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PER LA CRITICA DEL CAPITALISMO

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HUGO PONS DUARTE
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Ritornare alla pianificazione nell’economia nazionale
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Ritornare alla pianificazione nell’economia nazionale

HUGO PONS DUARTE

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Il piano di economia nazionale è una necessità per lo sviluppo socialista. La possibilità reale di raggiungere livelli sempre più elevati nella soddisfazione dei bisogni della società cubana dipende da un insieme di fattori, i cui effetti devono essere previsti il meglio possibile, per programmare le azioni e le misure che permettano di ottenere tali obiettivi.1 Di conseguenza, il suo funzionamento interno, che determina le tendenze, i passaggi e gli strumenti per creare l’architettura dell’intero processo, deve essere chiaro. Di questo si parlerà in questo lavoro: mostrare gli elementi concettuali più generali, che sono presenti nella definizione metodologica, per l’elaborazione del piano di economia nazionale a Cuba e la sua interrelazione con i principi della costruzione della società socialista che sono stati delineati dalla teoria marxista-leninista. Il processo di elaborazione del piano di economia nazionale in ogni suo aspetto, nel breve così come nel lungo periodo, richiede la conoscenza di aspetti concettuali che determinano la struttura metodologica su cui si basa lo svolgersi dell’attività di pianificazione. La sua importanza verte sul fatto che tale conoscenza è basilare per l’esercizio professionale di qualità e di conseguenza per il ruolo del piano nei destini del paese e della sua società.

1. La pianificazione e la sua interpretazione come processo Il concetto di pianificazione è stato sottoposto a molteplici interpretazioni. Il suo contenuto e la sua portata variano a seconda delle circostanze temporali e spaziali. C’è chi considera che “pianificare significa organizzare la nostra azione in funzione di un determinato fine” (González, 2001). Altri autori sostengono che “comprende la definizione di obiettivi o traguardi dell’organizzazione, lo stabilire una strategia generale per raggiungerli e lo sviluppo di una gerarchia completa di azioni per integrare e coordinare attività. Così essa si occupa dei fini (ciò che si deve fare), così come dei mezzi (come si deve fare)” (Robbins e De Cenzo, 1995: 58-59). In realtà, sarebbe molto noioso e lungo cercare di riportare tutte le considerazioni che sono state fatte dagli studiosi di questo complesso argomento. La pianificazione, in termini generali, può essere concepita come una visione del futuro che ha come componenti una valutazione della situazione attuale, la sua proiezione dinamica e un’idea dell’immagine del futuro. Per quanto concerne la terminologia, in alcuni paesi si utilizza “planeación” al posto di “pianificazione”, in quanto se ne circoscrive la sfera di azione all’ambito delle imprese. In altri, si insiste su una connotazione più forte dell’azione del pianificare, con lo sviluppo di piani di sviluppo economico e sociale. Nell’economia socialista, in cui deve predominare la proprietà sociale sui mezzi di produzione, la pianificazione è subordinata agli interessi generali della società, mentre nelle economie cosiddette “di mercato”, in cui impera il modo di produzione capitalista, la pianificazione è utilizzata fondamentalmente come uno strumento per raggiungere determinati obiettivi a fini di lucro da parte delle organizzazioni che determinano le sorti di queste società, al fine di propiziare i livelli di guadagno attesi. Tra le caratteristiche fondamentali della pianificazione, possiamo segnalare, tra le altre, le seguenti: contribuisce ad affrontare l’incertezza; stabilisce l’orientamento preciso per un miglior risultato finale; facilita l’adozione anticipata delle misure e degli aggiustamenti necessari, in considerazione dei cambiamenti che si dovessero verificare; risulta essere di estrema importanza per la direzione e il controllo; assicura un’adeguata corrispondenza tra gli obiettivi e i mezzi o le risorse che consentono di raggiungere tali obiettivi; facilita il coordinamento di attività e di fattori interni ed esterni. Nonostante i suoi benefici, la pianificazione è stata sistematicamente messa in discussione dai propugnatori delle concezioni e delle politiche neoliberiste, che dirigono le proprie critiche soprattutto contro la pianificazione dello sviluppo economico e sociale. Ciò è dovuto al fatto che i grandi centri dell’attuale potere economico internazionale, anche se accettano l’utilizzo della pianificazione nelle loro corporazioni e imprese transnazionali, cospirano contro qualsiasi azione da parte dei paesi sottosviluppati che possa introdurre la pianificazione dello sviluppo economico e sociale in funzione dei propri interessi nazionali. È evidente che la pianificazione, nella misura in cui sia subordinata alla penetrazione e al controllo del potere economico delle transnazionali che solo perseguono fini di lucro e di dominio, attenta contro gli interessi nazionali, che si vedono così seriamente pregiudicati. Ne consegue che nei dibattiti sulla pianificazione si adottino a volte sfumature e posizioni marcatamente ideologiche, secondo le tendenze e gli interessi dei partecipanti, nella costante cospirazione contro lo stesso sviluppo e la generalizzazione della pianificazione a livello globale e locale.

2. Tipologia di azioni

Nella letteratura specializzata riguardo all’amministrazione, di solito il tema della pianificazione è identificato come “planeación”, e si raccolgono le esperienze delle corporazioni e delle imprese. Ciononostante, si forniscono raccomandazioni che risultano utili per il settore pubblico, non solo per le organizzazioni e istituzioni che ne fanno parte, ma anche per le responsabilità relative all’elaborazione, alla messa in pratica e al controllo dei piani di sviluppo economico e sociale. È davvero positivo che si studino le esperienze di altri paesi e le tipologie dei piani adottati, che di solito svolgono la funzione di strumento di direzione delle attività economiche e di servizio, per raggiungere le mete e gli obiettivi delle organizzazioni. Queste informazioni possono costituire un punto di riferimento utile al perfezionamento della pianificazione. Alcuni autori sostengono che le organizzazioni utilizzano principalmente due tipi di piani: i piani strategici diretti al raggiungimento dei traguardi generali dell’organizzazione e i piani operativi che indicano come saranno messi in pratica i piani strategici giorno dopo giorno. Sopra a tutto si trova la definizione della missione, una meta generale che costituisce le fondamenta dell’organizzazione, i suoi obiettivi, i suoi valori, il suo ambito e la sua collocazione nel paese e nel mondo. La definizione della missione è una parte relativamente costante dell’identità dell’organizzazione, che favorisce l’unità e la motivazione dei suoi membri, in quanto costituisce la forza motrice degli obiettivi strategici e operativi, cosa che a sua volta permette di attuare i piani strategici e operazionali (Stoner, J. e Freeman, E.; 1994: 198-199). I piani operativi derivano dai piani strategici e dalla definizione della missione; però è necessario quantomeno fare alcune distinzioni per quanto concerne gli orizzonti temporali, la portata, la complessità e l’impatto dei piani strategici e operativi:
  Gli orizzonti temporali: i piani strategici durano per anni, a volte per decenni, mentre i piani operativi coprono brevi periodi, di solito meno di un anno o al massimo un anno.
  La portata: i piani strategici riguardano un’ampia gamma di attività, mentre i piani operativi hanno una portata più limitata.
  La complessità e l’impatto: di solito i piani strategici sono più generali, i piani operativi sono più specifici (Ibidem: 199-200). Per quanto concerne la loro struttura nel tempo, i piani possono essere classificati come piano a breve termine, piani a medio termine e piani a lungo termine. I piani a breve termine, conosciuti come piani operativi, coprono periodi non maggiori di un anno e possono essere annuali, mensili, settimanali o diari, secondo le necessità. I piani a medio termine di solito hanno un orizzonte temporale di cinque anni, mentre i piani a lungo termine coprono un periodo ancora più lungo, dai dieci anni in su. Entrambi i tipi sono considerati piani strategici. Dal punto di vista della specificità e della flessibilità, i piani possono essere identificati inoltre come piani specifici o direzionali. I piani specifici sono chiaramente definiti e non contengono ambiguità per non dare luogo a errate interpretazioni, hanno obiettivi ben precisi e stabiliscono procedimenti specifici, assegnazione di bilancio e una programmazione di attività che consenta di raggiungere tali obiettivi. I piani direzionali sono piani flessibili che si stabiliscono come indicatori generali e non bloccano né limitano l’amministrazione all’interno di obiettivi specifici o linee specifiche di azione. L’utilizzo di uno dei tipi di piani dipende dalla maturità dell’organizzazione, dall’esperienza e dalla qualità della dirigenza, dal tipo di attività, dalle caratteristiche ed esigenze dell’ambiente circostante e da altri fattori che devono essere attentamente esaminati. In relazione al processo formale di pianificazione, James Stoner (op. cit., 200-206) raccomanda di seguire nove indicazioni: 1. Formulazione di traguardi. Implica comprendere la missione dell’organizzazione e in seguito stabilire traguardi che la traducano in termini concreti. Dato che i traguardi selezionati porteranno via una grande quantità di risorse dell’organizzazione e guideranno molte delle sue attività, questo primo passo è fondamentale. 2. Identificazione degli obiettivi attuali e della strategia. Una volta definita e tradotta in termini concreti la missione dell’organizzazione, si è nelle condizioni per identificare gli obiettivi e la strategia, potendo affrontare i passi dal 3 al 6, che sono subito spiegati. 3. Analisi ambientale. La conoscenza dei traguardi dell’organizzazione e la sua attuale strategia consente di avere un quadro più definito per individuare quali aspetti dell’ambiente eserciteranno la maggior influenza sulla capacità di raggiungere gli obiettivi. La finalità dell’analisi ambientale consiste nello scoprire le forme in cui i cambiamenti economici, tecnologici e socioculturali, e fattori esterni come i fornitori e le disposizioni governative tra gli altri influiranno su di essa. 4. Analisi delle risorse. I traguardi e le strategie dell’organizzazione permettono quindi di analizzare le sue risorse. Questa analisi è necessaria per determinare la fattibilità reale dell’azione di un’organizzazione e delle forme che tali strategie adotteranno. 5. Identificazione di opportunità strategiche e di rischi. L’identificazione della strategia, l’analisi dell’ambiente e delle risorse dell’organizzazione sono collegate al quinto passo: scoprire le opportunità che si possono scegliere e le minacce da affrontare, cosa che genera maggior sicurezza nella valutazione di alternative e nell’adozione di decisioni strategiche. 6. Determinazione del grado di cambiamento strategico richiesto. Dopo l’esame delle risorse e dell’ambiente, i risultati della strategia attuale possono essere analizzati. Quanto più tempo è trascorso da quando la strategia è stata stabilita e quanto più stabile è l’ambiente, tanto più facile sarà fare questa analisi, dopo la quale si può decidere o meno se modificare la strategia. 7. Adozione di decisioni strategiche. A questo punto si identificheranno le alternative strategiche, procedendo alla valutazione delle opzioni possibili per procedere alla selezione di alternative strategiche in funzione delle capacità dell’organizzazione. I buoni piani strategici si basano sulla forza dell’organizzazione. 8. Messa in atto delle strategie. Una volta determinata la strategia, è necessario incorporarla alle operazioni quotidiane dell’organizzazione. A tal fine, anche se la strategia si inquadra in un piano strategico formale e dettagliato, deve essere comunque tradotta in piani operativi appropriati. 9. Misura e controllo del processo. Man mano che si realizza l’introduzione dei piani operativi, si dovranno confrontare i suoi risultati con il piano strategico, stabilendo tappe periodiche, opportune e decisive.

3. Fattori di contingenza nella pianificazione La pianificazione costituisce uno strumento essenziale per il corretto sviluppo dell’organizzazione, la cui maggior o minor efficacia dipende da fattori diversissimi tra loro. Uno di questi è il grado di incertezza dell’ambiente circostante2, fattore che si è accentuato nel mondo contemporaneo a causa della maggiore accelerazione che si osserva nei cambiamenti tecnologici, economici, politici e sociali, che mettono in primo piano l’amministrazione e l’analisi dei rischi impliciti in ogni previsione e nelle ipotesi che si fanno rispetto al probabile comportamento dell’ambiente esterno. Nel caso in cui il grado di incertezza è maggiore, di solito si mette più enfasi nell’elaborazione di piani a breve termine nei piani direzionali, mantenendo i piani strategici come punto di riferimento, sempre utili per avere una visione a lungo termine delle possibili alternative da utilizzare congiunturalmente di fronte a qualsiasi cambiamento imprevisto. Un’adeguata combinazione degli scenari a lungo termine e dello stanziamento di riserve materiali e finanziarie nei piani a breve termine deve rafforzare la capacità dell’organizzazione di far fronte a qualsiasi situazione d’emergenza. Un altro fattore contingente è la maggior o minor partecipazione e utilizzo della pianificazione come strumento di direzione. Questo è in stretta correlazione con i livelli amministrativi dell’organizzazione. Di solito, i dirigenti d’alto livello si assumono maggiori responsabilità nel processo di elaborazione dei piani strategici che i dirigenti e gli amministratori di minor livello. Questi ultimi concentrano fondamentalmente la propria attenzione sui piani operativi. Tuttavia, dal punto di vista dell’interrelazione che ci deve essere tra i piani strategici e quelli operativi, è importante promuovere la necessaria complementarietà tra questi distinti livelli di direzione durante l’intero processo di elaborazione, messa in atto e controllo dei piani dell’organizzazione. D’altra parte, quando un’organizzazione è matura e dispone di amministratori di lunga esperienza e grande conoscenza dell’attività, con un alto sviluppo amministrativo, il grado di previsione è maggiore e si è in condizioni migliori per utilizzare piani strategici e specifici. Mentre, quando si tratta di un’organizzazione appena nata che deve assumere nuove funzioni, si ha un maggior utilizzo dei piani a breve termine e soprattutto direzionali, data la necessità da parte dei dirigenti di disporre di maggior flessibilità per prendere decisioni e realizzare cambiamenti che si adeguino alla realtà e alle circostanze che ancora non si dominano come nel caso di un’organizzazione matura.

3.1 La prospettiva strategica e la tecnica degli scenari Com’è risaputo, il mondo di oggi si caratterizza per un processo permanente di cambiamenti sempre più frequenti a causa del grande sviluppo delle tecnologie di informazione e comunicazione e di altri progressi tecnologici, che causano in maniera crescente un aumento dell’incertezza riguardo il probabile comportamento della vita economica e sociale. Di fronte a questa situazione, è maggiore la necessità di ricorrere alla prospettiva strategica e alla tecnica degli scenari come strumenti di immensa utilità per prevedere il futuro e ogni possibile alternativa. In tal modo si sarà nelle condizioni migliori per definire strategie e concretare azioni che, in anticipo, consentano di evitare crisi prevedibili e vivere il futuro desiderato. Sia la prospettiva strategica sia la tecnica degli scenari aiutano nel processo di elaborazione e formulazione dei piani strategici e medio e lungo termine, offrendo o concretizzando traguardi e azioni alternativi di fronte alle diverse sfide del futuro. Esistono cinque idee fondamentali su cui si basa la prospettiva strategica (Gabiña, J., 1997: 367-368): 1. Adottare nello studio dei problemi una visione globale e sistematica. La riflessione deve essere necessariamente realizzata in un modo globale, siccome i problemi si presentano sempre meno isolati e sono più interdipendenti. 2. Considerare anche i fattori qualitativi e le strategie degli attori. Il futuro non si può prevedere solamente a partire dai dati del passato. Ecco spiegato il limite dei modelli economici classici che non considerano fattori qualitativi e non quantificabili, come il comportamento degli attori o i fattori socioculturali, tra gli altri. 3. Non fidarsi delle idee e degli stereotipi. Di solito gli errori di previsione sono dovuti più a ipotesi e dati di partenza errati o mal formulati che all’incoerenza delle risposte alle domande in precedenza formulate. Se le domande riguardo al futuro non sono quelle pertinenti, le risposte potranno essere corrette, ma non verificabili. Quindi non bisogna fidarsi delle idee che sono di moda e che sono il prodotto di un’analisi meccanica tradizionale o superficiale. 4. Optare per il pluralismo e la complementarietà dei differenti punti di vista. L’informazione disponibile sui problemi risulta di frequente insufficiente e incompleta o, al contrario, può essere eccessiva per una completa comprensione della natura del fenomeno. È per questo motivo che si decide di optare per il pluralismo e la complementarietà dei punti di vista, e di procedere per aggiustamenti successivi prima di realizzare una ricerca che, basata su dati non verificabili, può portare a errori. È meglio fare un aggiustamento che sia utile piuttosto che disporre di un’esattezza che sia inutile. 5. Mobilitare gli attori del cambiamento. Affinché la prospettiva si possa concretizzare in azioni efficaci, si deve dar spazio a tutti gli attori e promuovere la loro mobilitazione cosciente e opportuna, cosa che rafforzerà l’amalgama collettivo per il futuro che si desidera. Non esistono statistiche riguardo al futuro (Godet, 1996: 24-27). Spesso l’unico elemento disponibile di informazione è il proprio personale giudizio. Di conseguenza, è necessario raccogliere altre opinioni per formarsene una propria. È per questo motivo che gli strumenti che si utilizzano consentono di organizzare e strutturare in modo trasparente ed efficace la riflessione collettiva riguardo alle scommesse e alle sfide del futuro e, legato a ciò, anche la valutazione di opzioni strategiche. Lo stesso Godet precisa che “prospettiva” e “scenario” non sono sinonimi. Uno scenario non equivale alla realtà futura, ma a un modo di rappresentarla, al fine di chiarire l’azione del presente alla luce dei futuri possibili e desiderabili. Inoltre gli scenari non sono credibili se non si rispettano cinque condizioni: pertinenza, coerenza, verosimiglianza, importanza, trasparenza. Uno scenario non è solo un mero fine, bensì qualcosa che ha senso solo attraverso i risultati che ha e le conseguenze per l’azione. Nella cassetta degli strumenti della prospettiva strategica ci sono tredici pezzi dal seguente contenuto (Godet, 1996: 33-95): a) Un’approssimazione integrata della prospettiva strategica; b) Il metodo degli scenari - si precisa il suo obiettivo e si descrivono i metodi; c) I laboratori della prospettiva strategica; d) I settori di competenza; e) Gli utili dell’analisi strategica; f) La diagnosi strategica; g) L’analisi strutturale; h) Il metodo Mactor; i) L’analisi morfologica; j) Il metodo Delphi; k) L’abaco di Regnier; l) Impatti incrociati di probabilità SMIC-PROB-EXPERT; m) Un’approssimazione integrata della prospettiva strategica. In ognuno dei tredici punti sopra esposti, sono precisati i loro rispettivi obiettivi e si fa un’ampia descrizione di ogni tema, del suo contenuto, della sua utilità e dei suoi limiti, fornendo conclusioni pratiche e la bibliografia corrispondente. I piani strategici concepiscono l’ambito organizzativo come se fosse dinamico, come se potesse espandersi o restringersi, rafforzarsi o indebolirsi; si caratterizzano per integrare la visione di breve, medio e lungo periodo; sono diretti a organizzazioni pubbliche; razionalizzano l’adozione delle decisioni; si basano sull’efficienza istituzionale. I piani strategici presentano i seguenti vantaggi: a) Sono uno strumento basilare di appoggio al processo decisionale a tutti i livelli e aree dell’organizzazione; b) Sono un elemento che riduce l’incertezza e i rischi, poiché considerano sistematicamente l’influenza della congiuntura sulla realtà su cui si interviene; c) Sono di aiuto nella creazione e nel mantenimento di un controllo continuo e permanente; d) Permettono di elevare i livelli di efficacia, efficienza e coordinamento. Sono un meccanismo di partecipazione. Una volta studiata al riguardo una parte rappresentativa degli autori, si può affermare che per la formulazione della strategia si inizia da una posizione previa e si identifica bene la posizione attuale; poi si passa allo studio delle responsabilità e delle pressioni sociali per conoscere le condizioni sociopolitiche, si analizza l’ambiente competitivo e si fa un’analisi comparata delle risorse per giungere all’identificazione di opportunità e minacce. Infine si devono prendere in considerazione anche i valori e i rapporti di forza della direzione, per prendere decisioni sulla necessità o meno di definire una nuova posizione più vantaggiosa. La pianificazione operativa risulta utile perché (Jiménez, F. et al.; 2003): a) Secondo gli autori di testi militari, “agire è l’unico modo intelligente di governare”; b) Rende possibile il calcolo di indicatori di efficienza (relazione costo/prodotto), di efficacia (relazione prodotto/risultato) e di effettività (bilancio tra gli effetti desiderati e quelli indesiderati); c) Articola il piano con il bilancio per programmi; d) Permette di convertire funzioni espresse in maniera ambigua e imprecisa in azioni di produzione organizzative collocate nel tempo e nel luogo e chiare in termini di quantità, qualità e costo. L’applicazione della pianificazione operativa si effettua per (Ibidem): a) Massimizzare le funzioni efficienza, efficacia ed effettività, che l’organizzazione di governo deve migliorare di continuo; b) Esprimere le politiche pubbliche che competono all’organizzazione di governo con azioni di produzione definiti e delineati per quanto concerne quantità, qualità e spazio e con l’assegnazione di responsabilità affinché ciò abbia luogo; c) Diminuire la frattura tra la situazione oggettiva e/o la situazione risultante, o tra la missione nominale e la missione reale delle unità che reggono i piani e i programmi dell’organizzazione; d) Aumentare la capacità del sistema di governo (organizzazione governativa) di fronte al sistema governabile (società), la governabilità di quest’ultimo e l’efficacia politica del governante e della sua squadra. Secondo i riferimenti sopra menzionati, in un altro ordine di idee il piano operativo comprende in generale cinque tipi di programmi:
  Programmi di riforma e aggiornamento dell’organizzazione;
  Programmi di formulazione e coordinamento delle politiche pubbliche;
  Programmi di regolazione (azioni di regolazione);
  Programmi per la generazione di opere (beni di capitale);
  Programmi sociali. La pianificazione operativa, come processo generale, ha in sé implicitamente le azioni di controllo che consentono di esercitare un controllo sui risultati degli obiettivi prestabiliti.

4. Risorse scarse e necessità crescenti

Com’è risaputo, le necessità della popolazione sono crescenti e le risorse disponibili sono limitate. A ciò bisogna aggiungere che in termini generali tali risorse tendono a essere relativamente scarse, obbligando a una maggior efficienza nell’utilizzo e nello sfruttamento. Si richiedono quindi strumenti che favoriscano l’effettività necessaria dei risultati a partire dall’applicazione di una distribuzione di risorse efficiente nell’attività del settore pubblico. Questo risulta particolarmente importante dove di solito le risorse sono ristrette e insufficienti per la soddisfazione di tutte le richieste della collettività. Ecco perché alcuni autori sostengono che “la gestione pubblica deve incentrarsi su due componenti basilari: economia di strumenti ed effettività di risultati (Albi et. al., 1997: 269). È diffusa la considerazione che le organizzazioni pubbliche si debbano comportare efficientemente, massimizzando la differenza tra benefici e costi per ottenere legittimità economica. Da questo punto di vista, la gestione pubblica è concepita come l’applicazione, in organizzazioni pubbliche, di principi microeconomici classici e dell’economia delle organizzazioni verso problemi di obiettivi sociali raggiungibili ma che hanno restrizioni. In questo contesto, si insiste sul fatto che il gestore pubblico deve mettere in pratica direttive politiche, con criteri di comparazione in relazione dei costi e dei benefici. Inoltre si ritiene che la gestione pubblica tende all’ottenimento della massima produttività delle scarse risorse utilizzate, quando adotta forme imprenditoriali, in una cornice pubblica, che consentano di responsabilizzare chi gestisce i risultati e motivarli adeguatamente. Si tratta di aumentare la razionalità economica del comportamento dei settori pubblici, retti per secoli dalla cultura della tradizione e delle norme legali. Questo implica definire con chiarezza gli obiettivi da raggiungere, scegliere il miglior modo per conseguirli e valutare l’efficienza dei processi, prendendo in considerazione i costi e i benefici (Ibidem: 11-12). Di fronte alla relativa scarsità delle risorse disponibili per la soddisfazione delle crescenti richieste della società, alcuni autori sottolineano la necessità di prestare costante attenzione all’aumento della produttività e dell’efficienza economica del settore pubblico. A tal fine risultano determinanti l’esercizio di una gestione pubblica moderna, poggiata su un’organizzazione adeguata, con personale dovutamente preparato, e l’adozione di nuovi valori che mettano in primo piano l’efficacia e la qualità del servizio pubblico, senza trascurare le particolarità che impongono la cultura nazionale e gli sviluppi e i condizionamenti storici, che fanno di quella società qualcosa di particolare e specifico. Quanto appena detto non deve necessariamente rispondere a schemi di tagli imprenditoriale che introducano uno scenario privato nel contesto della gestione pubblica, che porterebbero solamente all’assunzione del modello neoliberista, strumento insufficiente per aumentare il soddisfacimento dei bisogni della società.

5. Riguardo il miglior utilizzo delle risorse

La questione dell’ottenimento del miglior utilizzo delle risorse costituisce un aspetto di fondamentale importanza nell’analisi del comportamento del settore pubblico, che di solito si trova di fronte a restrizioni e limitazioni di risorse a causa delle notevoli e crescenti necessità collettive. L’asse centrale di tutta l’analisi al riguardo è costituito dall’uso alternativo dei mezzi e delle risorse disponibili di fronte a distinte operazioni per la soluzione di queste necessità, in cui si concilino l’efficienza e la qualità e l’efficacia del servizio. Bisogna sempre aver presente che le organizzazioni e istituzioni del settore pubblico, a differenza di quelle del settore privato, non hanno fini di lucro, ma sono orientate alla soddisfazione dei bisogni della società. Questo implica che i metodi e le tecniche per valutare la loro efficienza hanno caratteristiche particolari, che le distingue dall’utilizzo delle risorse secondo l’analisi dei costi e dei benefici per le decisioni in materia di investimento. Ciononostante, bisogna riconoscere che l’Analisi costo/beneficio (ACB) è una tecnica particolarmente utile per valutare la relazione tra le risorse utilizzate (costi), gli obiettivi perseguiti e i risultati ottenuti (benefici). Con questa analisi si possono paragonare progetti differenti o studiare forme alternative per ottenere benefici, essendo particolarmente adeguata per la valutazione di programmi e progetti di investimento del settore pubblico. L’obiettivo dell’ACB è essere d’aiuto per una corretta procedura nel prendere decisioni di fronte a opzioni diverse; le alternative devono essere proposte in piena libertà e con giudizi di valore che possano essere discussi razionalmente (Ibidem: 283). La tecnica dell’ACB consente di (Hernández, A. e Granadillo, M.; 2003: 2): a) quantificare gli effetti e le conseguenze di una decisione; b) valutare l’applicazione di decisioni che soddisfino l’interesse pubblico; c) stimare e studiare in maniera sistematica l’efficienza dell’impatto delle varie politiche; d) quantificare l’efficienza nell’utilizzo delle risorse produttive della società. In definitiva, l’ACB, contribuendo a una migliore scelta tra differenti opzioni, fa sì che si abbia un miglior utilizzo delle risorse, di solito scarse, del settore pubblico, costituendo un metodo che deve avere una maggiore diffusione e promozione (Jiménez, F. et. al.; 2003: 84), e che può essere un’altra via per contribuire a una maggior efficienza del settore pubblico, sempre però al fine di apportare benefici e vantaggi; ragione per cui l’applicazione di questo metodo ha limitazioni intrinseche, se si cerca di avvalersene in società in cui si privilegiano l’applicazione e lo sviluppo di programmi sociali, a partire dalla scelta di privilegiare il benessere pubblico e della maggioranza. La considerazione dell’impatto sociale delle decisioni, delle soluzioni e del loro effetto sulla politica assume un grado di straordinaria importanza nel contesto della gestione pubblica. Nel settore pubblico per contribuire a una maggior efficienza nella gestione, l’assegnazione di risorse deve basarsi sulla comparazione tra benefici e costi: da qui l’importanza di applicare il criterio del costo marginale, che implica che per quanto concerne i costi rilevanti per prendere le decisioni, l’informazione importante al momento della scelta dell’assegnazione delle risorse è costituita dai costi eludibili, ossia quei costi che si possono evitare, che possono cambiare in un senso o nell’altro, proprio come risultato della nostra decisione, nel contesto prima menzionato. Tuttavia, il peso specifico che hanno nella gestione pubblica le decisioni di taglio politico, a partire dall’impatto sociale dei programmi che rispondono alla soddisfazione dei bisogni e delle richieste della maggioranza della società, riduce il ruolo dell’Analisi costo/beneficio come strumento per prendere decisioni. Logicamente, questo è condizionato all’obiettivo e al compromesso sociale delle istituzioni e della sua direzione, poiché il settore pubblico, che veramente risponda agli interessi maggioritari della società, non può pensare allo sviluppo sociale sulla base di strumenti e metodi puramente economici. Il processo è più complesso, poiché la capacità di leadership, le condizioni di distribuzione delle risorse disponibili, l’equità e la motivazione sociale sono elementi che contribuiscono in maniera definitiva al raggiungimento degli obiettivi del processo di gestione. Un ruolo importante nell’assegnazione delle risorse verso il settore pubblico lo riveste il bilancio, che stabilisce limiti e restrizioni finanziarie in corrispondenza con il comportamento previsto per quanto concerne le variabili e gli indicatori macroeconomici del paese. Sono questi limiti a imporre la necessità di una maggiore razionalità nell’utilizzo delle risorse, identificando i tipi di attività e i livelli operativi ai quali sono assegnati. In definitiva, si richiede che siano raggiunti efficacemente gli obiettivi e i programmi previsti, sulla base di una valutazione adeguata dell’efficienza come costo di opportunità e di una scelta debitamente accurata della migliore alternativa per l’uso delle risorse in funzione delle distinte opzioni disponibili. In alcuni paesi si è cercato di fare un passo in avanti nella gestione e nel bilancio per obiettivi. In sostanza, questo metodo consiste nel selezionare obiettivi concreti e mettere in relazione il bilancio finanziario con il costo, identificando e valutando le attività o i compiti da sviluppare per poter ottenere tali obiettivi. Il metodo per obiettivi rappresenta un passo in avanti rispetto alla tecnica tradizionale di bilancio per attività o compiti; il suo sviluppo può contribuire a una maggior efficacia nell’utilizzo delle risorse disponibili. Questo metodo ha dovuto far fronte alla resistenza in alcuni paesi, per le difficoltà di precisare gli obiettivi delle organizzazioni del settore pubblico, di misurare i suoi risultati e di disporre di sistemi contabili e di informazioni appropriate. Tuttavia, per alcune attività specifiche, laddove ci siano le condizioni, il metodo per obiettivi può offrire ottimi risultati. Inoltre esso costituisce un’alternativa fattibile di fronte alle difficoltà che si presentano nello stabilire i programmi, che non offrono di solito l’informazione necessaria a breve termine per consentire una copertura di bilancio opportuna (Albi et. al.; 1997: 212).

6. Stabilire delle priorità di fronte alle necessità crescenti La contraddizione esistente tra le limitazioni e le restrizioni di risorse, che caratterizza le organizzazioni del settore pubblico, e le crescenti necessità di natura collettiva che dette istituzioni devono soddisfare, obbligano non solo a scegliere tra distinte alternative, ma anche a stabilire priorità o mete da raggiungere. Il fissare priorità e obiettivi che rispondano agli interessi che devono essere soddisfatti è ciò che consente di dirigere le risorse limitate verso quelle attività il cui compimento corretto ed efficace risulta determinante per ottenere obiettivi essenziali dell’organizzazione. Sono svariate e molto diverse tra loro le attività e le mete di un’organizzazione pubblica. Questo succede anche in quelle più specializzate. Tuttavia, all’interno di questo insieme di responsabilità, ne esistono alcune che sono molto più importanti di altre e che risultano essere decisive per una valutazione positiva della loro azione. La definizione corretta delle priorità consente di concentrare gli sforzi sulla selezione opportuna dei mezzi e delle risorse più idonei per garantire il loro compimento nel tempo e con la necessaria qualità, così come per stabilire metodi e indicatori che permettano di valutare sistematicamente il loro comportamento. Questo dà un senso di direzione all’azione delle organizzazioni, consentendo loro di reagire senza confusione di fronte ai cambiamenti che potrebbero distorcere gli obiettivi essenziali tracciati. Inoltre questa azione rafforza la motivazione e la sicurezza del personale di fronte agli ostacoli che si dovessero presentare. Allo stesso tempo, le priorità guidano i piani e le decisioni dell’organizzazione e aiutano a valutarne il progresso. Una priorità chiaramente definita, misurabile e con una data determinata si converte facilmente in uno standard che consente di valutare i risultati che si sono ottenuti, facilitando il controllo degli obiettivi essenziali, potendo intraprendere azioni correttive in caso di contingenze non previste (Stoner, J.; 1994: 196-197). Lo stabilire priorità o mete rende più fattibile l’utilizzo del sistema di gestione per obiettivi con responsabilità di risultati, in cui questi ultimi sono valutati in funzione delle risorse utilizzate, di fronte alla filosofia tradizionale, che si concentra essenzialmente nel processo di assegnazione di tali risorse. L’idea è di introdurre meccanismi che impediscano la diluizione delle responsabilità, di sviluppare cambiamenti che facilitino la trasparenza nella gestione e nei rendiconti in termini di risultati, propiziando il miglioramento dei procedimenti di assegnazione delle risorse. Di conseguenza, “l’assegnazione delle risorse dipende dalle priorità e dalle mete stabilite e dalla capacità di gestione delle organizzazioni in termini di efficacia, efficienza economia e qualità” (Albi, E. et. al.; op. cit.). Il processo di definizione di mete e obiettivi, in termini reali, deve comprendere il medio e il lungo periodo per soddisfare realmente le necessità della società e raggiungere risultati stabili e in continua crescita. Questa è una delle sfide principali per il processo di gestione pubblica che si poggia solamente sull’evoluzione del processo elettorale e non riesce ad assicurare una continuità della gestione necessaria per raggiungere gli obiettivi inizialmente prefissati. In relazione al processo elettorale e al suo ruolo nell’assicurare la continuità della gestione necessaria per il compimento degli obiettivi, bisogna considerare il risultato delle votazioni. Non è la stessa cosa ricoprire le posizioni direttive in un processo di gestione pubblica che conti sulla partecipazione della maggioranza della popolazione alle elezioni, e in quei processi in cui solo la minoranza determina chi deve governare per un periodo determinato. Pertanto, non è sufficiente che il periodo per l’esercizio del governo eletto sia di lungo o medio periodo: è imprescindibile tener presente l’appoggio popolare di cui dispone realmente chi è stato scelto per governare. Per esempio, in termini reali, non è paragonabile il governo eletto negli Stati Uniti (da meno del 50% dei votanti) e l’esperienza cubana, in cui i votanti nel 2003 furono il 97,61% degli aventi diritto e in cui il governo scelto ottenne il 91,35% dei suffragi. Bisogna sottolineare che, non solo nel processo di assegnazione annuale di risorse, ma anche nella sua ulteriore esecuzione, bisogna prestare attenzione speciale alle priorità stabilite. Questo processo comincia con l’elaborazione e la presentazione della proposta di bilancio da parte delle istituzioni del settore pubblico alle istituzioni centrali del governo. Una volta presentate queste sollecitazioni, inizia la tappa di analisi e negoziazione tra entrambe le parti, considerando tra gli altri aspetti: a) le priorità del governo3; b) le priorità specifiche dl governo; c) i reclami e le argomentazioni delle istituzioni pubbliche che sollecitano le risorse, rispetto a come i programmi e le azioni promuovono queste priorità generali e specifiche del governo; d) le valutazioni da parte delle autorità centrali della grandezza e natura delle risorse sollecitate e della forza delle fondamenta che le sostengono. In seguito, una volta terminata questa tappa di negoziazione, le autorità centrali, avute le riunioni necessarie con le proprie istanze superiori, presentano il bilancio dello Stato per la sua approvazione ed emanazione come legge del potere legislativo della nazione. Il tutto è accompagnato da un sistema di controllo delle priorità stabilite durante il processo di esecuzione del bilancio, affinché si possano adottare per tempo le misure di appoggio che si rendessero necessarie.

FINE PRIMA PARTE

note

* Prof. Facoltà di Economia dell’Università dell’Avana

1 In questo caso, la politica pubblica socialista è intesa come una serie di azioni preposte dal governo per risolvere una necessità o un problema sociale, vincolate alle condizioni storiche concrete che li generano e agli interessi sociali predominanti, in cui le misure applicate si prefissano il perfezionamento materiale e spirituale della collettività, in funzione del crescente benessere della società nel suo insieme (Pons, Hugo M., Reflexiones acerca del concepto de política pública. Centro de Estudios de Economía y Planificación. MEP, Cuba 2000).

2 Affrontare la situazione di incertezza cercando di ridurre i rischi e incrementare al massimo le possibilità, in un ambiente complesso, obbliga a raffinare le tecniche; la pianificazione deve cambiare di conseguenza, non smettendo di essere pianificazione, di essere preponderante la proprietà sociale dei mezzi di produzione che è la base per prendere di decisioni consensuali per muovere le risorse in primo luogo dove non ci sono, e per decisioni strategiche in mezzo alle maggiori incertezze. Dunque, si rende ancor più necessaria la pianificazione durante il período especial. Tratto da Rodríguez, José L. (2000): “Nuestro modelo no es el que falló en los ex-socialistas”, in El Economista de Cuba. Sección Esta Isla. Enero-Febrero; Cuba, pág. 4.

3 Nel caso della società cubana, queste priorità sono determinate da quelle attività orientate alla soddisfazione delle necessità basilari della popolazione. Così quelle specifiche si concretano nel carattere verticale del processo, cioè in funzione degli interessi settoriali delle attività economiche. Ovviamente un ruolo importante in questo processo lo ricoprono le necessità dell’ambiente, ogni volta che costituiscono questi spazi la sintesi o la realizzazione di questi processi, integrando o coniugando la diversità delle richieste. Inoltre, com’è logico, nella società cubana queste priorità dipendono dalle direttive tracciate dal Partito Comunista Cubano, preposto alla preservazione della direzione socialista del processo; questo implica vigilare sul carattere e sull’orientamento di tali priorità.