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ANALISI-INCHIESTA: EUROBANG E DIRITTI

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Rémy Herrera
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Prof. al CNRS, France. Rapporto per la Commissione dei Diritti dell’Uomo dell’O.N.U., Ginevra e inviato dall’Autore a PROTEO per la pubblicazione in italiano, gennaio 2004

SAMIR AMIN
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A proposito delle sommosse nelle periferie della Francia
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A proposito delle sommosse nelle periferie della Francia

Rémy Herrera

SAMIR AMIN

Questo articolo è concesso dagli Autori in esclusiva per l’Italia alla rivista PROTEO.

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Si sono scritte, in Francia come all’estero, molte cose che deformano, a volte parzialmente, a volte totalmente, gli avvenimenti che i media hanno chiamato l’ “insurrezione delle periferie” o “la guerriglia urbana”, avvenimenti che si sono svolti tra la fine di ottobre (dopo la morte in circostanze non chiarite di due giovani inseguiti dalla polizia a Clichy -sous-Bois) e fine novembre, dopo la decisione del governo Chirac-Villepin-Sarkozy di prorogare lo stato di emergenza per tre mesi. Il ridicolo è stato raggiunto anche quando le ambasciate di parecchi paesi stranieri hanno diffuso delle consegne di sicurezza ai loro cittadini che risiedono sul territorio francese. La Francia non è in fiamme. Le agitazioni non hanno avuto luogo che in città e quartieri delle periferie più povere del paese, dove sono ammassate numerose famiglie dei ceti popolari in baracche e caseggiati di cemento (e dove vanno raramente i turisti e gli uomini di affari). I giovani che si sono ribellati contro l’ordine stabilito se la sono presa con i beni materiali, incendiando automobili (a migliaia), centri commerciali, commissariati di polizia, banche..., e non con le persone, ad eccezione delle forze dell’ordine.... Il nostro proposito non consiste qui nel giustificare questi atti di violenza gratuita, soprattutto quando si sa che hanno toccato dei beni pubblici (scuole, trasporti urbani...), ma di tentare di comprendere le ragioni di questa rivolta. Perché pur non condividendo le forme che ha preso, molti francesi comprendono questa esplosione e, insomma, se l’aspettavano come un evento assolutamente ineluttabile. Lo sappiamo noi e tutta la società (capitalista) che essa non offre niente a questi giovani: né condizioni di alloggio soddisfacenti, né formazione fondata su un impiego stabile, né speranza di promozione sociale, né riconoscenza, né ascolto. Il rapporto più tangibile che questi giovani intrattengono con lo stato (capitalista) consiste nei controlli di polizia, talvolta brutali e sempre intimidatori ed umilianti. Molti osservatori hanno protestato, a buon diritto, contro la repressione, ma l’hanno fatto accontentandosi in generale di concentrare le critiche sul ministro degli Interni, in campagna per l’elezione presidenziale del 2007. Le sue dimissioni, isolate, non porterebbero all’evidenza i problemi delle periferie. Le provocazioni di Sarkozy che pretende di voler pulire a fondo le città dalla “gentaglia” che le “inquina”, sono state ricevute come un insulto e tali sono per gli abitanti delle città popolari, ma anche come una manifestazione di odio contro i poveri. Sono state le classi popolari nel loro insieme, quelle che subiscono e che resistono all’offensiva distruttrice del neoliberismo a sentirsi prese di mira, ma tutti hanno letto queste sommosse attraverso parametri di razza e di religione. Ciò vuol dire dimenticare che questa rivolta è fondamentalmente una rivolta di classe. Si tratta di una ribellione di giovani del popolo urbano precarizzato che sta apprendendo cos’è la lotta di classe sotto i colpi assestati dagli apparati repressivi dello stato: restaurazione di fatto della doppia pena (prigione + espulsione) giustizia sbrigativa, giudizio immediato la notte stessa del loro arresto e condanna a pene sproporzionate (un anno di prigione per avere dato fuoco ai cassonetti, espulsione di titolari di permesso di soggiorno...). La repressione che si è abbattuta su questi giovani è una repressione di classe, diretta contro i poveri, contro questo sottoproletariato cittadino di varia provenienza. Che un gran numero di loro sia soprattutto di origine straniera (Africa settentrionale e sub sahariana) non toglie niente al fatto che il punto comune di questi ribelli, che siano francesi o figli di immigrati o stranieri, sia la povertà. Povertà che, geograficamente, si traduce nell’allontanamento in queste zone di confino. Questa repressione di classe, aggravata dall’odio razziale con cui le élites francesi, avide di dividendi, prostrano oggi i giovani ribelli delle periferie si spiega, tra l’altro, con un fatto, spesso occultato. Nella confusione degli eventi, le lotte di questi giovani che sono anche il popolo della Francia, sono portatrici di un’alternativa alla società attuale. Questa alternativa non è teorizzata, né concettualizzata, né spesso chiarita, ma è praticata, nella dura realtà delle città, nella “galera” del quotidiano insuccesso scolastico, discriminazioni, disoccupazione, palazzi brulicanti e fatiscenti, mal serviti, dai trasporti urbani troppo costosi, alle rare infrastrutture sociali e culturali.... L’alternativa di cui sono portatori questi giovani dei quartieri popolari è l’antitesi del progetto antisociale della borghesia francese e delle élites europee, l’inversione simmetrica dell’apartheid urbana - razziale - sociale esaltata dall’estrema destra di Le Pen, astiosa, xenofoba e reazionaria. Questa alternativa si trova all’esatto opposto dell’apartheid mondiale voluta dagli Stati Uniti, da Bush. Il paradosso, ed una parte della difficoltà ad afferrare il senso di queste sommosse, sta nel fatto che questi giovani sono alienati e totalmente permeabili allo stile di vita consumista statunitense (vestiti, cibo, giochi, modi di dire, riferimenti culturali...), ma, per il loro antirazzismo, essi rigettano lo stile di vita degli Stati Uniti, o la violenza di un sistema di segregazione all’interno e di guerra all’esterno. Non si tratta più in questo caso della violenza di gruppi di giovani che incendiano delle automobili, ma di quella del primo Stato terroristico del mondo, in lotta contro i poveri. Perché pur se la maggior parte di questi giovani insorti non è politicizzata, la loro azione è politica. L’alternativa che si costruisce oggi, prima di tutto in queste periferie, e per la quale lottano in prima linea questi giovani, coi loro genitori, amici, vicini..., è quella di una Francia “meticcizzata”, multicolore, aperta al mondo e specialmente al Sud, al Terzo Mondo, una Francia forte e fiera delle sue differenze, cosmopolita, accogliente. Una Francia che non dimentica che la sua Rivoluzione aveva eletto deputato nel 1789 un tedesco (Anacharsis Cloots) che il Comune di Parigi si era dotato nel 1871 di rappresentanti polacchi (Wrobleski, Dombrowski), e che milioni di stranieri hanno dato la loro vita per difenderla. Ciò che questi giovani ci ricordano, fino nel furore di questi avvenimenti, è che la Francia è multirazziale, e Marianne può avere anche la pelle bruna. L’evidenza è qui: nelle classi popolari, molti giovani e meno giovani, hanno fatto da tempo la loro scelta. Al di là delle difficoltà con le quali va a scontrarsi un tale progetto antirazzista, nei quartieri poveri, campi di battaglia sui quali si svolge il combattimento decisivo contro il razzismo, di larghe frazioni di popolo, ivi compreso delle classi medie, hanno scelto con coscienza, con coraggio e tolleranza, di accettarsi, di vivere e costruire insieme il futuro, nel rispetto l’uno dell’altro. La grande maggioranza dei giovani che si sono sollevati è francese e non ha nessun bisogno di sentirsi “integrato” (integrati a che cosa del resto?). Esigono di essere accettati e riconosciuti per ciò che sono e ciò che fanno, sono dei francesi come gli altri, partecipano alla costruzione della Francia di domani: una società di accettazione, di ibridazione, di rapporti di buona vicinanza di razze e di nazionalità. Siamo lontano dal cliché di una Francia razzista, in via di fascistizzazione sotto l’effetto delle tesi di Le Pen. Erede della Francia della vergogna, da Vichy all’OAS, della Francia di questa Europa “indifendibile” come diceva Césaire, il Fronte nazionale è rifiorito, all’inizio degli anni ’80, per colpa di un Mitterrand desideroso di rompere l’influenza del Partito comunista. Il Fronte nazionale ha spinto sul letame nauseabondo della storia della borghesia francese, quella della schiavitù, della colonizzazione, della collaborazione col nazismo, dell’imperialismo. Le Pen ha mirato ad ingraziarsi coloro che il neoliberismo aveva impoverito. E le vittorie ottenute contro lui nel 2002, grazie anche a questa gioventù colorata delle periferie che seppe mobilitarsi e dire “no” in maggio al referendum sulla Costituzione europea, sono decisive per la difesa dei valori della Repubblica, di quel che avevano di universale nel 1789. Il peso politico del FN non è dovuto ad un non so che di razzismo insito nel popolo della Francia, ma piuttosto alla reazione delle frazioni estremiste della borghesia nazionale di fronte alla scelta anti apartheid adottata e praticata dai giovani dei quartieri popolari. E molta strada resta ancora da percorrere prima che le nostre élites accettino di aprire il dibattito su ciò che hanno fatto subire ai popoli di Francia e del mondo nel passato: dalla schiavitù alle guerre coloniali, dal pétainisme in Francia ai sostegni alle dittature neofasciste del Sud. Tanta strada ancora prima che s’apra il dibattito su ciò che i borghesi, dirigenti di transnazionali e alti responsabili di stato, fanno alla Francia ed al mondo: il mantenimento di lembi interi di popolo nella disoccupazione e nella povertà, il saccheggio imperialistico del Sud. Sono questi giovani delle banlieues che fanno fronte a Le Pen ed ai suoi paria della destra “moderata” che governa per procura. Sono queste città che soffrono il più enorme dei disastri sociali causati dalla politica neoliberista imposta al popolo francese dall’inizio degli anni ’80 per questa alternanza senza alternativa tra la destra tradizionale ed il Partito socialista. Ma la Francia è un paese democratico, poiché il suo presidente è stato eletto dal popolo? E pure con l’82%! Col 70% dei francesi che dicono oggi di non avere fiducia in lui! Hanno votato contro Le Pen, e Chirac ha approfittato per fare la stessa politica, sempre più neoliberista. Non si tratta di minimizzare qui l’importanza del voto. Ma se, per la maggioranza dei francesi, la democrazia altro non è che una domenica all’anno per una passeggiata al seggio elettorale, fare la coda, in silenzio, annuire all’appello, in silenzio, fare scivolare una busta nell’urna, in silenzio, e tornarsene a casa, in silenzio, senza che nulla cambi, è ben poca cosa. Quando una minoranza impone una politica antisociale alla maggioranza, non è democrazia. Votare affinché cambi solamente ciò che occorre perché nulla cambi non è democrazia. La coabitazione della vecchia destra (tradizionale) e della nuova destra (PS), più neoliberiste ed atlantiste una dell’altra, non è democrazia. È un potere “fuori dal popolo, senza il popolo, contro il popolo”, il capitalismo moderno, neoliberista, il potere della finanza, vale a dire una “democrazia di azionisti”. Abbiamo votato il 29 maggio, abbiamo detto “no” alla sottomissione atlantista delle élites europee, “no” al costituzionalizzazione del neoliberismo in Europa, un no di classe, un no della speranza. Abbiamo vinto. La nostra voce è stata ascoltata? No. Sono stati sconfitti tutti, democraticamente. Ma sono rimasti tutti al loro posto; democraticamente? Come i giovani delle classi popolari possono credere a questa finzione di democrazia, loro che non hanno diritto alla rappresentanza, ad essere ascoltati, e che possono contare solamente su loro stessi? Allora, dall’8 novembre 2005, nelle “zone sensibili”, per i ribelli (talvolta minorenni) è lo stato di emergenza; regime di eccezione che, “in caso di pericolo imminente di attentati gravi all’ordine pubblico”, svincola le autorità amministrative, i prefetti, dal principio di legalità che regge di solito la loro azione, ed estende i loro poteri sotto forma di interdizioni di circolazione, di assegnazioni a obbligo di residenza delle persone la cui attività si riveli pericolosa per l’ordine pubblico (senza “creazione di campi di detenzione”), di chiusure di sale di spettacoli e di mescita di bevande, di interdizioni di riunioni di natura tale da provocare o scatenare il disordine, di perquisizioni a domicilio di giorno e di notte, di controlli della stampa, delle pubblicazioni, delle radio e dei cinema, di giudizio dei tribunali militari sui crimini e reati contro il diritto comune.... Una legge repressiva alla quale i “democratici” che ci governano non avevano avuto bisogno di ricorrere che contro gli algerini (1955) o i Kanaks della Nuova Caledonia (1985) ma, in città, nemmeno nel 1968. Dei sindaci di destra avevano dichiarato il coprifuoco nella loro municipalità fin dalla prima serata, o dal tardo pomeriggio (come a Raincy da Éric Rault, ex ministro UMP della città). Eccetto alcuni socialisti che si dichiarano francamente soddisfatti delle misure prese dal governo, la sinistra nel suo insieme ha condannato questa escalation della repressione: Partito comunista, Lega comunista rivoluzionaria, Verdi, Federazione sindacale unitaria, MRAP, Lega dei Diritti dell’uomo, Sindacato della Magistratura, Comitato dei Senza Casa, Associazione dei lavoratori magrebini della Francia, Centro di studi e di iniziative di Solidarietà internazionale.... Le reazioni del Partito socialista sono state perlomeno smisurate: il primo segretario del PS, François Hollande, ha dichiarato che “l’applicazione della legge del 1955 deve essere limitata nel tempo e nello spazio” e che la sua proroga era un “cattivo segnale” - nel novembre 2001, sua moglie, Ségolène Royal, allora ministro delegata alla Famiglia ed all’infanzia del governo Jospin, arrabbiata per la convalida da parte del Consiglio di Stato di un’ordinanza municipale di coprifuoco, ebbe a dire: “la parola coprifuoco è inammissibile... ricorda la guerra”. Jean Marc Ayrault, presidente del gruppo socialista all’assemblea nazionale, si è guadagnato i favori della destra proclamando: “in tali circostanze, le formazioni democratiche devono sapere concepire un patto di non aggressione”. Non è meno vero che molti giovani delle periferie, e della Francia in generale, sono oggi totalmente tagliati fuori dalle lotte di emancipazione del movimento operaio francese e dalla memoria della sua storia. Queste cose - ed ancora meno quella delle lotte dei popoli del Sud - non gliele insegna né la scuola né i partiti né i sindacati di sinistra. Ma ciò che è probabilmente ancora più grave, è che molti militanti progressisti ignorano pressappoco tutto della storia e dell’attualità delle resistenze delle città e dell’immigrazione in Francia. Ora questi movimenti associativi, in ebollizione, smarriti, dispersi, sono l’espressione autoorganizzata delle popolazioni dei quartieri popolari, francesi e stranieri poveri insieme, avanzando fianco a fianco per una trasformazione progressista della società. Queste lotte nascono nelle città, senza tregua, alimentate dalla difficoltà delle condizioni di vita e di assenza di lavoro, esplodendo dopo ogni “bravata” della polizia. Queste lotte faticano ad organizzarsi, a strutturarsi, ad unirsi, indebolite dalle offensive di recupero, di strumentalizzazione, di deviazione delle loro energie. In Francia, la storia delle lotte degli abitanti delle città somiglia, senza tuttavia uguagliarla, a quella degli immigrati. Immerge le sue radici fin dallo scoppio della crisi degli anni ’70, nelle lotte condotte dagli immigrati della prima generazione venuti dal Sud, riuniti in gruppi autonomi per difendere i loro diritti ed interessi sui posti di lavoro o di residenza (Stella Nord africana, Movimento dei Lavoratori arabi, Casa dei Lavoratori immigrati...). Dall’inizio del 1970, gli scioperi della fame dei “sans papiers” (contro la legge Marcelin) portarono a parecchie decine di migliaia di regolarizzazioni. Malgrado una dura repressione, nel 1976, gli scioperi degli affitti dei lavoratori delle case Sonacotra, per protesta contro le condizioni penose degli alloggi, permisero poi a queste famiglie nelle “città di transito”, di ottenere nuove case. Queste lotte si rinforzarono negli anni ’80, di fronte agli effetti sociali devastatori del neoliberismo ed alla ascesa della Fronte nazionale, con l’emergere di movimenti di giovani delle città e dell’immigrazione di “seconda generazione”. Nel 1982, una serie di aggressioni a carattere razzista e di abusi della polizia provocarono la creazione, tra le altre, dell’Associazione Gutenberg a Nanterre che contribuì a coordinare le azioni di resistenza contro il razzismo e le discriminazioni ed ad autoorganizzare le lotte degli abitanti dei quartieri popolari. Questi ultimi si mobilitano poco a poco intorno ad una moltitudine di associazioni e di iniziative, soprattutto nelle regioni parigine e lionesi. Fu il caso, dopo gli scontri tra giovani e forze dell’ordine ai Minguettes (Vénissieux) e l’appello “polizia e giustizia uguali per tutti”, con parecchie associazioni di quartieri: Zaama d’Banlieue a Lione, Linee parallele a Vaulx en Velin; o, nella periferia parigina, Associazione Wahid ed il Collettivo delle Madri delle vittime di crimini razzisti e della polizia. Il 1983 è un anno cruciale: delle associazioni dei Minguettes (soprattutto SOS Avvenire) lanciano l’iniziativa di una grande marcia pacifica “per l’uguaglianza dei diritti e contro il razzismo”che parte in ottobre da Lione ed arriva a Parigi in dicembre, riunendo più di 100.000 persone. Alla sorpresa generale, l’impatto di questa marcia fu enorme coi suoi lati positivi, come l’instaurazione della “carta di residenza di 10 anni”, e negativi, in modo particolare il collegamento con il Partito socialista della macchina di recupero elettorale dei movimenti di giovani delle città. L’illustrazione più compiuta di questa manipolazione delle rivendicazioni dei giovani è stata la nascita dell’associazione SOS Razzismo nel dicembre 1984. Nata nei saloni dell’Eliseo, beneficiò di mezzi materiali considerevoli, oltre ai sostegni di Matignon (Fabius), della Gioventù socialista, di media (Liberation, Le Matin), di intellettuali e di pubblicitari in vista.... Seguirà, sulla stessa frequenza d’onda, la creazione di France Plus (1985), le sovvenzioni a Radio Beur e all’Amicale des Algériens, la moda della “cittadinanza” intorno a Memoria Fertile (1987), e la promozione di un percorso dalla beur alla “beurgeoisie”1. Il fossato continuava irrimediabilmente a scavarsi tra le associazioni istituzionalizzate (organizzazioni di sinistra, antirazziste, cattoliche...) ed i movimenti di giovani delle città, lavoranti sul campo. Tra essi, il Collectif Jeunes, creato a fine 1983, si fece conoscere nella regione parigina per azioni shock: occupazioni (di grandi superfici, di giornali, di un simposio organizzato dal MRAP ed il PS...), conferenze stampa (nei locali della Questura di Parigi) manifestazioni di solidarietà con gli operai immigrati licenziati in conflitto con i padroni ed i sindacati (alle fabbriche di automobili Talbot di Poissy e Renault a Flins) ragguardevole la rottura definitiva col PS e l’antirazzismo di facciata. I diversi movimenti restavano tuttavia ancora isolati, contenuti nelle loro zone rispettive, separati gli uni dagli altri. L’unità non si ottenne alle Assise nazionali dei giovani delle città e dell’immigrazione a Bron, nel giugno 1984. Troppi conflitti frazionavano la dinamica di insieme. Uno dei punti di divergenza tra le associazioni era la loro posizione rispetto alla difesa dei giovani francesi o stranieri con un precedente penale che costituiva, per esempio, una parte del lavoro di Convergence 84, uscita del Collettivo Giovani di Parigi, o dei Giovani arabi di Lione e periferie, (JALB) a Lione, mobilitato molto presto nel 1985 contro il progetto di legge Pasqua. Gli anni ’90 segnarono un nuovo sviluppo delle associazioni e dei comitati di quartiere che si organizzavano un poco più, in modo autonomo, e sulla base di rivendicazioni sociali e politiche, specialmente nelle periferie di Parigi (I Mureaux, Nanterre, Mantes-la Jolie, Goussainville, Vitry sur Seine...) e di Lione (Vénissieux, Vaulx en Velin...). Su Parigi: un collettivo inter-città, Résistance des Banlieues, fu costituito allo scopo di aiutare gli abitanti nei loro rapporti con la polizia, la giustizia, gli uffici HLM.... Aiutata dagli anziani del Collectif Jeunes, una nuova generazione di militanti delle classi popolari nasce nelle città e dall’immigrazione e si autoorganizzò. Uno dei gruppi più attivi è il Comité national contre la Double Peine (CNDP), creato nel 1990 a Ménilmontant (20° arrondissement di Parigi). Le sue occupazioni di locali (di SOS Razzismo, di prefetture, di aeroporti...), scioperi della fame e manifestazioni di sostegno a giovani precari condannati, condussero ad una messa in causa di questa legge repressiva ed ingiusta (legge Sapin di dicembre 1991). Su Lione: dopo le sommosse di Vaulx en Velin (1989-90) contro nuove provocazioni, un comitato contro le violenze della polizia e le manipolazioni mediatiche si forma nel quartiere del Mas-du-Taureau, l’Agora. La sua radicalità militante scatenerà una lunga serie di conflitti tra questa associazione ed i poteri locali (prefetto, sindaco, Fonds d’Action sociale, Centri sociali...), ma anche un avvicinamento col CNDP e frazioni di movimento più vecchie, parigine (Gutenberg) e lionesi (Linee Parallele, JALB). Le Assise nazionali delle Periferie del 1992 confermano questa convergenza delle due associazioni (e la rottura col JALB divenuto satellite, non senza pena, dei Verdi). Allo stesso modo di come avevano fatto insieme irruzione ad un simposio sulla città (“Banlieue 89”) organizzato a Bron dal PS e presieduto dal presidente Mitterrand, i loro militanti si impegnano fianco a fianco in una serie di azioni di solidarietà nei quartieri: assistenza giuridica e legale, sostegno scolastico e aiuto nella ricerca di lavoro... All’epoca delle elezioni municipali del 1995, l’Agora ed altre associazioni si uniscono per presentare una lista locale, la Choix vaudais che sfiorò il 20% a Mas-du-Taureau, seguendo in ciò l’esempio di Jeunes Objectif a Bron (1989). Il Movimento dell’immigrazione e delle Periferie (MIB) che nacque in seguito ad una convenzione nazionale dei giovani tenutasi alla Borsa del Lavoro di Saint-Denis nel maggio 1995, è il prodotto di questa storia delle lotte delle città. Persegue la ricerca già ingaggiata prima di autonomia e di partecipazione degli abitanti dei quartieri popolari, tentando di instaurare con la forza un rapporto che sia loro meno sfavorevole possibile. Riflette anche sui mezzi per resistere all’alienazione capitalista, per provare ad emancipare i giovani dalle loro relazioni di odio e di invidia della società dei consumi. Gli obiettivi dichiarati del MIB sono di sostenere e riunire gli attori in lotta nelle città contro le discriminazioni, le aggressioni razziste, le violenze della polizia, le espulsioni di stranieri e per il diritto alla casa, l’impiego, il rispetto della libertà di culto, l’autodeterminazione per loro e per il popolo tutto, ma anche di formulare una strategia di azione e di rappresentanza politica. Da qui lo sforzo per restituire la memoria delle lotte delle città e degli immigrati e per rintuzzare sistematicamente i problemi incontrati nel contesto dei rapporti di forza internazionali (spiegazione degli aggravamenti successivi alla repressione dopo la guerra del Golfo nel 1991, al momento dell’Intifada, poi nella cornice della “lotta contro il terrorismo” dopo gli attentati del 11 settembre 2001, e di nuovo dopo l’invasione dell’Iraq nel 2003...). Ovviamente le proposte devono essere formulate in modo sufficientemente largo per permettere la loro articolazione con le rivendicazioni di altri movimenti sociali in lotta, esse apparvero anche negli anni ’90, come: l’associazione Diritto all’Alloggio (DAL), creata nel 1990 all’epoca dell’occupazione delle famiglie espulse dai palazzi, in piazza de la Réunion nel 20° arrondissement di Parigi; il Comitato dei Senza Casa (CDSL), creato nel 1993 per aiutare i grandi precari e le persone povere molto isolate; l’associazione Droits Devant! (Dd!), creata nel dicembre 1994; Agire contro la disoccupazione! (AC); il Gruppo di intervento e di Sostegno agli Immigrati (GISTI); la cosiddetta dei “Senza” lanciata il 20 dicembre 1995 durante i grandi scioperi dei lavoratori contro il neoliberismo; il Movimento nazionale dei Disoccupati e dei Precari; l’Associazione per l’Impiego, l’inserimento e la Solidarietà, (APEIS), e molte altre.... Far convergere le rivendicazioni di questi differenti movimenti non è cosa facile, ma numerosi sono i punti di convergenza; per esempio, l’impiego. Nelle città, molti giovani, anche quando hanno le carte in regola, non trovano lavoro formale, il tasso di disoccupazione è superiore al 20%, e vicino il 50% tra quelli di origine africana. Ciò si spiega, oltre ad altri fattori, con la persistenza di discriminazioni diffuse e molteplici - le loro candidature essendo scartate perché emanazione di un gruppo sociale sul quale i datori di lavoro applicano dei pregiudizi negativi - ma anche perché, sul mercato del lavoro, in Francia come negli altri paesi capitalisti del Nord, l’offerta di lavoro clandestino è alimentata continuamente, secondo la convenienza dei datori di lavoro nell’abbigliamento, nella professione alberghiera, nella ristorazione o nelle costruzioni, dai flussi di immigrazione clandestina pressappoco costanti da quando si è entrati nel regime neoliberista. Giovani con carta di identità francese o permesso di soggiorno, e giovani senza documenti sono posti così in concorrenza nella loro ricerca di impieghi, per il più grande beneficio dei capitalisti. La repressione che molto raramente tocca questi ultimi, si abbatte in compenso sui lavoratori clandestini, colpiti da ordinanze di accompagnamento alla frontiera, chiusura in centri di detenzione, espulsione forzata dal paese, e per di là collocati essi stessi in concorrenza coi nuovi clandestini che entrano con le operazioni organizzate dal capitale. È tempo che la sinistra francese manifesti la sua solidarietà a questo sotto proletariato sfruttato all’eccesso, a questi giovani precarizzati delle città. Se questo piccolo popolo delle città non costituirà certamente l’interezza della sua base sociale, senza di lui, la sinistra non sarà mai più veramente popolare. La posta in gioco di questa solidarietà con le rivendicazioni dei giovani delle periferie risiede nell’articolazione delle lotte tradizionali dei lavoratori in Francia, che siano francesi di origine, figli dell’immigrazione o stranieri, con quelle delle altre frazioni delle classi popolari: precari, disoccupati, sans papiers, senza casa, senza diritti.... c’è probabilmente qui, per la sinistra francese e per tutti i progressisti, un’opportunità storica di ricostruire, nella modernità, delle posizioni di classe chiare, un spirito rivoluzionario ed un internazionalismo dei popoli. Bisognerebbe essere molto romantici ed un po’ ingenui per credere che le condizioni obiettive e soggettive di una trasformazione radicale ed immediata della società francese sia stata oggi raggiunta. Non si tratta di suggerire che questi giovani sono i relè di un proletariato bolso nei centri capitalisti, o i riflessi delle periferie del Sud in ebollizione. Non si tratta neanche di negare che molti di questi giovani aspirano semplicemente ad accedere alla società dei consumi ed ad elevarsi nella scala sociale della società capitalista. Non si tratta di nascondere il fatto che alcuni di loro non hanno altra mira che distruggere, per rendere colpo su colpo a questa società iniqua e repressiva che li esclude. Non si tratta di idealizzare le rivendicazioni che portano queste sommosse quando ce ne è, ancora meno di giustificare queste forme di violenza, del resto quasi sempre dirette contro gli abitanti delle città. Ma anche se questi giovani ribelli non formano partiti, anche se suscitano ancora molta diffidenza ed una certa inquietudine nel resto del paese, la sinistra deve vedere in essi degli alleati per la necessaria trasformazione progressista, sociale e democratica della Francia, e non solamente un serbatoio di voti in vista delle prossime elezioni. (traduzione di Enzo Di Brango)

Note

* Presidente del Foro del Terzo Mondo e del Foro Mondiale delle Alternative.

** Ricercatore al CNRS ed insegna all’università di Parigi 1 Pantheon Sorbonne.

1 beur è un termine del gergo argot ottenuto anagrammando la parola “arabeu” in “beuraa” e quindi contraendola in beur. Con beur si indica il discendente degli emigrati in Francia dall’Africa del nord, quelli cosiddetti di seconda generazione, il gioco di parole tra beur e bourgeosie/beurgeosie è riconducibile ad una interpretazione degli autori del desiderio di elevamento a classe sociale dei beurs francesi (nota del traduttore).