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TEORIA E STORIA DEL MOVIMENTO OPERAIO

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Guglielmo Carchedi
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I vecchi miti non muoiono mai... Purtroppo!

Guglielmo Carchedi

Una risposta a Petri, Rappuoli e Screpanti.

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È stato il merito di Luciano Vasapollo di aver introdotto ufficialmente in Italia quello che all’estero già da tempo è conosciuto come il TSSI (Temporal Single System Interpretation) attraverso prima l’organizzazione di un convegno nel 2002 a Roma e poi la pubblicazione degli atti di tale convegno. Il libro che li raccoglie, Un Vecchio Falso Problema (d’ora in poi, VFP), è finora l’unico lavoro in Italiano che raccoglie diversi contributi dei sostenitori del TSSI. Due di questi contributi sono stati scritti da me e sono stati oggetto di critica da parte di autori italiani. In questo articolo rispondo ai miei critici. Prima, però, è opportuno riassumere brevissimamente i termini della discussione. Mi scuso con i lettori se dovrò citare abbondantemente alcuni miei brani tratti dal VFP al fine di rendere la critica intellegibile. Mi scuso anche con coloro che già sono addentro a questa problematica se la presentazione seguirà un metodo didattico il cui scopo è quello di rendere comprensibile una materia che è stata resa artificiosamente complessa e astrusa. Il TSSI è un’interpretazione del procedimento con cui Marx trasforma i valori in prezzi, cioè i valori prodotti (prima della redistribuzione inerente alla formazione di un tasso medio di profitto) in valori tendenzialmente realizzati.1 In essenza, tale procedimento “è una redistribuzione del plusvalore totale prodotto tale che i settori a basso tasso di profitto vendono ad un prezzo che assicura il tasso medio di profitto... e i settori ad alto tasso di profitto vendono ad un prezzo che riduce il loro tasso alla media”(VFP, p.54). Marx chiama prezzi di produzione quei prezzi a cui tendenzialmente tutti i capitali realizzano il tasso medio di profitto. Il movimento reale che giustifica tale ipotesi è il movimento dei capitali da settori a bassa profittabilità a settori ad alta profittabilità. I prezzi tendenziali (di produzione) divergono dai prezzi realizzati (prezzi di mercato) perché questi ultimi fluttuano attorno ai primi a causa delle fluttuazioni della domanda e dell’offerta nei vari settori. Sono i prezzi di mercato che sono empiricamente osservabili. Quindi, la trasformazione dei valori in prezzi non è nient’altro che la trasformazione dei prezzi di mercato in prezzi di produzione, cioè non è nient’altro “che la teoria della formazione dei prezzi in Marx che a sua volta non è nient’altro che la differenza tra valore prodotto e appropriato” attraverso la perequazione dei tassi di profitto (VFP, p. 54). Questa procedura è stata oggetto di critiche fin dalla pubblicazione del terzo volume del Capitale. Le più influenti sono la ‘critica della circolarità’ e la critica della ‘regressione ad infinitum’.2 Secondo la prima di queste critiche, i prezzi a cui sono calcolati gli input sono i prezzi non ancora trasformati, cioè i prezzi calcolati secondo il valore prodotto e quindi prima della redistribuzione del plusvalore inerente alla equiparazione dei tassi di profitto (e quindi alla formazione dei prezzi di produzione). Ma gli stessi input sono venduti (essi sono gli output di altri produttori) ad un prezzo, il valore trasformato, calcolato non sul plusvalore prodotto ma su quello appropriato in seguito alla equiparazione dei tassi di profitto. I due prezzi sono quindi quantitativamente diversi. In breve, nello stesso momento (quello della compravendita), la stessa merce sarebbe comprata come input dal compratore ad un prezzo (non trasformato) e venduta dal venditore come output ad un prezzo diverso (il prezzo trasformato). È qui che Marx avrebbe compiuto il suo errore logico, è qui che sorge il cosiddetto problema della trasformazione. Se questo fosse il caso, sarebbe ben strano che un pensatore dalla ferrea logica come Marx avesse commesso un errore tanto banale. In realtà, l’errore logico è compiuto dai critici. Per rendersene conto è sufficiente considerare la questione da un punto di vista temporale cioè considerare “l’economia come un susseguirsi di periodi che iniziano con l’acquisto dei beni necessari (gli input), che prosegue con la loro trasformazione (produzione), e che finisce con la vendita e consumo del prodotto (output)” (VFP, p. 54). Per esempio, dati due periodi, t1-t2 e t2-t3, a t1 i capitalisti comprano gli input, nel periodo tra t1 e t2 gli input vengono trasformati in output, e a t2 gli output vengono venduti. Ma t2 non è solo il punto finale di t1-t2, è anche l’inizio del periodo t2-t3 (l’introduzione di un periodo di pausa tra i due periodi non cambierebbe la sostanza dell’argomento). A t2 gli output di t1-t2 entrano come input nel periodo t2-t3. Essi sono trasformati in output durante t2-t3 e questi output vengono venduti a t3. E così via. In termini grafici

Schema 1. Lo schema temporale. |- - - - -|- - - - -| t1 t2 t3

Questa non è altro che una descrizione di come produzione, distribuzione e consumo avvengano in realtà, in un contesto temporale. Questa non è poi una grande scoperta, e tuttavia è qualcosa che solo gli economisti a cui è stato insegnato a ragionare in termini di equilibrio sembrano avere difficoltà a concepire. Come ebbi a sottolineare già nel 1984, in uno dei primi articoli sulla trasformazione scritti in un’ottica temporale (Carchedi, 1984), la critica della circolarità è minata irrimediabilmente da un errore logico tanto grave quanto banale. È vero che, ad ogni dato momento (per esempio a t2) gli stessi beni sono venduti (come output di t1-t2) e comprati (come input di t2-t3) allo stesso prezzo. Questo è il prezzo trasformato. Tuttavia, gli input di t1-t2 non sono gli output di t1-t2. Siccome non sono gli stessi e siccome sono comprati e venduti in momenti diversi, non vi è motivo per cui gli input e gli output dello stesso periodo debbano avere lo stesso prezzo. I critici confondono che una merce come output di un periodo (t1-t2) debba essere venduta allo stesso prezzo a cui è comprata come input del periodo successivo (t2-t3), un fatto incontrovertibile, con il fatto che gli input di un periodo, t1-t2, comprati e venduti a t1, debbano avere lo stesso prezzo degli output dello stesso periodo (venduti e comprati a t2), il che è assurdo. Il ragionamento all’origine di tale confusione può essere rappresentato in termini grafici come segue

Schema 2. Lo schema simultaneo. |- - - - -| t1 t2 |- - - - -| t2 t3

Come lo schema evidenzia, se t2 è fatto coincidere con t1, il prezzo degli input di un periodo diventano i prezzi degli output dello stesso periodo, il che è possibile solo se gli output di un periodo (t1-t2) diventano gli input dello stesso periodo. In altre parole, la critica della circolarità implica la cancellazione del tempo e quindi una concezione della realtà incui tutto avviene simultaneamente. È solo sulla base di questa superimposizione, cioè se t1 e t2 non sono più momenti diversi nel tempo ma sono superimposti temporalmente, che è possibile pensare che la stessa merce possa al momento della compravendita essere venduta ad un valore (trasformato) e allo stesso tempo essere comprata ad un valore diverso (non trasformato). Si noti che il problema per i critici non è che, accettando un ragionamento simultaneo (lo schema 2), essi cancellano il tempo. Sembrerebbe che questo, per loro, sia un dettaglio minore. Il loro problema è che, cancellando il tempo, sorge la difficoltà sopramenzionata (che essi attribuiscono a Marx) e cioè che la stessa merce ha, al momento della compravendita, due prezzi diversi. Questa presunta difficoltà, o incoerenza logica, viene ‘risolta’ calcolando i prezzi di tutti gli input e output allo stesso tempo, cioè simultaneamente e attribuendo quindi a quella merce un solo prezzo. L’abolizione del tempo e la determinazione simultanea dei prezzi sono quindi il risultato di un madornale errore logico che è falsamente attribuito a Marx. Uno può scegliere di interpretare la realtà secondo un approccio in cui il tempo non esiste (anche se, come argomentato sia da me che da altri nel VFP e in altri lavori, questa strada non porta lontano). Ma tale scelta non può essere giustificata sulla base di un presunto errore logico commesso da Marx. L’errore logico viene fatto dai critici e introdotto in Marx rimpiazzando l’approccio temporale di Marx con uno che esclude il tempo. È su questa base che la teoria del valore lavoro di Marx, essendo giudicata incoerente, viene abbandonata. Essa viene abbandonata sulla base di un problema inesistente.3 Come vengono dunque calcolati i prezzi di produzione nell’approccio temporale? Supponiamo di voler calcolare i prezzi di produzione a t2, il punto finale del periodo t1-t2. In tal caso, le grandezze iniziali sono i prezzi di mercato, i prezzi degli input a t1. Essi sono empiricamente dati. Sulla loro base e sulla base di un certo tasso di plusvalore si calcola il valore incorporato negli output. A t2 è quindi possibile calcolare i vari tassi di profitto e quindi il tasso medio di profitto. Con questi dati si possono calcolare i prezzi di produzione degli output di t1-t2. Questi sono i prezzi tendenziali. In realtà, tuttavia, gli output sono comprati e venduti al loro prezzo di mercato, e quindi i prezzi degli output di t1-t2 che entrano nel computo dei prezzi di produzione di t2-t3 sono i prezzi di mercato a t2. I prezzi di produzione alla fine di t1-t2 sono necessari per la comprensione dei prezzi alla fine di quel periodo. Ma per comprendere i prezzi del periodo susseguente, t2-t3, partiamo di nuovo dai prezzi di mercato all’inizio di t2-t3 (che sono ovviamente quelli della fine di t1-t2), e su quella base clcoliamo i prezzi di produzione alla fine di t2-t3. In ogni periodo la trasformazione è la trasformazione sulla base dei prezzi di mercato degli output del periodo precedente (e quindi del prezzo di mercato degli input del periodo susseguente), nei prezzi di produzione del periodo susseguente. Quanto sopra evidenzia i punti cardinali dell’approccio del TSSI. Primo, alla fine di ogni periodo i tassi di profitto sono perequati in un tasso medio di profitto e i prezzi di produzione calcolati. Secondo, i prezzi degli output di un periodo e quindi degli input del periodo successivo sono gli stessi, essi sono i prezzi di mercato. Terzo, i prezzi degli input di un periodo sono diversi da quelli degli output dello stesso periodo. Una ultima precisazione è necessaria prima di esaminare gli argomenti dei miei critici. Il TSSI è sottoposto anche alla critica della regressione ad infinitum. Secondo tale critica, per calcolare i prezzi degli input di questo periodo, bisogna risalire al prezzo degli output del periodo precedente, che sono determinati dai prezzi degli input di quel periodo, ecc. in un movimento senza fine indietro nel tempo. Ma, come si può leggere in VFP, il procedimento temporale non implica una regressione ad infinitum nel tempo. Vediamo perché. Per incominciare, questa critica, se applicata coerentemente, renderebbe impossibile tutte le scienze sociali (e, per incominciare, la storia) e non solo l’interpretazione temporale della trasformazione. Renderebbe invalide anche le teorie su cui si basano le critiche alla teoria del valore lavoro.4 Ciò sarebbe già sufficiente a screditarla. Ma consideriamo specificamente l’approccio temporale. Nel procedimento appena esposto, il punto iniziale è un dato, i prezzi di mercato a t1.5 Secondo la critica, questo dato deve essere esso stesso calcolato e ciò condurrebbe alla regressione ad infinitum. Ma quest’argomento ignora che tutte le indagini partono ineluttabilmente da una certa situazione data. Essa è posta e quindi non deve essere spiegata. Ma vi sono due condizioni affinché la posizione iniziale non sia arbitraria: che la situazione iniziale possa a sua volta essere spiegata dalla stessa teoria e che la scelta della situazione iniziale sia determinata dalla natura dell’indagine stessa. Incominciamo da quest’ultima condizione. Se la scelta iniziale è determinata dalla natura dell’indagine, non vi è regressione all’infinito nel tempo. I prezzi di mercato degli input a t1, essendo dati, non devono essere necessariamente calcolati perché la loro scelta è determinata dalla natura della indagine, i prezzi di produzione del periodo t1-t2, cioè a t2. Se l’indagine riguarda t1-t2, il dato iniziale è sono i prezzi di mercato a t1. Esso è posto, piuttosto che spiegato (calcolato). Se, per qualsiasi motivo voglio spiegare anche i prezzi di mercato a t1, posso risalire a un’indagine di t0-t1 il cui il dato sono i prezzi di mercato a t0. Ma un movimento senza fine all’indietro nel tempo è una sciocchezza metodologica. La seconda condizione pone che, nell’approccio temporale, il dato iniziale (i prezzi di mercato a t1), anche se non deve essere spiegato, è spiegabile (calcolabile) se ciò dovesse essere necessario. I prezzi di mercato a t1 sono le fluttuazioni attorno ai prezzi di produzione a t1 e questi prezzi di produzione sono calcolabili se si risale a t0-t1. I prezzi di mercato a t1 servono a iniziare l’indagine sulla formazione dei prezzi di produzione a t2 ma, essendo essi stessi spiegabili in termini di quella teoria, sono endogeni alla teoria e quindi spiegabili dalla teoria stessa. È per questo che i prezzi di produzione potrebbero essere calcolati anche a t1 se decidessimo di fare un ulteriore passo indietro nel tempo, al periodo t0-t1. Ma ciò, se dovesse essere necessario, sarebbe la conseguenza non della necessità di regredire ad infinitum nel tempo ma della natura e scopo dell’indagine in questione (una indagine nei prezzi di produzione sia a t1 che a t2). Sulla base di questo breve riassunto, possiamo ora esaminare le critiche di Petri, Rappuoli e Screpanti. Petri, in un articolo critico del VFP, asserisce che “l’approccio del TSSI... rinuncia completamente a tentare di analizzare ciò che determina i prezzi e il tasso dei profitti.” In altre parole, il TSSI considererebbe i prezzi come “dati non spiegati [e quindi] rimane silenzioso su cosa li determina e quindi su cosa determina i profitti”. Alla luce dei paragrafi precedenti tale affermazione è veramente sorprendente. Altrettanto sorprendente è l’affermazione che Marx è un simultanesita perché spiega i “prezzi come gravitanti attorno a dei valori centrali che egli ha chiamato prezzi di produzione”. Ma le oscillazioni dei prezzi di mercato attorno ai prezzi di produzione possono implicare un approccio simultaneista solo se i prezzi di produzione sono teorizzati come prezzi d’equilibrio e quindi statici. In una situazione statica, in cui nulla cambia, il tempo diventa irrilevante e il terreno teorico è preparato per una determinazione simultanea dei prezzi. Ma, come ho sottolineato molte volte, si dà il caso che per Marx i prezzi di produzione non siano prezzi statici, di equilibrio. Non appena un capitale cambia settore alla ricerca di un maggiore tasso di profitto, il tasso di profitto tendenziale (e quindi i prezzi di produzione) cambia perché cambia la composizione organica del capitale che è emigrato in un settore diverso, e che quindi adotta una composizione organica diversa. I prezzi di produzione sono come un obiettivo che si muove non appena lo si prende di mira. Che Carchedi abbia “erroneamente scambiato la classica nozione della posizione di lungo periodo con la nozione marginalista o neo-classica di equilibrio” è una affermazione senza alcuna base. Basta leggere i miei contributi nel VFP. Inoltre, Petri afferma che “è innegabile che la determinazione simultaneista di Marx del tasso dei profitti... contiene un errore” senza controbattere (e in questo Petri non è il solo) gli argomenti del TSSI, inclusi quelli esposti più sopra, che dimostrano che il cosiddetto errore è ascrivibile ai critici e alla loro interpretazione simultaneista. Così come l’autore ignora le critiche fatte dal TSSI all’approccio Sraffiano (di cui Petri è un sostenitore) e contenute in VFP. Non è in questo modo che si favorisce un serio confronto di idee. Una critica diversa viene da Rappuoli. Anche Rappuoli pone la domanda se per Carchedi “le grandezze iniziali [siano] valori o prezzi”. Anche quest’autore, quindi, sembra non aver registrato la posizione del TSSI, come succintamente esposta più sopra. Inoltre, egli afferma categoricamente che “tutte... [le] ‘soluzioni’ sono viziate da un problema che risulta ineliminabile: il tranello di trasformare ‘valori iniziali’ in ‘prezzi finali’” e cioè dalla “fallacia del regressus ad infinitum.” Di nuovo, i miei argomenti contro la critica della regressione ad infinitum sono ignorati. Piuttosto, quest’autore si concentra sul fatto che io, nello spiegare il metodo temporale, non rispetta le condizioni di equilibrio della riproduzione semplice di Marx. Per seguire quest’argomento è necessario ripetere un esempio che faccio nel VFP. Consideriamo due settori, il settore 1 che produce mezzi di produzione e il settore 2 che produce mezzi di consumo. In ciascun settore sono investiti capitale costante, c, capitale variabile, v, e in ciascun settore è prodotto plusvalore, s. Il tasso di plusvalore, come in Marx, è lo stesso in entrambi i settori, cioè s1/v1=s2/v2. Nell’esempio che segue, tale tasso è del 100%. Quello che è differente nei due settori è la proporzione tra c e v, cioè c/v, che Marx chiama la composizione organica del capitale. L’esempio è I due settori producono rispettivamente un valore di 120 (120V1) e 140 (40V2). Supponiamo che questo sia il valore realmente realizzato, cioè il prezzo a cui i due settori vendono le loro merci. Dato che il settore 2 realizza un tasso di profitto (40%) maggiore di quello del settore 1 (20%), il settore 1 tende a trasferire le proprie attività nel settore 2. Tendenzialmente, entrambi i settori realizzano un tasso di profitto del 30%. Il prezzo di produzione (valore tendenzialmente realizzato) in entrambi i settori è 130V. Questa è la trasformazione, il calcolo dei prezzi di produzione. Il metodo temporale prende come punto di partenza i prezzi di mercato degli output di t0-t1, il periodo precedente a quello che si vuole considerare, t1-t2. Essi diventano i valori iniziali degli input di t1-t2. Questi sono i valori dell’esempio qui sopra. Da qui, segue la produzione di nuovo valore e quindi il valore contenuto negli output di t1-t2. I tassi di profitto vengono perequati e i prezzi di produzione calcolati sulla base del tasso medio di profitto. Questa, ripetiamolo, è la trasformazione. Si noti che, poiché la trasformazione null’altro è che la redistribuzione del plusvalore totale risultante in un tasso medio di profitto (30% nell’esempio) sul totale del capitale investito, e poiché la distribuzione non crea valore (solo la produzione può fare ciò), il totale dei valori prodotti (120V1+140V2) è uguale al totale dei prezzi di produzione (130V1+130V2) e il totale del plusvalore prodotto (20s1+40s2) è uguale al totale del plusvalore realizzato, cioè dei profitti (30s1+30s2). Queste sono le due uguaglianze fondamentali in Marx.

Ora abbiamo tutti gli elementi necessari per considerare la critica di Rappuoli. Nel VFP asserisco che l’esempio qui sopra è uno “schema di riproduzione semplice (in cui il plusvalore è completamente consumato dai capitalisti invece di essere parzialmente reinvestito in addizionale c+v, come nella riproduzione allargata)” (54-5). Si noti che io non parlo della condizione di equilibrio intersettoriale della riproduzione semplice, che è c2=v1+s1.6 Io mi riferisco solo al paragone tra riproduzione semplice e allargata. Lo scopo dell’esempio è quello di introdurre la dimensione temporale, com’è esplicitamente detto all’inizio del paragrafo che contiene la citazione appena riportata (“Introduciamo ora la dimensione temporale”) piuttosto che di analizzare le condizioni di equilibrio della riproduzione semplice. Rappuoli ignora questo punto e sottolinea che le cifre nella tabella 1 non rispettano la condizione di equilibrio intersettoriale. Certo, la condizione non è rispettata perché non è considerata e non è considerata perché lo scopo della tabella 1 è un altro, è quello di esemplificare l’essenza della trasformazione (l’equiparazione dei tassi di profitto) supponendo, per semplicità, che tutto il plusvalore è consumato dai capitalisti.

Siccome nella tabella 1 la domanda non è uguale all’offerta dopo la perequazione dei tassi di interesse, faccio un esempio in cui le due grandezze combaciano nel settore 1 (pagina 57): Si noti che anche in questa tabella non vi è equilibrio tra domanda e offerta nel settore 2. Questo settore produce 140V (il lato dell’offerta) ma i due settori domandano 26,7v1+26,7s1+40v2+40s2 = 133.4. Lo scopo di questo esempio è, attraverso l’introduzione dell’equilibrio tra la domanda e l’offerta solo nel settore 1, di illustrare l’approccio temporale vis-à-vis l’approccio simultaneista in una situazione di riproduzione semplice (in cui tutto il plusvalore è consumato dai capitalisti) senza considerare se l’economia nel suo insieme (i due settori) sia in equilibrio o no. Nella tabella 2, c1+c2 = 73,3+60 = 133,3 si riferisce al valore degli input a t1. Questo è il loro prezzo di mercato, il loro valore non trasformato. Esso è reso uguale, tramite una scelta di valori all’uopo, al valore realizzato (dopo la perequazione dei due tassi di profitto) dal settore 1 a t2, V1=133,3. Ora, questa coincidenza è raggiunta solo attraverso una manipolazione matematica. Non vi è nessuna ragione teorica per porre questa uguaglianza (che è accidentale), solo una ragione didattica. Tramite questi valori è possibile sottolineare che, nell’approccio temporale, l’equilibrio tra la domanda e l’offerta nel settore 1 si ha perché a t2 (e non a t1) il settore 1 domanda mezzi di produzione per 73,3c1 e il settore 2 domanda mezzi di produzione per 60,0c2 (per un totale di 133,3) mentre il settore 1 ha prodotto (offre), sempre a t2, mezzi di produzione per 133,3V1. Nell’approccio simultaneista, al contrario, l’equilibrio si ha perché il valore dei mezzi di produzione come input a t1 (cioè, c1+c2) è uguale al valore dei mezzi di produzione come output a t2 (cioè, V1). La tabella 2 quindi dimostra (1) la differenza tra l’approccio simultaneista e quello temporale e (2) che l’approccio temporale è coerente con la teoria di Marx anche quando la domanda equivale l’offerta (in questo caso nel settore 1). Non mi pare proprio che non vi sia una teoria sottostante al passaggio dalla tabella 1 alla tabella 2, che io non spieghi “economicamente il mutamento delle variabili in gioco” e che io mi limiti a “sostituire numeri con altri per costringere il sistema a rispondere a esigenze di mera congruenza aritmetica”. Inoltre, la tabella 2 negherebbe “l’esistenza del problema della trasformazione”. Anche questa affermazione mi pare infondata. Lungi dal negarla, la tabella 2 spiega la trasformazione, come ho appena sottolineato. È il contro-esempio di Rappuoli che nega la trasformazione. Per Rappuoli entrambi i settori investono 100(c+v) e producono un plusvalore di 50. I loro tassi di profitto sono quindi già equiparati, i valori sono già i prezzi, e non vi è alcuna necessità di trasformare i primi nei secondi. L’esempio di Rappuoli, è un esempio di una non-trasformazione. Rappuoli pensa che l’assenza della perequazione sia un vantaggio perché gli permetterebbe di evitare la regressione ad infinitum che “inficia l’argomentazione” di Carchedi. A parte il fatto che questa asserzione è gratuita se non si considerano i miei argomenti tesi a dimostrare che non vi è regressione ad infinitum nell’approccio temporale della trasformazione, il cosiddetto problema della trasformazione viene evitato semplicemente negando la trasformazione stessa.7 Non vi è quindi nessuna “esigenza di una ricostruzione epistemologica... dell’intera questione rivedendo lo stesso Marx (in scivolata positivistica sull’argomento)” se tale esigenza si fonda su presunti errori logici di Marx. Ha ragione Rappuoli nel dire che “Marx conosceva molto bene la matematica, quindi è difficile dedurne che alcune “banali” soluzioni di carattere matematico gli possano essere sfuggite”. Ma è altrettanto vero che Marx era un pensatore dalla ferrea logica. È quindi altrettanto difficile dedurre che egli abbia potuto fare gli errori, questi sì banali, attribuitigli dai critici, la cui logica il più delle volte lascia alquanto a desiderare. Anche Screpanti si concentra sullo schema di riproduzione semplice. Questo autore, in recente articolo, ricalca la critica (simultaneista) di von Bortkiewicz, secondo la quale, data la riproduzione semplice, nella procedura di Marx la domanda non può essere uguale all’offerta se gli input sono valutati ad un prezzo (il loro valore) mentre gli output sono valutati ad un prezzo diverso (di produzione). Per dimostrare che nel TSSI “i conti non tornano”, Screpanti provvede un suo esempio numerico. Dato che l’articolo di Screpanti non è stato tradotto in Italiano, è necessario riportarne un lungo brano.8 “Consideriamo” propone Screpanti “un’economia che produce due merci, A nel settore 1 e B nel settore 2. La merce A può essere usata sia come mezzo di produzione che come mezzo di consumo, la merce B solo come mezzo di produzione. Supponiamo che, per produrre 120 unità di A, sia necessario usare 60B unità di B e 20A unità di A come mezzi di produzione; e che, per produrre 140 unità di B, sia necessario usare 40B unità di B e 20A unità di A. Supponiamo che 20L lavoratori siano impiegati nel settore 1 e 40L nel settore 2. I due settori producono 20P e 40P unità di plusvalore rispettivamente. Inoltre, supponiamo che sia i lavoratori che i capitalisti consumino completamente il loro reddito [cioè ci troviamo in una situazione di riproduzione semplice, G.C.]. Supponiamo infine che all’inizio del processo di produzione il prezzo della merce A, quello della merce B e il tasso del salario siano tutti uguali a 1... I prezzi alla fine del processo produttivo sono diversi dai prezzi iniziali. Se, seguendo Carchedi, il valore realizzato deve essere 130 Euro in entrambi i settori, i prezzi realizzati devono essere approssimativamente 1,083 Euro per la merce A e approssimativamente 0,928 Euro per la merce B. Le due equazioni possono essere riscritte come segue:

Settore 1. Valore della merce A al costo di produzione pagato all’inizio del processo di produzione: 20A + 60B + 20L + 20P = 120A Valore realizzato alla fine del processo di produzione: Euro 1,083 ( 120 ( 130

Settore 2. Valore della merce B al costo di produzione pagato all’inizio del processo di produzione: 20A + 40B + 40L + 40P = 140B Valore realizzato alla fine del processo di produzione: Euro 0,928 ( 140 ( 130” (2005, p.122). Fin qui Screpanti. L’autore sostiene che, in quest’esempio di riproduzione semplice, la domanda e l’offerta non sono uguali secondo il metodo temporale. Infatti, dopo la perequazione dei tassi di profitto, il valore della merce A offerta è 130 come lo è quello della merce B. Tuttavia la domanda di A e B è

DA = 1,083 [(20 + 20)A] + (20 + 40)L + (60)P = 163.3 ≠ 130 DB = 0,928 [(60 + 40)B] = 92.8 ≠ 130

Quindi la domanda e l’offerta nei due settori non coincidono a quei prezzi di produzione. Perché esse coincidano, “il prezzo di mercato della merce A deve salire mentre quello della merce B deve scendere” (p. 123). Quindi le merci non possono essere scambiate a quei prezzi di produzione. Questo risultato presumibilmente segna la fine del TSSI. Tuttavia, questa conclusione si basa su tre errori, ciascuno dei quali è sufficiente a minarne la validità. Primo. Incominciamo dalle quantità fisiche. Accanto alla merce B, il mezzo di produzione, Screpanti introduce la merce A che “può essere usata sia come mezzo di produzione che come un mezzo di consumo”. Il settore 2 offre 140B (mezzi di produzione) alla fine di t1-t2. Ma la domanda di quei mezzi di produzione all’inizio di t2-t3 è solo (60B+40B)=100B. Quindi, domanda ≠ offerta in termini fisici. Lo stesso per il settore 1. La domanda di A per t2-t3 è 20A+20A=40A come mezzi di produzione più (dato che sia i salari che i profitti possono essere spesi solo per mezzi di consumo) 20L+40L+20P+40P=120A come mezzi di consumo (dove L e P sono i mezzi di consumo consumati rispettivamente dai lavoratori e dai capitalisti). Quindi, la domanda di A è 120A (come mezzi di consumo) + 40A (come mezzi di produzione) = 160A. Ma l’offerta di A alla fine di t1-t2 è 120 A. Domanda ≠ offerta in termini fisici anche nel settore 1. Ora, se 140B sono offerti ma solo 100B sono richiesti e se 160A sono richiesti ma solo 120A sono offerti, nell’esempio di Screpanti non vi è equilibrio tra domanda e offerta nella riproduzione semplice in termini fisici. Se non vi è equilibrio, l’esempio è irrilevante ai fini che l’autore si auto-impone, dato che la critica al TSSI è tesa a dimostrare che i prezzi di produzione non possono assicurare la riproduzione semplice. Nessun prezzo può fare ciò se l’economia per definizione è e deve rimanere in disequilibrio. Ne consegue che è errato affermare che una riduzione del prezzo di B e un aumento del prezzo di A possono ristabilire l’equilibrio tra la domanda e l’offerta. Screpanti non sembra essersi accorto che la discrepanza tra domanda e offerta non è dovuta ai prezzi troppo alti o troppo bassi. Essa è dovuta alle condizioni tecniche di produzione, al fatto che alla fine di t1-t2 140B sono prodotti mentre per produrre di nuovo quei 140B solo 100B sono necessari all’inizio di t2-t3. 40B sono eccedenti in termini di tecniche di produzione, essi sono inutili e come tali non vengono richiesti, qualunque sia il loro prezzo, persino se fossero gratis. Ugualmente, se la domanda di A è 160A ma solo 120A sono prodotti, non c’è prezzo, di produzione o no, che possa fare vendere 40A in più se essi non sono stati prodotti. Quindi anche la sua critica che la logica del TSSI conduce alla conclusione che l’equilibrio tra domanda e offerta è ristabilito dai prezzi di mercato e non dai prezzi di produzione, cade nel vuoto. Secondo. Ignaro che il suo esempio pone l’inevitabilità del disequilibrio tra domanda e offerta, Screpanti calcola la domanda in termini di prezzi. Ora, egli ha ipotizzato che 20A sono necessarie per produrre la merce A e 20A sono necessarie per produrre la merce B. Cioè, 20A+20A = 40A sono mezzi di produzione. Tuttavia, Screpanti calcola la domanda di A in termini di prezzi come segue

DA = 1,083 [(20 + 20)A] + (20 + 40)L + (60)P = 163.3 ≠ 130

dove a 20A+20A è dato il prezzo dei mezzi di consumo (1.083). Cioè Screpanti prima considera 20A+20A come mezzi di produzione, poi assegna loro il prezzo (di produzione) dei mezzi di consumo e... scopre che la domanda e l’offerta non sono in equilibrio in termini di prezzi! Terzo. Nella equazione della domanda di A in termini di prezzi

DA = 1,083 [(20 + 20)A] + (20 + 40)L + (60)P = 163.3

Screpanti calcola i prezzi di (20 + 20)A = 40A al loro prezzo di produzione alla fine del periodo (1,0833) ma dà ai (20 + 40)L + (60)P il loro prezzo all’inizio del processo di produzione (1,0).9 Lo stesso vale per DB. Ciò non solo è logicamente incoerente, è anche una reintroduzione surrettizia del metodo simultaneo per una parte delle equazioni della domanda. Tali equazioni sono in parte calcolate secondo il metodo temporale e in parte secondo quello simultaneo. Ne consegue che Screpanti non può pretendere di fare un esempio che rispetti il metodo temporale al fine di dimostrare l’incoerenza di questo metodo. Per concludere, l’esempio di Screpanti non scalfisce minimamente l’approccio temporale. Esso esemplifica una economia che è per definizione in disequilibrio e quindi pone l l’impossibilità di far combaciare la domanda e l’offerta (impossibilità che egli accolla a Carchedi), si basa su un errore di calcolo (l’attribuzione dei prezzi di produzione dei mezzi di consumo a una parte dei mezzi di produzione), e non può contare come un esempio del metodo temporale (perché reintroduce surrettiziamente, anche se parzialmente, il metodo simultaneo). E pensare che carchedi viene accusato di incoerenza logica. È ironico (ma del tutto logico) che, se questi tre errori sono corretti, l’esempio di Screpanti rivela la correttezza dell’approccio temporale. Per Screpanti, i 40A sono mezzi di produzione. Essi quindi devono diventare 40B=40MP. Se questi 40MP sono divisi in porzioni uguali tra i due settori (come lo erano quando venivano chiamati 40A) e se 20L+20P+40L+40P = 120(L+P) sono mezzi di consumo (120A), abbiamo la tabella seguente che non è nient’altro che la tabella 2 in Carchedi, 2005, su cui si basa la critica (infondata) di Screpanti appena citata. La tabella 3 esemplifica la formazione dei prezzi di produzione in una situazione di riproduzione semplice in equilibrio.10 Infatti, 1. alla fine del periodo t1-t2, tutto il profitto (60s=60A=60MC) è appropriato dai capitalisti (non-reinvestito) e consumato durante il periodo t2-t3; 2. i tassi di profitto sono equiparati (30%), cioè le merci si scambiano ai loro prezzi di produzione; 3. i prezzi di produzione (130) sono i prezzi di produzione vigenti a t2 (e non a t1, come vorrebbe l’approccio simultaneista), dato che al momento della compravendita (t2) il prezzo (sia esso di produzione o no) a cui una merce è venduta è lo stesso prezzo a cui essa è comprata; 4. siccome gli input di t1-t2 sono gli stessi degli input di t2-t3 (colonna 2 = colonna 6), la riproduzione in termini fisici è assicurata; 5. nel periodo t1-t2, i prezzi degli input (a t1), uguali a 1, sono differenti dai prezzi degli output (a t2), uguali a 0.9286 per i mezzi di produzione e 1,0833 per i mezzi di consumo. Vi è un ultimo punto da chiarire. Se applichiamo la formula c2=v1+s1 alla tabella 3, 80MP sono venduti per 80MC ai loro rispettivi prezzi di produzione. Tuttavia, la vendita di 80MP realizza 80x0.9286, il che è insufficiente per comprare 80MCx1.0833. Domanda e offerta sono uguali solo sia i MP che i MC sono venduti a t2 per lo stesso prezzo che essi avevano a t1, quindi al loro valore (non trasformato). Sembrerebbe quindi che i prezzi di produzione non siano applicabili ad uno schema di riproduzione semplice in equilibrio (c2=v1+s1) perché essi non possono generare un potere d’acquisto sufficiente per lo scambio di c2 per s1+v1, cioè di 80MP per 80MC. Ma questo non è il caso. Dati i valori nella tabella 3, se supponiamo che le merci si vendono tra settori ai loro valori, le quantità che assicurano l’equilibrio sia nel poter d’acquisto che tra la domanda e l’offerta sono 80MP e 80MC. Ogni altra quantità di merci scambiate tra settori sovvertirebbe la condizione V1=c1+c2 e ogni altro prezzo non genererebbe un equilibrio nel poterete d’acquisto. Se supponiamo i prezzi di produzione, le quantità che assicurano quel doppio equilibrio cambiano, esse diventano 140MP per 120MC (perché entrambi i settori realizzano 130). Quindi, le quantità fisiche da scambiare per avere quel doppio equilibrio dipendono dal prezzo supposto. Il prezzo è la variabile indipendente, la quantità è la variabile dipendente. È quindi logico che le quantità fisiche scambiate calcolate sulla base del prezzo unitario dei MP e dei MC uguale a 1 (cioè al loro valore) non producano un equilibrio nel potere d’acquisto se i prezzi cambiano. L’errore risiede nel calcolare le quantità fisiche scambiate che assicurano l’equilibrio nel potere d’acquisto al prezzo unitario di 1, poi tenere costanti quelle quantità se i prezzi unitari cambiano (diventano i prezzi di produzione), e infine concludere che i prezzi di produzione non possono generare un equilibrio nel potere d’acquisto nella riproduzione semplice. In breve, l’errore risiede nel tenere le quantità fisiche scambiate, 80MP per 80MC, costanti se i prezzi cambiano. 80MP devono essere scambiati per 80MC solo se il prezzo unitario di entrambi le merci è 1, il loro valore piuttosto che il loro prezzo di produzione. Se si applicano i prezzi di produzione, le merci scambiate devono essere 140MP per 120MC. In sintesi, i prezzi di produzione nell’approccio temporale possono benissimo spiegare la riproduzione semplice in equilibrio. Tutto ciò con buona pace dei miei critici. La conclusione di quest’articolo è chiara. Sarebbe ora che i critici di Marx prendessero atto della dimostrazione che l’incoerenza logica della trasformazione è un mito. Che tale mito persista ha ben poco a che fare con la forza degli argomenti su cui esso si fonda e molto a che vedere con la sua funzione oggettiva (indipendentemente da cosa credano coloro che ne sono i portatori) e cioè con quella che si chiamava, quando ero giovane, la lotta di classe ideologica.

Bibliografia

Carchedi G. (1984), The Logic of Prices As Values, Economy and Society, Vol. 13, No.4, pp. 431-455 Carchedi G. (2005), Sapiens nihil affirmat quod non probat, Review of Political Economy, January 2005, Vol.17, No.1, pp.127-139 Marx K. (1967), Capital, Volume II, International Publishers, New York. Petri F., Exploitation and the temporal-single-system approach: considerations on the book “an old myth”, articolo non publicato Rappuoli V. (2005), Scienza economica senza idée? Ancora sul problema della “Trasformazione” in Marx, Proteo, in questo numero. Screpanti E. (2005), Guglielmo Carchedi’s Art of Fudging explained to the People, Review of Political Economy, Vol.17, No.1, January, pp.115-126. Vasapollo L. (a cura di), Un vecchio falso problema, Media Print, Roma, 2002

Note

* Università di Amsterdam.

1 Secondo me esso non è semplicemente una interpretazione ma è la corretta interpretazione perché è l’unica che sia coerente con la teoria di Marx in quanto ne riproduce tutti i risultati teorici ed elimina tutti i cosiddetti problemi.

2 Altre critiche sono considerate nel VFP.

3 Si noti che, se anche si volesse concedere che Marx avesse commesso l’errore attribuitogli, peccando cioè di simultaneismo (ma questa interpretazione è contraria ad un numero pressoché infinito di citazioni), basterebbe introdurre la dimensione temporale per correggere tale supposto errore. Anche in questo caso la critica non potrebbe inficiare la teoria della trasformazione.

4 Anche l’approccio simultaneo sraffiano prende come dati iniziali certe quantità (i salari reali, le quantità fisiche prodotte e le tecniche di produzione) ad un certo momento. Siccome tali dati presuppongono un sistema dei prezzi, tali prezzi dovrebbero essere spiegati prima di prendere come dati i salari reali, le quantità fisiche prodotte e le tecniche di produzione e quindi prima di passare alla determinazione simultanea dei prezzi nel momento considerato.

5 La scelta dei prezzi di mercato come punto di partenza per il calcolo dei prezzi di produzione, lungi dall’essere uno svantaggio, dà all’approccio temporale una solida base iniziale nella realtà empirica.

6 In una economia in equilibrio l’offerta dei mezzi di produzione è V1, il valore del prodotto del settore 1, e la domanda dei mezzi di produzione è quella del settore 1 medesimo (c1) più quella del settore 2 (c2). L’equilibrio è quindi V1=c1+c2. Siccome V1 = c1+v1+s1, c1+v1+s1 = c1+c2 e c2 = v1+s1. Lo stesso risultato è raggiunto se si pone la condizione di equilibrio nel settore 2, V2 = v+s1+vs2. Siccome V2 = c2+v2+s2, lo stesso risultato è raggiunto: c2 = v1+s1. Allora, nella riproduzione semplice, il valore dei mezzi di produzione che il settore 2 acquista dal settore 1 (c2) deve essere uguale al valore dei mezzi di consumo che il settore 1 acquista dal settore 2 (v1+s1). Questa è la condizione di equilibrio (domanda uguale all’offerta) nella riproduzione semplice supponendo che solo una parte delle merci sia scambiata. Si veda la parte finale di quest’articolo per una discussione più approfondita.

7 Se due unità di capitale con diverse composizioni organiche devono produrre la stessa quantità di plusvalore, i tassi di sfruttamento devono essere diversi, maggiori dove la composizione organica è maggiore e minore dove la composizione organica è minore. Rappuoli non provvede alcuna giustificazione teorica a sostegno di questa ipotesi che a me sembra cruciale per la sua tesi. Per di più, contrariamente a quanto asserito dall’autore, il suo esempio non soddisfa gli stessi vincoli posti da me (e da Marx) perché uno di questi vincoli è che i tassi di sfruttamento siano uguali in tutti i settori.

8 Quanto segue si basa parzialmente sulla mia risposta a Screpanti in Carchedi, 2005. Dietro mia sollecitazione, questa rivista ha chiesto a Screpanti di potere pubblicare la traduzione del suo articolo (Screpanti 2005) al fine di fare un confronto con la mia posizione. Purtroppo la risposta è stata negativa.

9 Come dice Screpanti più sopra, “Supponiamo infine che all’inizio del processo di produzione il prezzo della merce A, quello della merce B e il tasso del salario siano tutti uguali a 1” (enfasi mia, G.C.).

10 La tabella 3 esemplifica uno stato di equilibrio ma non teorizza lo stato verso il quale un’economia tende. Studiare un momento di equilibrio (accidentale, in termini dello sviluppo reale) non significa necessariamente teorizzare l’equilibrio come caratteristica essenziale e permanente del sistema.