Rubrica
CONTINENTE CINDIASIA

Copyright - Gli articoli si possono diffondere liberamente citandone la fonte e inserendo un link all'articolo

Autore/i

EDUARDO REGALADO, ELDA MOLINA
Articoli pubblicati
per Proteo (2)

Argomenti correlati

Nella stessa rubrica

Il ruolo della Cina nella crisi attuale dell’economia mondiale
EDUARDO REGALADO, ELDA MOLINA

Adam Smith a Pechino o Marx a Shanghai?
LUCIA PRADELLA


Home
Autori
Rubriche
Parole chiave

 

 

 

Il ruolo della Cina nella crisi attuale dell’economia mondiale

EDUARDO REGALADO, ELDA MOLINA

Formato per la stampa
Stampa

1. La crisi è globale

Per il ruolo giocato dalla Cina nell’economia mondiale e per le potenzialità espresse, questo paese è ormai un fattore chiave nell’analisi dell’attuale crisi internazionale. In tal senso, benché i vari punti di vista e le opinioni in merito non siano omogenei, c’è un certo consenso riguardo al ruolo di rilievo che la Cina potrebbe avere nelle dinamiche globali. La crisi, scoppiata negli Stati Uniti a metà del 2007 come crisi del mercato immobiliare, è divenuta una crisi finanziaria di portata mondiale, e ora tutti concordano sul fatto che si tratti di una crisi economica globale che ha reso manifeste le conseguenze della liberalizzazione e globalizzazione dei mercati. L’estensione pressoché immediata della crisi al resto del mondo trova spiegazione nella stretta interconnessione esistente tra i diversi mercati finanziari, nella liberalizzazione e flessibilità delle operazioni finanziarie e nell’automatizzazione dei mercati; processo che ha reso facile l’acquisto, da parte investitori internazionali che ne ignoravano la natura - e dunque il rischio insito - di complessi prodotti finanziari legati ai debiti ipotecari. La crisi, inoltre, trascende ormai l’ambito finanziario e va a toccare l’economia reale. L’impatto maggiore è avvertito nell’economia nordamericana, dove si osserva un rallentamento della crescita ed una contrazione della domanda interna, che incide indirettamente sul resto del mondo in termini di scambi commerciali. Nel caso dell’Asia, benché l’esposizione diretta alla crisi sia stata limitata dalla minore presenza di titoli “tossici” nei mercati finanziari di questi paesi, l’impatto è stato comunque avvertito, proprio a causa del processo avanzato di globalizzazione dell’economia mondiale. Il colpo più duro è venuto dal rallentamento della crescita globale, in particolare negli Stati Uniti e in Europa. Questo rallentamento si riflette sulla domanda, e comporta un calo delle esportazioni con conseguenze pesanti sull’economia asiatica.

2. L’impatto della crisi in Cina Anche la Cina è colpita dalla crisi, benché l’impatto diretto sia abbastanza limitato. Si stima che degli oltre 1,9 bilioni (milioni di miliardi) di dollari statunitensi presenti nelle riserve monetarie cinesi, almeno la metà sia costituita da investimenti in titoli del debito pubblico statunitense e da oltre 400 mila milioni da titoli di Fannie Mae e Freddy Mac1. Il livello di esposizione più elevata è quello della Banca Centrale e di altre banche commerciali (soprattutto la Banca Cinese e la Banca Commerciale Cinese) che nel complesso detenevano circa 30 mila milioni di dollari in prodotti finanziari legati alle ipoteche americane. Inoltre, almeno 7 banche cinesi hanno confermato di avere, al momento della bancarotta, buoni della Lehman Brothers per 772 milioni di dollari, una cifra che tuttavia rappresenta meno dello 0,5 % del capitale complessivo investito in titoli2. Tuttavia, dato l’orientamento dell’economia verso le esportazioni, l’impatto più duro è stato avvertito sul commercio e sugli investimenti, molto forte in termini di riduzione delle esportazioni. Infatti, pur essendo queste cresciute del 30 % annuale tra 2003 e 2007, e del 20 % nel 2008, nel dicembre dello stesso anno il tasso di crescita interannuale si è ridotto al 5,3 %3, a causa della contrazione della domanda, in primo luogo da parte dei mercati statunitensi4 ed europei. Va considerato, a proposito, che la domanda dei G-3 (Stati Uniti, Europa e Giappone) rappresenta il 46 % delle esportazioni cinesi. A partire da ottobre 2008 gli investimenti diretti esteri (IDE) hanno avuto una tendenza decrescente. Durante i primi cinque mesi dell’anno gli IDE verso la Cina si sono ridotti del 20,4 % rispetto allo stesso periodo del 2008, attestandosi a 34.050 milioni di dollari. Nel maggio 2009 inoltre sono diminuiti di un ulteriore 17,8 %, scendendo a 6.380 milioni di dollari, in conseguenza dell’ottava caduta mensile consecutiva. Tutto ciò ha avuto un effetto notevole sulla crescita, dato che le esportazioni costituiscono il 40 % del PIL cinese e che nel 2008 gli investimenti esteri sono stati pari al 29,7 % della produzione industriale totale, al 21 % delle entrate fiscali, al 55,3 % delle esportazioni ed al 54,7 % delle importazioni; inoltre, gli IDE avevano creato posti di lavoro per 45 milioni di persone5. Dunque nel 2008, con una crescita del 9 % (la più bassa degli ultimi sette anni), l’economia cinese ha vissuto il rallentamento più forte a partire dalle riforme di trent’anni fa. Il rallentamento della crescita in sé, non è poi così grave per la Cina, considerando che le autorità intendevano frenarla per evitare il “surriscaldamento” dell’economia; tuttavia dal punto di vista della creazione di posti di lavoro la minore crescita ha un peso significativo, e date le caratteristiche demografiche della Cina, pone il paese intero di fronte ad una sfida importante. Si stima, infatti, che l’economia cinese debba mantenere un tasso di crescita vicino all’8 % annuo per poter creare abbastanza impiego da garantire la stabilità sociale e politica del paese. La crisi attuale ha coinvolto circa 150 milioni di lavoratori immigrati, di cui circa 20 milioni sono dovuti tornare nei luoghi d’origine. Si avverte inoltre l’urgenza di creare nuovi posti di lavoro per i 6,5 milioni di studenti universitari che si sono laureati nel 20096. Nonostante quanto detto finora, la Cina può contare su alcune fattori che la pongono in una posizione migliore nella crisi rispetto ai grandi paesi occidentali, sia per quanto riguarda la limitatezza dell’impatto, sia per quanto riguarda la possibilità di affrontarne le conseguenze.

3. Punti di forza Tra i fattori che spiegano la limitatezza dell’impatto vanno citati:
  La possibilità del governo cinese di utilizzare poderosi strumenti d’intervento, nonostante la liberalizzazione e l’apertura dell’economia frutto delle riforme. Tale capacità d’intervento è evidente nel grado di controllo sul mercato finanziario, nella limitazione posta agli investimenti esteri e nella cautela usata rispetto ai complessi prodotti finanziari diffusi negli altri paesi.
  Benché sia cresciuto il livello di interdipendenza tra economia mondiale ed economia cinese, il sistema finanziario di quest’ultima non ha ancora forti legami con quello internazionale, e ciò determina una maggiore resistenza agli effetti della crisi finanziaria.

Oltre a ciò, in confronto ad altri paesi la Cina era più preparata ad assorbire le conseguenze della crisi. Da questo punto di vista occorre considerare i successivi vari elementi.
  Il sistema bancario è stato notevolmente migliorato dalle riforme ed è più solido rispetto a quello degli altri paesi. I crediti non recuperabili sono solo il 5 % dei titoli posseduti. Anche se la quota dovesse salire al 12 %, le perdite potrebbero essere assorbite attraverso le rendite bancarie.
  In Cina la situazione dei debiti è gestibile. A fine 2007 il totale dei prestiti rappresentava meno del 12 % del PIL, di cui il 7 % costituito da debiti a breve scadenza. Inoltre, con un surplus di partita corrente del 10 %, la Cina non ha bisogno di far affluire valuta estera per finanziare la propria crescita.
  La situazione fiscale è solida, con un debito pubblico che ammonta 15 % del PIL e un surplus fiscale dell’1 %.
  Il tasso di risparmio privato è uno dei più elevati al mondo (35 %), perciò le banche cinesi possono contare su un’abbondante liquidità e il sistema bancario è uno dei pochi a non essere stato toccato dalla crisi del credito. Inoltre, la quota dei prestiti sui depositi è al livello che aveva a metà anni Sessanta, e dato che molte banche sono pubbliche, il flusso del credito può essere diretto verso l’economia a seconda delle necessità.
  La Cina può contare sulle riserve monetarie più ampie del mondo, dato ché a fine marzo 2009 ammontavano ad 1 bilione, 953 mila e 700 milioni di dollari.
  Quella cinese è fondamentalmente un’economia di Stato (quasi il 70 % della proprietà dei mezzi di produzione è in mano allo Stato), con un potere decisionale e d’intervento fortemente centralizzato.

4. Misure d’intervento I punti di forza citati fanno sì che, a differenza della maggior parte dei paesi colpiti, la Cina possa contare sugli strumenti necessari ad adottare incentivi economici utili per affrontare la situazione. In sintesi questi strumenti sono: le ampie risorse statali; la capacità di gestione, la cautela e la flessibilità dimostrate dal governo e dal Partito Comunista; la serietà dimostrata nell’impegno a sostenere l’economia. In quest’ottica, il governo si è affrettato a promuovere un ampio piano di incentivi economici da qui al 2010, per un ammontare di 4,4 bilioni di yuan (585.000 milioni di dollari), pari al 13 % del PIL. L’80 % delle risorse sarà destinato ad investimenti infrastrutturali, e gli effetti saranno percepiti gradualmente a partire dal secondo semestre del 2009 e nel 20107. Il piano adottato ha quattro obiettivi strategici: 1 Equilibrio dell’economia: sviluppare un strategia di crescita a lungo termine, basata in misura maggiore sul consumo interno e meno sulle esportazioni. 2 Aumentare l’efficienza: modernizzare e ristrutturare l’industria per migliorarne la produttività e l’efficienza ( rivitalizzare i settori più importanti per lo sviluppo). 3 Sviluppo sociale: estendere il benessere sociale ed aumentare i livelli occupazionali. 4 Dare alle riforme un carattere di continuità: mantenere stabile il processo di riforma e fare progressi nel raggiungimento degli obiettivi stabiliti.

Con queste finalità, il governo ha aumentato le risorse del piano 2009 destinate al settore ricerca e sviluppo e alla spesa sociale in aree chiave come l’istruzione, l’assistenza medica e la sicurezza sociale. Dunque, il programma cinese anti-crisi si differenzia notevolmente da quelli messi in atto dagli altri paesi. In primo luogo, si differenzia per l’entità dell’intervento, che in termini di risorse è il maggiore messo in pratica tra tutti i paesi emergenti; Secondo, è diverso perché la sua azione non si limita ad affrontare la situazione congiunturale, e punta invece verso uno sviluppo a lungo termine; Terzo, il programma d’intervento tocca la sfera sociale e include impegni importanti sul piano della protezione ambientale, cosa che manca totalmente nei piani d’intervento degli altri paesi e che risulta ancora più significativa data la situazione di crisi; Infine, si tratta di uno dei programmi più efficaci, dato che se ne cominciano già a vedere i risultati.

5. Risultati, proposte e strategie sul piano internazinale A dispetto della rapidità con cui le misure descritte sono state adottate in Cina, nei primi mesi del 2009 gli effetti della crisi non hanno smesso di manifestarsi. Il commercio ha continuato a contrarsi rispetto all’ultimo trimestre del 2008, le esportazioni sono diminuite del 25,7 % e le importazioni del 43,1 %. Nel settore industriale la caduta del valore aggiunto è stata di 9,1 punti percentuali rispetto al totale del 2008. La diminuzione del tasso di crescita, nel primo trimestre del 2009 è stata sensibile (6,1 % rispetto al primo trimestre del 2008), anche se le politiche espansive adottate hanno cominciato a stimolare la domanda interna e l’economia ha iniziato a riprendersi. Per il 2009 ci si aspetta che l’economia cresca del 7-8 %, e che inizi un lento recupero nel corso del 2010, dato che ci vorrà del tempo per avviare un processo di crescita diverso da quello basato sulle esportazioni. L’opinione di Li Yang, ex consulente della Banca Centrale cinese e direttore dell’Istituto di Finanze dell’Accademia di Scienze Sociali cinese, l’andamento del recupero avrà la forma di una “W”, ovvero la crescita diminuirà nel momento in cui si esaurirà l’effetto immediato delle misure di stimolo fiscale e monetario, ma in seguito tornerà ad aumentare8. A partire dal primo trimestre del 2009 alcuni indicatori hanno iniziato a dare segni positivi: gli aggregati monetari e i crediti del settore finanziario hanno registrato una tendenza al rialzo. Il credito erogato nel corso dell’anno rappresenta più del 93 % del credito concesso nel 2008. Inoltre, anche la produzione industriale e il valore aggiunto del settore hanno invertito la tendenza al ribasso, salendo del 5,1 % (1,3 punti percentuali in più rispetto a febbraio), e gli investimenti diretti esteri mostrano segni di recupero quali il rallentamento della flessione rispetto ai mesi precedenti. Altri indicatori incoraggianti sono l’aumento dell’investimento in titoli a tasso fisso, che ha raggiunto il 28,8 %, così come la crescita dei consumi rappresentata dall’aumento della vendita di automobili (3,4 % rispetto al primo trimestre del 2008). In base a questi dati, gli analisti sono certi che la Cina sarà il primo paese a riprendersi dalla crisi e quello che a livello mondiale avrà la crescita maggiore, benché non potrà tornare ai tassi di aumento del PIL a due cifre degli ultimi anni. Sembra fuori dubbio che per la Cina l’esito finale della crisi sarà positivo, non solo in termini di raggiungimento degli obiettivi interni, ma soprattutto per la posizione internazionale che guadagnerà. Sul piano del commercio, la diminuzione dei prezzi di materie prime e prodotti alimentari ha reso meno costose le importazioni, e ciò si riflette positivamente sulla competitività delle esportazioni, oltre a rappresentare un vantaggio per i consumatori cinesi in termini di moderazione del rischio d’inflazione. La diminuzione dei prezzi, aiuta a sua volta a compensare la caduta del volume di esportazioni, e pone il paese in condizioni più favorevoli ad aumentare la presenza sui mercati esteri. Sfruttando la contrazione della domanda di combustibili causata dalla recessione mondiale e dal loro deprezzamento, la Cina sta orientando gran parte delle riserve monetarie all’acquisto di greggio dall’estero, con l’obiettivo di accrescere le proprie riserve petrolifere e assicurare sia la crescita presente che futura. D’altra parte, a causa della scarsità di risorse disponibili per il finanziamento su scala mondiale e dell’ampiezza delle riserve monetarie cinesi, il paese sta accentuando la strategia di investimento all’estero, per garantirsi le risorse necessarie alla crescita e l’accesso a nuove tecnologie9. È noto, inoltre, che di fronte alle difficoltà economiche attraversate da numerose imprese occidentali la Cina ha manifestato interesse alla loro acquisizione totale o parziale, il che ha suscitato congetture in merito al tentativo del “Gigante Asiatico” di aiutare tali imprese, o piuttosto di stare approfittando della crisi delle stesse. Finora, la Cina ha dimostrato di gestire tali progetti con estrema cautela, cercando di non entrare in conflitto con le controparti occidentali, evitando rischi economici e politici e dando prova di grande responsabilità sullo scenario internazionale. Dal punto di vista monetario, lo yuan si è mantenuto stabile, con una tendenza all’apprezzamento rispetto al dollaro statunitense10 , ciò a causa della volatilità del dollaro e della posizione cinese nel contesto attuale, che rende sempre più plausibile un maggiore riconoscimento dello yuan a livello internazionale. Nel complesso questi elementi confermano che la crisi sta facendo da catalizzatore rispetto all’emergere sullo scenario globale della Cina, destinata ad avere un ruolo sempre più importante. Nel breve termine, ci si aspetta che il Gigante Asiatico abbia un peso rilevante nell’uscita dalla crisi e che diventi la seconda economia mondiale (secondo alcuni questo avverrà nel 2010, secondo altri nel 2018)11. La posizione occupata a livello mondiale dal PIL, costituisce unicamente una misura delle dimensioni dell’economia cinese, ma non è rilevante in termini assoluti. In primo luogo perché dal punto di vista dei redditi procapite la Cina impiegherà ancora molto tempo per raggiungere i livelli dei paesi sviluppati; in secondo luogo perché per la Cina è più importante il grado di partecipazione all’economia e alla politica internazionale, piuttosto che la posizione occupata nelle classifiche degli indicatori macroeconomici. Quello che è certo è che in questa fase il “Gigante Asiatico” si sta affermando come uno dei motori dell’economia mondiale, con un apporto sempre maggiore alla crescita mondiale. In questo senso, si ipotizza che il miglior contributo che la Cina possa dare all’uscita dalla crisi è continuare il processo di crescita. Quest’ultimo tuttavia non va sopravvalutato e non ci si può aspettare che nelle attuali circostanze la Cina faccia da unico motore, né che risollevi da sola la domanda mondiale, dato che anch’essa è vittima della crisi finanziaria, deve superare ostacoli e risolvere squilibri interni e non ha ancora un’economia forte e ampia come quelle statunitense ed europea. Di fatto, il PIL cinese complessivo come dato di stock è ancora inferiore a quello di Europa e Stati Uniti. Inoltre, il consumo privato è ancora un sesto di quello statunitense, perciò la contrazione del consumo negli Stati Uniti, a cui va aggiunta quella in atto nelle altre economie avanzate, non può essere compensata dall’aumento del consumo cinese e delle altre economie emergenti. Altro aspetto da considerare, in merito al possibile contributo cinese all’uscita dalla crisi mondiale, è quello delle relazioni cinesi con il resto del mondo. Da questo punto di vista, nei confronti degli Stati Uniti, si osserva un atteggiamento di sostegno del dollaro, al punto che ormai il futuro economico degli Stati Uniti dipende in larga misura dalla continuità dell’acquisto di buoni del Tesoro da parte cinese. Naturalmente, la Cina è molto interessata a mantenere a galla quello che è il suo maggior acquirente internazionale, oltre che fonte di capitali d’investimento, perciò ha continuato a comprare i buoni nonostante la svalutazione del dollaro, la cui quota nelle riserve cinesi è però in via di diminuzione. Nei confronti dell’Europa, l’atteggiamento cinese è una politica di cooperazione diretta a stimolare la domanda e la crescita di entrambe le economie, e ad evitare che la crisi spinga all’adozione di misure protezionistiche. Per quanto riguarda lo scenario asiatico, spicca il ruolo assunto dalla Cina nella cooperazione e concertazione regionale delle politiche di stabilità finanziaria e monetaria. In tal senso, è notevole la determinazione cinese mostrata nell’appoggio alla “Iniziativa di Chiang Mai”12, un sistema di scambio di valute tra paesi asiatici istituito dopo la crisi finanziaria regionale di fine anni Novanta, in aggiunta agli incentivi finanziari e fiscali alle esportazioni. Recentemente i paesi dell’Asean +3 hanno stabilito le quote che ognuno apporterà al fondo comune, che ammonta a 120.000 milioni di dollari; si tratta della prima azione congiunta e autonoma di portata continentale diretta a fronteggiare la crisi e a proteggere le monete nazionali dei paesi membri. Per quanto riguarda il peso relativo di ciascun paese, Cina e Giappone superano entrambi il 32 % del totale, la Corea del Sud si attesta al 16 % e gli altri paesi dell’Asean coprono il residuo 20 %. Per quanto riguarda i paesi in via di sviluppo, la Cina ha aumentato l’aiuto nonostante la crisi finanziaria globale e si è detta disponibile a sostenere i paesi in difficoltà. All’inizio del 2009, i leader cinesi sono stati in Asia, Africa, America Latina ed Europa per discutere alcuni progetti di cooperazione commerciale ed economica, contrastare le misure protezionistiche e raccogliere consenso sulla comune opposizione alla crisi. Per altro, le autorità cinesi hanno dichiarato che continueranno ad impegnarsi nell’implementazione degli accordi stipulati con gli altri paesi, guadagnando credibilità come “partner di fiducia” nell’attuale contesto di crisi. Infine, vanno sottolineati aspetti rilevanti, come il ruolo che nel lungo termine la Cina potrebbe assumere a livello mondiale. In tal senso, si intravede il potenziale protagonismo cinese sul piano finanziario e nella ricostruzione del sistema finanziario internazionale, soprattutto per quanto riguarda l’emergere dello yuan e la partecipazione cinese alle istituzioni finanziarie internazionali. In merito alla propria valuta la Cina sta attuando, con intensità sempre maggiore, una strategia di promozione dello yuan come moneta internazionale, strategia che prevede l’avvio di progetti di cooperazione con altri paesi, come Argentina e Russia, che inizieranno ad usare lo yuan come mezzo di pagamento nell’interscambio commerciale, al fine di limitare la propria dipendenza dal dollaro statunitense; da parte cinese, l’obiettivo è invece quello di diffondere lo yuan in regioni diverse da quella asiatica. Negli ultimi mesi il paese ha poi firmato accordi nei quali si impegna a prestare yuan a determinati paesi asiatici (Corea del Sud, Malesia, Indonesia) e alla Bielorussia, qualora dovessero attraversare un’emergenza finanziaria; inoltre Hong Kong è stato autorizzato ad usare lo yuan nel commercio con il resto dell’Asia. Tuttavia, almeno nel breve e nel medio termine, lo yuan non sostituirà il dollaro come moneta di riserva internazionale, né Shangai si affermerà come vero e proprio centro finanziario mondiale, benché alcuni economisti lo considerino possibile entro il 202013; per allora si stima che il 3 % delle riserve mondiali saranno in valuta cinese14, facendone così la quarta valuta più importante dopo il dollaro, l’euro e la sterlina. Per quanto riguarda il ruolo all’interno delle istituzioni finanziarie mondiali, l’aumento del potere finanziario cinese avrà l’effetto di limitare la capacità di decisione unilaterale di Stati Uniti ed Unione Europea. La Cina ha inoltre mostrato disponibilità a finanziare il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Asiatica di Sviluppo (ADB), e dunque a rafforzare la propria posizione in questi organismi. Va poi considerato che, nel 2010, il Fondo Monetario revisionerà i pesi assegnati alle singole valute all’interno del paniere di monete che compongono i cosiddetti Diritti Speciali di Prelievo. La composizione di questo paniere viene aggiornata ogni cinque anni, nell’ultima revisione del 2005 il dollaro rappresentava il 44 % del paniere, l’euro il 34 %, lo yen e la sterlina l’11 % ciascuno; nella revisione del 2010 lo yuan potrebbe far parte della lista15. Inoltre, recentemente la Cina ha proposto di creare una nuova valuta internazionale, gestita dal Fondo Monetario, che rimpiazzi il dollaro come moneta di riserva e di scambio commerciale. Questa moneta potrebbe essere costituita dagli stessi Diritti Speciali di Prelievo, in modo da rendere più stabile il sistema finanziario internazionale. La proposta cinese, benché di difficile attuazione per molte ragioni, di cui alcune di carattere tecnico, esprime la preoccupazione e la necessità avvertita di un’ampia ristrutturazione delle finanze globali e sottolinea, oltre alle perplessità cinesi nei confronti del dollaro16, la volontà implicita di giocare un ruolo di maggiore protagonismo nella finanza internazionale. In sintesi, la crisi sta accelerando la formazione di un nuovo ordine mondiale economico, finanziario e politico, nel quale la Cina occuperà una posizione di superiorità.

6 Conclusioni • A causa dei progressi nel grado di integrazione all’interno dell’economia mondiale, la Cina ha subito gli effetti della crisi mondiale; tuttavia, le peculiarità del modello economico cinese si riflettono nelle caratteristiche dell’impatto: l’esposizione diretta alla crisi è stata limitata e l’effetto più forte deriva dal calo delle esportazioni e degli investimenti esteri. • La conseguenza negativa più rilevante della crisi è la crescita della disoccupazione, che rispecchia il rallentamento del tasso di crescita. • La Cina può far leva sulle caratteristiche del proprio modello economico che hanno limitato l’impatto, e sui punti di forza che la pongono in una posizione migliore degli altri paesi nel processo di recupero. • La crisi ha messo in evidenza le peculiarità del modello economico cinese, nella misura in cui aspetti tradizionalmente oggetto di critica si sono invece rivelati punti di forza nel proteggere l’economia del “Gigante Asiatico”. • Ci si aspetta che le misure adottate contribuiscano a delineare un modello economico meno dipendente dalle esportazioni, e che aiutino il paese ad uscire rafforzato dalla crisi. • Va messo in risalto il contributo cinese all’uscita dalla crisi, evidente nelle responsabilità che il paese si è assunto a livello mondiale in termini di politiche di cooperazione e concertazione. • La crisi sta facendo da catalizzatore del ruolo emergente della Cina sullo scenario mondiale, e del sempre maggiore protagonismo del paese asiatico.

1. Società, patrocinate dal governo statunitense, che detenevano o garantivano la gran parte dei prestiti ipotecari, e che sono andate fallite. 2. Arribas Quintana, Javier, Crisis financier global: Serà China una victima o saldrà beneficiada?, Global Asia, 1/11/2008 3. Bustelo, Pablo, Podrà China capear el temporal?, El Paìs.com, 25/01/2009 4. Secondo alcune stime, quando la crescita del PIL statunitense diminuisce di un punto percentuale, le esportazioni cinesi calano del 4,75 %, tale è il livello di interrelazione ed interdipendenza. 5. “Gli IDE in Cina scendono del 20,4 % nei primi cinque mesi”, Pueblo en Linea, 16/06/2009 6. “Raggiungono i 30 milioni i lavoratori cinesi rimasti disoccupati a causa della crisi”, EFE 7. Reuters, 16/06/2009 8. Reuters, 15/06/2009 9. IPS, 6/03/2009 10. Lo yuan si è apprezzato del 20 % tra il luglio 2005 e il febbraio 2009. (Xinhua, 8/03/2009) 11. Xinhua, 14/0672009 12. Si tratta di un’iniziativa adottata dai paesi che dal maggio 2000 fanno parte dell’Asean+3, che istituendo un sistema di scambio delle valute e di unione delle riserve internazionali dei paesi membri, si pone l’obiettivo di aumentare la liquidità e di vigilare collettivamente per prevenire le crisi. 13. Xinhua, 9/05/2009 14. “El imperio de las divisas espera la llegada de la dinastia del yuan” [La finanza internazionale attende l’inizio della dinastia dello yuan], elEconomista.es, 8/06/2009 15. El imperio de las divisas espera la llegada de la dinastia del yuan” [La finanza internazionale attende l’inizio della dinastia dello yuan], elEconomista.es, 8/06/2009 16. Le immense riserve monetarie cinesi denominate in dollari potrebbero svalutarsi notevolmente nei prossimi anni.