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L’analisi-inchiesta

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Luciano Vasapollo
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Docente di Economia Aziendale, Fac. di Scienze Statistiche, Università’ “La Sapienza”, Roma; Direttore Responsabile Scientifico del Centro Studi Trasformazioni Economico-Sociali (CESTES) - Proteo.

Rita Martufi
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Consulente ricercatrice socio-economica; membro del Comitato Scientifico del Centro Studi Trasformazioni Economico Sociali (CESTES) - PROTEO

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Le tendenze macroeconomiche del processo di ristrutturazione capitalistica
Luciano Vasapollo, Rita Martufi

 

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Le tendenze macroeconomiche del processo di ristrutturazione capitalistica

Luciano Vasapollo

Rita Martufi

Quarta parte: Le dinamiche evolutive dei processi di internazionalizzazione

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In questo senso le imprese di piccola e media dimensione sono diventate le protagoniste di un sistema di “specializzazione flessibile” con un modello alternativo a quello della grande produzione di massa, coniugando la ricerca di risorse e materie prime, di lavoro specializzato e a basso prezzo e di disponibilità immediatamente fruibile di forti concentrazioni di risorse del capitale intangibile.

Il decentramento produttivo costituisce in sostanza un fenomeno opposto alla concentrazione territoriale della produzione e quindi l’abbandono delle aree più centrali demandando a queste l’assemblaggio produttivo e il comando del ciclo, poichè il decentramento è anche una deconcentrazione tecnica con conseguente scomposizione dei cicli produttivi.

Ed è proprio a seguito di questi fenomeni di decentramento che si è arrivati a parlare di delocalizzazione attraverso le dinamiche degli IDE che riguardano l’acquisizione e trasferimento all’estero di alcune fasi della produzione, di interi stabilimenti, di investimenti tecnici-materiali e di natura immateriale. Queste acquisizioni e trasferimenti possono avere carattere temporaneo nel caso in cui vengano trasferiti semilavorati che poi saranno reimportati dopo alcune fasi di lavorazione, ma comunque si tratta sempre di delocalizzazioni di natura produttiva e non commerciale.

Se si considerano, in generale, i livelli degli Investimenti Diretti Esteri (IDE) va rilevato che negli ultimi anni hanno raggiunto dei livelli molto elevati; basti pensare che i flussi in uscita hanno registrato un incremento del 27% tra il 1996 e il 1997 arrivando quasi a 425 miliardi di dollari. (Cfr. Tab.11)

Va evidenziato che la crescita media annua si è mantenuta nel corso degli anni novanta al di sopra del livello del PIL, delle esportazioni e degli investimenti interni lordi. Le Tabb.12,13,14 e 15 evidenziano che le economie dei paesi industrializzati nel 1997 hanno investito oltre il 90% del totale dei flussi degli IDE a livello mondiale e ne hanno catturato oltre il 60%. Va rilevato che Stati Uniti, Giappone e UE assorbono l’83,5% dei flussi in entrata e l’83,7% di quelli in uscita; è importante raffrontare gli IDE in termini di flussi e di stock con alcuni selezionati indicatori economici per individuarne il peso macroeconomico relativo.




La Tab. 16 evidenzia i flussi degli IDE per aree economiche negli anni 1992-1997; si nota con immediatezza che Giappone, Stati Uniti e Regno Unito hanno avuto valori molto elevati soprattutto nel 1997 dei flussi in uscita (rispettivamente 26 miliardi di dollari il Giappone, 115 gli USA e 58 il Regno Unito); da evidenziare il dato relativo ai Paesi in Via di Sviluppo: dal 1992 al 1997 sono passati da un valore di 21 ad un valore di 61; hanno cioè triplicato gli IDE in uscita. Anche se si guardano gli IDE in entrata si evidenziano forti incrementi per USA, UE, Cina e per i Paesi in via di Sviluppo che sono passati da 51 a circa 150 miliardi di dollari nel 1997.

Gli IDE dei paesi europei sono molto cresciuti in questi anni ; la tabella evidenzia ancora che soprattutto nel 1997 si è avuto un aumento degli IDE verso i paesi dell’Europa centrale ed orientale ( o paesi dell’est).

Nei successivi Prospetti da 1 a 10 si può seguire l’andamento degli IDE rispettivamente da e verso gli altri singoli paesi per i diversi paesi considerati (USA, Giappone e Germania) e il totale per paese (Regno Unito, Francia, Giappone, Germania e Stati Uniti). [1]

Nel parlare di internazionalizzazione inoltre occorre innanzitutto distinguere tra l’orientamento al commercio internazionale e quello al marketing internazionale; mentre il primo corrisponde alla cosiddetta “internazionalizzazione passiva”, il secondo corrisponde all’”internazionalizzazione attiva”. [2]

Passando ora ad esaminare il ruolo del commercio estero va evidenziato che mentre gli Stati Uniti negli ultimi 15 anni hanno avuto una energica crescita economica che ha causato un esteso deficit commerciale, i paesi dell’Unione Europea hanno mantenuto il loro ruolo di prima potenza esportatrice. Questi due elementi hanno provocato un contrasto commerciale sempre più aspro tra Europa e America, contrasto che si individua soprattutto nelle importazioni dei prodotti agricoli. La maggior parte degli scambi commerciali dei paesi dell’UE avviene soprattutto a livello intra-area; gli Stati Uniti comunque rappresentano ancora il principale partner commerciale, mentre si è avuto un incremento del commercio con i paesi dell’Europa Centro-Orientale, del Medio Oriente e dell’America Latina.


[1] Se i Grafici seguono un andamento rispetto a valori negativi significa che prevalgono sempre gli investimenti (numeri negativi perchè per il paese considerato denotano uscita in denaro) rispetto ai disinvestimenti (numeri positivi perchè per il paese considerato denota entrata di denaro).

[2] Nel caso dell’internazionalizzazione passiva sono gli operatori economici esteri (importatori, distributori, ecc.) che acquistano il prodotto nel proprio paese.