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GUIDO LUTRARIO
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I Blocchi sull’onda

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I Blocchi Precari Metropolitani Bpm nascono dentro lo sciopero dei sindacati di base del novembre 2007 e sono il frutto della spinta soggettiva di un’area di militanti ed attivisti impegnati nel contesto urbano, in prevalenza dentro i centri sociali ed il movimento di lotta per la casa. Dopo un anno di attività e di fronte ai grandi cambiamenti in corso, primi fra tutti la grande crisi globale e l’esplodere del movimento della scuola, è urgente una riflessione a 360 gradi che permetta ai Bpm di fare un salto di qualità.

1. Da dove siamo partiti I Bpm sono il frutto delle esperienze dei movimenti e dei cicli di lotta degli ultimi anni. Mettono al centro della loro azione un obiettivo ambizioso: costruire le prime forme di un nuovo sindacalismo metropolitano, un sindacalismo che si organizza fuori dai posti di lavoro ed interviene sulla tutela di quei diritti sociali diffusi che la contrattazione di categoria non è più in grado di affrontare. Il tema della precarietà è eletto a perno centrale di tutta la nostra azione, perchè è la precarietà il tratto distintivo della condizione moderna del lavoratore, cittadino, abitante, consumatore delle metropoli. E le metropoli sono il luogo privilegiato dove sperimentare le forme inedite del conflitto perchè esse hanno assunto una dimensione immediatamente produttiva e sono diventate centrali nell’attuale modo di produzione capitalistico. L’idea del blocco è ambivalente: rimanda sia alla dimensione dello sciopero, inteso come forma di blocco della produzione e articolabile nella città in altre mille forme, per esempio il blocco della circolazione, sia all’idea della pluralità delle forze, dell’alleanza tra soggetti diversi ma disposti ad unire le forze. I Blocchi sono quindi una composizione mista di realtà diverse, che intervengono su settori e campi differenti, che hanno una modalità plurale di organizzazione (un centro sociale non è organizzato come un comitato di occupazione e nemmeno come un comitato di quartiere, ecc.)ma che si riconoscono nella necessità di costruire un filo comune di lettura della città, di agire insieme, di aiutarsi contro l’invasione della rendita riconosciuta come il motore della valorizzazione capitalistica. Nel concreto poi i Bpm sono stati molto di più e forse anche molto di meno di quello che avevamo previsto. Abbiamo organizzato centinaia di famiglie per il diritto alla casa, siamo intervenuti su settori molto diversi dagli sfrattati, ai senza casa italiani e migranti, fino al ceto medio attaccato dalle grandi banche. Abbiamo rallentato le speculazioni urbanistiche come quella di Bufalotta ed abbiamo messo in moto un nuovo circuito di giovani che si mobilitano sul diritto alla casa e rivendicano anche forme nuove di convivenza. L’azione concreta contro la precarietà si è concentrata al terreno dell’abitare e questo ha ridotto gli orizzonti della nostra pratica, ma il tessuto militante che è cresciuto dentro questa esperienza ha ben chiaro che la partita dei Bpm va ben oltre il rilancio della lotta per la casa.

2. Il mondo corre in fretta, ma noi siamo veloci In un anno sono cambiate tante cose e forse è giusto sostenere che un’epoca intera è ormai alle nostre spalle. Il neoliberismo è sepolto dalla crisi delle borse, della finanza ed ora dell’intero sistema economico globale. Obama è il nuovo presidente degli Usa a segnalare che proprio il paese che per mezzo secolo ha guidato il pianeta è quello destinato alle trasformazioni più profonde e laceranti. Il G8 sembra un ricordo del passato mentre il governo mondiale è ormai irrimediabilmente qualcosa di molto più complesso e più ampio. Berlusconi è di nuovo al potere in Italia, mentre la sinistra “radicale” non è più in parlamento. A Roma c’è un sindaco di destra post-fascista. E, dulcis in fundo, è appena scoppiato un grandissimo movimento allegro e irriverente, un’onda che forse sappiamo da dove viene ma non abbiamo la minima idea di dove possa andare. Eppure in questo breve lasso di tempo in cui tutto è cambiato anche noi siamo cambiati moltissimo. Abbiamo vissuto l’ultima campagna elettorale, per esempio, senza alcuna riverenza verso il centrosinistra, anticipando quel desiderio di non-rappresentanza che l’onda manifesta oggi in modo eclatante. Abbiamo interpretato da subito la lotta contro questa nuova giunta non sulla difensiva, in difesa di, ma all’attacco, provando a sfidarla sulle aspettative create, senza nessuna concessione alle visioni nostalgiche. Ed abbiamo addirittura provato a vivere la nuova stagione di governo del centrodestra come un’occasione piuttosto che con la preoccupazione di un ritorno della destra. Forse siamo stati troppo timidi o forse mancavano completamente le condizioni politiche per articolare al meglio una proposta forte, ma oggi quelle condizioni ci sono, è l’onda a crearle.

3. La crisi del sistema Sono in molti a riconoscere ormai in questa crisi un fenomeno sistemico, destinato a durare nel tempo e a produrre trasformazioni epocali. Ma il dato forse più eclatante di questa crisi globale per noi in Italia è che il governo e la maggioranza di centrodestra sono l’espressione di una classe dominante in crisi, della crisi di un blocco di potere e del superamento di una modalità di governo dell’economia che ha dominato per trent’anni. Le vicende di queste settimane ce lo dicono con grande chiarezza: alle prime prove di gestione della crisi il governo Berlusconi annaspa. Va in difficoltà sull’Alitalia, dove non riesce a costruire un “discorso” che convinca le classi forti del paese e rimedia una sonora figuraccia sul partner straniero. È costretto alla marcia indietro sull’Università dove le mosse poco accorte di un finto decreto tenuto nascosto per settimane promuovono un fronte che va dai vescovi, passa per i rettori ed arriva fino ai ricercatori precari. Dopo il grande successo mediatico e politico delle politiche sulla sicurezza, alla prova dei fatti reali e delle contraddizioni dure il centrodestra è in affanno. Come sono in affanno tutti i governi occidentali, alle prese con una crisi che è innanzitutto crisi delle modalità di gestione dell’economia, crisi della filosofia della deregulation e del pensiero unico. Mai come in questo momento le classi dominanti sono state disorientate e divise. Lo scontro ideologico tra ultraliberisti e neointerventisti o neodirigisti è scontro di interessi e scomposizione delle forze in campo. Per i movimenti si apre un grande spazio di manovra. Grande è la confusione sotto il cielo, la situazione è eccellente. Cogliere questo dato della situazione, questo spirito dei tempi, è essenziale. C’è in giro soprattutto a sinistra un pessimismo insopportabile, una lettura tutta al negativo sull’Italia, un disfattismo che è figlio dei fallimenti della sinistra e del suo ceto politico. La crisi vera è quella delle classi dominanti, è crisi di rappresentanza ma anche di governabilità, di controllo, di gestione e di consenso. Certo nelle crisi siamo destinati a vivere la faccia più dura del sistema, e già ne stiamo assaggiando le prime avvisaglie con le dichiarazioni di guerra di Alemanno o i proclami di Berlusconi sull’uso della polizia, le farneticazioni di Cossiga, ecc. Ma questi non sono segnali di forza ma i sintomi di una debolezza crescente, le avvisaglie di una crisi che è anche e soprattutto crisi di egemonia politica e culturale.

4. Trascinati dall’onda L’onda ha mosso appena i suoi primi passi ed ha dimostrato già tutta la sua incredibile potenza. In pochi giorni si sono messi in movimento milioni di soggetti in tutte le città e finanche nei piccoli e piccolissimi centri: qualcuno ha parlato di un paese che insorge e l’impressione è stata proprio quella di un’insurrezione pacifica ma efficacissima. Non si tratta di un episodio, piuttosto di una tendenza: è la crisi economica dentro una più generale crisi di egemonia che sta liberando queste forze. Il processo è destinato a durare e soprattutto ad estendersi ad altri campi, approfondendo ulteriormente la crisi delle classi dominanti. In questo contesto i Bpm non possono più continuare a fare semplicemente quello che hanno fatto finora: la situazione è radicalmente cambiata. La sfida va raccolta in pieno: costruiamo rapidamente una piattaforma che tenga dentro il diritto alla casa, al reddito, alla formazione e contro il caro-vita. La lotta alla precarietà nel suo insieme deve diventare il nuovo terreno di sperimentazione dei Bpm. La parola d’ordine “non paghiamo la vostra crisi” non per caso è scaturita proprio nel nostro ambiente per poi essere acquisita da tutto il movimento della scuola. Forse non su tutto si riuscirà ad aprire delle vere e proprie vertenze ma intanto bisogna lanciare il sasso: mettere in moto un circuito articolato che contesti i mille modi in cui si vuol far ricadere sulle nostre condizioni di vita gli effetti della crisi. E su questo la relazione con i sindacati di base assume ancora maggior importanza. Certo è indispensabile che anch’essi si dispongano ad una fase di movimento ed investano forze ed energie nel sindacato cittadino, cioè nell’azione intercategoriale o territoriale per usare un linguaggio a loro più vicino. Ma poi contano i centri sociali, le realtà che ancora ci sono in giro e soprattutto le mille energie che si sono liberate con la crisi verticale della sinistra. I Bpm devono uscire da una fase un pò carbonara o troppo settoriale ed avanzare una proposta ampia, al passo con i tempi. Non una proposta organizzativa: una proposta di azione comune, di attivazione concertata, di messa in comune delle risorse. Una proposta di diffusione dell’onda e di suo radicamento in un movimento stabile, che duri nel tempo. Se l’onda comincerà ad investire altri campi oltre quello della scuola e a misurarsi con il terreno della precarietà quella sarà l’occasione per contrastare le politiche securitarie portate avanti dai sindaci-sceriffo. Per accerchiare gli enti locali rivendicando alle politiche federaliste la possibilità di maggiori risorse per i beni comuni. In questa dinamica i Bpm non solo si troverebbero a loro agio ma potrebbero (questa è la vera sfida) fare loro da apripista. Lo sgombero dell’Horus si può trasformare in una grande opportunità: un’area militante è stata spinta a servirsi dell’onda per mettere in crisi la giunta e sta imparando a farsi trascinare...

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