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TRASFORMAZIONI SOCIALI E SINDACATO

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James Petras
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Professore emerito, State University, New York

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Per una interpretazione del ‘900 italiano a partire dalle trasformazioni capitaliste e dalle dinamiche della lotta di classe: “Eppure il vento soffia ancora”
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Per una interpretazione del ‘900 italiano a partire dalle trasformazioni capitaliste e dalle dinamiche della lotta di classe: “Eppure il vento soffia ancora”

James Petras

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Introduzione

Il marxismo concerne la concreta analisi delle strutture specifiche del capitalismo nel modo in cui esso si evolve come un risultato della lotta di classe e delle dinamiche interne della massimizzazione del profitto. La premessa fondamentale per la comprensione della trasformazione dal “capitalismo sociale” al neoliberismo è il successo della classe capitalista nei conflitti di classe che hanno originato cambiamenti strutturali, che a loro volta creano delle “condizioni oggettive” favorevoli ad esiti vantaggiosi per la classe capitalista. La relazione dialettica tra lotta di classe e trasforniazioni strutturali è decisiva nel conflitto tra capitale e lavoro. Se è vero che la lotta di classe è la “forza motrice della storia”, i rapporti di classe plasmano i contesti specifiche all’interno delle quali tale conflitto ha luogo. Il cambiamento nella relazione tra capitale e lavoro è modellato da e determina il livello della lotta di classe ed il probabile risultato in termini di potere e incrementi di profitti a favore della classe capitalistica o potere e benefici sociali per la classe lavoratrice. Seguendo questa impostazione e linea di analisi si sviluppa l’interesse di classe e la lettura storica ed economica in termini di conflitto di L. Vasapollo e D. Antoniello nel loro ammirevole saggio “Eppure il vento soffia ancora” (Jaca Book, Milano, 2006) Per comprendere gli attuali ostacoli strutturali per l’avanzamento della classe lavoratrice - e specialmente la debolezza delle organizzazioni di fronte all’offensiva capitalistica, è importante esaminare dapprima, in modo sintetico, il pipcesso della lotta di classe che ha portato alla situazione attuale.

1. Dinamica storica della lotta di classe in Italia Per analizzare e spiegare l’avanzamento e l’arretramento della lotta di classe in Italia, è importante periodizzare le specifiche congiunture. L’intensità della lotta di classe non può essere situata precisamente nel tempo e nello spazio a causa delle differenze regionali, geografiche e socio-economiche interne all’Italia. Avanzamenti in una regione o settore non sempre sono seguiti in altre situazioni; spesso i maggiori scioperi scoppiano nel mezzo di un generale periodo di declino. Uno sviluppo meguale della lotta di classe nei vari settori e regioni è causato in parte dallo sviluppo ineguale dell’economia e delle esperienze storiche e culturali compenetrate in differenti contesti e ambiti delle classi lavoratrice o capitalista. Nonostante questi problemi metodologici possiamo individuare nel libro di Vasapollo e Antoniello quattro periodi con altrettanti cambiamenti fondamentali nell’intensità della lotta di classe nell’Italia del dopoguerra: 1. 1944-49 - La lotta di classe è intensa, la classe lavoratrice avanza specialmente nel periodo immediatamente successivo alla sconfitta del fascismo. Viene posta la questione del potere statale con settori della classe lavoratrice armati, che occupavano le fabbriche e la borghesia in ritirata e dipendente dagli eserciti anglo-statunitensi, il Vaticano ed “ex” simpatizzanti fascisti e la mafia. I dirigenti riformisti del PCI e del Partito socialista finalizzano la lotta di classe dentro la prospettiva riformista, della riforma legislativa favorevole alle istanze lavoratrici e indiizzandola nei canali istituzionali. 2. 1950-64 - Declino relativo della lotta di classe, con l’inizio della Guerra fredda; i capitalisti consolidano il potere statale ma sono costretti ad accettare gli avanzamenti sociali del periodo immediatamente precedente e l’esistenza di un potente movimento sindacale. Mentre la lotta per il potere statale si indebolisce, la classe lavoratrice organizzata continua a crescere, vi sono miglioramenti salariali e in materia di legislazione sociale protettiva. La classe lavoratrice non subisce alcuna sconfitta decisiva, organizzando in generale scioperi contro la riduzione del salario diretto ed indiretto. 3. 1965-75 - Imponente rinascita della lotta di classe. I movimenti dei lavoratori vanno all’offensiva con un appoggio massiccio degli studenti, di intellettuali e lavoratori pubblici sindacalizzati, pensionati e giovani sottooccupati. La sinistra extra-parlamentare si rafforza e lotta contro i partiti riformisti e le organizzazioni sindacali. I delegati di fabbrica e le assemblee lottano contro la classe capitalista per l’egemonia nei luoghi di lavoro e nei quartieri proletari. La repressione di Stato e della destra provoca l’emergere di insurrezioni urbane dure, incui l’uso della forza da parte dei movimenti si contrappone allo stragismo e alla violenza fascista e di apparati statali. I conflitti si risolvono nell’aumento dei diritti dei lavoratori nelle fabbriche, in relativi miglioramenti riguardo ai salari, alle pensioni, alle vacanze, agli ammortizzatori sociali. Ma i dirigenti riformisti conservano il controllo sui sindacati e assistono la classe capitalista nel riconsolidamento dello Stato capitalistico e della proprietà privata. 4. 1976-2006 - Declino del conflitto extra-parlamentare, come risultato della repressione di Stato sostenuta dai partiti riformisti; i capitalisti si ri-coalizzano e cominciano a preparare una nuova offensiva contro la classe lavoratrice organizzata nelle fabbriche; i partiti riformisti e le organizzazioni sindacali sono in generale “istituzionalizzati” con una “minoranza prigioniera” incapace di contro-offensive; i conflitti hanno oramai natura difensiva e le conquiste sociali del passato sono erose. Ancora più significativa èla ristrutturazione nei maggiori settori economici. Il capitale si trasferisce nella finanza, rilocalizza oltremare, e si converte al commercio e ai servizi. Il modello neoliberista rimpiazza il “capitalismo sociale”; il compromesso capitale-lavoro è sostituito dal patto elettorale dominato dalla borghesia con un programma neoliberista. 5. 2006 Quello che ci segnalano Vasapollo e Antoniello nel loro libro è che proprio in quest’ultima fase di ripresa dell’offensiva di classe da parte dei capitalisti in cui il movimento dei lavoratori è stato costretto sulla difensiva grazie al tradimento consociativo del PCI e dei sindacati confederati, è nato e si è sviluppato un nuovo sindacalismo di base, di classe che ha visto la sua espressione più matura in Italia con la RdB/CUB È proprio da questo sindacalismo di base che si sviluppa la rinascita della lotta di classe in Europa- guidata da una alleanza di studenti, precari, migranti, lavoratori disoccupati contro la società neoliberista. L’esempioin Italia prima e poi francese è un modello per la sinistra di classe in Europa, Brasile e altrove.

2. Osservazioni generali. Il contrasto: liberismo del XIX secolo e neoliberismo del XXI secolo Per comprendere i cambiamenti nei rapporti di classe scaturiti dall’offensiva neoliberista, èutile compararla con l’impatto che ebbe il liberismo nel XIX secolo. Tale paragone, pur essendo i contesti sociali e storici totalmente differenti, non di meno ci fornisce alcuni spunti di riflessione sulle potenzialità dei nuovi protagonisti della lotta di classe. Il liberismo del XIX sec. iii diretto contro i rapporti sociali feudal-patrimonial-clericali e contro gli ostacoli al commercio, al credito e le forme mercantili di sfruttamento del lavoro. In Italia, un paese di tarda industrializzazione, il liberismo favori, all’interno della classe capitalista, i commercianti, gli esportatori ed i produttori di beni lussuosi contro i produttori che producevano merci per il consumo popolare nei mercati locali. Di fronte alle restrizioni dei mercati locali a causa dei bassi livelli del consumo popolare, i liberisti imbracciarono le politiche imperial-colonialistiche dello Stato italiano. Egualmente importante per l’apertura dei mercati, i politici liberali videro nelle colonie d’oltremare un mezzo di sfogo del malcontento dei contadini e dei braccianti agricoli ridislocati in nuovi luoghi grazie all’ampliamento delle relazioni mercantili. A differenza del liberismo del XIX sec., il neoliberismo del XX e del XXI sec. si sviluppa nel contesto di uno Stato sociale altamente industrializzato. il neoliberismo ricolloca diversamente con nuovi assetti socio-produttivi sia operai di fabbrica e impiegati pubblici sia gli ex lavoratori agricoli del Mezzogiorno. La politica neoliberista ha come obiettivo la sconfitta o la cooptazione delle organizzazioni sindacali e le conquiste imposte con la lotta dalla classe lavoratrice contro lo sfruttamento. I liberisti avevano di fronte una classe latifondista. decadente; i neoliberisti hanno di fronte uno Stato sociale in crisi. Il liberismo del XIX sec., specialmente la sua variante democratico-repubblicana, fu capace in alcuni momenti di aizzare la classe lavoratrice contro l’ancien régirne. il blocco di potere neoliberista odierno poggia sul sostegno delle classi del grande commercio privato, degli interessi post-industriali finanziarioimmobiliari e regionali, dello Stato autoritario, dei mass media e delle formazioni “precapitalistiche” (il Vaticano, la mafia, i neo-latifondisti). Il neoliberismo è un modello ibrido che combina la caratteristica retrograda delle formazioni sociali passate e le enclaves dinamiche nell’elite finanziaria e nei settori dei servizi sotto l’ombrello protettivo del nuovo Stato autoritario (mussolinismo senza Mussolini). Gli sforzi della social-democrazia sono diretti, nelle sue forme vecchia e nuova, ad adescare la “borghesia liberale” per rompere con le “formazioni precapitalistiche” e con lo Stato autoritario e per creare un’alleanza di “centro-sinistra” per “modernizzare” lo Stato neoliberista. Mentre la “teoria del valore” è operativa in tutte le fasi del capitalismo, essa non può spiegare le trasformazioni nella lotta di classe o l’insorgere e il declino nella lotta della classe lavoratrice (e nello specifico il risultato della lotta di classe nel tempo e nello spazio). Le condizioni di sfruttamento del lavoro variano in rapporto al corso e al riflusso della lotta di classe. Se la “teoria del valore” è essenziale per comprendere la natura dello sfruttamento sotto il capitalismo essa non spiega completamente la variazione del grado di sfruttamento e il concreto contesto socio-politico in cui lo sfruttamento ha luogo. La storia della lotta di classe rivela alcune notevoli caratteristiche: 1. Non ci sono progressione lineare o “avanzamenti cumulativi”. Periodi di avanzamenti sono seguiti da arretraxnenti e sconfitte. Comunque fino al periodo 1976-2006 in Italia, la ritirata non è sfociata in un rovesciamento completo delle precedenti conquiste della classe lavoratrice e anche le resistenze al capitale non sono del tutto scomparse. Il progresso ineguale della classe lavoratrice significa che i momenti di crisi socio politica sono decisivi nel determinare se la classe lavoratrice si assicura solo temporanee riforme sociali (soggette al rovesciamento in seguito alla crisi) oppure se si prepara alla lotta per il potere statale. E nei momenti di avanzamento che si dovrebbe sviluppare una strategia per il potere, pena il rischio, in seguito, di andare incontro ad un periodo di arretramento. Non ci sono “mobilitazioni permanenti” o quanto meno non ci sono continui alti livelli di conflitto di classe. 2. Non ci sono correlazioni tra un crescente conflitto di classe e un ciclo economico. Infatti si sono avuti alti livelli di conflitto di classe durante il collasso capitalistico (1944-46) ed in periodi di rapida espansione capitalistica (1965-75). L’impatto politico del ciclo economico- sia in espansione che in contrazione- dipende dal livello dell’organizzazione di classe e dalla sua internità alla classe lavoratrice e tra gli operai, i contadini e tra i lavoratori pubblici. L’organizzazione socio-politica crea il “filtro” attraverso il quale la classe lavoratrice interpreta il ciclo economico e reagisce ad esso. 3. Non c’è correlazione tra un “regime di crisi” e la lotta di classe, perché è l’apparato di Stato omnicomprensivo (Banca centrale, dirigenti statali, giudiziari e militari) che decide la politica del governo. C’è una forte correlazione tra crisi dello Stato e la lotta di classe. In Italia, uno Stato sgretolato (fascista), 1944-46, diede origine ad una opportunità storica per l’avanzamento della lotta di classe verso il potere statale. 4. La lotta di classe a i movimenti si sviluppano in maniera diseguale a causa dei fattori politici, sociali e storici. Solo un movimento politico nazionale può integrare e sincronizzare i settori avanzati e quelli meno sviluppati dei movimenti di classe. 5. Lo scoppio di un conflitto di classe ad alta intensità scaturisce dall’accumulazione di forze, dalla formazione di quadri politici e dirigenti socio-politici con stretti contatti con le masse- in settori critici della produzione, distribuzione e territorio. I periodi di conflitto intenso (1944-46 e 1965-75) furono p!receduti da più di una decade di attenta costruzione di organizzazioni, reclutamento di quadri e partecipazione ai “conflitti quotidiani per le riforme”, impregnati di coscienza rivoluzionaria. 6. Il periodo 1976-2006 è stato generalmente caratterizzato da una dis-accumulazione o frammentazione, dispersione e perdita di quadri storici. Come evidenziano bene Vasapollo e Antoniello in parallelo a questo processo generale, sono emersi nuovi movimenti di classe quali i sindacati di base (RdB, CUB, COBAS) che “accumulano” forze nelle difficili circostanze della disintegrazione dei “vecchi centri” (PCI, PRC e CGIL) della mobilitazione di classe. Il periodo 1 976-2006 è un processo duale di sconfitte e ritirate cumulative, cosi come di rinascita di nuovi movimenti di classe che lottano per l’egemonia socio-politica.

3. La lotta per l’egemonia nella classe lavoratrice Molti critici culturali di sinistra enfatizzano il ruolo dei mass media nell’indebolimento delle organizzazioni di classe e nella fomentazione alla de-politicizzazione delle masse. Se è vero che la pressione costante dei mass media ha qualche impatto, essa spiega poco o niente dell’ascesa e del declino della lotta di classe. Per esempio, la maggioranza dei mass media si è sempre opposta alle organizzazioni di classe e alla lotta di classe. Ciò non di meno nei periodi 1944-1950 e 1965-75 ci furono degli scontri di classe di massa e movimenti di massa crescenti a dispetto dei mass media. Il problema è capire perché oggi i mass media hanno un più grande impatto rispetto al passato. La causa risiede nella differenza della struttura di classe e nel livello di organizzazione di classe, nella perdita di una prospettiva di classe nei “media alternativi” collegati alle masse. Soprattutto, il declino di opinion leader dotati di coscienza di classe all’interno delle fabbriche, degli uffici, dei quartieri che servono ad interpretare le informazioni, gli eventi e le politiche e a fornire un Qflentamento per le masse. “Opinion leader” possono essere “militanti” o “quadri” o “attivisti” che collegano le masse alle organizzazioni di classe e ai dirigenti nazionali o regionali. Senza “opinion leader” con coscienza di classe strategicamente inseriti nei quartieri proletari e nei posti di lavoro, i mass media dominano incontrastati. L’egemonia comporta la “battaglia delle idee”; idee ed esperienza determinano azione sociale e politica. Opporsi all’egemonia della classe dominante implica parecchi livelli interrelati di lotta: il conflitto quotidiano nel mercato (prezzi), nei posti di lavoro (salari-sicurezza), negli spazi vitali (abitazione), nelle istituzioni educative (pubbliche o private), in quelle della salute (pubblica o privata), sulle pensioni (soglia di ritiro dal mondo del lavoro, privatizzazioni, fondo pensioni) e nel territorio metropolitano (disoccupazione/lavoro temporaneo, precario, questione della garanzia del reddito). Il problema politico è trasformare il malcontento individuale o privato in collettivo, in azione pubblica ispirata ad un’analisi di classe. Il secondo livello è la lotta per la chiarezza programmatica e teorica: la lotta per una prospettiva di classe nel campo della “cultura” implica la battaglia per l’egemonia intellettuale tra la piccola borghesia (giornalisti, accademici, studenti e professionisti). Il problema è quello di dimostrare la superiorità concettuale del marxismo come prospettiva di classe nella spìegazione e nella comprensione della realtà oggettiva e nel procurare una base per l’azione concreta. L’efficacia della teoria di classe, collegata alla pratica, sta neI renderla concettualmente e linguisticamente comprensibile ad attivisti, militanti e quadri che rappresentano i collegamenti strategici tra masse e dirigenti. La teoria, per essere utile, deve essere concreta e funzionale all’azione; la teoria astratta con un linguaggio esotico incomprensibile è peggio che inutilizzabile disorienta i militanti e allontana i dirigenti dai quadri, e i quadri dalle masse. La lotta ideologica ad entrambi i livelli è essenziale nella costruzione di movimenti di alternativa contro-egemonici e nella creazione della coscienza della classe lavoratrice. L’obiettivo cruciale delle battaglie culturali è quello di approfondire la prospettiva di classe contro l’individualismo, l’intemperante pseudo-ribelle “cultura giovanile”, la produzione di alcuni settori dei media commerciali. Per opporsi alle forze egemoniche che operano dall’alto (i mass media), ènecessario creare potere di classe dal basso.

4. L’ascesa del nuovo autoritarismo

Insieme al declino della sinistra, ed anzi accelerandone il processo, c’è la graduale creazione di un nuovo Stato autoritario sotto la superficie della facciata parlamentare, elettorale. Cominciando con le leggi anti-”terrorismo” e lo “Stato forte” della metà degli anni ‘70, il potere delle “istituzioni permanenti” è cresciuto poderosamente in un clima di disattenzione intellettuale. Quali sono le caratteristiche del nuovo Stato autoritario? La centralizzazione del potere esecutivo, la crescente fiducia nei decreti esecutivi e le decisioni fondamentali prese da funzionari non eletti nel ramo dell’esecutivo. Tutti questi sono segni dell’emergere di un Nuovo Stato Autoritario. Mentre i regimi politici del “centro-sinistra” o di “destra” si alternano, le istituzioni permanenti non elette dello Stato si occupano della definizione e realizzazione della politica macroeconomica. Mentre i partiti politici competono per il Parlamento, le istituzioni supreme, cioè lo Stato, Bruxelles, le istituzioni finanziarie internazionali, stabiliscono i parametri reali per la politica socio-economica neoliberista. La contraddizione tra i partiti elettorali che sostengono il “benessere sociale” e lo Stato centralizzato che detta le politiche capitalistiche liberiste, è espressa dalla totale assenza di corrispondenza tra promesse delle campagne elettorali e l’esercizio del potere politico. I funzionari eletti, che governano, lo fanno subordinando gli organi elettivi (parlamento) all’esecutivo e ai funzionari dello “Stato onnicomprensivo”. In definitiva mentre il Nuovo Stato Autoritario governa, i funzionari eletti legittimano i centri dominanti del potere autoritario.

5. La trasformazione della struttura di classe: base del Nuovo Stato Autoritario

La struttura di classe è stata trasformata dalle vittorie della classe capitalista e dalla ritirata dei partiti tradizionali della sinistra e dei sindacati. Le sconfitte sono il risultato del fallimento dei sindacati e dei partiti di sinistra nel comprendere che il “patto sociale”, lo “Stato sociale” ed il cambiamento “graduale” o evolutivo erano il risultato di una particolarissima congiuntura storica che diede origine ad un equilibrio tra le forze delle classi (il periodo tra il 1944 ed il 1974). La sinistra ed i sindacati durante questo periodo furono incorporati nelle istituzioni capitalistiche e dipesero dalle negoziazioni, dai compromessi di potere e dalle pressioni periodiche del conflitto di massa usato strumentalmente. Avviata nell’ultimo periodo degli anni ‘70, tale strategia istituzionale perse la sua potenza nel momento in cui la classe capitalista riconquistò l’iniziativa, si mosse aggressivamente per trasformare le istituzioni economiche ed i rapporti sociali di produzione in proprio favore. Grandi fabbriche industriali che concentravano lavoratori militanti furono chiuse e la produzione fu decentralizzata, disperdendo la classe lavoratrice. Contratti di lavoro temporaneo e la legislazione sul precariato hanno minato l’occupazione stabile e incrementato il numero di lavoratori precari ricattabili. I capitalisti hanno aumentato massicciamente il proprio potere di assumere e licenziare lavoratori ottenendo così costi più bassi. Le aziende sono state delocalizzate in regioni ove la presenza sindacale è assente o all’estero. Queste e molte altre misure hanno sortito un effetto dialettico cumulativo. Una forza-lavoro frammentata ha indebolito la lotta collettiva e facilitato l’ulteriore avanzamento delle contro-riforme capitalistiche promosse dallo Stato autoritario. Lo “sciopero generale” occasionale o la protesta sono serviti soltanto a rallentare temporaneamente il processo in particolari aree, come nel caso dell’elevazione dell’età pensionabile. Lo Stato autoritario liberale ha agito aggressivamente per privatizzare l’economia, i servizi sociali e le istituzioni culturali. Questi attacchi frontali sono stati diretti a ribaltare le riforme accumulate negli ultimi 60 anni grazie alla lotta di classe. L’intere teoria e prassi del patto sociale sostenute dai sindacati e dalla sinistra tradizionale si sono dimostrate vane di fronte alla offensiva capitalistica su vasta scala e di lungo respiro contro le regole del gioco e la stessa esistenza dei sindacati di sinistra e delle istituzioni.

6. Unificare le lotte per rilanciare l’offensiva La proposta concreta del progetto neoliberista è la stessa sia che venga dal centro-sinistra che dalla destra. Il ragionamento del blocco di potere neoliberista è impeccabile: dal momento che non teme più alcuna minaccia agli assetti politico-istituzionali ed economici della proprietà privata proveniente dalla sinistra rivoluzionaria e di classe, non vede nessuna ragione per fare concessioni sociali ai riformisti e ai sindacati istituzionalizzati. Dato il complesso regime legale-amministrativo e normativo progettato dal precedente Stato sociale e i vincoli istituzionali imposti dai sindacati ufficiali e dai partiti di centro-sinistra, i liberisti favoriscono un esecutivo autoritario spalleggiato da Bruxelles per imporre le “riforme” neoliberiste ed eliminare i residui dello Stato sociale. il neoliberismo chiede uno Stato forte contro le richieste delle organizzazioni di classe provenienti dalla società civile ed uno Stato minimo nella regolazione della concentrazione del potere economico. Lo stato neoliberista non espande il mercato interno, ri-orienta la produzione verso l’Unione Europea ed il mercato internazionale. I lavoratori non sono visti come osggetti sociali ma come consumatori potenziali e come costi nel mercato di esportazione. Il neoliberismo non ricolloca produttivamente operai e contadini per espandere gli investimenti di capitale; disloca i dipendenti pubblici a mezzo di privatizzazione, convertendo il pubblico in monopoli privati; non converte gli artigiani in operai di fabbrica; invece trasforma questi ultimi in precari, in lavoratori dei servizi con paghe basse; non promuove le libere professioni; muta i lavoratori d’ufficio nei tipici operatori telematici delle nuove fabbriche; non crea un esercito di disoccupati di riserva, produce un esercito permanente di disoccupati. Con l’ascesa del capitalismo liberista la principale contraddizione fu tra borghesia industriale e operai di fabbrica. Sotto il neoliberismo, ci sono molte contraddizioni tra un capitalismo “monopolistico” concentrato e diversi settori della ricostituita classe lavoratrice. Dipendenti pubblici che operano con le nuove tecnologie d’ufficio condividono le stesse condizioni di sfruttamento degli operai di fabbrica. I giovani operai precari condividono le stesse insicurezze dei lavoratori disoccupati. Questi ultimi condividono la stessa “esclusione” dei lavoratori immigrati. Sotto il liberismo, le donne furono confinate allo sfruttamento casalingo, oggi sono sfruttate sia come lavoratrici con paghe ridotte sia come casalinghe con le responsabilità familiari. Oggigiorno c’è una maggiore dispersione della classe lavoratrice, ma sono molti di più i settori incorporati in essa. Le condizioni soggettive (coscienza di classe) per la lotta di classe sono state indebolite ma le condizioni oggettive sia quantitative che qualitative sono state rafforzate. Ecco l’importanza del libro di Antoniello e Vasapollo, perché ci spiega tutto questo con chiarezza, con grande onestà intellettuale. Le trasformazioni o le tentate “contro-riforme” delle élite neoliberiste si scontrano con i benefici sociali accumulati della classe lavoratrice, e creano oggettive condizioni per una nuova ondata di lotte di classe. La sfida è unificare le lotte settoriali dei lavoratori disoccupati, delle donne lavoratrici sottopagate, dei lavoratori precari, dei pensionati, degli immigrati, degli operai tradizionali di fabbrica e dei nuovi lavoratori nel settore pubblico in una nuova stagione di lotte per il potere della classe lavoratrice contro il nuovo Stato autoritario ed i suoi padroni nazionali ed internazionali. È quindi vero che in questo modo “Eppure il vento soffia ancora!!” (Traduzione dall’inglese di Biagio Borretti)

note * Prof. alla State University, New York e alla Saint Mary di Halifax (Canada).