che intende far eseguire alcuni lavori.

Tale figura è stata introdotta per soddisfare innanzitutto le esigenze delle imprese di carattere temporaneo.

Alcune regole sono state poste dalla legge n. 196/97 che ha introdotto il lavoro in affitto (nell’ambito del cosiddetto “pacchetto Treu” dal nome dell’allora Ministro del Lavoro, al tempo del governo Prodi)

L’impresa che fornisce il lavoratore deve possedere alcuni requisiti per garantire sia l’aspetto economico, dato che il lavoratore è alle dipendenze dell’impresa fornitrice e non di chi lo utilizza, sia gli eventuali abusi in ordine alla mancata osservanza delle norme di legge. Primo requisito è quello dell’obbligo di iscriversi in un apposito Albo dopo un esame da parte del Ministero del Lavoro in ordine all’esistenza delle caratteristiche richieste. Al momento dell’utilizzo del lavoratore, l’impresa fornitrice e l’impresa utilizzatrice devono stipulare un contratto di fornitura di lavoro temporaneo in forma scritta; in mancanza di tale forma scritta, il lavoratore si considera assunto dall’utilizzatore con contratto a tempo indeterminato. Copia del contratto deve essere trasmessa dall’impresa fornitrice alla Direzione Provinciale del Lavoro competente per territorio entro dieci giorni dalla stipulazione.

Da un punto di vista civilistico, il contratto di fornitura è essenzialmente un contratto di scambio che trova la propria disciplina nell’art.1559 del codice civile; ossia una parte si obbliga, dietro corrispettivo di un prezzo, ad eseguire in favore dell’altra, prestazioni periodiche o continuative.

I prestatori di lavoro temporaneo non possono superare una data percentuale rispetto ai lavoratori occupati dall’impresa utilizzatrice con contratto a tempo indeterminato; la percentuale è stabilita dai contratti collettivi nazionali di lavoro del settore di appartenenza dell’impresa utilizzatrice. Il rapporto di lavoro si instaura fra il lavoratore e l’impresa fornitrice con un contratto chiamato "contratto per prestazioni di lavoro temporaneo" con cui l’impresa fornitrice assume il lavoratore per assegnarlo successivamente all’utilizzatore. Tale contratto può anche essere a tempo indeterminato (con il diritto del lavoratore ad una indennità "di disponibilità" a carico dell’impresa fornitrice); quest’ultima possibilità può considerarsi utopica, se si considera il fatto che tale forma di lavoro è stata introdotta per soddisfare esigenze di carattere temporaneo delle imprese.

Il lavoratore per la durata del rapporto, svolgerà la propria attività lavorativa nell’interesse e sotto la direzione e il controllo dell’utilizzatore, il quale però non potrà prendere provvedimenti disciplinari, né licenziarlo, tutte "prerogative" che resteranno di competenza del datore di lavoro, ossia dell’impresa fornitrice. La retribuzione è a carico dell’impresa fornitrice, ma va commisurata a quella normalmente dovuta dall’utilizzatore, giacché il lavoro si svolge presso di lui; gli oneri contributivi previdenziali e assistenziali sono anch’essi a carico dell’impresa fornitrice (impresa che viene inquadrata nel settore terziario), così pure gli obblighi in materia di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali. In caso di inadempimento da parte dell’impresa fornitrice, l’impresa utilizzatrice risponde in solido con la prima degli obblighi suddetti.

E’ la prima volta che nel nostro ordinamento viene introdotta una simile figura, posto che la legge n. 1369 del 1960 contiene il divieto di appalto di manodopera.

La legge 236 del 1993 prevede inoltre il caso in cui un lavoratore dipendente da un’impresa può prestare la propria opera presso un altro datore; il caso del lavoratore comandato o distaccato da un’impresa ad un’altra per una durata temporanea. Il legislatore rinvia ai contratti collettivi delle imprese utilizzatrici la possibilità di ampliare il ricorso a nuove tipologie interinali, stabilendo che tale forma è possibile in tutti i settori compresi l’agricoltura e l’edilizia.

Pensiamo a tal riguardo ai fenomeni del caporalato in agricoltura e dei subappalti nel settore edile.

E’ evidente la pericolosità insita nel modello che abbiamo descritto, modello che peraltro risulta ancora (stando ai dati statistici ad oggi resi noti) non molto praticato dalle imprese italiane.

Innanzitutto si interrompe il rapporto diretto classicamente intercorrente tra il datore di lavoro e il lavoratore subordinato. Si inserisce (come abbiamo visto, in deroga alla legge del 1960 sul divieto di interposizione nella gestione della manodopera) un terzo soggetto, distinto dall’impresa che si avvale concretamente della prestazione lavorativa.

E’ facile immaginare la assoluta difficoltà alla determinazione di conflitti e di vertenze tra il lavoratore e l’imprenditore, con la ovvia conseguente difficoltà di sindacalizzazione, di difesa dei propri diritti da parte del lavoratore, di contrattazione di migliori condizioni retributive e lavorative. Il lavoratore non sa più chi è il suo padrone, colui al quale rivolgere richieste o nei confronti del quale richiedere qualcosa.

Va ulteriormente considerato che tale difficoltà si somma alla precarietà della propria collocazione dovuta alla temporaneità della richiesta prestazione lavorativa.

Le imprese potranno quindi avere a disposizione lavoratori “usa e getta”, non legati da un rapporto di formale subordinazione ma nonostante questo gerarchicamente inseriti nell’organizzazione produttiva o lavorativa, potranno sfruttare i “picchi” stagionali semplicemente rivolgendosi ad una agenzia, la quale svolgerà la propria funzione di collocamento privato scegliendo arbitrariamente chi deve lavorare oppure no, e chi sarà richiamato la prossima volta.

Peraltro la contrattazione collettiva avrà ampi margini in ordine alla definizione ed alla indicazione delle tipologie lavorative per le quali sarà possibile prevedere forme di lavoro interinale, e tutto lascia supporre che si creeranno osmosi, o quantomeno fortissime contiguità, tra i soggetti sindacali titolari della negoziazione collettiva e le agenzie autorizzate al collocamento di questi lavoratori, con le ovvie e prevedibili ulteriori conseguenze in ordine alla difficoltà di tutela del soggetto utilizzato dalle imprese.

 

5. Le borse di lavoro

 

Altro strumento di flessibilità nella gestione della manodopera è costituito dalle borse di lavoro; il D.Lgs.280/97 che le istituisce, precisa prima di ogni altra cosa che le stesse non determinano l’instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato e non comportano per il lavoratore la cancellazione dalle liste di collocamento.

Le imprese che intendono utilizzare i giovani in borse di lavoro devono avere un’apposita autorizzazione e possono attivarle solo nei confronti di giovani che siano iscritti alla data prevista dalla legge da oltre trenta mesi nelle liste di collocamento della Sezione circoscrizionale per l’impiego della stessa provincia per la quale è stata concessa l’autorizzazione.

L’orario di lavoro giornaliero non può superare le otto ore e quello settimanale le venti ore, mentre la borsa lavoro non può superare i dodici mesi e viene graduata in relazione alle dimensioni dell’azienda e al livello di scolarità.

Infatti presso le imprese che occupano sino a quindici dipendenti, la durata prevista per la borsa lavoro è di undici mesi per i giovani che non hanno ottenuto diploma di scuola secondaria superiore; la durata è invece di dieci mesi per coloro che non sono in possesso di tale titolo o la laurea. Invece nelle le imprese che occupano più di quindici dipendenti, la durata è rispettivamente di dodici mesi e di undici mesi; presso le imprese artigiane, la durata è di dodici mesi.

Il lavoratore borsista deve presentare all’INPS un’apposita domanda e avrà diritto ad un sussidio di 800.000 lire al mese ed eventualmente all’assegno per il nucleo familiare.

Tale forma di retribuzione, che sicuramente non è sufficiente ad assicurare al lavoratore un’esistenza libera e dignitosa (come invece imporrebbe l’art.36 della nostra costituzione), è a totale carico dell’INPS.

La borsa lavoro viene quindi inquadrata come una forma di assistenza a totale vantaggio delle imprese utilizzatrici, il cui unico onere sarà quello di assicurare i lavoratori contro gli infortuni e le malattie professionali, nonché per la responsabilità civile verso terzi.

Anche per questa forma di lavoro atipico, il problema è quello di capire quale sia la sua natura giuridica, per poter ricollegare alle borse lavoro le tutele previste per figure simili. La forma che viene utilizzata come referente più immediato in assenza di sentenze di legittimità (e cioè di sentenze della Corte di Cassazione) in materia di borse di lavoro, è quella dello stage.

Già in dottrina è stata avanzata la tesi secondo cui nelle borse di lavoro, come negli stages, non sia possibile riscontrare lo schema contrattuale tipico del lavoro dipendente, ossia la correlazione (la dottrina giuridica usa il termine “sinallagma”) tra prestazione lavorativa, resa in modo subordinato, e retribuzione.

Quel che emerge con chiarezza è il fatto che nel caso della borsa lavoro il giovane viene occupato presso un’azienda, la quale non subirà alcun costo per la prestazione lavorativa che il lavoratore renderà a suo favore. L’unico costo in ordine a tale forma di lavoro atipico è quello che grava sull’I.n.p.s.

Si tratta di uno di quei casi, introdotti dapprima in forma sperimentale ma che potrebbero trovare un più largo uso, in cui la politica per il lavoro e per l’occupazione si trasforma di fatto in politica di incentivi per l’impresa.

Si dice: in tal modo si avvicinano i giovani al mondo del lavoro, li si pone gradualmente in contatto con i luoghi della produzione e del lavoro, si iniziano processi formativi che si potranno rilevare utili per un suo successivo inserimento. Di fatto garanzie di prosecuzione dell’iter lavorativo non esistono ed il tutto si risolve in un trasferimento di risorse pubbliche all’impresa.

Politica per il lavoro o politica per l’impresa? Ma forse questo è il grande inganno che accompagna le scelte dello Stato sul terreno dell’emergenza occupazionale. I livelli della disoccupazione negli anni - lo abbiamo visto - o stagnano o tendono a crescere: quello che aumenta però, senza ombra di dubbio, è il dono di risorse e di strumenti di governo agevole della manodopera offerto dalle forze politiche e sindacali al padronato. Le politiche per l’occupazione, sempre basate sul ricatto nei confronti degli occupati dei pensionati, si rilevano spesso un grande inganno. E quanti provvedimenti “per l’occupazione” abbiamo visto in questi anni, e quanto mano libera in più per i datori di lavoro!