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Lo sviluppo socialmente sostenibile

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Mauro Cristaldi
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Naturalista, docente di Anatomia Comparata, Fac. di Scienze Mat., Fis. e Nat., Univ. di Roma “La Sapienza”

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Il dominio globale del mondo USA: come paradigma la “guerra umanitaria” contro la Jugoslavia
Mauro Cristaldi

 

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Il dominio globale del mondo USA: come paradigma la “guerra umanitaria” contro la Jugoslavia

Mauro Cristaldi

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Non è consolante per l’opinione pubblica che, solo tra qualche tempo, prima nella letteratura specialistica e poi in quella divulgativa potremo verificare l’effettiva portata dei catastrofici accadimenti comunicati dagli osservatori e nella relazione della commissione CE (per buona pace dei “Verdi da parlamento” non definiti disastri ecologici). Nonostante questi disastri di tipo acuto è pur vero che la natura tende a ritrovare, passando sovente attraverso altri eventi disastrosi, più di tipo cronico (dismetabolismo, mutagenesi, cancerogenesi, teratogenesi, alterazioni della biodiversità con eventuali estinzioni di specie), un suo equilibrio (riparo, selezione adattativa, riequilibrio ecologico), che però diviene sempre meno stabile ed al quale corrisponde un livello crescente di depauperamento di risorse. Infatti è ormai risaputo che al criterio di sopraffazione economica si accompagna sempre il relativo effetto di degrado per ogni sistema in esso e con esso coinvolto, non solo quindi a livello umano, politico ed economico, ma anche a livello biocenotico, ecosistemico e della biosfera. Tuttavia i tempi con cui si mostrano tali modificazioni orizzontali sono relativamente ampi; di conseguenza, le ricerche scientifiche che servono per fare emergere le responsabilità non sempre sono incontrovertibili e presentano lunghe latenze. Queste permettono al sistema politico e legislativo di adeguarsi per eventualmente intervenire a disastro già consumato, magari con comodo attraverso qualche correttivo a posteriori, quando cioè i profitti del restauro sono stati ampiamente accumulati, la riconversione è divenuta ormai l’unica scelta “realisticamente” conveniente ed i danni bio-ecologici sono stati già ampiamente consumati. Ad es. un cancro da radiazioni ci mette mediamente una decina di anni dall’esposizione prima di manifestarsi e quindi non solo purtroppo gli effetti delle bombe atomiche sul Giappone e l’evento di Chernobyl (senz’altro gli eventi di contaminazione di massa più seguiti a livello scientifico) staranno a dimostrare emblematicamente quanto sopra affermato.

 

 

4. Alcune proiezioni per il futuro

 

L’olocausto, il genocidio, la discriminazione razziale, il biocidio e l’ecocidio fin qui sperimentati con particolare veemenza in diverse recenti occasioni (nazismo, apartheid, fame, guerre, compromissioni e distruzioni di interi ecosistemi) sono soltanto l’esordio di un nuovo sistema di controllo di una biosfera depauperata delle sue caratteristiche di massima diversità, che diviene sempre più incompatibile con lo sviluppo naturale frutto di milioni di anni di evoluzione sulla Terra. L’apparato unipolare “USA e getta” si mostra intenzionato a sostituire a tale patrimonio storico-biologico scientemente alterato un sistema artificiale da esso controllato fin dalle cellule con lo slogan: “le risorse naturali sono compromesse, noi le controlleremo per voi”.

Allo stato attuale dell’arte l’avanzamento biotecnologico è arrivato al punto di poter permettere l’inserimento nel corredo genetico umano di modificazioni volutamente invalidanti che permettono per di più il controllo diretto di popolazioni “target” (per posizione geopolitica strategica, per elevato potenziale demografico, per caratteristiche razziali), sia per via direttamente riproduttiva, che per via alimentare, che per inalazione, che per inoculazione: una vera e propria sofisticata eugenetica, ma non priva di imprevedibili rischi. Così, mentre a livello internazionale si avanza sul doppio binario delle proibizioni formali degli esperimenti in vivo e sul commercio di prodotti geneticamente modificati, gli strateghi del Pentagono dalle segrete dei loro laboratori, anche utilizzando all’occorrenza come cavie quegli stessi elettori bombardati dalla propaganda mediatica o quei militari di cui non si tollera più lo spettacolo della morte in diretta, ci daranno presto, con le dovute riserve, i risultati degli esperimenti effettuati sul campo, che poi ci verranno banalizzati con i migliori effetti tranquillizzanti a consolazione di sempre più assottigliati livelli di coscienza.

L’importante in definitiva, in favore di questa bella strategia di dominio bio-ecologico, è che nel vigente sistema di mercato continui a non attuarsi la prevenzione primaria delle malattie degenerative (leucemie, tumori solidi, alterazioni immunitarie, circolatorie, ecc.), e cioè che resti opportunamente confinato e poi trincerato l’interesse alla rimozione delle cause, ma che tali rischi diventino poi concreti ai fini della loro monetizzazione (diagnosi, farmaci, irraggiamenti, sistemi diagnostici e cure di mantenimento) in un sistema di consenso che si rispetti, dove la malattia sia l’arma di ricatto per tenerci supini in vita. Le ricerche per la “cura del cancro” e le relative polemiche sui fondi di finanziamento non sono altro che lo specchio di questa realtà produttiva e di mercato che è canalizzata a speculare sulle malattie che essa stessa provoca: evitare la cancerogenesi semplicemente non facendo la guerra potrebbe essere già il miglior contributo all’igiene ambientale!.

Il ricatto della cura e il controllo genetico delle popolazioni sottoposte a contaminazione (umane, d’allevamento e naturali) andrebbe dunque quantificato per metterlo a confronto con quelli che sono gli abituali parametri della convenienza nell’impero unipolare più di recente NATO (USA+alleati subimperiali complici): corridoi di approvvigionamento energetico (Cararo, 1999; Gattei, 1999), petrolio e gas, materie prime, risorse minerarie rare ed emergenti, soprattutto per la galvanica (Altvater, 1997), delle quali è ricco il Kossovo (rame, cromo, molibdeno e antimonio).

A questo poi si dovrebbe aggiungere una valutazione dei costi per gli effetti psicologici dell’alienazione nel lavoro, che vengono pagati soprattutto dalle popolazioni dei paesi “avanzati”, in cambio del fatto di venire risparmiate da bombardamenti diretti: miniaturizzazione informatica invasiva del tempo libero (televisione, telefonini, computer) e conseguente virtualizzazione della sfera privata (autosfruttamento e flessibilità degli orari di lavoro), che comporta abbassamento della fertilità, sindromi psicologiche e neurologiche, tumori da inadeguata alimentazione, oltre alla solita nocività occupazionale e a qualche omicidio bianco: ... Prima del taglio alle pensioni, già si poté constatare che avevano tolto ai vecchi la possibilità di curarsi; intanto però si potevano inviare le “missioni umanitarie” per farsi un po’ di largo, rimediare finanziamenti bellici indiretti (e.g. missione Arcobaleno) ed usare il volontariato come valvola di sfogo per un lavoro socialmente utile che non si è mai voluto creare

Il naturalista ed etologo austriaco Konrad Lorenz (1979) affermò che “è un disastroso errore economico considerare la ‘selezione naturale’ che opera all’interno della libera economia di mercato un potere altrettanto benefico e creativo quanto la selezione naturale che ha operato nella trasformazione delle specie viventi. Nella vita economica l’unico criterio della selezione è l’aumento di potenza a breve termine”. Si tratta dunque dello stesso equivoco che in economia viene sinteticamente chiamato “darvinismo sociale”, che porta all’acuirsi improduttivo dei conflitti.

Senza una seria alternativa politica di incanalamento degli interessi economici sulla conservazione e sulla oculata gestione delle risorse, sul rispetto della diversificazione naturale del germoplasma umano e degli altri organismi viventi, non si potrà evitare il deterioramento genetico all’interno degli ecosistemi, eredità obbligata per le generazioni future, che attualmente, assieme alla generalizzazione della povertà, sta divenendo arma di ricatto in mano alle multinazionali ed ai governi bellicisti.

Un’intermedia via d’uscita, come suggerisce Marcello Cini (1994), si può identificare in adeguati sistemi di controllo pubblico di tutte le tecnologie (non solo per le biotecnologie) e dei loro prodotti prima e non dopo la loro immissione sul mercato; anche e soprattutto per le tecnologie belliche, di cui abbiamo constatato l’invasività nella guerra ecocida, ma di cui constatiamo il protrarsi invasivo anche in tempo di pace (nucleare, spaziale, elettronica, ecc.). Tale sistema di controllo, oggi ridotto a disgregato parassitario terziario del sistema di mercato (cfr. Min. dell’Ambiente, ANPA, ARPA, ISPESL, Enti parco) e denominato (cfr. Cristaldi & Tommasi, 1991) equivocamente VIA (cioè Valutazione di Impatto Ambientale sui nuovi impianti, mentre i vecchi restano tali), potrebbe divenire occasione di occupazione stabile nel terziario di molto personale qualificato attualmente condannato alla sottoccupazione o alla disoccupazione (Martufi & Vasapollo, 1998). La risultante contrazione del numero di merci in campo produttivo, corrisponderebbe però ad una produzione più duratura e garantita, meglio suscettibile di manutenzione, anche se di costo iniziale più elevato, ma nascente da un lavoro maggiormente qualificato come grande investimento sociale. Allora determinati strumenti si potrebbero concentrare nei luoghi appropriati per essere utilizzati al meglio delle loro potenzialità, concependoli come beni comuni sottoposti a tutela, ma non soggetti all’ideologia dello spreco e del consumo.

Attualmente l’acquisizione tecnologica ancora viene vista come un fattore neutrale, che quindi puo’ essere diretto verso un buono o un cattivo uso produttivo, senza pensare al costo tecnologico che ne stabilisce, a priori e secondo leggi di mercato, la quantità d’uso. In pratica più il prodotto tecnologico costa, più quantità ne viene prodotta e immessa sul mercato, incidendo quindi sulle risorse primarie e contribuendo sempre più allo spreco (ah, se Ronchi pensasse di più alle ragioni dei suoi rifiuti, forse defecherebbe anche meglio!): l’esplosione del settore galvanico ed elettronico, di origine bellica e spaziale, è la diretta testimonianza di tale fenomeno di deriva (Altvater, 1997). In tale contesto le tecnologie più semplici ed immediate, comprese quelle più naturali, vengono considerate obsolete e pertanto non incentivate o addirittura osteggiate: ottimo esempio è l’industria farmaceutica ed alimentare con l’uso di biotecnologie ad elevato costo tecnologico. In questo senso si può intendere il paradosso dell’aumento complessivo della povertà, e quindi del tasso di disoccupazione, delle società industrialmente avanzate.

Una via d’uscita alternativa riguarda il capovolgimento del criterio originario che conferì importanza sociale ai maschi in funzione del loro potere nell’ambito della difesa fisica (militare) del gruppo, acquisita nell’organizzazione sociale durante la caccia, per rivolgersi alla diffusione degli interessi sociali sulle scelte riproduttive, alimentari, lavorative caratterizzate da limitata invasività del territorio, che comporta invece, in un modello di territorialità di tipo femminile, il criterio di uso rispettoso della diversità (genetica, biocenotica, colturale-culturale, razziale, etnico-religiosa, comportamentale), come premessa per la diversificazione culturale umana e come effettiva ricchezza da far emergere in funzione dei comuni interessi sociali attraverso la promozione della eterogeneità costruttiva delle opinioni.