Il dominio globale del mondo USA: come paradigma la “guerra umanitaria” contro la Jugoslavia
Mauro Cristaldi
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2. Guerre sperimentali
Come conseguenza ultima dell’esaurirsi del bipolarismo tra
superpotenze imperialiste si determina dunque un evento epocale, che segna il
definitivo passaggio ad una generalizzata politica di investimenti del mondo
occidentale verso l’approvvigionamento bellico e verso la politica dello
spreco delle risorse planetarie, in nome di una politica di mercato
paradossalmente sempre più energivora. Tale evento si attua proprio con la
guerra contro la Jugoslavia, una volta che la guerra del Golfo aveva creato la
premessa sperimentale della nuova politica di deterrenza imperiale USA
(Brzezinski, 1998), attraverso l’uso preponderante della guerra aerea: le “guerre
stellari” di Regan sec. Thompson (1988).
Tutto l’avvenimento viene condizionato dagli esperti di
marketing dei prodotti militari made in USA, ispiratori e consulenti
autorevoli di cui si avvalgono tutte le forze NATO e del riarmo europeo, pronti
a lanciare sugli obiettivi e sul mercato i loro più recenti e sperimentati
prodotti bellici e svuotare con profitto i magazzini dei costruttori di morte.
Gli apparati di dominio militare, infatti, sono oggi solidamente capeggiati
dalle tre multinazionali USA Boeing, Lockheed-Martin e Raytheon Huges, che
possiedono il maggiore fatturato e il maggiore investimento su materiali
bellici, rispetto ad altre pure attive (British Aereospace Marconi,
Daimler-Chrysler, General Motors, Ford, Ibm, Motorola, Microsoft, Seagram, Sony,
ecc.) per complessivi 75% degli aerei (in totale 1100) e 90% di bombe e missili
(in totale 20.000) forniti nella guerra nei Balcani con danni procurati di oltre
100 miliardi di dollari (300 scuole, 40 industrie tra le quali 18 contenenti
sostanze pericolose per l’ambiente, 100 centri affari, 13 aeroporti, 23
ferrovie). Il danno maggiore a questa politica imperiale viene compiuto dall’esercito
federale jugoslavo con l’abbattimento del famoso aereo invisibile Lockheed
Martin F-117 Nigh Hawk del costo unitario di 45 milioni di dollari pari a 81
miliardi di lire (http://www.peacelink.it)
Le motivazioni, la strategia e la ideologizzazione della
guerra contro la Jugoslavia erano quindi state studiate a tavolino fin da prima
del suo inizio dagli strateghi del Pentagono: si trattava di riuscire a trovare
i pretesti per perpetrare per un tempo il più lungo possibile, fino allo
svuotamento degli arsenali, un’ulteriore guerra aerea promozionale e
sperimentale dei più aggiornati sistemi d’arma, tenendo in debito conto delle
23 precedenti provocate dagli USA in più parti del mondo, a partire dalle bombe
atomiche su Hiroshima e Nagasaki. Stavolta però il territorio era limitato ad
un’area geografica di poco piu’ piccola di quella di Cuba e perdipiù
appartenente al Secondo mondo europeo. Vi si potevano stabilire effetti
distruttivi misurabili nei tempi lunghi del degrado ambientale e degli effetti
epidemiologici della guerra chimica, soprattutto in Serbia (bombardata dall’altezza
di 5.000-10.000 metri per tenersi fuori del tiro della contraerea, che aveva
appunto abbattuto subito l’”aereo invisibile”), radioattiva (con uso dell’uranio
impoverito) e terroristica (uso delle bombe a frammentazione) nel Kossovo. Qui,
dopo l’alternarsi delle colonne di profughi serbi ed albanesi, che hanno
continuato a costituire fattore di destabilizzazione della politica federale,
tuttora perseguita dalla Jugoslavia, è stata creata una grande base area
militare USA (pardon NATO), abitata da una popolazione in prevalenza
accondiscendente alla presenza militare (contrariamente a quanto accade in
Grecia e in misura minore nella stessa portaerei Italia), proprio nel punto d’Europa
strategicamente più importante, come simbolo e monito per le altre grosse
realtà politico-territoriali potenzialmente concorrenti (Europa, Islam, Russia,
Cina). L’effetto immediato previsto era quello di ridimensionare le velleità
dell’Europa dell’Euro indebolendone le risorse ed i presupposti politici, ma
caricandone i costi monetari di medio e lungo periodo sulla Comunità Europea,
complice e subordinata, magari eliminando qualche dissenziente, come Lafontaine
in Germania, ovvero, nel momento in cui iniziava a presentarsi una forte
opposizione sindacale alla guerra nella portaerei Italia, l’eliminazione del
prof. D’Antona, prestigioso consulente economico del Min. del Lavoro
Bassolino, più benignamente inviato fuori scena dal regista di governo, proprio
mentre a Benigni, creativo giullare alla corte statunitense, non era stato più
concesso per la regia l’ennesimo premio Oscar (concesso invece a Scalfaro fin
dalla nascita).
Continua così a passare, attraverso la miriade di
nazionalismi europei, la logica che la lotta per il proprio “orto etnico” in
fin dei conti paga, stavolta contro il più importante stato interetnico d’Europa,
la Jugoslavia (tradizionalmente paese “non allineato”) a favore della
benevolenza USA (stato plurietnico a dominanza politica anglosassone), al quale
qualche “protettorato” fa sempre comodo, soprattutto se i costi umani e di
gestione sono a carico di qualche “satellite” e soprattutto se ci si ritrova
su un obiettivo finale di convenienza strategica globale: un Milosevic (come un
Saddam) ricattabile da una parte ed un Uck (come un Kuwait) “libero fantoccio”
dall’altra. Lo scopo finale è di continuare a destabilizzare, assieme agli
alleati occidentali, l’area balcanica fino al Caucaso (ricordiamo ancora
guerra in Cecenia e domani quelle a cui parteciperemo per liberare qualche
popolo che vuole “liberamente” rifornire l’occidente di petrolio), per
renderla vulnerabile e ricattabile, mediante una miriade di
staterelli-protettorati a facciata nazionalista, cedevoli al passaggio dei
corridoi energetici, favorendo, come “scambio egualitario” e valvola di
sfogo, il libero afflusso delle proprie mafie verso i paesi dell’ex-”socialismo
reale”.
Quindi altro che guerre di religione, o di etnia o, peggio
ancora, di razza! (come ebbe a dire D’Alema in un suo intervento, a
dimostrazione della sua totale ignoranza degli elementi basilari dell’antropologia),
al massimo si tratta della ennesima riproposizione di un pensiero di Nietzche,
che aveva portato l’autore, suo malgrado in quanto deceduto nel 1900, ai
vertici dell’ideologismo nazista, il quale trova ancora largo posto nell’ideologia
reazionaria dominante nell’occidente: “La purificazione della razza.
Forse non esistono razze pure, ma soltanto razze divenute pure, e anche queste
sono assai rare. Normalmente si hanno razze miste, presso le quali si trovano
sempre, insieme alla disarmonia di forme corporee (per esempio quando occhi e
bocca non si accordano tra di loro), anche disarmonie di abitudini e di concetti
di valore (Livingstone una volta sentì qualcuno dire: <<Dio creò gli
uomini bianchi e neri, il diavolo però creò i mezzosangue>>). Razze
miste sono sempre nello stesso tempo anche culture miste, moralità miste: sono
per la maggior parte più malvage, più crudeli, più irrequiete.....”. L’antropologa
culturale Annamaria Rivera (1999) nota infatti che “l’interia storia dell’Occidente
moderno e contemporaneo è tragicamente contrassegnata dall’ossessione della
purezza razziale e dalla fobia della contaminazione e del metissage”. La
moderna Antropologia evoluzionistica porta avanti un concetto radicalmente
diverso, frutto dell’esperienza scientifica accumulata comparando popolazioni
diverse e specie diverse, assieme alla consequenziale revisione del riduttivismo
di stampo positivista: Gabriella Spedini apre il suo recentissimo libro (1999)
con una citazione di T. Todorov “vivere la differenza nell’eguaglianza”
ed afferma che il razzismo in definitiva consiste nel “non voler accettare
il diverso”. In effetti va notato che una importante acquisizione moderna,
costata peraltro incomprensioni e sangue nella storia, è l’incontro tra
popoli e culture che si attua nelle aree urbane, dove soprattutto si mescolano i
rappresentanti viventi del flusso genetico e culturale tra popolazioni, i
meticci, i quali, ricombinando informazioni genetiche diversificate, incarnano
nel proprio corpo l’arricchimento genetico della specie umana, rappresentano l’integrazione
obbligata tra etnie, riannodano con l’intelletto le molteplici informazioni
culturali, minando dalle basi biologiche il pensiero unico occidentale, che ci
vorrebbe tutti uguali, che ci vorrebbe tutti le linee pure sperimentali, magari
controllabili dal Grande Fratello con opportune modificazioni transgeniche. Sono
i meticci la massa progressista più avanzata, sono loro i veri obiettivi delle
guerre moderne e di quella contro la Jugoslavia in particolare, sono loro la
necessità umana, che ci lega positivamente alla nostra animalità, di cui
nemmeno la pratica socialista, collegandosi sovente al nazionalismo, ha saputo
comprendere fino in fondo l’importanza. Proprio tutto il contrario dell’idea
di Nietzche!
Secondo il “pensiero debole” della Grande Stampa codina,
essenzialmente fondato sull’ignoranza e sul sostanziale appoggio dei
voltagabbana statunitensi, proprio i serbi, etnia preponderante nella
ex-Jugoslavia, che avevano combattuto il nazismo tedesco in difesa di tutta l’Europa
e che avevano contribuito sostanzialmente a fondare un autentico stato
multietnico, si sarebbero (dopo la lacerazione con Slovenia, Croazia e Bosnia,
create per interessi egemonici e di mercato della Germania unificata e del
Vaticano), trasformati in uno stato nazista. Nemmeno nei confronti degli ebrei
si era mai arrivati a tali aberrazioni ideologiche di stampo razzista,
nonostante Israele nei confronti dei palestinesi sia riuscita a rasentare forme
di vero e proprio genocidio.
Si dovevano infine “trincerare”, cioè proteggere dalle
possibili conseguenze con tutti i mezzi, i governi guerrafondai della NATO e gli
uomini che se ne configuravano come garanti, a prescindere dalle loro formazioni
politiche d’origine, indottrinando nel frattempo l’opinione pubblica con i
falsi pretesti, appunto, della “guerra umanitaria” sponsorizzata e coperta
da formazioni politiche populiste e/o “di sinistra”.
Per quanto riguarda la superficialità dell’opinione
pubblica Roberto Vacca nel 1971 aveva osservato che: “I rischi più
complicati non vengono capiti e fondamentalmente non vengono creduti, almeno nel
senso che il comportamento della gente non riflette alcun tipo di comprensione”.
E, se il personaggio dovesse lasciare a qualcuno delle perplessità, un altro
più famoso ed inquietante personaggio della storia, Maximilien de Robespierre,
ebbe a scrivere ne “La rivoluzione giacobina”: “Non ho
affatto bisogno di dirvi che è proprio durante la guerra che il governo
sfinisce completamente il popolo dissipando le sue finanze, è proprio durante
la guerra che egli copre con un velo impenetrabile i suoi ladrocini e i suoi
errori”., che si inserisce proprio a proposito dei costi
economico-sociali delle guerre esaminati da Vasapollo (1999) nello scorso numero
del Proteo (simbolo più che appropriato se si pensa all’importanza delle cose
nascoste, come l’omonimo diafano anfibio perennibranchiato delle grotte di
Postumia in Slovenia, proprio laddove iniziò la politica di frammentazione
della ex-Jugoslavia).
Di seguito cercherò di esporre il quadro delle conseguenze
ambientali della guerra geopolitica contro la Federazione Jugoslava.
3. Conseguenze eco-sanitarie
Se si pensa che gli SU sono il paese che più produce ma meno
si impegna nella riduzione delle emissioni di anidride carbonica (cfr.
Conferenza mondiale di Rio de Janeiro), se ne deduce che, per i governi di
questo grande paese, ai grandi crimini di guerra si aggiungono i grandi crimini
di pace, aumentandone le responsabilità nei confronti della biosfera, ma anche
suggerendoci quello che il loro egemonismo persegue nei tempi lunghi,
tramandandosi - fin da quel George Wastington che sistematicamente trasgrediva i
trattati con gli indiani - una strategia di dominio e di ricatto su tutta la
terra.
Il fine imperiale desiderato si configura nel dominio del
mondo attraverso la generalizzazione del degrado ambientale. Infatti l’effetto
globale della guerra chimica consiste nel trasporto nella troposfera di sostanze
e particolati in sospensione derivati dalla combinazione di gas, polveri e fumi
provenienti da esplosioni ed incendi di serbatoi e manufatti. Questi composti,
associati al vapore acqueo atmosferico condensato sulla loro superficie e
combinati con esso in soluzione acida, provocano precipitazioni chiamate piogge
acide, che, oltre a bruciare la vegetazione, come è accaduto a NE di Belgrado
dopo la nube di Pancevo sottoposta a rain-out distribuiscono sostanze
più o meno combuste, spesso mutagene e cancerogene sul terreno e nelle acque
(benzopirene e diossine con altri idrocarburi aromatici, clorurobifenili e
furani, particelle carboniose, metalli pesanti, radionuclidi). L’effetto
transfrontaliero di tipo continentale che ne consegue colpisce, attraverso gli
effluenti aeriformi, la vegetazione naturale e la produzione agricola, in modo
simile all’uso di defolianti ed erbicidi. Il risultante cronico depauperamento
dei patrimoni forestali e agricoli provoca alla lunga l’indebolimento della
produzione primaria per creare ulteriori occasioni di dominio economico nei
paesi da soggiogare (in diversa misura un po’ tutti).
In seguito alla distruzione di raffinerie, depositi e
impianti chimici in Serbia sono attesi tali effetti, che passano, anche
attraverso abnormi riversamenti diretti di sostanze chimiche
(policlorurobifenili, cloro e fluoro dagli impianti di trasformazione, petrolio
e derivati, ammoniaca, dicloroetilene, soda caustica, cloruro di idrogeno dai
complessi petrolchimici) nel sistema idrico continentale (sistema delle acque
interne e soprattutto del grande corpo d’acqua contaminato del Danubio), fino
al mare, aggiungendo (come a seguito del melt-down di Chernobyl attraverso il
fiume Denepr) contaminazione a contaminazione nel Mar Nero, nell’Egeo, nell’Adriatico
e alla fine in tutto il Mediterraneo, interessando in notevole misura (cfr.
Rapsomanikis e coll., 1999) anche i paesi vicini (Ungheria, Romania, Moldavia,
Bulgaria, Macedonia, Grecia, Russia, ecc) fino agli altri paesi europei Fig. 1 -
Emissioni provenienti dai bombardamenti di Novi Sad (da Triolo e coll., 1999)
Fig. 2 - Direzione del rilascio di anidride solforosa dal petrolchimico di Novi
Sad (da Triolo e coll., 1999) Fig. 3 - (da Triolo e coll., 1999) Fig 4 -
Direzione del rilascio di cloruro di vinile monomero da Pancevo (da Triolo e
coll., 1999) Fig.5 - Distribuzione transfrontaliera della nube di Pancevo
calcolata con il modello HYSPLIT-4 (da Rapsomanikis e coll., 1999), sempre a
favore degli SU, che controllano dall’alto e da lontano. A questo punto, dato
che la Grecia, che non partecipava al conflitto se non come formale membro NATO,
aveva già rilevato la presenza di queste sostanze ad alto rischio, come la
diossina nella troposfera già durante il periodo di guerra conclamata Fig. 6 -
Campioni di aerosol raccolti in serie per 24 ore per la determinazione di
diossine totali e furani (cerchi), polibifenilcloruro (asterischi), acido
parammino-ippurico (quadrati): si notino i picchi al 7 e al 18 aprile ‘99 che
corrispondono all’intensificarsi dei bombardamenti sui serbatoi di Novi Sad e
Pancevo (da Rapsomanikis e coll., 1999), sorge spontanea la domanda se gli enti
di controllo ambientale italiani abbiano rilevato anch’essi qualcosa o si
stiano pedissequamente accodando alle dissuasioni del governo e a rapporti
comunitari ancora necessariamente imprecisi (The Regional Environmental Center
for Central and Eastern Europe, 1999). In tale quadro complesso l’unica
possibilità di rilevare gli effetti biologici e le riconcentrazioni sono
rappresentati da bioindicatori adeguatamente prescelti (biocenosi, funghi,
licheni, piante verdi, molluschi, crostacei, pesci, anfibi, roditori, specie
domestiche, ecc.) che, secondo la definizione dell’autore pubblicata nel 1990,
rappresentano l’esemplificazione più completa delle trasformazioni ecologiche
e biologiche che avvengono in luoghi spazialmente e temporalmente diversi, in
categorie biologiche diverse (specie, sesso, età, ecc.) e per tipologie diverse
di impatto di origine antropica e/o naturale, al fine di desumere il grado di
vulnerabilità ambientale. In questo contesto la specie più adatta come
bioindicatore sarebbe l’uomo stesso, ed in effetti l’epidemiologia questo
attua, ma altri bioindicatori consentono di attuare livelli di invasività non
distruttiva degli equilibri biocenotici, che tuttavia non si può attuare sulla
nostra stessa specie per ragioni deontologiche; anche se purtroppo c’è sempre
chi lo attua, se non nel chiuso dei laboratori, almeno negli aperti territori di
guerra, come avevamo già assistito in Iraq, trasformando oggettivamente gli
animalisti elettorali dei Verdi in corresponsabili dell’ecocidio.
Pertanto, pur posponendo la nostra proposta alle esigenze di
solidarietà e di aiuti concreti e primari di cui necessita attualmente la
Jugoslavia, i miei collaboratori ed io abbiamo proposto un progetto sui roditori
infestanti come bioindicatori di impatto per contribuire a perimetrare l’area
di ricaduta dei composti inquinanti e per studiarne gli effetti biologici
complessivi, la riconcentrazione delle sostanze negli organi bersaglio ed i
processi di carattere mutagenetico, che sono alla base dell’incidenza dei
processi di cancerogenesi, di teratogenesi, di abbassamento delle capacità
immunitarie e di trasferimento del carico genetico alle future generazioni. In
questo momento, a causa dell’embargo contro la Jugoslavia, non ci si può
illudere di usufruire di alcun finanziamento pubblico, anche se si tratta di
ricerche finalizzate alla prevenzione del rischio ambientale causato dai
bombardamenti.
Più semplici stime quantitative si potrebbero anche
effettuare su popolamenti di specie a maggiore abbondanza, come i Molluschi: ne
ho raccolti durante (17-28 agosto 1999) la missione ambientalista de “Un ponte
per...” presso Pancevo spiaggiati presso le rive del Danubio in numero
consistente in ragione di poche specie (generi Viviparus, Planorbarius,
Pisidium, Anodonta).
In questo ambito di problemi mi sento far rilevare che, delle
194 specie di Mammiferi presenti in Europa, le 94 segnalate per la Rep. Federale
di Jugoslavia comprendono almeno 8 importanti endemismi presumibilmente da
considerare in pericolo (almeno nelle loro popolazioni balcaniche, tra
Insettivori (Talpa caeca, Talpa stankovici) e Roditori (Nannospalax
leucodon, Spermophilus citellus, Dinaromys bogdanovi, Microtus
felteni, Microtus guentheri, Mus spicilegus); di questi
vengono riportate in figura (da Mitchell-Jones et al., 1999) le prime quattro
specie, cioè lo Spalace romeno Fig. 7 - Spalace romeno (da Mitchell-Jones et
al., 1999) (specie pannonica, cromosomicamente variabile, tipica di suoli aperti
sciolti e drenati non agricoli, già considerata specie vulnerabile nella lista
rossa IUCN), il Citello comune Fig. 8 - Citello comune (da Mitchell-Jones et
al., 1999) (specie pannonica divisa in due popolazioni principali dai Carpazi,
già considerata vulnerabile a causa della trasformazione della steppa in
terreno arabile), l’Arvicola dei Balcani Fig. 9 - Arvicola dei Balcani (da
Mitchell-Jones et al., 1999) (endemica tipica, forma relitta carsica,
distribuzione sporadica e frammentaria, già considerata vulnerabile nella lista
rossa IUCN), l’Arvicola della Macedonia Fig. 10 - Arvicola della Macedonia (da
Mitchell-Jones et al., 1999) (endemismo balcanico circoscritto alle foreste
montagnose dell’area del conflitto, considerata a basso rischio nella lista
rossa IUCN). L’insieme di tali specie costituisce complessivamente l’indicazione
di notevoli livelli di diversità ambientale e di naturalità in quelle aree, ma
anche di punto di incontro di elementi faunistici, similmente a quelli
floristici, di origine asiatica, anatolica ed europea. Prima del conflitto
infatti queste terre costituivano un’attrazione turistica rilevante per i suoi
elevati livelli di naturalità, ma anche una delle principali aree di caccia
sportiva ancora attive rispetto alle esauste risorse venatorie di molta parte
dell’Europa (cfr. Alleva, 1999). Il ministro dell’ambiente jugoslavo J.
Zelenovic (1999) riferisce di un 10% delle aree protette con 9 parchi nazionali
(Durmitor, Monte Sar Planina, Biogradska gora, Lovcen, Lago Skadarsko Jezero,
Derdap, Kopaonik, Tara, Fruska gora), 20 parchi regionali, 122 riserve naturali,
19 aree costiere. Nello stesso documento, che porta la data dei bombardamenti su
Pancevo (17-18 aprile ‘99) egli accusa la NATO della violazione di ben 15
convenzioni internazionali per la tutela delle risorse naturali. Il territorio
jugoslavo Fig. 11 - Collocazione geografica di 75 aree protette e destinate a
protezione entro il 2010 della Rep. Fed. di Jugoslavia (da Mandic, 1999), divise
con tre toni decrescenti di grigio in parchi nazionali, aree protette e aree da
proteggere infatti (Mandic, 1999) rappresenta uno dei 6 centri europei e uno dei
153 centri mondiali più importanti della diversità biologica (38,93% di piante
vascolari, 51,16% della fauna ittica, 74,03% degli uccelli, 67,61% della fauna a
mammiferi con 1600 specie biologiche di significato internazionale)
Dal punto di vista floristico nel parco di Fruska Gora (prov.
Della Vojvodina), sottoposto a bombardamenti a tappeto, si lamenta (prof.ssa V.
Stojsic) la distruzione di 100 ettari di parco (con circa 1000 crateri) e ciò
ha determinato la probabile scomparsa di essenze (es. Orchidacee) altamente
sensibili, in quanto caratterizzate da diffusione limitata (Epipactis
helleborine, Orchis purpurea, Limodorum abortivum, Platanthera
bifolia) e di altre almeno sette specie (Lilium martagon, Daphne
laureola, Doronicum hungaricum, Ajuga laxmanii, Ruscus
aculeatus, Ruscus hypoglossum, Hepatica nobilis) in pericolo
di estinzione. Fig. 12 - Piante in pericolo: 1) Dianthus behriorum;
2) Gentiana nopscae; 3) Tulipa serbica (da Lakusic, 1999) sono
riportate tre specie considerate ad alto rischio in Serbia e Kossovo a seguito
dei bombardamenti (Dianthus behriorum, Gentiana nopscae, Tulipa
serbica). La diminuzione di specie vegetali rare e quindi sensibili è
conclamata in tutta l’area colpita Fig. 13 - Concentrazione delle piante rare
ed in pericolo in Serbia (da Lakusic, 1999), addirittura fino alla Moldavia
(prof.ssa T. Azema). Un già raro insetto curculionide (Otiorhynchus
kopaonicensis) costituisce una specie che forse si dovrà considerare
estinta a seguito dei martellanti bombardamenti del Massiccio del Kopaonik posto
tra Serbia e Kossovo (Mesaros,1999). Gli studi di presenza-assenza delle specie
rare può avere un significato immediato, anche perché esse testimoniano, gli
effetti transfrontalieri che possono presentarsi nell’immediato sugli
ecosistemi, laddove esistano dei dati di confronto.
Nel comparto marittimo i pescatori sui bassi fondali dell’Adriatico,
a spese della loro stessa incolumità e dell’attività alieutica, ma poi anche
a spese della collettività’ (60 miliardi di indennizzo concessi dal governo
italiano per il cosiddetto “fermo bellico”), hanno esperito che molti
bombardieri, per evitare rischi all’atterraggio, si disfano in mare delle
bombe più ingombranti e rischiose (come le bombe a grappolo CBU-97B da 450 kg,
contenenti complessivamente 202 granate a penetrazione, a frammentazione e
incendiarie). Su 20.000 azioni aeree effettuate in Jugoslavia, 143 ordigni (oggi
235) furono sganciati in 6 aree del diametro di 10 miglia ciascuna, tre in Alto
Adriatico a 30, 55, 50 miglia rispettivamente da Chioggia, Marina di Ravenna e
Pesaro, su una profondità da 30 a 70 m (le più pericolose per la pesca), tre
in Basso Adriatico a 70, 40, 30 miglia rispettivamente da Bari, Brindisi e Santa
Maria di Leuca sui 400-800 m di profondità (cfr. Marra S. su Avvenimenti
del 30 maggio ‘99). Si ricordi che al tracollo dell’attività di pesca si è
accompagnato il calo del turismo su tutta l’area adriatica; pertanto la
gestione del territorio in attività a basso impatto ambientale, anche se da una
parte lascia gli ecosistemi a riposo, alla lunga, convivendo con condizioni di
guerra, rischia di renderli fragili per mancanza di tutela da parte delle stesse
categorie che ne dovrebbero trarre usufrutto.
In base alle scoperte di fisica nucleare avvenute in questo
secolo, sono state ideate armi di tipo radioattivo, affini per gli effetti
biologici interni a quelle chimiche e quindi come queste considerate non
convenzionali, che si avvalgono del potere detonante derivato dalla
disintegrazione dell’atomo. A partire dal primo esperimento effettuato in
Alamogordo (Deserto del Nuovo Messico), il 16 luglio 1945, fu lanciata subito
dopo dagli USA sulla città di Hiroshima (6 agosto 1945) la bomba nucleare all’uranio
arricchito (U-235), immediatamente seguita da quella al plutonio (Pu-240)
lanciata su Nagasaki (9 agosto 1945), si è giunti, attraverso una serie di
dannosissimi esperimenti nucleari, fino ai proiettili contenenti uranio “impoverito”
(U-238), scoria a basso prezzo - ce ne sono 560.000 tonnellate nei soli USA “stokkate”
come esafluoruro di uranio - del materiale fissile “arricchito” (U-235)
usato come carica di bombe atomiche e del combustibile nucleare per le centrali.
L’uranio di per sé, oltre alla elevata e durevole radioattività (4,5
miliardi di anni come tempo di decadimento per l’U-238, che rappresenta
praticamente la venerabile età del pianeta Terra), soprattutto con radiazioni
di tipo alfa (bassa penetrabilità nella materia, ma elevatissima efficacia
biologica, per cui praticamente il radionuclide agisce sulle cellule
internamente e/o a breve distanza, ma con elevato trasferimento di energia
radiante), in quanto metallo pesante ha anche un’elevatissimo calore di
combustione (affine al meno reperibile tungsteno); esso riesce a forare le
corazze dei carri armati contro i quali viene sparato a bassa quota tramite uno
speciale cannone a 7 bocche da 30 mm denominato Gau-8/A Gelting (produttore
Air-Jet Ordinance Company), in dotazione degli aerei Fairchild A-10A Thunderbolt
II; inoltre ne è rivestita l’ogiva dei missili Tomahawk (General Dynamics
SCLM BGM-109A) (Pacilio & Pona, 1999; Ardeljan,1999). In queste condizioni
il materiale uranifero, venuto a contatto dell’aria, si ossida emettendo
finissime particelle di aerosol (< 5 micron), inalabili e diffusibili col
vento, le quali ancora calde aderiscono alle superfici praticamente “metallizzando”
i corpi vicini. I proiettili furono sperimentati dagli USA, prima in un’isoletta
deserta presso Okinawa appena dopo la Seconda guerra Mondiale (Poole, 1997), poi
più recentemente per la guerra di terra direttamente sull’uomo e sull’ambiente
in Iraq (14000 proiettili di grande calibro e 940000 pallottole sparati) lungo
la cosiddetta ”autostrada del suicidio” dove si potevano distinguere corpi
“imbalsamati all’uranio radioattivo” (è per questo infatti che sui corpi
umani metallizzati non si poggiavano insetti) ed anche previamente all’utilizzazione
di appositi contatori Geiger per la determinazione della radioattività. Questa
particolarità avrebbe potuto permettere in Bosnia e nel Kossovo di distinguere
tali corpi da quelli bruciati col fuoco delle normali combustioni di una guerra
civile.
L’uranio in generale, come pure quello impoverito (U-238)
in particolare, che all’impatto brucia a 170°C e viene micronizzato in
particelle inalabili, presenta uno spiccato rischio radiologico per i polmoni e
per le ossa, si accumula nel fegato e nella milza, mostra un rischio tipico da
metallo pesante nei reni Fig. 14 - Organi bersaglio dell’uranio nell’uomo e
rischi chimici e radioattivi bassi*, medi** e alti*** legati all’esposizione
interna (modif. da Ribera e coll., 1996); a livello cellulare Fig.15 - Effetti
cellulari dell’uranio sugli animali (modif. da Ribera e coll., 1996) infatti
opera sul nucleo ed in particolare sul DNA, determinandone mutazioni genetiche
ai diversi livelli di organizzazione; inoltre agisce sul citoplasma
vacuolizzandolo, sugli organelli cellulari (reticolo endoplasmatico, mitocondri,
apparato del Golgi, lisosomi) e sulla membrana cellulare (Ribera e coll., 1996);
alcuni effetti riscontrati dopo la guerra del Golfo (sistema immunitario,
sistema nervoso, pelle) sembrerebbero stati sottostimati nei precedenti studi.
Si dà infatti per appurato che la cosiddetta “sindrome del Golfo”
(Jamal, 1998), abbia colpito anzitutto gli iracheni, ma con essi anche, assieme
ai soldati britannici ed ai familiari di tutti quanti (gli effetti teratologici
passano ad es. con maggiore efficacia sui figli delle donne soldato), circa
90.000 reduci USA (su complessivi 697.000), dei quali 4500 sarebbero già morti,
con i seguenti sintomi: abbassamenti generali delle capacità immunitarie,
disfunzioni respiratorie, epatiche e renali, cefalee, febbre, bassa pressione
sanguigna, nervosismo, fino all’insorgenza di tumori e di progenie deforme. La
principale responsabilità viene attribuita soprattutto alla contaminazione
interna (in ordine di importanza attraverso la respirazione, le ferite e l’ingestione)
con U-238 combinato con altri fattori sinergici. Le proiezioni basate sulla
quantità di proiettili sparati (circa 500.000 nel solo Kossovo) e sugli altri
usi dell’U-238 in Jugoslavia effettuate da Pacilio & Pona (1999) stimano
quindi il danno in una decina di migliaia di casi fatali nell’uomo; per non
parlare delle ulteriori malattie indotte dal trasferimento del metallo
radioattivo nel corpo e negli organismi in generale.
Pertanto lo scenario che previdi lo scorso Giugno per il
Kossovo (Cristaldi, 1999) è ancora attuale, anche se non si è ancora svolto
completamente: 1) invasione “pacifica” con 50.000 uomini “soltanto”; 2)
contaminazione degli stessi e dei profughi (prima degli albanesi durante il
conflitto, poi dei serbi nei più recenti avvenimenti) con polveri derivate
dalla combustione dei proiettili all’uranio impoverito; 3) futuribile “grandiosa
scoperta” della mutagenicità, cancerogenicità e teratogenicità dell’uranio
e del notevole rischio per gli esposti; 4) nel “nuovo piano Marshall” viene
compreso un programma di decontaminazione da uranio, 5) “decontaminazione”
con copertura di terra (intombamento) sui territori interessati, laddove
possibile; 6) alimentazione con culture idroponiche d.o.c. (le acque si
contaminano meno con i metalli che si depositano nei sedimenti) e con alimenti
geneticamente modificati delle popolazioni kossovare, ridotte non più a
profughi, a rifugiati, a scudi umani, ma finalmente a cavie umane e consumatori;
infine a soldati. Visto che sono sostituibili e per il momento diversi sono
ancora sopravvissuti, sarà loro concesso di diventare reduci, eventualmente di
ammalarsi, ma sempre senza diritto di parola.
Per il momento infatti, nonostante le evidenze, la NATO sull’uranio
impoverito fa ancora la politica dello struzzo, come pure per altre nefaste
previsioni che seguono. Nel senso che, se troveranno qualcosa per guadagnarci,
dopo il Kossovo, li vedremo ancora all’opera nella ricostruzione della Serbia
(tenendosi magari in caldo Milosevic come “uomo per tutte le stagioni”),
quando, dopo averla distrutta e contaminata, ma non si sa ancora se e quanto
rifinanziata, constateranno (se ce ne fosse qualche bisogno) che la “restoration
ecology” (“restauro ecologico”) da operare nel Danubio non potrà mai
eliminare la presenza di microinquinanti nell’acqua (anche potabile) negli
organismi fluviali e quindi nel pescato dulciacquicolo e marino). Si tratta
(cfr. Triolo e coll. su “Imbrogli di guerra”), tra l’altro, di molte
sostanze scarsamente biodegradabili (cloruro di vinile monomero, bifenili
policlorurati, idrocarburi policiclici aromatici, diossine, nafta, metalli
pesanti), originate dai bombardamenti su raffinerie, industrie e depositi di
sostanze chimiche Fig. 16 - Visione generale di raffinerie, depositi e complessi
petrolchimici colpiti dai bombardamenti NATO sulla Jugoslavia sec. lo Yugoslav
Daily Survey dell’8 giugno ‘99 (da Lausevic, 1999). Fig. 17 - Obiettivi di
aziende civili e di distruzioni territoriali operate dalla NATO sulla Jugoslavia
sec. lo Yugoslav Daily Survey dell’8 giugno ‘99 (da Lausevic, 1999). L’intervento
bellico, per chi ha seguito da vicino questo conflitto, appare strettamente
programmato secondo un piano sperimentale di intervento e di studio dell’impatto
bellico in un paese del Secondo Mondo su impianti dell’industria avanzata con
una sequenza tecnico-politica delle azioni di bombardamento determinata a priori
(simbologici, strategici e distruttivi, sec. il prof. C. Cancelli).
Poi cercheranno fino al termine massimo possibile, fidando
sul silenzio della Grande Stampa, di permettere ai non addetti ai lavori di
misconoscere il problema, cercheranno di ignorare gli effetti epidemiologici
sull’uomo come specie “target”, trincerandosi dietro un maestoso programma
di ripristino ecologico, per ripulire solo lo sporco visibile, magari immettendo
specie ittiche resilienti di alto pregio e resistenza, che poi verranno vendute
nei mercati d’Europa, in quanto sicuramente gli USA non compreranno questi
prodotti. Ma ci sarà sempre il sistema per farne farina di pesce diretta all’alimentazione
del bestiame, che si piazza sicuramente meglio sul mercato, anche se a minor
prezzo; così la dispersione nella catena trofica porterà man mano i livelli a
valori più “accettabili” per chi “eventualmente” effettuerà i
controlli; gli organi interni del bestiame che riconcentrano di più si potranno
riciclare come liofilizzati nello stesso modo, ed il resto lo si potrà sempre
imbellettare e immettere sul mercato, magari inscatolato. Nel frattempo qualcuno
dovrà pure ingerire questi residui opportunamente diluiti! Oppure, se la
contaminazione dovesse essere troppo elevata (sempre ammesso che qualcuno la
vada a determinare), si invierà il pescato come apporto alimentare integrativo
per la fame nel mondo.
Agiscono inoltre, come indiretti aggressivi chimici
generalizzati ad ampio effetto transfrontaliero, anche le emissioni degli aerei
a reazione, che contengono, tra gli altri composti (cf. Triolo e coll., 1999),
ossidi di azoto altamente reattivi che interferiscono con l’ozono atmosferico,
trasformandolo in ossigeno e assottigliando, con l’effetto buco dell’ozono
ai poli, la fascia stratosferica sita a circa 60000 m di altezza, la quale ha il
potere di impedire, a favore della vita nella biosfera, la penetrazione dei
raggi ultravioletti solari. L’aumento di tumori alla pelle per esposizione al
sole è l’effetto più documentato di tale fenomeno, che espone sempre più al
massimo rischio le popolazioni nordiche di pelle bianca. Inoltre l’anidride
carbonica emessa dai jet aumenta anche l’effetto serra (conosciuto in natura a
seguito dell’emissione dei vapori vulcanici), il quale, dopo l’avvento delle
macchine a vapore ed il massicccio incremento dei consumi energetici, come Di
Fazio (1999) evidenzia per l’ultimo cinquantennio Fig. 18 - Variazioni dell’anidride
carbonica (CO2) e suo relativo aumento di origine antropogenica dopo l’avvento
della Rivoluzione Industriale (1880): Fonte: IPCC (1995), Carbon Dioxide
Information and Analysis Center (in Di Fazio, 1999) Fig. 19 - Grafico delle
anomalie della temperatura dopo il 1860 Fonte: IPCC, UK Meorological Office (in
Di Fazio, 1999), sta sempre di più compromettendo l’andamento del clima
globale terrestre, provocando un generalizzato aumento della temperatura (il
1998 è stato in assoluto l’anno più caldo conosciuto per il pianeta) con
conseguenti squilibri complessivi che si vanno traducendo in uragani, alluvioni,
scioglimento delle calotte glaciali e innalzamento del livello del mare (esempi
ancora modesti i casi di alluvioni a Sarno e al Coto de Doñana in Andalusia, ma
ben più disastroso l’effetto del Niño in Centro America).
Tutto ciò, finché non verranno ufficialmente riconosciute
delle colpe di questa guerra sperimentale ed ingiusta dei paesi occidentali da
parte degli stessi paesi occidentali, abitualmente gestori e giudici di sé
stessi. Nel frattempo contaminazione alimentare, malattie, insorgenza di
anomalie, spostamenti di profughi, freddo e carenze energetiche saranno soltanto
questioni interne jugoslave e dei paesi vicini, fedeli alleati NATO, o al
massimo di qualche ONG di effettivo sostegno (ben poche dopo il lavaggio delle
coscienze nei denari dell’Arcobaleno). Silvana Salerno (1999) in “Imbrogli
di guerra” elenca i rischi indiretti aspecifici sulla salute fisica:
inquinamento e carenza di acqua, carenza qualitativa e quantitativa di cibo,
promiscuità ambientale, carenze economico-retributive, carenza di fonti
energetiche, cure sanitarie assenti o inadeguate, incremento delle patologie
generali, effetti sulla salute della donna e sulla salute mentale; i bambini e
nei vecchi sono indicati come soggetti maggiormente a rischio.
Lausevic, Lakusic & Spasojevic nell’importante ultimo
contributo della Società Serba di Ecologia denominato “Ecocide”
sintetizzano la previsione dei futuri rischi potenziali di questa guerra a
livello ecologico: 1) effetti negativi generalizzati sulla riproduzione; 2)
accumulo e diffusione di materiale tossico e cancerogeno; 3) contaminazione del
cibo e conseguenze sulla salute; 4) la devastazione degli ecosistemi e la
carenza di fonti energetiche provocherà una notevole scomparsa di individui e
di specie (aumento del rischio per le specie rare ed in pericolo); 5) crescente
erosione del suolo e rischio di frane; 6) la distruzione del sistema economico
provocherà l’impossibilità di controllare e gestire sia i sistemi agricoli
che quelli naturali; 7) ci si attende un allargamento delle conseguenze in tutte
le aree limitrofe con riduzione complessiva della biodiversità.