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Dario Stefano Dell’Aquila
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Dottorando in Istituzioni, Ambiente e Politiche per lo sviluppo economico, Università di Roma III

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Quel che resta del giorno.

Dario Stefano Dell’Aquila

L’ultima stagione delle privatizzazioni, dall’Alitalia ai servizi pubblici locali

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«I provvedimenti di liberalizzazione adottati nel corso degli anni Novanta in importanti servizi di pubblica utilità hanno riguardato solo il livello nazionale, a livello locale i monopoli pubblici sono rimasti immutati. Questo ha ridotto fortemente i benefici delle liberalizzazioni fin qui realizzate. Addirittura in questi anni si è assistito a un aumento della presenza pubblica a livello locale in palese controtendenza rispetto al superamento dello Stato imprenditore a livello centrale. Liberalizzare i servizi pubblici locali è oggi prioritario».

Andrea Pininfarina, (Vicepresidente Confindustria 23.02.07)

1. Introduzione

Nonostante alcune meritevoli resistenze, si è chiusa una stagione di privatizzazioni e liberalizzazioni che, in impressionante continuità dal 1992 ad oggi, ha privatizzato larga parte del patrimonio pubblico. Possiamo dire che nel giro di un decennio, 1992-2001, si è consumato larga parte del processo di privatizzazione e di vendita delle imprese pubbliche di rilievo nazionale. Dal 2001, ad oggi, si sta consumando ciò che alcuni definiscono un “processo di privatizzazione di secondo livello”, la dismissione quote residue di società pubbliche, specie del settore del credito. In questo nostro articolo ci concentreremo sui futuri processi ed in particolare per ciò che riguarda i servizi pubblici locali, convinti che, per quanto a livello nazionale ci siano ancora importanti partite aperte (si pensi alla Rai e ad Alitalia) questo sia un nodo cruciale. Solo, quindi, per inquadrare il nostro discorso, diamo alcune coordinate di riferimento. Dal 1992 al 2003, il Ministero del Tesoro ha ceduto gran parte delle imprese pubbliche (Iri, Eni, Efim) per un totale di 129 milioni di euro, una quota pari al 12,3% del Pil e seconda, nell’Unione europea, solo al Regno Unito2. La seconda fase di dismissioni, avviata nel 2001 dal governo di centrodestra e che ha riguardato il settore bancario si è limitata ad un ammontare di circa 7.000 milioni di euro, meno del 5% del decennio precedente.

2. Un nuovo obiettivo, i servizi pubblici locali

Conclusa, in larga parte, il primo processo di privatizzazione, contestualmente alla chiusura del processo di secondo livello, a partire dal 2003-2004 si è aperta una nuova fase, quella della privatizzazione dei servizi pubblici locali. Questa nuova fase se non differisce per obiettivo, trasferire in mano privata imprese pubbliche, è certamente differente dalla precedente, per almeno due motivi. Da un lato, la complessità delle situazioni, l’alto numero di imprese municipalizzate e i differenti settori in cui operano, dall’altro la decentralizzazione dei soggetti istituzionali deputati a decidere. Mentre, quindi, il processo di privatizzazione nazionale è proceduto senza interruzioni, con Confindustria in grado di indirizzare scelte governative e voto parlamentare, a livello locale, dove maggior peso hanno le forze di sinistra, e dove i comitati cittadini sono in grado di organizzarsi, le pressioni dei capitali privati non hanno ancora dato tutti i risultati attesi. Infatti se da un lato è velocemente cresciuto il numero di aziende municipalizzate trasformate in società per azioni, dalle 30 del 1996 alle 790 del 2004, dall’altro, nella maggioranza di casi, il capitale pubblico risulta prevalente3. Naturalmente, parte delle difficoltà riscontrate a livello locale si debbono ad una normativa di settore ancora complessa. Per rispondere a queste esigenze, il ministro Linda Lanzillotta4, della Margherita, ha presentato un disegno di legge di iniziativa governativa che deve spianare la via ai processi di privatizzazione dei servizi pubblici locali5. Anche la trasformazione delle società di gestione dei servizi pubblici locali (spl) parte dagli anni ‘90, la legge 142/90 favorisce l’avvio di un processo di riorganizzazione e privatizzazione dei spl, giustificandolo con l’esigenza di applicare principi e direttive comunitarie in materia di liberalizzazione dei mercati. La prima azienda ex-municipalizzata collocata sul mercato è stata l’Amga nel 1996 con la cessione della quota di controllo del 49% da parte del Comune di Genova. Tra il 1996 e il 2003, sono state privatizzate le maggiori società di servizi pubblici locali, quali l’Aem di Milano, l’Acea di Roma, l’Aem di Torino. Come abbiamo detto è un passaggio incompleto, considerato che prevale ancora una forte partecipazione di capitale pubblico. Sussistono, infatti, difficoltà economiche e giuridiche perché questo processo proceda alla stessa velocità della privatizzazione delle imprese di rilevanza nazionale. I governi e le maggioranze che si susseguono preferiscono concentrarsi su queste ultime, mentre il quadro normativo che regola gli enti locali e i loro servizi richiederebbe alcune modifiche legislative6. Ironia della sorte, se oggi è il governo di centrosinistra ad accelerare il processo di privatizzazione dei servizi pubblici locali, si deve ad un articolo della legge finanziaria del governo di centrodestra la possibilità per enti locali di prevedere forme pubbliche di gestione dei servizi locali. L’art. 14 della legge 326/2003 (la finanziaria per il 2004), modificando il testo unico, consente agli enti locali di conferire la gestione dei servizi a rilevanza economica i due modi: A) Selezione, con gara, di società di capitali private B) Affidamento diretto a società di capitale: b1) misto pubblico-privato dove il socio privato è scelto mediante gara con procedura a evidenza pubblica; b2) interamente pubblico (c.d. affidamento in house). Questa norma prevede esplicitamente la possibilità che il servizio sia gestito da società di capitale pubblico. Una possibilità spesso negata da quelle amministrazioni che mascherano come scelte tecniche decisioni politiche. Naturalmente bisogna osservare che questa norma ha una doppia anima. Se, per un verso, tutela la possibilità del pubblico di gestire servizi locali, rispondendo in questo anche alle istanze della destra sociale, dall’altro consente di costituire società miste pubblico-private in cui la presenza pubblica serve solo come cavallo di troia per l’ingresso di privati nella gestione dei servizi pubblici locali7.

3. Il decreto Lanzillotta

In questo punto si inserisce il disegno di legge di iniziativa governativa, presentato dal Ministro degli affari regionali Linda Lanzillotta8. Le parole di Andrea Pininfarina, vicepresidente di Confindustria, chiariscono, senza fraintendimenti, il contenuto del disegno di legge Lanzillotta e indicano quali sono le richieste confindustriali.

“Valutiamo positivamente in questo senso il disegno di legge presentato dal ministro Lanzillotta di riordino dei servizi pubblici locali. Innanzitutto in termini di principi perché assume come forma ordinaria l’affidamento mediante gara con evenienza pubblica, relegando così a situazioni eccezionali gli affidamenti «in house». Va detto però che per evitare i conflitti di interesse, sia in sede di gara sia in sede di gestione, sarebbe necessario privatizzare al 100 per cento tutte le società pubbliche locali. Inoltre la proprietà delle reti non replicabili (come il gas) andrebbe ceduta a soggetti diversi da coloro che gestiranno quei servizi per evitare altri conflitti di interesse. In generale gli enti locali dovrebbero essere regolatori e non soci o gestori di servizi”9.

I servizi pubblici devono essere al 100 per cento privatizzati,reti comprese, lasciando al soggetto pubblico solo il ruolo di regolatore. Non si capisce bene regolatore di cosa, considerato che, sia sul piano economico che giuridico, una volta costituita la Spa essa è regolata solo dal diritto societario e le politiche dei servizi e le relative tariffe sono decise solo dagli assetti proprietari.

In effetti, l’iter del testo, dimostra le difficoltà delle forze della sinistra alternative ad accettare e allo stesso tempo a modificarne i contenuti. La situazione si è poi sbloccata e il ministro degli Affari regionali Linda Lanzillotta ha dichiarato: “abbiamo trovato un accordo su un testo da noi proposto, pienamente coerente con l’impostazione del governo”. Al momento l’accordo prevede che dal testo in discussione venga esclusa la questione della privatizzazione dell’acqua sulla base delle richieste di Prc, Pdci e Verdi che chiedono una “moratoria» dei processi di privatizzazione dei servizi idrici, già in stato avanzato in alcune regioni tra cui la Sicilia, la Lombardia, la Campania e la Toscana. Un punto, quello della privatizzazione dell’acqua, su cui insiste invece Confindustria, nelle osservazioni al ddl presentate in Commissione Affari Costituzionali

“Risulta del tutto immotivata l’esclusione della gestione delle “risorse idriche”, sia rispetto all’impostazione generale del riordino sia della disciplina specifica in vigore. In via principale, si ritiene necessario che il comparto sia disciplinato secondo le logiche del ricorso prioritario al mercato per l’affidamento delle gestioni; in sub-ordine, vista la pressione “politica” sul tema e la difficoltà di recepimento di una tale proposta, a fronte di una ostinata esclusione delle risorse idriche dal riordino generale, andrebbe prevista la possibilità di utilizzare la forma dell’affidamento a società mista, con gara per la selezione del socio privato.”10

E la necessità di privatizzare il sistema dei servizi idrici è stato anche rilanciato dal presidente della federutility, Mauro D’Ascenzi che ha anche individuato un legame tra i nascenti fondi pensione e le risorse da recuperare per la “modernizzazione” del servizio

“Per rinnovare gli acquedotti, a causa dei quali oltre il 40% dell’oro blu si disperde, servono capitali ingenti. Come e dove trovarli? La penuria di risorse - è la risposta di D’Ascenzi - può essere superata ricorrendo all’utilizzo di fondi comuni e previdenziali. ‘’Investire nell’acqua può dare una giusta remunerazione, non speculativa, ma in grado di assicurare un ritorno medio-basso nel lungo periodo”11

Il ministro Lanzillotta, dal canto suo, non vuol sentire parlare di privatizzazioni.

“È assolutamente sbagliato. E temo ci sia un po’ di malizia nel continuare ad usare un termine che allude ad una devoluzione selvaggia al mercato di servizi che rispondono ad esigenze primarie dei cittadini. Non è questo. Noi vogliamo fare una liberalizzazione. Il nostro disegno di legge si basa sull’articolo 118 della Costituzione che assegna alla legge statale il compito di identificare le funzioni fondamentali dei comuni per garantire e rendere effettivi i diritti primari dei cittadini”12.

Quali sono, allora, in contenuti del ddl Lanzillotta? In effetti, bisogna dare atto al ministro che questa legge non privatizza, anche perché non ne avrebbe i poteri. Questa legge definisce il quadro procedurale e normativo che serve ad aprire un processo di affidamento ai privati dei servizi pubblici locali. È una liberalizzazione propedeutica alla privatizzazione di servizi senza mercato, perché si tratta di servizi per i quali non vi è concorrenza. Ed, in effetti, il testo del disegno di legge si limita a stabilire i contenuti della delega che il parlamento affida al governo per l’emissioni di atti successivi. Il disegno di legge Lanzillotta contiene, quindi una delega al governo per la riforma dei servizi pubblici locali per promuovere la concorrenza ed estendere “a tutti i settori dei servizi pubblici locali l’approccio riformatore e costruisca una cornice d’insieme coerente per le sperimentazioni da parte degli enti locali di nuove forme di gestione dei servizi più vicine ai cittadini e per le iniziative imprenditoriali delle migliori aziende di servizi”13.

Come sempre, per approccio riformatore si intende una linea che “deve essere quella di una regolazione forte dei mercati da parte delle autorità pubbliche, che dia spazio al confronto concorrenziale e crei occasioni di sviluppo per le imprese che vogliono crescere e innovare” Ora, sebbene, grazie anche alla mediazione della parte di sinistra della coalizione governativa, la proprietà delle reti rimane pubblica, il decreto Lanzillotta chiude la strada alla possibilità di gestione dei servizi pubblici locali da parte di società a capitale pubblico, una gestione consentita solo eccezionalmente, laddove il ricorso a tali soluzioni sia motivatamente imposto da particolari situazioni di mercato. Come si faccia a creare mercato in condizioni di monopolio di rete, come sia possibile una concorrenza che abbassi i costi in presenza di un unico fornitore di servizio rimane un mistero irrisolto. Ma quanto è grande il mercato dei servizi pubblici? Una breve analisi, può offrire l’idea di quanto ancora resta da spartire. Se consideriamo i comuni di Milano, Torino, Genova, Bologna, Brescia e Napoli14 possiamo osservare che sono ben 33 le società controllate. Otto sono controllate dal Comune di Roma, sette da quello di Milano, sei da Bologna, cinque da Napoli, quattro da Torino, tre da Brescia. Undici operano nel settore del trasporto pubblico, cinque nei servizi ambientali, quattro nella distribuzione energia elettrica e gas, due nei servizi idrici, dieci in servizi vari. Il giro poi si allarga perché queste società a loro volta controllano 125 società (52 appartengono al Comune di Roma, 26 a Brescia, 22 a Milano), per un totale di 158 società controllate comunali. L’Acea di Roma detiene anche partecipazioni in società estere. Complessivamente le quote detenute dai comuni sono pari a 7,7 miliardi di euro15.

Tab. n. 1 - Ricavi e dipendenti delle controllate - 2005 Comune Ricavi Dipendenti Bologna 156.438 2.024 Brescia 1.253.976 2.374 Milano 3.667.355 22.450 Napoli 569.454 8.874 Roma 2.981.874 27.363 Torino 1.541.413 9.567 Totale 10.170.601 72.652 Fonte: ns. elaborazione dati Mediobanca 2007

Un giro di oltre 10 milioni di euro di ricavi e che interessa oltre 70.000 dipendenti (cfr. tabella 1). Le dimensioni di queste imprese sono considerevoli, così come i loro ricavi. Nella tabella 2 un focus sulle società energetiche di Milano, Roma e Brescia e di quelle dei trasporti di Milano e Roma. Si nota cne il numero medio di dipendenti va da un minimo di 1.548 ad un massimo di 8.473.

Tabella n. 2 Ricavi e dipendenti 2004 SETTORE ENERGETICO Ricavi Dipendenti AEM - Milano 1.780 2.095 ACEA - Roma 1.677 4.898 ASM - Brescia 1.180 1.785 Totale 4.637 8.778 SETTORE TRASPORTI ATM - Milano 648 8.473 ATAC - Roma 622 1.556 Totale 1.270 10.029 Fonte: dati Mediobanca 2007

La dimensione del fatturato delle imprese dei servizi pubblici locali è significativa e costituisce una torta che ingolosisce più appetiti. Al momento la situazione di queste imprese è ambigua. La trasformazione in società per azioni ne ha determinato un profondo mutamento genetico, indipendentemente dalla quota di maggioranza pubblica. Un processo più rapido e invasivo per le città di Milano e Roma, ancora da realizzarsi a Napoli, dove da circa tre anni si avviato un forte processo di privatizzazione dell’acqua. Dalle tabelle si nota come solo per la AEM il comune di Milano non detiene una quota che superi il 50%.

Tab. n.3 Le quote nelle società controllate del Comune di Bologna Società Quota Settore ATC 61,62% Trasporto Autostazione 50,50% Gestione Bologna turismo s.r.l. 79,84% Turismo CAAB 51,94% Gestione SRM 61,62% Gestione reti trasporo Fonte: dati Mediobanca 2007

Si tratta quindi di un processo di privatizzazione che si è assestato in una via di mezzo tra pubblico e privato, che va decisamente in direzione del privato. In nessuno dei settori in questione ci sono condizioni di concorrenza e mercato. Le imprese operano su segmenti di mercato unici e del resto non potrebbe essere differente. Ed in ogni caso queste imprese hanno già cominciato ad operare come privati, determinando un sistema complesso di società controllate.

Tab. n. 4 Le quote nelle società controllate del Comune di Brescia 2005 Società Quota Settore ASM - Brescia 69,24% Energia Brescia Mobilità 99,64% Trasporto Centrale Latte 96,04% Alimentare Fonte: dati Mediobanca 2007

Pesano, però, in questa fase i diversi equilibri e modelli di governo regionale e locale ed il fatto, probabilmente, che nelle coalizione locali è più facile per le forze della sinistra alternativa, con il sostegno dei comitati dei cittadini, far sentire il loro peso. Forse questa è una delle ragioni che ha sin qui rallentato il processo di privatizzazione dei servizi pubblici locali. Ma oltre le lotte e le resistenze locali questo processo è stato frenato da un sistema normativo complesso, articolato tra le diverse competenze di stato, regioni ed enti locali e settori diversi (energia, trasporti, servizi idrici, rifiuti), che non ha consentito una regia unica, così come è avvenuto per le privatizzazioni del sistema delle imprese pubbliche di Stato. Il disegno di legge Lanzillotta apre la via ad una modernizzazione ed a una semplificazione normativa che vuole presentare come tecnica una scelta politica, quella cioè di cedere definitivamente lo spazio dell’azione pubblica in favore delle esigenze di un profitto facile, che trasforma i cittadini in utenti e i lavoratori in consumatori. Tab. n. 5 Le quote nelle società controllate del Comune di Milano 2005 Società Quota Settore AEM 42,20% Energia AMSA 100% Servizi ambientali ATM 100% Trasporto Metropolitana milanese 100% Servizi Milano ristorazione 100% Refezione scolastica SEA 84,56% Servizi aereoportuali SOGEMI 99,97% Gestione mercato all’ingrosso Fonte: dati Mediobanca 2007

Tab. n. 6 Le quote nelle società controllate del Comune di Napoli 2005 Società Quota Settore ANM 100% Trasporto Arin 100% Servizi idrici ASIA 100% Servizi ambientali CTP 50% Servizi di trasporto Metronapoli 62% Servizi di trasporto Fonte: dati Mediobanca 2007

Tab. n. 7 Le quote nelle società controllate del Comune di Roma 2005 Società Quota Settore Acea 51% Energia e servizi idrici AMA 100% Servizi ambientali ATAC 100% Trasporto Metro 100% Trasporto Risorse RPR 95,48% Progettazione Roma metropolitane 100% Ingegneria Roma Multiservizi 51% Servizi ambientali Trambus 100% Trasporto Fonte: dati Mediobanca 2007

Tab. n. 8 Le quote nelle società controllate del Comune di Torino 2005 Società Quota Settore AEM 69,15% Energia elettrica e gas AMIAT 99% Servizi ambientali GTT 100% Trasporto SMAT 65,32% Servizi idrici Fonte: dati Mediobanca 2007

Dottore di ricerca in Istituzione, ambiente e politiche per lo sviluppo economico. Componente osservatorio Meridionale Cestes-Proteo

Come nota Confindustria però “tuttavia, se si analizza più dettagliatamente il dato complessivo, le valutazioni sulla performance italiana mutano. Se dal ricavo lordo si sottraggono la quota relativa al trasferimento di indebitamento pari a 13.192 milioni di euro, gli incassi per la vendita di quote non di controllo (61.068 milioni di euro) e per la cessione a fondazioni bancarie (18.160 milioni di euro), si ottiene che solo 54.447 milioni di euro costituiscono i proventi derivanti da operazioni di vendita cui ha corrisposto una cessione di quote di controllo ai privati. Gli incassi derivanti dalle privatizzazioni “effettive” rappresentano solo il 3,9% del Pil, un valore ben al di sotto dell’ammontare complessivo incassato nel periodo rilevante” in Audizione di Confindustria alla Commissione Bilancio della Camera dei Deputati.Roma, 18 maggio 2004 in www.camera.it

Cfr. tabelle dalla n. 3

Dal rapporto Confservizi (Rapporto Confservizi sui Servizi Pubblici Locali. 2005) risulta che nel 2004 la maggior parte delle utility sia di proprietà pubblica e la quota che fa ricorso ad affidamenti diretti sia molto elevata. Specificamente, su un campione di circa 400 local utility (Spa), che rappresenta oltre il 60% delle società operanti nei settori dell’energia elettrica, del gas naturale, del trasporto pubblico locale, idrico e dell’igiene ambientale, emerge che:
  nel 73% dei casi il Comune risulta proprietario unico;
  solo il 3,4% del campione è costituito da società a prevalente capitale privato;
  il 44,4% del campione fa ancora ricorso ad affidamenti diretti nella modalità di selezione del partner;
  nel 47% dei casi il partner selezionato è un operatore/ente pubblico.

I SPL si distinguono in due categorie i servizi a “rilevanza economica”, prevalentemente servizi a rete (acqua, gas, energia elettrica, trasporti, ecc.) e quelli “privi di rilevanza economica”, categoria residuale comprendente una gamma di attività di vario genere, dall’assistenza sociale ai servizi culturali. Cfr. V. Domenichelli, I servizi pubblici locali tra diritto amministrativo e diritto privato, Convegno di studio, La privatizzazione dei servizi pubblici locali,Padova, 25 gennaio 2002, paper

“Il ritardo registrato dal processo di privatizzazione delle public utilities non è solo riconducibile alla riluttanza da parte degli enti locali a rinunciare alla gestione delle aziende, ma è dovuto ai continui interventi di riforma dell’assetto normativo in materia di servizi pubblici locali, rendendo l’intera disciplina incerta, complessa e frammentata”. in Audizione di Confindustria alla Commissione Bilancio della Camera dei Deputati. Roma, 18 maggio 2004 in www.camera.it

In questo caso il capitale pubblico avrebbe l’onere dei rischi ma non l’onore delle scelte

Disegno di legge n. 772 “Delega al Governo per il riordino dei servizi pubblici locali” presentato dal Presidente del Consiglio dei ministri, (PRODI) dal Ministro per gli affari regionali e le autonomie locali (LANZILLOTTA) e dal Ministro dello sviluppo economico (BERSANI) di concerto col Ministro dell’interno (AMATO) col Ministro delle infrastrutture (DI PIETRO) e col Ministro per le politiche europee (BONINO) disponibile in www.senato.it

Cfr. Panorama del 23.02.2007

Audizione del 30 Novembre 2006, in Commissione Affari costituzionali disponibile su www.senato.it

Dichiarazione del 7 marzo 2007

Intervista a l’Unità del 2.11.2006

Cfr. relazione ddl n. 772, op.cit.

I dati disponibili in LE SOCIETÀ CONTROLLATE DAI MAGGIORI COMUNI. BILANCI (edizione 2006), e da LE SOCIETÀ CONTROLLATE DAI MAGGIORI COMUNI ITALIANI: COSTI, QUALITÀ ED EFFICIENZA (edizione 2007) studi commissionati dalla Fondazione Civicum all’Ufficio Studi di Mediobanca

Il valore piu` elevato appartiene a Milano con 3 miliardi di euro (la sola partecipazione in AEM vale 1,2 miliardi di euro), seguito da Roma e Brescia entrambi con 1,6 miliardi di euro (la partecipazione in ACEA conta per 0,9 miliardi di euro e quella in ASM Brescia per 1,4 miliardi di euro), Torino 1,2 miliardi (la partecipazione in AEM Torino conta per 0,7 miliardi). Per Napoli e Bologna, invece, i valori sono sensibilmente inferiori (rispettivamente 290 e 98 milioni di euro).