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Laicismo, libertà di religione, e Stato laico

JORGE RAMIREZ CALZADILLA

Grazie Jorge, per questo ultimo importante contributo (traduzione di Alessandra Ciattini)

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1. Modernità e laicismo

Nel mondo moderno si è sviluppato un ampio dibattito sui rapporti tra le istituzioni religiose, lo Stato, il potere civile in generale; dibattito che non ha trascurato il ruolo della religione e dei suoi istituti nella vita sociale. In generale si dice che la modernità si è sviluppata portandosi dietro il laicismo, in base al quale in occidente si operò affinché le organizzazioni religiose fossero separate dal potere politico e la religione si trasformasse in un fatto privato. Vi furono anche posizioni estreme, i cui sosteniori pronosticarono che, in seguito al processo di secolarizzazione e al progresso sociale, la religione sarebbe scomparsa. Alcuni hanno sostenuto che, per effetto della secolarizzazione, la libertà religiosa, o meglio la libertà di religione, in quanto diritto umano, avrebbe avuto espressione piena, senza più imposizioni, intolleranze, pregiudizi e favoritismi verso certe confessioni. Tuttavia, ancora oggi esistono discriminazioni religiose, alcune evidenti, altre sottili. In vari paesi una certa istituzione religiosa fa parte di fatto, non di diritto, del potere politico. Sono poche le nazioni che rispettano giuridicamente il diritto di non essere credenti, di avere una morale laica e di essere atei; anzi stimolano pregiudizi verso questi atteggiamenti, perché li considerano prova della mancanza di principi, di valori etici e persino di slealtà verso il proprio paese. D’altra parte, l’esperienza indica che l’evoluzione della religione e dei suoi rapporti con gli altri fenomeni sociali non corrisponde a quella prevista, al punto che possiamo registrare una tendenza al suo recupero, nella quale si manifesta non il desiderio di tornare al ruolo che la religione ebbe in passato, ma la volontà di attribuirle maggiore importanza nella vita sociale, rafforzando così le speranze egemoniche dei settori ecclesiastici tradizionali. Nella situazione attuale, in cui domina un potere unipolare e in cui è visibile una forte aggressività esercitata dai centri internazionali di potere, si sta cercando di manipolare la dimensione religiosa per farne uno strumento di opposizione politica verso i regimi e i sistemi contrari a questi interessi egemonici, i quali ultimi cercano di imporre formule neoliberali e globalizzanti all’economia, alla politica e persino alla religione. È opportuno ricordare che, dal punto di vista teorico, il concetto di “laico” è stato ampiamente trattato nella letteratura filosofica, giuridica, sociologica e soprattutto in quella politologica. Si è dibattuto per lungo tempo sul suo contenuto e sulla sua estensione. Anche se questo concetto si è affermato prima del razionalismo, è stato in seguito rafforzato da quest’ultimo. Oggi è ancora valido soprattutto a causa della contraddizione tra i processi di secolarizzazione del mondo moderno e la crisi della razionalità; razionalità che è alla base di tale contraddizione. Tale crisi si manifesta nello sviluppo delle differenze irrazionali tra paesi ricchi e paesi poveri, nell’aggressione all’ambiente e nell’abbandono di ampie masse di indigenti, esclusi dal consumo a causa delle politiche neoliberali. Da questa crisi derivano il notevole incremento religioso nel mondo, la ricerca di alternative nelle utopie e nella religione; ma essa ha prodotto anche i fondamentalismi religiosi e le summenzionate violazioni della libertà di religione. Le diverse definizioni, che sono state date del concetto di “laico”, “laicismo” o “laicità”, ci aiutano a precisare il suo significato attuale. Però un procedimento di questo tipo occuperebbe troppo spazio. In questa sede sono interessato solo a proporre definizioni con uno scopo pratico e ad analizzare le problematiche odierne, soffermandomi in particolare sulla società cubana1. A Cuba lo Stato laico, da un lato, è attuale, data la scelta laica e la volontà di coinvolgere la maggioranza della popolazione nella costruzione di una società priva di intolleranze, pregiudizi e discriminazioni, che generano conflitti sterili; dall’altro, resta attuale a causa del revival religioso, che si è prodotto negli anni ’90, legato alla crisi definita “periodo speciale”. In tale frangente le istituzioni religiose hanno ampliato i loro spazi sociali e riaffermato i loro orientamenti e richieste, mentre dall’estero si cerca di introdurre nell’isola tendenze religiose non tradizionali, caratterizzate da un forte individualismo, che favorisce il disimpegno politico-sociale.

2. Il concetto di “laico”. Specificazioni e problematiche attuali

Il pensiero borghese, specificamente il razionalismo dei secoli XVII e XVIII, tracciò la separazione della politica dalla religione e nello stesso tempo propose come ideale lo Stato laico. Esso si affermò nel diritto e nella pratica in vari paesi, mentre in altri si cercò di impiantarlo, con la speranza di realizzare un modello macrosociale, in cui la dimensione laica, separata dalla Chiesa, sarebbe la più importante, mentre la dimensione religiosa sarebbe secondaria e legata alla vita ecclesiastica. Il razionalismo e l’illuminismo furono la reazione borghese al regime feudale, allo Stato monarchico, che aveva anche una connotazione teocratica, al potere della Chiesa e all’importante ruolo della religione nella vita pubblica. La società borghese moderna è stata costruita su basi razionali, e ciò perché la sua riproduzione si basa sulle leggi economiche, su fattori sociali e politici, seguendo una logica fondata sulle relazioni materiali. Per questa ragione il “metasociale” - come lo chiama F. Houtart2 - ossia il sovrannaturale non costituisce una risorsa imprescindibile, anche se la religione viene talvolta utilizzata come legittimazione complementare. In questo contesto la vita sociale è fondamentalmente laica, lo Stato e l’ordinamento sociale non hanno una legittimazione religiosa. Il potere e le istituzioni pubbliche sono stati desacralizzati. La religione è stata sostituita dalla razionalità. La vera conseguenza del razionalismo è stata che in vari paesi occidentali la Chiesa è stata allontanata dal potere politico; tuttavia ovviamente la religione non è scomparsa. La teoria marxista - analogamente alle teorie della sociologia classica da Comte a Weber - fu elaborata dai suoi fondatori nel contesto del razionalismo moderno, di cui Marx e Engels furono eredi in quanto protagonisti della cultura del loro tempo. Tuttavia entrambi, superando la limitata concezione illuminista secondo cui la religione sarebbe derivata dall’ignoranza e che per questo sarebbe stata abbandonata in seguito al progresso intellettuale, individuarono le radici sociali del fenomeno religioso, cui applicarono la dialettica per mostrarne il carattere contraddittorio3. La pratica ha associato concetti come “laico”, “secolare”, “ateo”; nella vita politica la secolarizzazione è stata collegata alla desacralizzazione, prospettando la separazione tra pubblico / privato, tra società civile e Stato laico. Tali associazioni non costituiscono un sistema categoriale, ma una famiglia di concetti collegati per ragioni pratiche. Con la sola pretesa di avvicinarci a un’idea utile per il suo significato pratico, si potrebbe concordare nel definire questi concetti nella seguente maniera abbreviata. Laico è ciò che concerne una sfera diversa da quella occupata dalla religione, che tuttavia non la contraddice o esclude; riguarda in special modo la politica, l’etica e la cultura. Rispetto al religioso laico è l’altro, ciò che non si fonda sulla credenza nel sovrannaturale, anche se non necessariamente lo nega. Pertanto, non è sinonimo di non credenza e nemmeno di antireligiosità. Secolare si riferisce alla dimensione terrena, al mondo, che dal punto di vista sociologico non ha una connotazione negativa, come accade invece in certe concezioni teologiche dicotomiche, che identificano il mondano con il mondo del peccato. È l’opposto di sacro, però non lo esclude, intendendolo come la dimensione in cui opera il sovrannaturale. Etimologicamente ateo significa senza dio. Questa parola implica dunque una concezione che non prevede l’esistenza di Dio o delle divinità. Tuttavia, non è sinonimo di non credenza, per il fatto che nella pratica sociale si possono osservare convinzioni religiose che non si basano sulla presunzione di esistenza di figure assimilabili alle divinità. A Cuba un esempio di ciò si trova nella religiosità popolare, nella quale esistono molte credenze che non fanno riferimento all’esistenza del sovrannaturale personificato4. Secolarizzazione, desacralizzazione o laicizzazione sono termini, con cui si indica il processo che ha accompagnato la modernità, con il quale si intende la perdita di importanza della religione nella vita sociale, delle sue possibilità di intervento nelle relazioni sociali. Ha una base oggettiva in determinati fattori sociali e si manifesta in convinzioni e in comportamenti. Nella sfera della coscienza e della pratica sociale il laicismo spodesta la religione. I confini tra pubblico e privato sono molto imprecisi. Entrambi i concetti designano fenomeni, processi, concezioni, attività, attributi e diritti interconnessi e che in alcuni casi sono addirittura complementari o opposti. Il contenuto di questi due campi varia a seconda dei fattori sociali implicati e anche a causa di congiunture economiche, politiche o ideologiche. Il comune cristiano usa la parola “laico” per indicare sia ciò che non è religioso sia quei credenti che non sono consacrati, che per questo non fanno parte del clero. La Chiesa cattolica impiega il termine “secolare” con questo stesso significato. Da ciò deriva la pratica di chiamare “laicali” o “secolari” i movimenti o le organizzazioni, vincolate alla Chiesa e sottoposte ad un certo controllo da parte di essa. Ciò ha generato confusione per il fatto che il termine “laico” viene qui riferito ai membri non consacrati della chiesa, i quali però appartengono ad essa. D’altra parte, la Chiesa cattolica definisce secolare anche la parte del clero che vive nel “secolo” (saeculum), ossia in un mondo diverso da quello del clero “regolare”, organizzato in comunità seguendo una regola (regula). Nella vita sociale si definisce “laica” una concezione del mondo diversa dalla visione religiosa; analogamente sono laici i comportamenti e le relazioni che condividono questo stesso carattere. Pertanto, abbiamo una filosofia, un’etica, una politica, un diritto, istituzioni, uno Stato di tipo laico. Storicamente il laicismo ha avuto sempre strette relazioni con la sfera pubblica, con cui la dimensione religiosa ha invece avuto rapporti variabili, essendo principalmente legata alla vita privata. Nel Medioevo si produsse la sacralizzazione del potere e di certe funzioni pubbliche, così come nelle epoche precedenti nelle religioni “naturali” era stata sacralizzata la natura con i suoi frutti. In ogni modo dobbiamo tenere conto che il campo religioso è particolarmente complesso ed ampio. La religione in generale e le sue manifestazioni particolari partecipano in maniera diversa alla vita sociale e individuale. Esse intervengono nelle relazioni istituzionali, governano il comportamento, forniscono un modo di concepire la realtà e di spiegarla; in breve, a seconda del loro livello di sistematizzazione, entrano in relazione con fattori filosofici, politici, psicologici, etici, culturali e con la vita quotidiana. Concludendo, il laicismo, mettendo da parte le diverse interpretazioni che ne sono state date, è determinato da un insieme di fattori oggettivi e soggettivi, che ci spingono ad esaminarlo contestualmente e secondo il modo in cui si manifesta nella pratica sociale. Nel mondo contemporaneo esso si manifesta in due forme di particolare complessità e conflittualità: la libertà di religione e lo Stato laico.

3. La libertà di religione

Un fattore, che ha costituito un problema per la religione, è stato il riconoscimento del diritto a praticare religioni diverse o a non praticarne nessuna; fattore che è stato accompagnato da intolleranze, discriminazioni, forme di egemonia. La religione è stata il motivo scatenante reale o apparente di molti conflitti sanguinari. Il mondo contemporaneo presenta ancora problemi di questo tipo. Possiamo comprendere a fondo la libertà di religione solo se teniamo presenti le sue molteplici interrelazioni in uno specifico contesto e i suoi antecedenti storici. Alcuni analisti sottolineano l’universalità e la trascendenza dei diritti umani, tra i quali è annoverata la libertà di religione, ma questo atteggiamento implica il mancato riconoscimento del condizionamento e dei contesti storici; fatto che non ci deve condurre al relativismo5. La libertà di religione è plasmata da circostanze specifiche, che la limitano o le permettono di manifestarsi in maniera più ampia, ne ne determinano il contenuto e il carattere. Dall’altro lato, la libertà di religione richiede un trattamento obiettivo. Non può essere sottostimata, perché ciò la subordinerebbe ad altri fattori sociali con conseguenze negative per i credenti. Né dobbiamo sopravvalutarla fino al punto di considerarla “la base di tutte le altre libertà”6, come sostengono spesso le gerarchie ecclesiastiche. Nella Dichiarazione dei Diritti Umani, approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 1948, si proclama il diritto di aderire a una qualsiasi religione, di cambiarla, di manifestare le proprie credenze nella vita privata e nella vita collettiva7; nello stesso tempo si afferma che la religione non può costituire la ragione per l’esercizio di un qualsivoglia diritto. Tali definizioni sono state diversamente interpretate e applicate prima e dopo la Dichiarazione8 a seconda delle condizioni dei diversi paesi. In un certo modo, la libertà di religione è espressione delle relazioni Chiesa / Stato e anche di quelle religione/ società. Pertanto, essa si manifesta nei sistemi di pensiero e nei programmi politici, oltre che nella pratica delle relazioni e dei comportamenti, non sempre in corrispondenza con quanto si proclama. La nozione di libertà religiosa implica non solo la multireligiosità e la difesa dal libero pensiero, ma anche che gli individui e i gruppi possano scegliere liberamente la loro religione, senza essere intralciati o dover subire conseguenze negative per la loro opzione.

4. Il concetto di Stato laico

Probabilmente il laicismo ha la sua espressione concreta più evidente nella pratica statale. Rispetto alla religione lo Stato deve regolarsi secondo la legge, rispettando sia gli articoli della Costituzione che le leggi specifiche, in particolare quella che curiosamente è stata chiamata Legge dei culti. Questa si occupa non delle attività rituali, ma dei gruppi religiosi, delle loro attività e diritti rispetto allo Stato. Dal carattere della legislazione, ma in maggior misura dall’agire pratico, dipende se lo Stato è laico o confessionale. Lo Stato laico non è tale solo in quanto è neutrale nelle questioni religiose, è separato dalla Chiesa, prevede l’insegnamento laico o perché tratta nello stesso modo tutte le confessioni. Esso ha, rispetto a tutti questi aspetti, una strategia e una volontà politica. “Lo Stato laico non è lo Stato confessionale... è tale quando non ha bisogno della religione come mezzo di integrazione sociale o come cemento per l’unità nazionale”9. Uno Stato laico presuppone determinate premesse. Cominciamo con l’indicare le seguenti:
  La separazione tra la Chiesa (includendo ogni organizzazione religiosa che abbia o no una struttura ecclesiastica) e lo Stato in quanto istituzioni di natura distinta, con autonomia funzionale ed economica.
  Trattamento paritetico di tutte le religioni, sempre se queste ultime rispettano la legge e la morale, non danneggiano la salute né l’integrità degli individui (questo chiarimento sembrerebbe inutile in rapporto all’attuale concetto etico di religione, però dobbiamo tenere conto che oggi si sono diffuse tendenze religiose distruttive).
  Accettare la libertà religiosa e garantire il suo esercizio (diritto di avere credenze religiose, di modificarle, di praticare un culto, di non essere credenti e di non praticare nessun culto). Lo Stato laico rappresenta nello stesso tempo credenti e non credenti.
  Non favorire nessuna religione (il proselitismo spetta ad ogni organizzazione religiosa), ma nemmeno discriminare e perseguire.
  Riconoscere l’esistenza delle organizzazioni religiose registrate secondo la legge e il diritto di ognuna a sviluppare le proprie attività.
  La morale e l’educazione sostenute e diffuse ufficialmente sono laiche; ciò non implica l’esclusione della moralità religiosa né della possibilità di ricevere l’educazione religiosa impartita con i propri mezzi dalle diverse istituzioni riconosciute.
  Non ostacolare l’esercizio del culto religioso di nessuna organizzazione riconosciuta, non intervenire su quest’ultimo né sulle strutture organizzative.

Questi princípi comportano diritti e doveri sia per lo Stato che per le organizzazioni religiose. Spesso si dimentica questo duplice aspetto e si esaminano i problemi in maniera unilaterale.

5. Libertà di religione e Stato laico

Il laicismo e gli aspetti ad esso associati hanno avuto a Cuba uno sviluppo diverso da quello che caratterizza l’America Latina, anche se la cultura cubana non si discosta dall’identità latinoamericana né ovviamente da quella caraibica. Si tenga conto che la nozione di identità implica anche quella di differenza. Da parte sua, lo sviluppo del pensiero cubano, fino al formarsi della nazione, è stato influenzato dal libero pensiero, dal laicismo, dall’atteggiamento antidogmatico e anticlericale, ma non antireligioso, probabilmente in maniera più profonda rispetto al pensiero degli altri paesi circonvicini. Ciò risulta dalla produzione intellettuale cubana, dalla legislazione sulla religione e dalle Costituzioni. Questa ideologia critica si oppose alla religione dominante. Criticò: a) il dogmatismo filosofico e la sua applicazione all’insegnamento, come si ricava dall’opera di Félix Varela, il quale coniugò l’ideale indipendentista e l’antiscolasticismo; b) le interpretazioni antiscientifiche per influenza del darwinismo e del positivismo; c) il comportamento della Chiesa ufficiale e la sua egemonia spirituale e politica, richiamandosi all’anticlericalismo, al deismo, al libero pensiero e talvolta all’ateismo. La precocità della costruzione teorica e la profondità della stessa, legata ad un’attività conseguente, attribuiscono a Félix Varela e al padre José Agustín Caballero (entrambi sacerdoti, ma non accettati dal clero spagnolo, tanto che fu criticato il vescovo Espada che li aveva sostenuti) un ruolo particolare nel pensiero fondante la nazione, che ha influenzato anche le generazioni successive. Anche se Varela e Caballero non poterono essere né furono anticlericali e meno che mai atei, il loro antidogmatismo, le loro idee di libertà dettero basi solide alla riflessione dei loro seguaci. In generale assimilarono questa coscienza critica quei pensatori che hanno lasciato le tracce più profonde nella coscienza sociale cubana. Oltre Martí, il più studiato e rappresentante un modello, ricordiamo Varela e Caballero, una sorta di precursori, Felipe Poey, Antonio Mestre, Julio Sanguily, Luz y Caballero nel secolo XIX, Varona, che visse anche nel XX secolo, e tutti gli altri che appartengono a questo secolo, come Rubén Martínez Villena, Julio Antonio Mella, Juan Marinelo, Fernando Ortiz, Emilio Roig de Leuchsering e gli altri esponenti della generazione degli anni ’30. A questi dobbiamo aggiungere la generazione del Centenario con Fidel e Che Guevara, che, se anche non affrontarono profondamente la questione religiosa, dichiararono che la rivoluzione latino-americana sarebbe stata possibile solo quando i cristiani avrebbero aderito incondizionatamente alla lotta. Questo modo di pensare non è presente solo nella sfera teorica, ma si manifesta anche nella pratica politica e giuridica, in modo particolare nelle Costituzioni della Repubblica in Armi, che raccolsero la tradizione mambisa, ripresa dalla Costituzioni successive, nelle quali non viene privilegiata una particolare confessione. Tale concezione si affermò a Cuba prima rispetto agli altri paesi del continente resisi indipendenti dal colonialismo spagnolo, senza che fosse pattuito un Concordato con il Vaticano o con un’altra chiesa, una volta superato il Patronato Regio dell’epoca coloniale. Inoltre, Cuba è una delle poche nazioni che ammette nella Costituzione il diritto di non essere credenti, segno del riconoscimento della più ampia libertà in tale materia, e non proibisce che ministri del culto occupino cariche pubbliche. Il libero pensiero e l’anticlericalismo non presuppongono necessariamente l’ateismo. I due summenzionati elementi stanno alla base dell’atteggiamento comune ai pensatori cubani, che sono più o meno radicali, accettano la pluralità religiosa e criticano il ruolo politico avuto dalla Chiesa cattolica durante l’epoca coloniale. Possiamo osservare una certa variabilità di opinioni in questi pensatori. Nelle sessioni dell’Assemblea costituente nel 1901, per esempio Sanguily dichiarò: “A Cuba la religione e l’ignoranza furono sempre strettamente legate; inoltre, la Chiesa si allontanò dal popolo per il suo comportamento, spingendo molti a non essere religiosi”10. Per Martí la Chiesa fu sempre la migliore alleata dei potenti11. Egli aggiunse che “furono gli uomini ad inventare gli dei concependoli uguali a loro”12, ma non deve per questo esser considerato ateo. Varona esprime il suo agnosticismo affermando: “All’ombra della religione e protette da essa fiorirono le più grandi aberrazioni”13. Successivamente, analizzando il comportamento del clero durante la conquista e la colonia, Fernando Ortiz lo definì bellicoso, intransigente, ignorante, povero di spirito, egoista14. Infine, un gruppo che non si può considerare ostile alla Chiesa, come la Agrupación Católica Universitaria, fece nel 1953 una ricerca nazionale, dalla quale risultò che il 39,4% degli intervistati15 era assai critico verso il clero. Si tratta quindi di un anticlericalismo abbastanza diffuso. La storia cubana deve essere divisa in tre fasi: coloniale (conquista e colonizzazione spagnola), repubblicana neocoloniale (1902-1959), rivoluzionaria (cominciata nel 1959). In ognuna di queste fasi gli avvenimenti riguardanti la sfera religiosa sono di carattere differente e anche nella stessa fase vi sono momenti diversi. Le epoche precedenti spiegano gli eventi dell’ultima, che analizzaremo in profondità. Nel corso di questo movimento storico-sociale a Cuba la religione ha acquisito caratteristiche tali che in essa sono individuabili tre aspetti16. In primo luogo, l’insieme delle forme religiose, che compongono il panorama cubano, sono differenti, etereogenee e persino contraddittorie. La complessità del quadro religioso non è dovuta alla quantità delle diverse forme, ma all’origine differente delle manifestazioni religiose esistenti. In secondo luogo, per varie ragioni nessuna espressione religiosa organizzata ha predominato sulle altre in modo tale da divenire tipica della religiosità cubana. Tuttavia, nelle diverse epoche storiche il cubano ha seguito una religiosità, che è la più diffusa, e che si manifesta con relativa autonomia dalla ortodossia dei sistemi religiosi specifici. Essa è spontanea e legata alla vita quotidiana. La possiamo chiamare “religiosità popolare”, la quale - come la cultura cubana - è un prodotto nuovo derivato da una particolare sintesi di differenti elementi. In questo senso è sincretica ed eclettica. In terzo luogo, in nessuno dei sistemi socioeconomici instaurati a Cuba il metasociale o la religione costituirono il fondamento della riproduzione sociale. Per questo motivo a Cuba la religione non ha mai avuto una grande importanza sociale, almeno se compariamo questo aspetto con la situazione degli altri paesi dell’America Latina. Sotto il dominio coloniale della Spagna si imposero il cattolicesimo come religione egemone e praticamente escludente, si diffusero le religioni africane, che nel contesto cubano si trasformarono profondamente e, alla fine del XIX sec., lo spiritismo e il protestantesimo, provenienti dagli Stati Uniti. La cultura e la religiosità indigene ebbero poca importanza, a differenza di altre regioni dell’America Latina, dove la cultura incaica e mesoamericana sono tuttora rilevanti. Nella fase coloniale la libertà religiosa praticamente non era riconosciuta, era favorito il cattolicesimo in virtù di una relazione organica tra la Chiesa cattolica e la Corona spagnola. Di fatto il Patronato Regio, strumento con il quale erano regolate le relazioni Chiesa/Stato, rendeva la prima dipendente dagli interessi politici, anche se ne era beneficiata in quanto le veniva attribuito un ruolo egemone. In tale contesto si cacciarono ebrei e musulmani dalla metropoli, si impedì che le chiese protestanti si stabilissero a Cuba, si cercò di far scomparire le religioni africane, obbligando i loro fedeli a convertirsi come si era fatto con gli indigeni. In questo caso, si verificò anche lo sterminio etnico, che riguardò anche gli africani schiavizzati, i quali riuscirono a preservare la loro cultura, componente della cubanía, sia per la loro capacità di resistenza sia perché il sistema non fu in grado di assicurare la loro reale conversione al cattolicesimo17. Ciò spiega la consistente presenza africana nella religiosità cubana. La strumentalizzazione della religione per appoggiare gli interessi coloniali produsse nel nascente pensiero cubano l’anticlericalismo, che, per un malcompreso nazionalismo più violento durante la lotta per l’indipendenza, segnò la società cubana, anche se non si manifestò in forme estreme come in altri paesi. Questo fattore e l’influenza del libero pensiero lasciarono il segno nelle Costituzioni approvate durante la Repubblica in Armi. La Costituzione della Repubblica di Cuba, approvata il 10 aprile 1869 a Guáimaro (Camagüey) in piena guerra independentista, recitava all’articolo 28: “Il Parlamento non potrà mettere in discussione la libertà di culto, la libera impresa, le riunioni pacifiche, l’insegnamento né la libera espressione, né nessuno dei diritti inalienabili del popolo”. La Costituzione di Jimaguayú, sempre in Camagüey, approvata il 16 settembre 1895, non contiene riferimenti alla religione. Quella della Yaya, nella stessa regione, varata il 29 di settembre del 1897, afferma all’articolo sesto: “I cubani e gli stranieri non saranno perseguitati per le loro opinioni religiose e saranno liberi di seguire i rispettivi culti, se essi non sono in contraddizione con la morale pubblica”. Aggiunge all’articolo tredicesimo: “Tutti i cubani hanno il diritto di esprimere liberamente le loro opinioni, di associarsi e riunirsi per scopi leciti”. Come si può vedere, in nessuna Costituzione si indica una religione ufficiale o favorita, in due si riconosce esplicitamente la libertà di culto e in una la libertà di esprimere le proprie opinioni religiose. Di fatto queste Costituzioni sono espressione del libero pensiero, che propone il pluralismo religioso in un contesto in cui avevano dominato il Patronato Regio e l’egemonia escludente cattolica. Fu inaugurata così una tradizione che sarà successivamente arricchita. La fase repubblicana è preceduta da un momento di transizione, nel quale si conclude la dominazione spagnola e intervengono militarmente i nordamericani (1898-1902), i quali favorirono lo stabilirsi delle chiese protestanti sotto il controllo delle Giunte missionarie. Esse scacciarono i primi missionari, che erano cubani, alcuni dei quali avevano partecipato al moto indipendentista. A partire da quel momento e durante questa fase repubblicana le chiese protestanti diffusero la cultura nordamericana, così come afferma il vescovo metodista della Georgia Warren A. Candler, per il quale l’attività della chiesa doveva essere complementare al lavoro del “soldato e del marinaio”18. Nella misura in cui cominciarono ad essere influenti nella pratica i criteri del libero pensiero riconosciuti dalla Costituzione il quadro religioso subì modifiche e la competizione caratterizzò le relazioni tra le organizzazioni religiose. Tuttavia, gradualmente la Chiesa cattolica riuscì a recuperare la posizione privilegiata, mentre le religioni di origine africana e lo spiritismo, diffusi tra i settori popolari, furono discriminati e ancora forte era il pregiudizio verso i non credenti. Gli Stati Uniti instaurarono a Cuba il primo sistema neocoloniale che frustrò gli ideali indipendentisti. Nella sfera religiosa ciò comportò tre aspetti principali: l’affermarsi di un atteggiamento ispirato al libero pensiero e rispettoso del pluralismo religioso, il supporto alle chiese protestanti in consonanza con gli obiettivi ideologici nordamericani, infine la legittimazione della Chiesa cattolica che, nonostante il suo comportamento nell’epoca coloniale, era ancora in grado di intervenire nella vita sociale. Di fatto era l’unica istituzione che manteneva la sua struttura dopo una guerra prolungata e devastante. Nel 1901 fu promulgata la prima Costituzione repubblicana, la quale invocava nelle sue parole iniziali “il favore di Dio”, affermando più avanti nell’articolo 26, titolo IV: “La professione di tutte le religioni è libera come è libera la pratica di tutti i culti, purché rispettino la moralità cristiana e l’ordine pubblico”. Più avanti affermava: “La Chiesa è separata dallo Stato, il quale non potrà sovvenzionare in nessun modo alcun culto”. Nell’articolo 31 si dichiara che la scuola elementare è obbligatoria e gratuita, come l’apprendimento dei mestieri e delle professioni, essendo entrambe a carico dello Stato. In precedenza, nel 1898, il generale nordamericano Leonard Wood aveva emanato una Costituzione provvisoria, nella quale si attribuiva libertà di culto solo ai cristiani. Rispetto al dibattito provocato dalla proposta di includere il nome di Dio nel Preambolo della Costituzione, il Dr. Fernández Bulté ha osservato che esso assunse toni esagerati. Questo giurista ricorda che Salvador Cisneros Betancourt colse l’occasione per fare una dichiarazione atea e per censurare le autorità ecclesiastiche, come Sbarretti, da poco nominato vescovo dell’Avana. Inoltre, si oppose con vigore al desiderio di menzionare Dio nella Costituzione e di concedere spazio a tale entità soprannaturale nella vita politica del paese. Altri delegati accettarono la proposta e vi fu qualcuno che, come Gustavo Llorente, addusse la sua adesione al cattolicesimo. Manuel Sanguily dette un contributo alla soluzione della disputa, affermando che “In definitiva, Dio è il simbolo del bene che si realizza con noi, contro di noi, nonostante noi, ora, nel passato e nel futuro”. Secondo quanto scrive Fernández Bulté, si pronunciò a favore della proposta, la quale implicava che “si invocasse questo simbolo come espressione della speranza e della volontà del popolo cubano di raggiungere la bontà”19. La Carta Magna, con la quale nasceva la Repubblica, conservava la tradizione del libero pensiero presente nelle Costituzioni della Repubblica in Armi delle guerre indipendentiste. È significativo che a Cuba, resasi tardi indipendente dalla Spagna, si decretasse la separazione tra Chiesa e Stato - aspirazione della modernità e della borghesia liberale, ma non facilmente accettata dalla Chiesa cattolica - prima di altri paesi del subcontinente americano. Indubbiamente si trattava di un testo avanzato, anche se imponeva la morale cristiana ai non cristiani e ai non credenti, i quali non vedevano neppure riconosciuto il diritto di essere tali. Nel 1933 e nel 1935 il Governo provvisorio promulgò Statuti nei quali non si toccava il tema “religione”, e una Legge Costituzionale che riproduceva l’articolo 26 della Costituzione del 1901. Nel 1940 fu varata la seconda Costituzione repubblicana, che come la prima invocava il favore di Dio; fatto che suscitò l’opposizione dei costituenti progressisti. Essa stabiliva la libertà di professione di tutte le religioni, “purché rispettassero la morale cristiana e l’ordine pubblico”. L’articolo 43 conteneva una novità: “È valido solo il matrimonio autorizzato da funzionari che hanno la capacità legale per farlo”. In questo modo si disconosceva la validità legale del matrimonio ecclesiastico. Nell’articolo 55 si stabiliva che l’insegnamento pubblico è laico - cosa avanzata per quell’epoca e per l’America Latina -, anche se si consentiva alle scuole private di insegnare qualsiasi religione. Su questi temi si esprimeva in maniera analoga la Legge Costituzionale della Repubblica di Cuba, approvata il 4 aprile 1952 (imposta di fatto dal regime per giustificare la sua incostituzionalità). Superati i due primi decenni di vita repubblicana, la Chiesa cattolica riuscì a risolvere le contraddizioni, che fino ad allora avevano reso difficili i rapporti con la borghesia nazionale. Violando i principi costituzionali questa istituzione, anche se non poté ristabilire la situazione coloniale, riuscì a intrecciare ancora una volta uno stretto rapporto con il potere politico, dal quale le derivarono alcuni privilegi non condivisi dalle altre organizzazioni religiose. Nello stesso tempo cominciò a presentarsi con un’immagine più cubana. Le relazioni diplomatiche con il Vaticano, stabilite a metà della fase repubblicana, dettero forza al suo ruolo grazie al fatto che godeva di un sostegno internazionale più forte di quello di cui disponevano le chiese protestanti grazie all’appoggio delle chiese madri. Durante questa fase il protestantesimo moltiplicò le sue denominazioni, riproducendo la caratteristica di questa confessione nella società nordamericana. Ci sono evidenze delle permanenti inquietudini che l’egemonismo cattolico generava in queste chiese; egemonismo che si manifestava nei summenzionati rapporti di preferenza, che avvicinavano la Chiesa cattolica, de facto se non de jure, al potere politico. Inoltre, le leggi obbligavano queste istituzioni a essere iscritte nel registro ufficiale; obbligo da cui era illogicamente esentata la Chiesa cattolica. In quegli anni fu creato il Concilio Cubano de Iglesias, che successivamente cambiò nome fino a diventare il Consejo de Iglesias de Cuba, allo scopo di costituire un fronte unito dinanzi al cattolicesimo e di favorire l’unità religiosa tra le chiese evangeliche; unità che più tardi avrebbe dato al Consiglio carattere ecumenico e sensibilità sociale. In contrapposizione al disinteresse dello Stato le chiese cristiane svilupparono l’assistenza sociale ed educativa, anche se intesa come opera di carità. Per quanto riguarda i collegi privati, nei quali la Chiesa cattolica preparava i futuri sacerdoti, essi costituivano anche un’importante fonte di denaro. Queste funzioni erano altamente apprezzate dalle istituzioni religiose, tanto che per molte costituivano la principale ragione di esistenza. Pertanto, la loro riduzione o perdita caratterizzeranno in maniera diversa i successivi conflitti con lo Stato. Al contempo esse promuovevano e promuovono valori morali, tanto che la predica con contenuti moralistici si sviluppò consistentemente nelle chiese protestanti. Lo Stato repubblicano si disinteressò delle altre espressioni religiose, discriminando lo spiritismo e specialmente le religioni di origine africana come la Santería, il Palo Monte, le Società Abakuá. La legge prevedeva ulteriori sanzioni nel caso di procedimento giudiziario contro i fedeli di queste religioni assimilate alla stregoneria. Duranti i primi anni della fase rivoluzionaria si ebbero forti conflitti tra la chiese cristiane e il nuovo Stato caratterizzati da interventi di chiaro contenuto politico. Essi furono generati dalla mentalità prevalente in quegli anni di guerra fredda, dal fatto che il clero era in maggioranza straniero, dall’atteggiamento elitario delle varie chiese, che a loro volta dipendevano da strutture collocate al’estero. Inoltre, ancora non c’era stato in ambito cattolico il Concilio Vaticano II con le sue aperture, né in ambito protestante si era formato il Consiglio Mondiale delle Chiese. La Rivoluzione cubana, d’altra parte, interruppe il processo di revival religioso, che era cominciato alla fine degli anni ’50, e privò la Chiesa cattolica, che si oppose assai energicamente al nuovo regime, del suo ruolo egemonico e privilegiato per riscattare la laicità costituzionale. Nel 1965 fu costituito il Partito comunista come forza politica dominante, riunendo i gruppi che avevano partecipato alla lotta insurrezionale in un’istituzione strutturata e ispirata al marxismo-leninismo, dandosi come obiettivo politico principale la costruzione del socialismo. Allora si considerò dovere dei militanti, indicato dagli Statuti del Partito, “lottare contro l’oscurantismo religioso”; cosa che fu interpretata in generale come la non accettazione dei credenti. Gradualmente si assimilò il modello sovietico con il suo ateismo maldefinito “scientifico” sulla base di principi rigidi, dogmatici e antidialettici, che negavano quei fondamenti filosofici che debbono supportare la pratica politica. Questa situazione durò sino alla fine degli anni ’80, quando iniziò il processo di rettificazione, che favorì una concezione più obiettiva della religione e una pratica conseguente. Forse ciò che più influì sulla riduzione della presenza sociale della religione all’inizio degli anni ’60, a parte l’atteggiamento politico assunto dalle chiese, che per questo persero l’appoggio popolare, e la fuga dal paese di sacerdoti e pastori legati ai settori agiati autodefinitisi cristiani, furono questi processi: l’intensificarsi della secolarizzazione già cominciata in precedenza, la soddisfazione dei bisogni popolari e, in conseguenza di ciò, l’abbandono del ricorso al sovrannaturale; ricorso che era frequente nella religiosità prevalentemente dinanzi alle difficoltà e ai problemi quotidiani. L’atteggiamento favorevole all’ateismo rese più forti queste tendenze nella popolazione, anche se non si verificò mai una conversione massiccia alla non credenza. Dalla fine degli anni ’60 la Chiesa cattolica si aprì al dialogo e persino all’accettazione dei valori della nuova società. Ciò si può ricavare dai documenti finali dell’Incontro Nazionale Ecclesiale Cubano (ENEC), celebratosi nel 1986. In questo contesto si mostrò di comprendere a fondo il processo socialista cubano, giungendo a riconoscere che la Rivoluzione aveva insegnato a dare per giustizia ciò che prima si dava per carità. Dopo questo evento, tuttavia, ci sono stati cambiamenti anche se sempre orientati dalla Dottrina Sociale della Chiesa; in certi casi si è trattato solo di sfumature, in altri di variazioni più profonde, particolarmente dure nei momenti più difficili della crisi economica degli anni ’90. L’atteggiamento sociopolitico delle chiese protestanti è stato eterogeneo anche al loro interno. Vi furono chiese che si opposero apertamente al processo rivoluzionario, specialmente nella prima metà degli anni ’60. Il mancato rispetto di certe regole formali da parte dei Testimoni di Jeova, che si mostrarono fortemente ostili, fece sì che fossero cancellati dal Registro delle Associazioni del Ministero di Giustizia e che i Saloni del Regno fossero trasformati in scuole, asili per l’infanzia, etc. A poco a poco prevalse la moderazione e l’atteggiamento si modificò in larga misura. Alcune delle chiese, che avevano reagito con violenza al cambiamento sociale, successivamente organizzarono il lavoro volontario nei campi, realizzarono opere sociali o parteciparono ad attività importanti dal punto di vista sociale. Oggi i Testimoni di Jeova si mostrano pronti al dialogo e non ostili. Soprattutto nelle chiese storiche, ma anche in altre confessioni, tra cui le chiese pentecostali20, nel movimento ecumenico si sviluppò assai presto un pensiero teologico contestualizzato orientato verso la società, che ha fatto proprie le istanze popolari e il progetto sociale socialista. Esso coincide con la Teologia della Liberazione latinoamericana. Si differenzia da quest’ultima perché è sorto in un diverso contesto sociale, inoltre si è sviluppato in ambito protestante ed è antecente alla Teologia, sviluppatasi nel subcontinente americano. I suoi fautori sono a favore del socialismo. Juana Berges e René Cárdenas l’hanno definita Nuova Teologia Cubana21. Le manifestazioni religiose che si sono diffuse nei settori popolari, non si sono opposte al processo rivoluzionario. In maggioranza i loro seguaci hanno reagito sulla base delle loro aspirazioni e non ispirandosi a teorie filosofico-politiche legate a forme religiose strutturate. È il caso delle religioni di origine africana, dello spiritismo e della religiosità popolare. Non rispondendo a un fine predeterminato, le religioni di origine africana, anche quando si trovarono a operare in un clima ateizzante, ricevettero uno stimolo dovuto a due fattori principali. Da un lato, l’ascesa sociale delle masse popolari, nelle quali si trovava la maggior parte dei loro adepti, e l’eliminazione delle discriminazioni sociali e razziali. Dall’altro, la politica di riscatto delle radici culturali e del folclore africani, a cui sono strettamente legate queste espressioni religiose. Prima dell’affermazione dell’ateismo scientifico, sin dalla presa del potere, nella direzione del Partito e dello Stato si definirono gradualmente lineamenti politici che si basavano sulle idee centrali della tradizione cubana, secondo le quali, ognuno ha il diritto di avere e praticare le proprie credenze religiose e - fatto nuovo - ognuno ha il diritto di essere non credente e di non praticare nessuna religione. Inoltre, secondo tale tradizione nessun credo religioso doveva essere favorito o perseguitato. Infine, tutti i credenti venivano invitati dai dirigenti a partecipare alla “costruzione di una nuova società”. Negli anni ’90 la società cubana ha vissuto una grave crisi economica, che è stata chiamata “periodo speciale” e che ha colpito tutti gli aspetti della vita sociale, compreso quello religioso. In seguito alla crisi, e in stretta relazione con essa, si è verificato un revival religioso, che ha determinato tra l’altro una maggiore presenza della religione nella società cubana. Ciò si nota per il fatto che, tra l’altro, essa ha conquistato un più ampio spazio sociale. Per esempio, le chiese cristiane non solo dispongono di un maggior numero di pubblicazioni rispetto agli anni passati, hanno più fedeli, più dirigenti del culto ed hanno maggiori possibilità di fare direttamente proselitismo; partecipano inoltre a progetti di sviluppo sociale ed economico, fanno donazioni ai collegi, agli ospedali, agli asili e portano avanti altre attività sociali. Hanno così recuperato l’assistenza sociale da loro tanto apprezzata. Da parte loro, in seguito ai cambiamenti nell’orientamento sociale i dirigenti politici del paese hanno fatto propria una concezione ampia della religione, superando così il rigido ateismo scientifico. Nel 1991 fu celebrato il IV Congresso del Partito comunista cubano, durante il quale furono assunte importanti decisioni relative alle relazioni con la sfera religiosa. La convocazione al Congresso, discusso pubblicamente, introdusse elementi per sollecitare la riflessione. Nelle decisioni adottate vi sono due aspetti di particolare importanza: la modifica degli Statuti con l’accettazione nei credenti nelle fila del Partito; proposte di cambiamento e perfezionamento della Costituzione, che furono recepite dalla Riforma Costituzionale del 1992. La Costituzione socialista, approvata con un referendum nel 1976 con voto diretto e segreto dal 98% dei cubani, credenti e non credenti, affermò il diritto a credere, a praticare la propria religione e per la prima volta il diritto a non credere; allo stesso tempo ribadì la separazione tra Stato e Chiesa, tra Chiesa e Scuola, già prevista dalle Costituzioni precedenti. Nella Costituzione socialista non si riconosceva la morale cristiana. Al contempo la legge mantenne la punibilità di chi impedisce l’esercizio della libertà di culto. Nell’articolo 54 (comma 3) della Costituzione del 1976 si legge: “È illegale e punibile opporre la fede o le credenze religiose alla Rivoluzione, all’educazione o al compimento del dovere di lavorare, di difendere la patria con le armi, di onorare i suoi simboli, agli altri doveri ivi indicati”. Nella Riforma del 1992 questo articolo fu soppresso. Nella Costituzione del 1976 la punibilità della discriminazione per ragioni religiose non è presente nel Capitolo V (Uguaglianza), mentre nell’articolo 41 (comma 1) si stabilisce la punibilità della discriminazione solo per ragioni razziali, sessuali o nazionali. Allora si disse che non era necessario ribadire la punibilità della discriminazione religiosa, perché si pensava non si sarebbe prodotta nella vita sociale. Solo con la Riforma Costituzionale del 1992, approvata dall’Assemblea Nazionale del Potere Popolare, dopo una vasta discussione, questa formulazione dette ai credenti la garanzia legale che non sarebbero stati emarginati o discriminati da parte di persone o istituzioni statali e non. Nell’articolo 42, contenuto nel Capitolo VI (Uguaglianza) si stabilisce dunque: “La discriminazione per ragioni razziali, colore della pelle, sesso, origine nazionale, credenza religiosa o di altra forma, comunque lesiva della dignità umana, è proibita e sanzionata dalla legge”. Come complemento a questo articolo, l’articolo 43 afferma che, come gli altri, i cittadini che hanno credenze religiose, secondo i loro meriti e capacità, hanno il diritto di accedere a tutte le cariche dello Stato, dell’Amministrazione pubblica, e di ricevere i servizi (salute, educazione, salario). Appartenente al Capitolo VI (Diritti, Doveri e Garanzie Fondamentali), l’articolo 54 della Costituzione del 1976 fu modificato nella Riforma Costituzionale del 1992 (articolo 55). Nella “Carta del ’76” si sottolinea che lo Stato socialista basa la sua attività sulla concezione scientifica materialista, alla quale il popolo viene educato. Ciò è eliminato nella seconda Costituzione. Nello stesso articolo della Costituzione del 1976 si dice che lo Stato riconosce e garantisce la libertà di coscienza (in quella del ’92 si aggiunge “riconosce, rispetta e garantisce la libertà di coscienza e di religione”), il diritto di ognuno a professare qualsiasi credenza religiosa e a praticare il culto, rispettando la legge. La Costituzione del ’92 riafferma che lo Stato “riconosce, rispetta e garantisce” anche la libertà di cambiare le proprie credenze religiose o di non averne nessuna. Infine, nel Capitolo I (Fondamenti politici, sociali e economici dello Stato), articolo 8, si afferma che: lo Stato riconosce, rispetta e garantisce la libertà religiosa; nella Repubblica di Cuba le istituzioni religiose sono separate dallo Stato; le diverse confessioni religiose godono della stessa considerazione. Analogamente la legge sanziona l’impedimento all’esercizio del culto, prevedendo aggravanti se il reato è compiuto da un funzionario dello Stato, secondo quanto afferma l’articolo 294, comma 1 e 2 del Codice Penale22. Questi cambiamenti sono legati alla trasformazione della coscienza sociale, che ha permesso una considerazione più obiettiva della religione e del ruolo sociale delle organizzazioni religiose. Come è ovvio, questo processo non si è sviluppato in maniera omogenea, né è stato rapido, giacché ha trovato ostacoli nella resistenza al cambiamento opposta dalle diverse istanze sociali, da stereotipi e pregiudizi di vario tipo. Al contempo, nonostante le questioni fondamentali siano state risolte, le istituzioni ecclesiastiche avanzano critiche, sviluppando una maggiore o minore conflittualità nelle relazioni Stato/Chiesa. La Costituzione non dice testualmente che lo Stato cubano è laico, ma tale aspetto si ricava dai vari articoli. Fernández Bulté analizza questo tema partendo dalla “considerazione dottrinale”, presente nell’articolo primo, che definisce la natura dello Stato, la sua forma repubblicana, unitaria e democratica, e i suoi obiettivi fondamentali, e che dice a chiare lettere che la sovranità risiede nel popolo. Per questa ragione la fonte del potere non è sovrannaturale. Egli aggiunge che l’articolo 8 stabilisce un aspetto essenziale del sistema politico, affermando che quest’ultimo e “lo Stato, come anello principale, non hanno nulla a che fare con alcuna istituzione religiosa e e che di conseguenza nessuna istituzione di questo tipo fa parte del sistema politico cubano”23. Ovviamente una definizione più precisa e legata a suoi effetti pratici si trova nella legislazione complementare. In questa materia dovrebbe intervenire la cosiddetta Legge dei Culti, prevista dalla Costituzione, che però per varie ragioni non è stata approvata dopo che è apparsa l’ultima versione della Legge delle Associazioni del 1974, la quale dispose che la regolamentazione delle organizzazioni religiose sarebbe stata stabilita appunto dalla Legge dei Culti. Si è svolto un dibattito sulla sua promulgazione immediata o sul suo rinvio. A nessuno sfuggono la sua complessità e la necessità di avere uno strumento regolatore come in ogni paese. Tuttavia, su Cuba si esercitano sempre pressioni, basate su una propaganda ostile, che denunciano il presunto intervento statale nella vita religiosa, non riconoscendo che in una certa misura esso è una pratica riconosciuta internazionalmente. La storia precedente della legislazione sul registro delle Associazioni religiose non è affatto semplice. La Repubblica del 1902 ereditò una legislazione secondo la quale tutte le organizzazioni religiose, con l’esclusione della Chiesa cattolica, dovevano iscriversi in un registro. Nel periodo rivoluzionario il Registro delle Associazioni, depositato prima al Ministero dell’Interno e poi presso quello della Giustizia, ebbe la funzione di vigilare sull’iscrizione delle organizzazioni religiose, benché la Chiesa cattolica continuasse ad esserne esclusa. Tuttavia, non furono previsti meccanismi adeguati per tenere conto delle organizzazioni formatesi dalle religioni di origine africana. Alcune associazioni cattoliche si iscrissero come istituti e confraternite. I centri spiritisti, che non si iscrissero quando fu loro chiesto, continuarono ad operare senza questo controllo o dovendo, come le religioni di origine africana, essere autorizzate per celebrare le loro cerimonie. D’altra parte, durante la Repubblica neocoloniale la Legge considerava arbitrariamente le pratiche di origine africana come un’aggravante nel caso in cui venisse commesso un reato. La Rivoluzione abolì questa legge e definì il reato in maniera tale da non ledere il diritto di libertà religiosa. Di fatto è stata costruita la base giuridica per il funzionamento dello Stato laico, ma questo processo non si è ancora concluso. 6. Considerazioni finali

L’atteggiamento specificamente religioso assume nei confronti del laicismo posizioni contraddittorie. Da un lato, si difende l’idea che la libertà di religione implichi che le istituzioni religiose debbano intervenire attivamente nella direzione della società. Questa posizione è assunta dai dirigenti religiosi e generalmente è utilizzata a favore di una religione determinata. Da un altro punto di vista, proprio dei movimenti progressisti, si sostiene che la religione non deve svolgere funzioni che sono dello Stato, anche se si chiede al potere politico di garantire il diritto di seguire una certa religione e di praticarla. Queste posizioni sono legate al problema della derivazione del potere. Per alcuni la religione sarebbe in grado di favorire e garantire l’integrazione sociale. Per i laici conseguenti lo Stato deve e può istituire l’integrazione sociale, in quanto il potere deriva dalla stessa società e non dall’esterno, come credono coloro che ne vedono l’origine nel sovrannaturale. Un tema importante di questo dibattito è stato il carattere pubblico o privato della religione. L’esperienza mostra che è impossibile negare la dimensione sociale della religione, in quanto essa stessa è un fenomeno sociale e i suoi fedeli sono esseri sociali alla pari dei non credenti. Le concezioni religiose critiche o giustificatorie dei sistemi sociali hanno un orientamento progressista o reazionario; quest’ultimo coincide con quel profetismo impiegato nella pratica storica da istituzioni religiose in difesa di quei sistemi che concedono loro spazio nel potere, per attaccare coloro che non ne accettano le loro pretese. Se si tende a delimitare la religione esclusivamente alla vita privata, non si prendono in considerazione quei settori progressisti convinti della necessità di trasformazioni sociali e contrari alle politiche neoliberali, senza rendere pubbliche le loro critiche avanzate dal punto di vista religioso. La morale religiosa, campo nel quale si manifesta la forza tradizionale della religione, può essere utile allo sviluppo e all’avanzamento della società, contribuendo alla lotta contro le deviazioni e gli aspetti negativi del comportamento sociale. Per realizzare il bene collettivo lo Stato laico ha il diritto di chiedere la collaborazione delle istituzioni religiose. Ovviamente ciò implica che quelle che manifestano la volontà di contribuire siano da esso sostenute. Ciò implicherebbe anche che negli organismi statali possano essere presenti solo i ministri di culto più aperti - pratica comune nella Cuba attuale; figure la cui presenza all’interno delle istituzioni statali governative è costituzionalmente proibita in altri paesi. La questione concerne i limiti della sfera pubblica e le pretese politiche delle organizzazioni religiose. Riassumendo, le relazioni tra pubblico e privato non possono fondarsi sul fatto che la religione faccia parte del potere politico come elemento basico di legittimazione di un sistema o di un partito determinato, che un’istituzione religiosa possa prendere decisioni politiche o che le sia riconosciuto un ruolo privilegiato da parte dello Stato; il che comporterebbe discriminazioni di altre confessioni. Nonostante lo stretto vincolo con il regime coloniale, in America Latina la Chiesa cattolica continua ad avere una collocazione privilegiata, a controllare una parte significativa del potere e a esercitare un’influenza politica. Possiamo aggiungere che almeno otto paesi latinoamericani sono Stati confessionali, anche se con diverse sfumature; inoltre, la maggior parte di questi paesi attribuisce un ruolo privilegiato alla Chiesa cattolica, come avveniva nella Cuba prerivoluzionaria. Ciò nonostante, con certi limiti tutti riconoscono la libertà di culto. Ovviamente altra cosa è l’effettivo rispetto di essa nella pratica quotidiana. In altre regioni del mondo si può constatare che le Costituzioni vigenti contengono definizioni differenti. In alcuni casi si riconosce che lo Stato è confessionale, ma con modalità diverse. In altri ciò non implica proibire o non riconoscere la pluralità religiosa, mentre in altri ancora - come accade nei paesi islamici - l’identificazione della nazione con una determinata religione lascia poco spazio alle altre forme religiose. Da ciò scaturiscono violenze che oppongono le istituzioni e i cittadini delle varie confessioni o che sono interne allo stesso Stato, come accade nelle Filippine e in altri paesi tra islamici e cristiani, in Israele con i palestinesi, come accade per le guerre nordamericane contro l’Islam, per i conflitti tra la Chiesa Ortodossa e la Chiesa cattolica nei paesi dell’Est europeo. In tutto questo si manifesta il fondamentalismo. Tuttavia, in molti di questi conflitti la vera causa sta negli interessi economici e politici, laddove i temi religiosi sembrano essere solo un pretesto. Non solo la sfera politica non riconosce la libertà di religione. Nei nuovi movimenti religiosi24 è spesso presente un proselitismo volto non a divulgare i propri principi e dottrine, ma a delegittimare le altre religioni attraverso i mezzi di comunicazione di massa e le prediche, con un tono spesso aggressivo. Talvolta accade che le istituzioni religiose attacchino il laicismo e non riconoscano il diritto di non essere credenti. In certi ambienti religiosi persistono discrepanze, talvolta storiche, tra le diverse religioni o organizzazioni religiose, talvolta si assume un atteggiamento discriminatorio basato su pregiudizi verso le altre confessioni ritenute eterodosse, come fanno per esempio i cristiani nei confronti delle religioni di origine africana. Ciò si verifica abbastanza spesso nella vita religiosa cubana, nella quale le gerarchie ecclesiastiche considerano la religiosità popolare, assai diffusa in America Latina, una mera superstizione o una fede imperfetta. Nella Costituzione o nella legislazione specifica di vari paesi, compresi quelli latinoamericani, sono previste proibizioni o regolamentazioni limitanti. È il caso di quei paesi, in cui è proibito che i ministri del culto (sacerdoti, pastori o altri esponenti religiosi) occupino incarichi pubblici come la presidenza, la vicepresidenza, l’essere deputato o ministro, e che i partiti confessionali partecipino alle elezioni. Problemi relativi all’intervento dello Stato si producono in vari paesi. In alcuni non esiste un organismo che si occupi di questi temi, in altri, pur essendo presente un tale organismo, esso non funziona. In altri casi è criticato il fatto che tali organismi siano collocati in strutture che hanno funzioni di controllo e che quindi sarebbero repressive. Da un’altra prospettiva non dobbiamo dimenticare che ogni Stato - laico o confessionale - non può rinunciare alla funzione di salvaguardare gli interessi di coloro che rappresenta. Ciò è particolarmente difficile per lo Stato cubano, che subisce forti pressioni dall’esterno e che sta fronteggiando una difficile situazione economica. Nessuna misura può danneggiare gli interessi della maggioranza dei cittadini, a cui lo Stato deve rispondere. In tale situazione bisogna evitare ad ogni costo conflitti non necessari, come la visione negativa, dal punto di vista politico, della sfera religiosa, che si vuole produrre mediante manipolazioni. Inoltre, si deve impedire che penetrino nella vita nazionale forme che mirino a globalizzare persino la religione, utilizzando il fondamentalismo per favorire il disimpegno sociale; fattore che impedisce il corretto funzionamento della democrazia partecipativa, giacché movimenti di questo tipo producono un forte individualismo e una stretta dipendenza degli individui. Su questi temi incide l’evoluzione del laicismo in America Latina e nel mondo. Osserviamo un processo internazionale di indebolimento del laicismo e l’aumentata insistenza delle istituzioni religiose che, appoggiandosi sul revival religioso mondiale, tentano di riconquistare le posizioni perdute e la loro egemonia tradizionale. È quanto si ricava dalle rivendicazioni della Chiesa Cattolica in America Latina e a Cuba. Possiamo osservare anche governi che cercano la loro legittimazione nella sfera religiosa o che si appoggiano a una istituzione religiosa in particolare. Una lista delle limitazioni, delle violazioni legali e pratiche della libertà di religione e di esercitare il proprio culto, libertà che è espressione dei diritti umani, comprende le seguenti voci:
  dichiarazioni fatte da Stati confessionali;
  definizioni legali e pratiche che riconoscono vantaggi a una determinata religione o istituzione religiosa;
  mancato riconoscimento del diritto a non avere credenze religiose e del diritto a praticare il proprio culto;
  giuramenti su testi religiosi nei tribunali;
  persistenza di conflitti interreligiosi e di pregiudizi su certe confessioni;
  esistenza di fondamentalismi religiosi;
  discriminazione degli immigranti per ragioni religiose;
  utilizzazione di contrasti religiosi per giustificare aggressioni originate da interessi politici ed economici;
  difesa dell’insegnamento religioso nella scuola statale, fatto che comporta il considerare privilegiata una determinata religione, giacché è impossibile insegnare tutte le religioni, e giacché si viola così il diritto a non essere credenti;
  porre il diritto alla libertà religiosa al di sopra dei diritti fondamentali;
  sopravvalutazione dell’influenza religiosa sulla cultura e sulla storia delle nazioni;
  tentativi da parte delle gerarchie ecclesiastiche di recuperare i privilegi perduti e di tornare a giocare un ruolo politico o ad essere di nuovo egemoni;
  ripetute critiche al laicismo e ai processi di secolarizzazione;
  favorire la globalizzazione, imponendo forme religiose congeniali agli interessi di nazioni potenti a danno della tradizioni locali.

Alla costruzione e al miglioramento costante di una società, in cui lo Stato garantisce il pieno esercizio della libertà religiosa, opponendosi ad interferenze estranee alla realizzazione del bene comune, debbono e possono partecipare uomini e donne di buona volontà, credenti o non credenti.

Già Prof. Departamiento de Estudios Sociorreligiosos Centro de Investigaciones Psicológicas y Sociológicas CITMA

Il presente lavoro si basa su: Ramírez Calzadilla J., Fernandez R., Jiménez S., Aróstegui J., e Usallan L. (2003), “Laicismo, libertad de religión y Estado laico. Sus particularidades en la sociedad cubana” (Resultado de investigación), Departamento de Estudios Sociorreligiosos, CIPS, Centro de Estudios sobre América e Instituto de Filosofia (inedito).

Mi riferisco all’importante saggio di Houtart “Sociología de la religión”, Edit. Nicarao, Managua y CEA, L’Avana 1992.

Frequentemente si ricorda la famosa frase di Marx “La religione è l’oppio del popolo”, però non si dice che, nella “Introduzione alla critica della filosofia del diritto di Hegel”, egli parla anche della protesta religiosa. Egli sottolineò il ruolo rivoluzionario di certe forme religiose in determinati contesti storici, così come descrisse l’alienazione religiosa determinata a suo parere da quella sociale. Rispetto allo Stato laico i fondatori del marxismo si opposero all’eliminazione per vie amministrative della religione.

Collettivo di Autori, “La conciencia religiosa. Caracteristicas y formas de manifestarse en la sociedad cubana actual”, Departamento di Estudios Sociorreligiosos, CIPS, L’Avana 1993 (inedito).

Donelly, J.: “Derechos Humanos Universales. En teoría y en la práctica”, México, Ed. Gernika S.A., 1994, p. 28.

Messaggio del Papa Giovanni Paolo II rivolto a Kurt Waldheim, Segretario generale dell’ONU, in occasione del trentesimo anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani (2 dicembre 1978) (in “La Libertad religiosa”, testi di Giovanni Paolo II, Città del Vaticano, Commissione Pontificia Giustizia e Pace, 1980, pp. 11-13). Il Papa sostiene questa idea anche in un libro successivo: “Cruzando el umbral de la esperanza”, Barcellona, Ed. Plaza y Valdés, 1994.

Si parla in questi termini della religione nel Preambolo e negli articoli 2, 10 e 18 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani.

Ramírez Calzadilla J., “Libertad de conciencia y religión en Cuba”, en “Revista Cubana de Ciencias Sociales”, no. 25, L’Avana 1991, pp. 133-156.

Blancarte R., “La laicidad mexicana: retos y perspectivas”, relazione presentata nel Coloquio “Laicidad y valores en uno Estado democrático”, El Colegio de México, México, DF., 6 aprile 2000.

Foner Ph., “La guerra hispano-cubano-americana y el surgimiento del imperialismo yanqui”, Vol. I, pag. 234.

Martí J., “Obras Completas”, pag. 393.

Ibidem, T. XVIII, pag. 30.

Varona E. J., “Trabajo sobre educación y enseñanza”, Comisión Nacional de Cuba de la UNESCO, L’Avana 1961.

Ortiz F., “Los negros brujos”, Editorial América, Madrid 1979, pp. 21 e 29.

ACU, “Encuesta Nacional sobre Sentimientos Religiosos”, Buró de Información de la Agrupación Católica Universitaria, L’Avana 1954.

Per approfondire il quadro religioso, la religiosità dominante e il significato socio-politico della religione a Cuba si possono leggere queste ricerche del DESR: Collettivo di Autori, “La religión en la cultura y formas de manifestarse en la sociedad actual”, Editorial Academia, L’Avana 1990; Collettivo di Autori, “La conciencia religiosa. Características y formas de manifestarse en la sociedad cubana actual”, L’Avana 1993 (inedito); Ramírez Calzadilla J., “Religión y relaciones sociales”, Editorial Academica, L’Avana 2000.

Cfr. Ramírez Calzadilla J., “Persistencia religiosa de la cultura africana en las condiciones cubanas”, in “Catauro”, anno 2, n° 3, Fundación F. Ortiz, L’Avana 2001, pp.106-127.

Cepeda R. (a cura di), “La herencia misionera en Cuba”, Departamento Ecuménico de Investigaciones, San José de Costa Rica 1986, p. 45.

Per il testo della relazione di Bulté cfr. il già citato “Risultato della ricerca sul laicismo” esposta nel Consiglio scientifico del CIPS del 13 novembre 2003.

È significativo che a Cuba il pentecostalismo non è caratterizzato dal forte disinteresse per la sfera sociale. Alcuni gruppi e persino chiese pentecostali, come la Chiesa Cristiana Pentecostale, si sono dichiarati d’accordo con gli obiettivi del progetto socialista, e fanno parte del movimento ecumenico.

Berges J. E Cárdenas, “El pastorado protestante y la Nueva Teología Cubana“, in La religión. Estudio de especialistias cubanos sobre la temática religiosa, Edit. Política, L’Avana 1993.

La Legge 62 del Codice Penale, entrata in vigore il 30 aprile 1988, modifica la legge precedente e con l’articolo 294, comma 1 e 2, proibisce che venga ostacolato da parte di una qualsiasi organizzazione religiosa riconosciuta l’esercizio della libertà di culto.

Dr. J. Fernández Bulté, op. cit.

Si tratta di un concetto ancora dibattuto e che si riferisce soprattutto a quelle forme religiose sorte nel secondo dopoguerra.