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Riflessioni intorno a “Futuro Indigeno”

MILA PERNICE

L’autodeterminazione contadina e indigena da “Nuestra America” per nuovi percorsi della transizione

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Come premessa: La “convivenza comunitaria” tra l’uomo e Pacha Mama

Tante sono le sollecitazioni politiche e anche emotive che la lettura di questo libro suggerisce, anche perchè lo scorrere delle pagine evoca continuamente la possibilità concreta dell’alternativa alla società del capitale, nelle lotte, nelle culture diverse e nelle stesse forme differenti che va assumendo oggi la transizione in una dimensione che non può che essere di classe e quindi rivoluzionaria. L’analisi proposta da Futuro indigeno, è un nuovo e importante contributo non solo di studio e ricerca militante di Rita Martufi e Luciano Vasapollo, ma anche uno strumento immediato per comprendere l’attualità della transizione al socialismo; tutto ciò grazie alla capacità dei due curatori di saper valorizzare politicamente,oltre che a livello culturale, i numerosi e articolati singoli saggi in un contesto di libro ad elaborazione collettiva con e dei prestigiosi studiosi e docenti, tutti intellettuali militanti per la maggior parte dall’America Latina ma anche dagli Stati Uniti, dal Canada e dall’Europa, provenienti anche da soggetti per tradizione politico-culturale diversa. Le modalità di lavoro di Vasapollo e Martufi nel saper strutturare e presentare i vari saggi in chiave di lettura e studio politico-culturale per una alternativa radicale al modo di produzione capitalista, porta per mano il lettore verso una conclusione fondamentale: la contraddizione capitale-natura (che convive con altre contraddizioni, come capitale-scienza, capitale-democrazia, capitale-diritti) si inserisce appieno all’interno del grande conflitto capitale-lavoro. L’importanza della convivenza comunitaria nel rispetto della natura, in contrapposizione alle logiche dello sfruttamento e del profitto, è ciò che lega strettamente le filosofie del Vivir Bien e del Buen Vivir con i movimenti di classe contadini, minacciati dalla modernizzazione capitalista, quindi dai latifondi, dall’industrializzazione, dalla meccanizzazione del lavoro agricolo, e anche dalla “contaminazione culturale” imposta dai colonizzatori.

1. “Del vento soltanto ho paura” Affrontare oggi il tema delle culture e delle filosofie di vita dei popoli indigeni in America Latina significa necessariamente entrare nel contesto della “diversità di classe” delle popolazioni originarie, legata alle conseguenze delle politiche del neocolonialismo capitalista. Esse - sottolineano Rita Martufi e Luciano Vasapollo - includendo «la continua guerra di conquista contro i popoli», la mancata attenzione alle compatibilità socio-ambientali e il continuo e sfrenato sfruttamento dei territori senza riguardo per la vita e la salvaguardia di intere popolazioni, non fanno che derivare dalla logica dello sviluppismo quantitativo e consumista del capitale. È partendo da questi presupposti che Rita Martufi e Luciano Vasapollo tornano ad occuparsi (dopo la pubblicazione di lavori quali Capitale, natura e lavoro, L’ambiente capitale, Allerta che cammina... e i diversi approfondimenti proposti dalle pagine della rivista di analisi socio-politica e culturale sull’America Latina Nuestra America) del legame tra il socialismo comunitario indigeno con il socialismo di classica impostazione marxista, nell’ottica di un “nuovo socialismo di classe”. Lo fanno coniugando al futuro quanto ha sempre accomunato i diversi popoli naturali dell’America Latina, ovvero la “fede nella terra” e la “forza della natura”; così come la realtà delle lotte per il recupero e il riconoscimento delle forme di vita dei popoli originari e la difesa dei beni comuni coniuga al futuro l’idea di un ri-equilibrio nel rapporto degli uomini con la Natura e la Madre Terra. La logica dello sviluppismo quantitativo perpetrato nella nuova fase della mondializzazione capitalista è direttamente funzionale alle politiche di distruzione dell’ambiente, dell’accaparramento delle risorse dei popoli, del mancato rispetto per la vita e per le biodiversità. A questa realtà si contrappone con forza la cultura del rispetto per la Natura, per la Terra, che caratterizza i “popoli naturali”: essa rimarrebbe confinata entro i pur affascinanti margini delle cosmovisioni etniche indigene, se non si traducesse invece nel «vero e proprio principio socio-economico» della proprietà comunitaria della terra, che è «collettiva e cooperativa». In questo senso, oggi, i movimenti dei popoli naturali nei movimenti di classe contadini stanno lottando per «un ritorno ai valori della natura e dell’uomo che siano in grado di contrastare le crisi energetiche, idriche e ambientali che stanno ormai distruggendo il pianeta e che, se non si ricorre ai ripari subito, porteranno alla distruzione dell’intero genere umano». Un ritorno ai valori che non coincida con il concetto classico di “sviluppo sostenibile”, lo stesso che agisce entro le compatibilità delle leggi dello sfruttamento e dell’accumulazione del capitale1 e che propone un’illusoria idea di progresso ben visto al sistema del capitale. Allo stesso modo, non possiamo affrontare il tema della salvaguardia dei popoli originari limitatamente ad un punto di vista sociologico e antropologico, perché non parliamo di una «questione solidaristica generale; il problema va affrontato in termini di classe, del conflitto di classe espresso dagli indios contadini, dalle lotte per la difesa e la socializzazione dei beni comuni, tematiche oggi presenti in tante Costituzioni nazionali dei paesi latino-americani». Pur non escludendo al suo interno diverse motivazioni e diverse forme di tensioni e conflitti politici, religiosi o sull’accesso ai vari tipi di risorse, la filosofia andina e amazzonica (che accomuna i popoli indigeni della Bolivia come i Quechuas, i Chiquitano, i Guaranì, gli Aymara, presenti anche in Perù, o i Mapuc presenti in Cile) ruota attorno a un «modello produttivo basato sull’equilibrio e sul rispetto della natura, che non può essere attuato in un paese con un sistema produttivo capitalista». Proprio sull’armonia con Pacha Mama, la Madre Terra, si basa la cultura del Vivir Bien boliviano e del Buen Vivir dell’Ecuador2 cultura che percorre ogni maglia del programma del MAS, il Movimento al Socialismo che ha portato alla Presidenza della Repubblica di Bolivia un indigeno come l’Aymara Evo Morales. È sulla base di un senso comunitario del rapporto con la Madre Terra e dunque di contrasto agli «interessi materiali del profitto, dell’accumulazione, dello sfruttamento dell’uomo e della natura» che la difesa della coltivazione della foglia di coca si identifica nella difesa della storia e dei costumi della Bolivia, contro il sistema del narcotraffico, espressione e conseguenza della società consumistica del capitale. A partire dall’agibilità data dal Wto alle multinazionali agricole che, ad esempio, attraverso la coltura degli “agrocombustibili” «annientano i metodi di coltivazione naturali ed ecocompatibili», si è resa urgente e necessaria una «vera e propria lotta per l’autodeterminazione e la “sovranità alimentare”». Quest’ultima ruota attorno a un problema politico perché, come affermano ancora Rita Martufi e Luciano Vasapollo, «se un popolo ha una propria sovranità alimentare, potrà raggiungere anche una sovranità politica, economica e culturale». Di qui, a maggior ragione nelle fasi di crisi sistemica del modo di produzione capitalista come quella che viviamo oggi3, la nascita e il rafforzamento delle organizzazioni di contadini in lotta per una valorizzazione del ruolo dell’attività agricola, fuori dagli schemi del profitto capitalista: come la rete di Via Campesina, il movimento dei contadini messicani della regione del Chapas, o il movimento brasiliano dei Sem Terra. Parliamo di «un nuovo movimento contadino e operaio» che «si sta sviluppando con basi solide tra i popoli indigeni» secondo «una nuova visione sindacale che si ritrova in forme organizzate dai diversi soggetti di classe proponendo anche modi di produzione alternativi maggiormente basati sull’autoconsumo, sulla proprietà collettiva della terra, mantenendo anche l’usufrutto familiare» attorno a un ruolo centrale dato al lavoro collettivo. Pur dovendo affrontare gli altissimi livelli repressivi imposti dai governi fascisti al servizio delle multinazionali, i programmi, dei sindacati e dei movimenti di classe in America Latina e di alcuni partiti comunisti e rivoluzionari ci stanno indicando un’alternativa legata a nuovi modelli di produzione e di socializzazione della ricchezza. Che essi siano, oltre che necessari, realizzabili, lo dimostrano le esperienze e le politiche socio-economiche in atto non solo della Bolivia di Evo ma il forte connotato di classe realizzato con «il socialismo bolivariano del Venezuela e il socialismo martiano e marxista, che ha ad oggi il punto di riferimento più alto a Cuba». Un vero “futuro indigeno” non potrà prescindere dalla «pratica del socialismo nel e per il XXI secolo».

2. GLI AUTORI

2.1 PEDRO PABLO RODRIGUEZ AUTOCTONIA E UNIVERSALITA’ IN JOSE’ MARTI’. LA NUESTRA AMERICA DEL PROGRESSO SOCIALE COME TRADIZIONE EDUCATIVA E CULTURALE DEI POPOLI AFRO-INDIO AMERICANI Prendendo come riferimento la Nuestra America e il Prologo alla poesia del Niagara di Josè Martì, Rodriguez sottolinea come il pensiero dell’autore cubano non contenga alcuna contraddizione nell’affermazione del binomio tradizione/modernità, se proposto nel pieno rispetto delle culture. Rifiutando la logica «del capitale, del profitto e del dominio» Martì comprendeva però le potenzialità in base alle quali il mondo moderno, anche attraverso lo sviluppo scientifico e tecnologico, avrebbe potuto prevedere e includere un reale benessere sociale. Rodriguez, storico e giornalista cubano, ci introduce sapientemente all’interno del pensiero di Martì, che auspicava il superamento delle divisioni interne e delle ingiustizie sociali da una parte, e il superamento dei progetti di dominio statunitensi dall’altra, «per il bene primario dell’uomo»; e, finalmente, per l’unità e l’indipendenza dell’America Latina.

2.2. ESTEBAN TICONA ALEJO IL NUOVO RUOLO DEI POPOLI INDIGENI CONTADINI NELLA POLITICA BOLIVIANA Ripercorrendo la storia dello sviluppo, negli ultimi 50 anni, della rappresentanza politica dei movimenti indigeni e dei movimenti di classe dei contadini boliviani, l’autore, sociologo e antropologo Aymara, individua alcuni elementi relativi al lungo percorso che ha portato l’indigeno Aymara e dirigente cocalero Evo Morales alla Presidenza della Bolivia. Partendo dalla questione del territorio inteso non come mezzo di produzione ma come spazio socio-spirituale, passando per le marce dei cocaleros del Chapare, e per la lotta per una “nuova cittadinanza indigena” attraverso il concetto di dignità, fino alla storia dello sviluppo del sindacalismo contadino boliviano, Ticona Alejo approda al concetto del Vivir Bien definendolo come «legato alla coscienza nazionale che ora si rafforza anche nel contesto internazionale». L’auspicio che il movimento indigeno e contadino rafforzi la sua autonomia organizzativa si accompagna all’individuazione dell’obiettivo principale, la «decolonizzazione dello Stato e della società».

2.3. YISEL BERNARDES MARTINEZ LE IMMAGINI DELLA NATURA E IL VALORE DELLA DIGNITA’ NELLA SIMBOLOGIA DEI «TRE EROI» L’autore, ricercatore del Centro degli Studi Martiani a L’Avana, apre le porte alla comprensione dell’immaginario poetico martiano. Martì vede i «tre eroi dell’emancipazione americana» Bolìvar, Hidalgo e San Martìn come simboli di dignità e di armonia. Ma tra i racconti de La Edad de Oro sull’esistenza eroica, si incontrano anche tante immagini quotidiane e i simboli della natura, sempre legata, secondo Martì, alla storia e allo spirito. Secondo Martinez è facile vedere nelle immagini utilizzate da Martì i tre aspetti legati alle idee di libertà e dignità: «quello dell’essere umano, quello dei popoli e quello del pensiero».

2.4. MARCELA GEREDA ILLESCAS, JUAN CARLOS GIMENO MARTIN IL COMUNITARISMO MAYA E L’ARTE DEL BUEN VIVIR IN GUATEMALA Gli autori intendono subito chiarire che il Guatemala è caratterizzato da un’enorme complessità dal punto di vista etnico, sociale e storico. La strategia socio-educativa contenuta nel comunitarismo maya prevede la partecipazione totale della comunità in base a un’identità condivisa tra un popolo e una storia, «una storia di lotta per trovare il proprio luogo nel mondo, che sia riconosciuto dagli altri». Per questo hanno combattuto le organizzazioni guerrigliere, che hanno incoraggiato i contadini e gli indigeni a prendere parte al processo rivoluzionario. In esso, un passaggio fondamentale è stata la proposta di tornare ai principi comunitari in base a una forma di resistenza di fronte alla logica capitalista: affinché sia riscritto il passato, non per recuperarlo, ma per un «processo di rigenerazione». Sarà la ricerca del bene comune a guidare la lotta per l’autodeterminazione indigena e per cambiare il mondo, anche perché (e come dare torto agli autori, e a Karl Marx...) «sul terreno delle lotte come nell’amore è sempre come la prima volta».

2.5.ENRIQUE HECTOR SOSA I CONTRIBUTI DELLA COSMOVISIONE GUARANI’ AL MODELLO DI SVILUPPO SOSTENIBILE Henrique Hector Sosa, professore universitario a Buenos Aires, ci descrive analiticamente il modello culturale delle tribù Guaranì, tutte originarie della regione paraguaiana: una famiglia linguistica estesa in tutta l’America Latina, una formazione culturale improntata sull’“organizzazione” e sul “senso” in relazione con lo spazio ed il tempo. Sosa descrive un modello che ha resistito all’egemonia culturale della colonizzazione spagnola ed europea e che ha il suo punto centrale nel “mito” e nei “simboli” che incontriamo nel linguaggio non verbale, come la danza, nell’usanza di bere il mate, nella tradizione orale del tramandarsi delle leggende prive di ogni dogmatismo. Così come incontriamo i simboli nella rilevanza che la cultura Guaranì attribuisce alla “parola” come espressione della storia della popolazione Guaranì che ha il suo punto di riferimento fondamentale, ancora una volta, nella concezione della terra come bene comune e come mezzo di produzione principale: la terra è come il corpo umano, e «come il corpo ha i capelli, la terra ha gli alberi». L’impegno sarà quello di mantenere legati i diritti umani all’autogestione delle risorse produttive e alla qualità della vita.

2.6. GUIDO GALAFASSI IL SACCHEGGIO DELLE RISORSE NATURALI E DEL TERRITORIO E LA RESISTENZA DEGLI INDIGENI NELLA PATAGONIA ARGENTINA Un territorio come la Patagonia, che ospita circa 230.000 Km quadrati di conche idriche, non può che essere, come ci racconta Galafassi, al centro di una serie di conflitti per l’appropriazione delle sue terre e delle sue risorse: lo dimostra il fatto che il gruppo Benetton ne possiede circa 900.000 ettari. Dalla lettura di Galafassi emerge chiaramente la stretta connessione esistente tra la terra, le sue risorse e un vero sviluppo umano. Di qui la lotta delle popolazioni native, resa fondamentale dal fatto che la difesa della terra e delle risorse è legata a doppio filo al problema della sopravvivenza e dello sviluppo materiale delle comunità. Considerando i limiti del concetto convenzionale di “sviluppo sostenibile”, l’autore sottolinea la presenza nella regione delle lotte di organizzazioni, movimenti sociali e settori della popolazione per affermare, in sintesi, che l’«organizzazione popolare è quasi l’unica forma di resistenza a questo reiterato saccheggio» cui rispondere con l’opposizione più determinata possibile alla logica produttivistica della società capitalista dominante.

2.7. CARLOS LAZO VENTO, JOAQUIN OLIVERA REMERO CARATTERIZZAZIONI SOCIO-ECONOMICHE PER LO SVILUPPO LOCALE BASATO SUL TURISMO SOSTENIBILE (CUBA) Secondo i due studiosi cubani, anche i progetti legati al cosiddetto “turismo sostenibile” possono concorrere all’obiettivo di preservare e conservare il patrimonio locale strumentalmente alla ricostruzione di un’“identità locale”. È il caso del Programma Speciale di Sviluppo Integrale del Turismo, che ruota attorno alla valorizzazione del turismo in una regione caratterizzata dalla produzione del tabacco. Esso è stato definito come un “regalo universale” donato dall’America Latina a tutta l’umanità. Nel XVIII secolo Pinar del Rio divenne zona di monopolio del tabacco mentre il sigaro diveniva parte dell’identità culturale dei popoli autoctoni riuscendo ad avviare una “colonizzazione al contrario” fino all’Europa. Al centro, ancora, i valori culturali e storici per uno sviluppo turistico del territorio basato «sulle potenzialità della natura».

2.8. CESAR APONTE RIVERO, LUZ AMELIA SANCHEZ ARGUELLO, JESUS RAMOS, CARLOS GONZALEZ, JULIO ESTEVES, RAMIRO ROYERO CONSERVAZIONE AMBIENTALE, POPOLAZIONI INDIGENE E TRASFORMAZIONI SOCIALI - RISERVA DELLA BIOSFERA DELTA DELL’ORINOCO (VENEZUELA) Gli autori ci fanno riflettere sull’evidenza della contraddizione tra la ricchezza di un territorio come il delta dell’Orinoco e le condizioni di povertà e di ingiustizia sociale in cui vivono le popolazioni indigene. Esse si sono confrontate direttamente con i concetti di «giornata lavorativa, occupazione e salario» sotto il costante controllo dei padroni capitalisti. È il caso della popolazione dei Warao migrata nei centri urbani per soddisfare i bisogni imposti dal nuovo sistema di produzione. Solo con la Costituzione del 1961 della Repubblica del Venezuela vennero riconosciuti i diritti delle popolazioni indigene, ma è a partire dal 1999 che ha inizio la transizione dell’organizzazione sociale e statale ad opera della Repubblica Bolivariana del Venezuela. «La Rivoluzione Bolivariana - spiegano gli autori - concepisce la conservazione della diversità biologica non come un processo isolato dal resto dei programmi governativi e dei fenomeni sociali ed economici; al contrario, la conservazione è vista come il risultato dell’alleanza tra le istituzioni dello Stato e le organizzazioni popolari di base, per l’attuazione congiunta di politiche che facciano diminuire i livelli di povertà, che rendano democratico l’accesso alle risorse naturali [...] e che formino le basi per una nuova società fondata sui principi dello sviluppo endogeno sostenibile». Una sostenibilità compatibile con una trasformazione sociale e una trasformazione del rapporto tra economia e ambiente.

2.9. PATRICIA E. M. RONCAL REVOLLO LA MARCIA PER IL TERRITORIO E LA DIGNITA’: IL MOVIMENTO INDIGENO-CONTADINO BOLIVIANO VERSO LA COSTRUZIONE DEL VIVIR BIEN Nel racconto di ciò che ha spinto, a partire dalla Marcia fino a La Paz del 1990, migliaia e migliaia di indigeni e di contadini nelle strade della Bolivia supersfruttata dai proprietari terrieri e dalle multinazionali, Patricia Roncal, economista boliviana, ci parla di un aspetto politico particolarmente rilevante, che è legato all’autodeterminazione dei popoli indigeni attraverso la lotta per il territorio e per la «riappropriazione sociale e culturale delle risorse naturali» che è il diritto di poter decidere sulla gestione della terra e, appunto, delle sue risorse. Con la Presidenza di Evo Morales, a 18 anni dalla marcia per il Territorio e la Dignità, si sancisce la conquista del potere da parte di un progetto politico, che passa per il paradigma del Vivir Bien con il suo “sapere collettivo”, la sua “teoria critica”, il suo “pensiero contestatario” per dare protagonismo finalmente a un nuovo «attore politico: gli indigeni dell’America Latina».

2.10. RAUL URBAN RUIZ, ALEJANDRO VALLE BAEZA LA LUZ DE LA MONTANA - UN INIZIO DI AGRICOLTURA BASATA SULLA PARTECIPAZIONE COLLETTIVA E SUL RISPETTO DELL’AMBIENTE (MESSICO) Gli autori prendono spunto dalla storia dell’organizzazione Luz de la Montana, nata negli anni ’80 sotto il controllo delle comunità indigene, per raccontarci come avviene la promozione dell’autoconsumo e della frutticoltura nel rispetto della biodiversità, e l’appropriazione del processo di produzione e commercializzazione del caffè da parte dei produttori. Dopo aver affrontato il controllo della produzione regionale da parte degli sfruttatori e aver assistito alla cessazione dell’attività della INMECAFE (l’Istituto Messicano del Caffè), i contadini ricorsero alla produzione organica per migliorare il prezzo di vendita; oltre alla crescita della qualità del caffè, essa permetteva la salvaguardia ambientale e il miglioramento della salute e dell’economia familiare. Il controllo collettivo dei mezzi di produzione praticato da Luz de la Montana ha fornito un’alternativa alla privatizzazione delle risorse e allo sfruttamento del lavoro salariato: un’alternativa al capitalismo.

2.11. GRIZEL MARIA DONESTEVEZ SANCHEZ, ROBERTO MUNOZ GONZALEZ TENDENZA ALLA CONTADINIZZAZIONE NEGLI ANNI ’90 A CUBA Il ruolo dell’economia agraria e contadina, all’interno del processo di transizione al socialismo a Cuba, non può prescindere dal «passaggio contadino verso forme socializzate della produzione», definito “contadinizzazione”. Essa, tra le altre cose, mantiene i metodi tradizionali di lavoro, l’impiego familiare della forza lavoro, permette lo sfruttamento delle terre incolte e offre un’alternativa alla scarsità d’impiego. L’alternanza fra strutturazione e re-strutturazione dell’economia contadina a Cuba, le cui dinamiche sono spiegate con chiarezza dai due docenti economisti cubani, dipende dalle diverse strategie economiche applicate in tutto il periodo rivoluzionario. Poiché, inoltre, le politiche agrarie riguardano direttamente l’efficienza nella produzione di alimenti e materie prime, la direzione delle ricerche scientifiche e della politica non potrà che andare incontro a un forte equilibrio nel settore strategico dell’economia contadina.

2.12. JAIME ALBERTO RENDON ACEVEDO LA PROPRIETA’ TERRIERA IN COLOMBIA: TRA GUERRA, ESPROPRIAZIONE E CONCENTRAZIONE Il processo di “deagrarizzazione”, di urbanizzazione dei contadini, di intensificazione delle coltivazioni agroindustriali entro scenari feudali e sotto il controllo paramilitare, derivano «più dal timore per gli effetti di un’eventuale espansione della Rivoluzione Cubana in tutta la regione [...] che da decisioni prese di fronte al modello di sviluppo». È in base a questo presupposto che l’autore definisce impossibile che in Colombia si inneschino processi di riforme destinate a diminuire la povertà e l’alta disuguaglianza del reddito. La repressione da parte dei gruppi armati e dell’esercito ha violentemente colpito l’agibilità delle proteste indigene per la rivendicazione non solo dell’accesso alla terra, ma anche della sovranità sul territorio, in un’ottica di opposizione, per esempio, al Trattato di Libero Commercio con gli Stati Uniti. Dovranno essere le società locali, dunque, gli afro-discendenti, gli indigeni e i contadini poveri, ad attuare una resistenza determinata a invertire il processo di appropriazione e concentrazione della proprietà terriera nelle mani insanguinate del modo di produzione capitalistico.

2.13. MATIAS BERGER, GABRIEL I. BOBER, MELINA NEIMAN L’AGRICOLTURA FAMILIARE E LE PROSPETTIVE SOCIO-POLITICHE IN ARGENTINA Che alcune forme di agricoltura familiare contengano in sé grandi potenzialità di trasformazione dal punto di vista sociale e politico, lo dimostra il caso dell’Argentina. Gli autori ci propongono un’analisi che ruota attorno alla principale distinzione fra l’agricoltura a conduzione familiare della “regione della Pampa” e quella delle “regioni al di fuori della Pampa”: essa sta nel fatto che quest’ultima non prevede l’accumulazione di capitale dell’impresa familiare, ma la sopravvivenza dei piccoli produttori e il miglioramento delle loro condizioni di vita, mentre la conduzione familiare pampeana agisce entro le compatibilità del modello capitalistico dominante. Il fatto stesso che il tipo di conduzione familiare dell’agricoltura extrapampeana riunisca una serie di organizzazioni che rivendicano un’inversione di tendenza rispetto all’ordine produttivo, sociale e politico imposto dalla logica dell’accumulazione capitalistica, la dice lunga sulle potenzialità insite nell’agricoltura familiare, soprattutto se messe in relazione con le rivendicazioni di altri settori intorno a un progetto di trasformazione sociale.

2.14. ROMANO GONZALEZ ARCE LA CONOSCENZA AGROALIMENTARE TROPICALE (COSTA RICA) Il recupero degli alimenti prodotti dall’agricoltura tradizionale contadina e indigena coincide con il recupero della cultura nativa dei gruppi indigeni. Ciò è tanto più vero, come ci dimostra la tesi dell’autore, nutrizionista e antropologo costaricano, nell’ambito del crocevia culturale della Costa Rica e nel suo patrimonio agroalimentare indigeno, nativo e tropicale. L’introduzione dello zucchero, l’uso del burro per la cottura degli alimenti, la diminuzione del consumo di carne e la diminuzione del consumo di vegetali da raccolto hanno portato, oltre che a cambiamenti dannosi per la salute dell’uomo, a una vera e propria perdita culturale che ruota tutta attorno al rapporto con la Natura: «l’uomo è parte integrante della Natura, è un elemento in più, né superiore e né inferiore, in relazione di assoluta reciprocità; in casi estremi, se si rompono i codici di relazione con la Natura, la persona che trasgredisce, si ammala». Contro la malattia di un sistema che non rispetta la natura e l’ambiente, il recupero della “milpa” e della “zucca ayote” vuol dire la salvaguardia di “fauna e flora, uomini e donne, quindi culture». In ciò l’importanza di salvare un sistema agroalimentare come quello indigeno costaricano.

2.15. ISMAEL GONZALEZ CULTURA E INTEGRAZIONE IN AMERICA LATINA E NEI CARAIBI Gonzalez si preoccupa di rilevare i tanti aspetti che collegano la cultura all’economia, alla produzione industriale e artigianale, alla distribuzione e circolazione di beni e servizi, per evidenziare come sia necessario che l’interazione tra cultura e sviluppo sia accompagnata da una precisa volontà politica, quella di contrastare un modello che impone necessità superflue perdendo di vista la «sacra relazione tra la terra e la natura». La stessa sacralità che caratterizza l’armonia tra gli uomini e la natura, che è alla base del paradigma del Vivir Bien, nel quale cultura e struttura sociale assumono i nuovi valori necessari per la libertà di Nuestra America perché, come diceva Josè Martì «essere colti è l’unico modo per essere liberi». Solo comprendendo l’importanza strategica della relazione tra cultura e un vero sviluppo sostenibile è possibile puntare al socialismo come meta affinché sia finalmente superato il sistema economico capitalista.

2.16. TAMARA GUTIERREZ BAFFIL, MAYRA CARMONA GONZALEZ SVILUPPO LOCALE, EDUCAZIONE E CONOSCENZA DEI POPOLI - STRATEGIE PER IL CONSOLIDAMENTO DELLE SEDI UNIVESITARIE MUNICIPALI (SUM) A CUBA Spiegandoci in cosa consiste il concetto di “valore” come risultato dei diversi sistemi educativi, gli autori ricordano il concetto marxista del carattere di classe dell’educazione, ben presente nel sistema formativo cubano che si riconosce nelle tre funzioni istruttiva, educativa, e in quella che sviluppa la formazione delle facoltà e delle capacità dell’uomo. È in base a questi presupposti che possiamo prendere atto di come a Cuba gli studenti universitari siano «partecipanti attivi, impegnati nelle trasformazioni sociali che contribuiscono alla giustizia sociale, allo sviluppo del paese e della dimensione locale nonché alla felicità dei suoi cittadini». Se la formazione dei valori passa attraverso un modello educativo capace di incidere sull’evoluzione sociale e sullo sviluppo locale, come avviene a Cuba, il beneficio ottenuto sta nella formazione di una “leadership morale” capace di produrre e spiegare i cambiamenti nelle coscienze e nelle società.

2.17. CARLOS CORTEZ RUIZ LA LOTTA CONTADINA PER LA TERRA E PER LA VITA (MESSICO) Nelle varie forme di resistenza, in Messico, all’egemonia del mercato come «agente regolatore della vita sociale» Carlos Cortez Ruiz individua, da una parte, le esperienze che scaturiscono dagli attori sociali, e dall’altra quelle che fanno riferimento alle ONG, alla Chiesa, ad alcuni settori governativi. La lotta per la terra e per le risorse è l’espressione di un motore per il cambiamento, che trova uno dei momenti più importanti nella lotta per la difesa del mais volta a salvare la conoscenza tradizionale contadina e indigena «non» però «come una forma di ritorno al passato» ma come elemento progettuale e di trasformazione; così come avviene nello sviluppo dell’agricoltura organica, come quella del caffè, e nel mercato equo. Il movimento zapatista, in tale contesto, ha saputo conciliare la lotta alla povertà e alla distruzione ambientale, in difesa delle risorse, con la richiesta di cambiamenti politici. Poiché l’azione sociale, afferma l’autore, da sola non è sufficiente a produrre cambiamenti, ancora più importanza assume il programma politico attorno al quale diversi attori sociali possano battersi per il riconoscimento dei diritti culturali e politici della popolazione indigena.

2.18. LUIS QUINONES AGURTO L’APPROCCIO SOCIALE DEL PERU’ E IL PROGRAMMA INDIGENO-CONTADINO La riflessione di Agurto, economista peruviano, si concentra sulla presenza, in Perù, delle grandi imprese transnazionali e del potere politico dei governi imperialisti, che non ha evitato la nascita, in particolare nell’attività mineraria e dell’estrazione degli idrocarburi, di un movimento indigeno con straordinarie potenzialità di crescere come movimento politico. Lo sforzo, da parte delle popolazioni indigene, di decolonizzare il Perù per «rifondare uno Stato, multinazionale e multiculturale», ha portato alla nascita di un’organizzazione come il COCANAMI che ha aperto nuovi scenari nel dibattito politico-economico e per l’autoaffermazione indigena. Un’esperienza che non è sfuggita alle influenze del processo boliviano e di quello ecuadoriano, e che ha messo sul piatto i temi dell’identità e dei diritti delle popolazioni andine, nell’attesa che un carattere politico intervenga a dare nuova linfa a un movimento indigeno schiacciato dalla repressione.

2.19.LUIS TAPIA MEALLA BOLIVIA - STRUTTURE DI RIBELLIONE, LOTTA DI CLASSE E RESISTENZA OFFENSIVA Luis Tapia Mealla riflette sulla pratica della lotta di classe a partire da alcuni assunti teorici. Il docente boliviano analizza quelle che definisce “strutture di ribellione” in Bolivia, ossia quei «supporti storici» che caratterizzano l’interazione tra gli aspetti sociali e quelli politici. Tali strutture sono articolazioni delle «strutture di conflitto» attraverso le quali degli attori politici entrano in contrasto con la disuguaglianza, l’esclusione, lo sfruttamento. Nel complesso contesto boliviano la forma più costruttiva di “resistenza offensiva” è rappresentata dai sindacati, che nella memoria da una parte, e nel progetto politico dall’altra, fondano la propria “struttura di rivolta”. La rivoluzione del 1952 e la storia del movimento operaio racchiudono in sé la «forma comunitaria di ribellione» che a sua volta fa tesoro della disciplina sindacale e assume l’ideologia socialista. Tali caratteristiche hanno fatto della “Coordinadora” il risultato di un movimento vittorioso come quello per l’acqua, hanno fatto del Movimento dei Senza Terra il latore della politica comunitaria, hanno fatto delle comunità e dei sindacati aymara e quechua le principali strutture di rivolta per un altro sistema di relazioni sociali; hanno fatto, infine, del MAS, un Movimento al Socialismo verso un orizzonte politico finalmente produttore di cambiamenti.

2.20.PATRICIO BENALCAZAR ALARCON IL BUEN VIVIR - SUMAK KAWSAY - LA COSTRUZIONE DI UN PARADIGMA PER UNA DIVERSA UMANITA’ (ECUADOR) Per affrontare i contenuti alla base della filosofia del Sumak Kawsay, Alarcon concentra la sua attenzione sull’idea del “progresso” occidentale: se esso separa l’uomo da una natura intesa unicamente come insieme di risorse al servizio dell’uomo stesso, e come entità separata dall’uomo stesso, il concetto di Sumak Kawsay ricompone il tutto nell’unità e nell’equilibrio fra universo, natura ed umanità. Nel momento in cui il Buen Vivir riconosce i diritti della Natura, assistiamo alla possibilità di altre forme di organizzazione della società e dell’economia. Il riconoscimento del concetto di Buen Vivir all’interno della nuova Costituzione ecuadoriana non può che rimettere in moto quel processo di transizione che oggi soffre le contraddizioni prodotte dalle forze politiche ed economiche egemoniche, e che solo il movimento sociale e di classe potrà mettere politicamente in discussione.

2.21. JAMES PETRAS, HENRY VELTMEYER UN SISTEMA IN CRISI. UNA PROSPETTIVA DI CLASSE SULL’ECOLOGIA E I MOVIMENTI INDIGENI Già la storia politica-culturale, come quella dei curatori del libro, di forte caratterizzazione marxista delle firme di questo saggio la dicono lunga sul taglio con cui si affronta l’argomento trattato; a partire dal descrivere le dinamiche capitaliste di propensione alle crisi e le dinamiche di classe che le sottendono, James Petras e Henry Veltmeyer scrivono di come il fenomeno della crisi ecologica non sia spiegabile se non all’interno del processo di accumulazione del capitale e dello sviluppo capitalista. È il marxismo a darci indicazioni sull’incidenza dei rapporti di produzione e di potere rispetto alla «dinamica di classe dei presunti disastri naturali e ambientali che avvengono in varie parti del sistema capitalista mondiale». Ritroviamo una dinamica di classe, ad esempio, nel voluto declino da parte del capitale della pesca del merluzzo nelle acque del Canada Atlantico, in ciò che è avvenuto a New Orleans con l’arrivo dell’Uragano Katrina o nella crisi alimentare globale. Allo stesso modo, ritroviamo nella società indigena una differenziazione di classe contrastata da un movimento indigeno che in Bolivia è stato indirizzato da Morales, con successo, verso il processo elettorale. Come, dunque, sostenibilità ambientale e liberazione indigena si accompagnano vicendevolmente all’interno della lotta di classe anticapitalista, anche se non mancano alcuni cenni critici dei due autori, così il progetto rivoluzionario che scaturirà da un’analisi di classe dovrà essere «ecosocialista».

2.22.SONIA CATASUS CERVERA, GILBERTO J. CABRERA TRIMINO AFRO-DISCENDENTI DELL’AMERICA LATINA E DEI CARAIBI E SOCIALISMO DEL XXI SECOLO In questo saggio emerge una lettura di classe dello stesso concetto di “razzismo”, su cui è bene riflettere: indicandoci che la chiave di lettura dell’ideologia e della pratica razzista è economica più che sociale e culturale, gli autori ci ricordano come il modello razzista in America Latina e nei Caraibi poggi sull’«esclusione economica per più di 150 milioni di afro-discendenti delle Americhe». È per questo motivo che il Socialismo del XXI secolo deve elaborare un sistema di inclusione razziale, nel momento in cui il 95% degli afro-discendenti vive nella povertà, che dia la possibilità ai “Negros y Negras” dell’America Latina e dei Caraibi di essere soggetti politici di una nuova e rivoluzionaria strutturazione sociale.

3. A mo’ di conclusioni Nel rapporto armonico con Pacha Mama, la Madre Terra, la cultura indigena sa porsi in netta opposizione e alternativa ad un modo di produzione, quello capitalistico, che nella sua idea di “progresso” necessariamente include la colonizzazione e il saccheggio delle terre, il furto delle sue risorse, l’assoggettamento dei popoli alla logica dello sviluppismo quantitativo. In questo senso, le grandi potenzialità derivanti dalla lotta per la proprietà collettiva di una terra che non è merce e dalla lotta per l’autodeterminazione dei movimenti contadini e indigeni e per la loro liberazione dallo sfruttamento, guardano al Socialismo del, meglio nel e per il XXI secolo come allo sbocco naturale di un’analisi di classe che metta al centro i rapporti di produzione in relazione anche alla sostenibilità socio-ambientale. Per questi motivi, come ci indica Luciano Vasapollo, chi guarda realmente al cambiamento non può più parlare di uno “sviluppo sostenibile” che preveda un intervento sull’ambiente ma sempre in termini di servizio al profitto, bensì deve parlare di uno “sviluppo socio-eco sostenibile” che non entri in contraddizione ma anzi sia motore per le prospettive e le dinamiche messe in campo dai processi di transizione al socialismo in atto oggi nell’America Latina e caraibica. «Sempre più vivo è il programma di lotta per la transizione da parte dei partiti comunisti, dei sindacati e dei movimenti di classe indios, operai, contadini, che propongono forme di articolazione alternative con modelli di produzione opposti a quello dei gruppi dominanti», affermano Rita Martufi e Luciano Vasapollo, che aggiungono: «solo a partire da nuove relazioni di produzione anti-capitaliste si può parlare di “futuro indigeno” nell’affermare la società della classe che lavora, che costruisce con carattere solidaristico e ribelle il socialismo nel e per il XXI secolo». È guardando alla lotta per l’autodeterminazione dei popoli indigeni e all’amore per la Pacha Mama, in un’ottica di classe e in stretta correlazione con tutte le contraddizioni presenti all’interno del conflitto capitale-lavoro, che possiamo così recuperare un futuro partendo dai conflitti del presente che nel difendere l’umanità dalla barbarie del capitale costruisca da subito il “nuovo socialismo” di tutti, l’internazionale della futura umanità.

1 Si veda C. José Alberto Jaula Botet in L. Vasapollo, R. Martufi, L’Ambiente Capitale - Alternative alla globalizzazione contro natura: Cuba investe sull’Umanità, Natura Avventura Edizioni, 2008, pp. 61-73. Si veda anche la prefazione di Luciano Vasapollo in L. Vasapollo, Carlos Lazo Vento, Allerta che cammina... Educazione e percorsi alternativi di Economia Locale in America Latina per lo Sviluppo Socio-Eco Sostenibile, Natura Avventura Edizioni, Roma 2009, pp. 13-28.

2 Ivi, pp. 181-201, 255-259.

3 Vd. L. Vasapollo, La crisi del capitale - Compendio di economia applicata: la mondializzazione capitalistica, Jaca Book, Milano 2009.

4 Vd. Nuestra America, 3-4/2009, pp. 107-109.