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Trasformazioni Sociali e Sindacato

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Harald Ege
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Ricercatore in Psicologia del Lavoro e dell’Organizzazione. Presidente di PRIMA, Associazione Italiana contro Mobbing e Stress Psicosociale - Bologna

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Mobbing: che cos’è il terrore psicologico sul posto di lavoro

Harald Ege

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LA 4° FASE: ERRORI ED ABUSI DELL`AMMINISTRAZIONE DEL PERSONALE

Il caso di Mobbing diventa pubblico e spesso viene favorito dagli errori di valutazione da parte dell’ufficio del Personale. La fase precedente, che porta in malattia la vittima, è la preparazione di questa fase, in quanto sono di solito le sempre più frequenti assenze per malattia ad insospettire l’Amministrazione del Personale.

In seguito ai sintomi psicosomatici che avverte, Matteo va una prima volta in malattia, ma al ritorno in ufficio le cose sono anche peggio: ora i colleghi lo prendono in giro anche per avere, a loro dire, rimediato delle vacanze extra quando loro erano oberati di lavoro. Matteo cerca di resistere, ma deve chiedere altri giorni di permesso: l’insonnia si è aggravata e la depressione è sempre più profonda, non riesce a entrare in ufficio e a mettersi al lavoro. L’ufficio personale, allarmato anche dal ritardo del lavoro, nota le ripetute assenze di Matteo e comincia a indagare: la soluzione più facile è inviare richiami disciplinari a una sola persona (Matteo) piuttosto che a tutto l’ufficio.

 

LA 5° FASE: SERIO AGGRAVAMENTO DELLA SALUTE PSICO-FISICA DELLA VITTIMA

In questa fase il mobbizzato entra in una situazione di vera disperazione. Di solito soffre di forme depressive più o meno gravi e si cura con psicofarmaci e terapie, che hanno solo un effetto palliativo in quanto il problema sul lavoro non solo resta, ma tende ad aggravarsi. Gli errori da parte dell’amministrazione infatti sono di solito dovuti alla mancanza di conoscenza del fenomeno del Mobbing e delle sue caratteristiche. Conseguentemente, i provvedimenti presi sono non solo inadatti, ma anche molto pericolosi per la vittima. Essa finisce col convincersi di essere essa stessa la causa di tutto o di vivere in un mondo di ingiustizie contro cui nessuno può nulla, precipitando ancora di più nella depressione

Matteo è in piena depressione: non riesce più a dormire o ad andare avanti senza pastiglie. Ora è convinto più che mai che tutto il mondo ce l’ha con lui, non solo i colleghi, ma anche l’azienda stessa, che lo richiama, lo rimprovera, gli nega permessi, ferie e aspettative.

LA 6° FASE. ESCLUSIONE DAL MONDO DEL LAVORO

Implica l’esito ultimo del Mobbing, ossia l’uscita della vittima dal posto di lavoro, tramite dimissioni volontarie, licenziamento, ricorso al pre-pensionamento o anche esiti traumatici quali il suicidio, lo sviluppo di manie ossessive, l’omicidio o la vendetta sul mobber. Anche questa fase è preparata dalla precedente: la depressione porta la vittima a cercare l’uscita con le dimissioni o licenziamento, una forma più grave può portare al pre- pensionamento o alla richiesta della pensione di invalidità. I casi di disperazione più seri si concludono purtroppo in atti estremi.

Matteo, ormai incapace di reggere ancora la pressione a cui è sottoposto, si dimette. Le sue referenze per un altro eventuale impiego, non sono certo delle migliori, e comunque, prima di riprendere il lavoro, ha bisogno di riposo e di cure per uscire dal tunnel della depressione e riprendere fiducia in se stesso.

 

5. Il doppio-Mobbing

 

Quello che ho chiamato Doppio Mobbing è un’altra situazione che ho riscontrato frequentemente in Italia, ma di cui non si trova traccia nella ricerca europea sul Mobbing. Come ho già affermato, il Doppio Mobbing è legato al ruolo particolare che la famiglia ricopre nella società italiana.

In Italia, il legame tra individuo e famiglia è molto forte; la famiglia partecipa attivamente alla definizione sociale e personale dei suoi membri, si interessa del loro lavoro, della loro vita privata, della loro realizzazione e dei loro problemi: virtualmente non scompare mai dall’esistenza dei suoi componenti: si fa da parte, forse, ma è sempre presente a fornire consigli, aiuti, protezione. Conseguentemente, possiamo ipotizzare che, in linea generale, la vittima di una situazione di Mobbing tenda a cercare aiuto e consiglio a casa. Qui sfogherà la rabbia, l’insoddisfazione o la depressione che ha accumulato durante una giornata lavorativa passata sotto i colpi del mobber. E la famiglia assorbirà tutta questa negatività, cercando di dispensare al suo componente in crisi quanto più ha bisogno in termini di aiuto, protezione, comprensione, rifugio ai propri problemi. La crisi porterà necessariamente ad uno squilibrio dei rapporti, ma la famiglia ha molte più risorse e capacità di ripresa di un singolo, e riuscirà a tamponare la falla.

Il Mobbing, però, non è un normale conflitto, un periodo di crisi che si concluderà presto. Il Mobbing è un lento stillicidio di persecuzioni, attacchi e umiliazioni che perdura inesorabilmente nel tempo, e proprio nella lunga durata ha la sua forza devastante. La vittima soffre e trasmette la propria sofferenza al coniuge, ai figli, ai genitori per molto tempo, il più delle volte anni. Il logorìo attacca la famiglia, che resisterà e compenserà le perdite, almeno per un certo tempo, ma quando le risorse saranno esaurite, entrerà anch’essa in crisi. Come un barattolo, che ha un suo limite di capienza, così una famiglia può assorbire fino ad un certo limite i lamenti di uno dei suoi membri.

Infatti, nello stesso momento in cui la vittima si sfoga, è come se delegasse i suoi famigliari a gestire la rabbia, la depressione, l’aggressività, il malumore accumulati. E giorno dopo giorno, per mesi e anni, il barattolo si riempe, avvicinandosi sempre di più alla saturazione. Se questo avviene, la situazione della vittima di Mobbing crolla. La famiglia protettrice e generosa improvvisamente cambia atteggiamento, cessando di sostenere la vittima e cominciando invece a proteggere se stessa dalla forza distruttiva del Mobbing. Ciò significa che la famiglia si richiude in se stessa, per istinto di sopravvivenza, e passa sulla difensiva. La vittima infatti è diventata una minaccia per l’integrità e la salute del nucleo famigliare, che ora pensa a proteggersi prima, ed a contrattaccare poi. Si tratta naturalmente di un processo inconscio: nessun componente sarà mai consapevole di aver cessato di aiutare e sostenere il proprio caro.

Il Doppio Mobbing indica la situazione in cui la vittima si viene a trovare in questo caso: sempre bersagliata sul posto di lavoro e per di più privata della comprensione e dell’aiuto della famiglia. Il Mobbing a cui è sottoposto è raddoppiato: ora non è solo presente in ufficio, ma continua, a con altre modalità, anche dopo, a casa.

 

 

6. Il Bossing

 

Molto interessanti a questo proposito sono i casi in cui manca la prima fase, ossia quella del conflitto non ancora con caratteristiche mobbizzanti. Nella maggior parte di questi casi siamo di fronte a ciò che si definisce Bossing, cioè Mobbing compiuto dai superiori o dai dirigenti dell’azienda, quasi sempre con lo scopo preciso di indurre il dipendente alle dimissioni. Come sappiamo, al giorno d’oggi il diritto dei lavoratori rende molto difficile per un’azienda licenziare qualcuno senza problemi, soprattutto quando si tratta di persone organizzate nei sindacati. Tuttavia, soprattutto in tempi di crisi, molte aziende sono costrette a ridurre il personale, o a ringiovanirlo. Il Bossing o Mobbing pianificato si configura in questi casi proprio come una precisa strategia aziendale.

Durante le mie ricerche in Italia ho conosciuto vari casi di Mobbing pianificato, messo in atto dall’azienda allo scopo di eliminare singole persone scomode, oppure di razionalizzare, ringiovanire o ridurre in genere il personale. Di solito l’organizzazione assume atteggiamenti davvero spietati, ai limiti (e spesso oltre) della legalità. In Italia la pratica del Bossing trova condizioni molto favorevoli per prosperare: la crisi latente e continuativa, infatti, causa necessariamente un elevato livello di disoccupazione e conseguentemente un’altissima paura da parte dei lavoratori di perdere il proprio posto. In questa situazione la pressione che il datore di lavoro ha la possibilità di esercitare sul dipendente con la minaccia del posto di lavoro diventa facilmente uno strumento di Mobbing pianificato.

In una catena di supermercati discount sono davvero rimasto senza parole davanti all’estrema facilità e normalità con cui le persone scomode venivano sabotate per essere poi denunciate davanti agli altri come incapaci: ho visto tendere vere e proprie trappole, alcune veramente subdole, per assicurarsi una finta prova da esibire per giustificarsi davanti agli altri e accusare la vittima. In un’azienda di questo genere con sede nel Veneto, per esempio, venivano messe in atto da parte della Direzione o dei suoi collaboratori le seguenti azioni di Bossing verso una persona particolare che doveva essere eliminata:

- gli venivano date istruzioni false o incomplete, in modo che egli era costretto a rimediare continuamente ad errori e ad “improvvisare” gran parte del suo lavoro, non sapendo mai nulla con precisione;

- gli venivano spediti fax e altre comunicazioni con ordini e istruzioni anonimi che contenevano, oltre alla vera trappola, anche grossolani errori che potevano facilmente essere fatti ricadere su di lui: il fax non era firmato, in modo che non era possibile per lui difendersi dicendo di aver ricevuto tali ordini da altri;

- il primo direttore compiva apertamente verso di lui la maggioranza delle azioni mobbizzanti descritte in precedenza. La cosa era resa ancora più grave dal fatto che tale direttore si permetteva di rimproverarlo con grida ed insulti davanti a persone che poi dovevano dipendere da lui, in modo che la sua autorità era ogni volta seriamente compromessa;

- venivano favoriti i conflitti e le inimicizie tra la persona presa di mira e i colleghi, mentre gli erano vietati i contatti con chi invece aveva un buon rapporto.

Alla fine, questa persona fu accusata di aver causato un danno ingente all’azienda e licenziata in tronco. Il ricorso al Tribunale del Lavoro era impedito dal fatto che il Bossing era stato accuratamente preparato: il danno all’azienda effettivamente c’era stato e non era possibile in nessun modo dimostrare che non era stato lui a causarlo.

 

7. Le conseguenze del Mobbing

 

Il Mobbing è una pratica dannosa e realmente criminale: le sue intenzioni sono dettate da sentimenti profondamente distruttivi verso gli altri ed i suoi esiti sono di portata sconvolgente. È quindi facilmente intuibile la sua potenzialità disgregatrice del tessuto sociale. Le conseguenze di un fenomeno di tale serietà sono quindi ben immaginabili per tutti, tuttavia le prenderemo in esame dal punto di vista dei due elementi che ne hanno solitamente il danno maggiore: il mobbizzato stesso e l’organizzazione (cioè il datore di lavoro in cui la vittima ha lavorato o attualmente lavora).

Per la vittima il Mobbing significa prima di tutto problemi di salute, legati alla somatizzazione della tensione nervosa. Il nervosismo causa spesso palpitazioni, tremori, difficoltà respiratorie, problemi di espressione, gastriti e disturbi digestivi. Un’altra sfera dell’esistenza che risente dello stress è il sonno: incubi, sonno interrotto, insonnia. Spesso poi il mobbizzato manifesta disturbi alle funzioni intellettuali: annebbiamento della vista, difficoltà di memoria e di concentrazione e molto frequenti sono i sintomi da pressione psicologica più evidenti, come capogiri e svenimenti. Il Mobbing causa poi alla vittima anche danni finanziari, spesso di entità considerevole: pensiamo alle costose visite mediche specialistiche ed alle sedute psicoanalitiche, oltre alla scomparsa della regolare entrata mensile dello stipendio nei casi in cui il Mobbing sfocia nella perdita del posto di lavoro. Il Mobbing però causa anche danni di tipo sociale, cioè il crollo della sua immagine sociale e la perdita di colleghi, di collaboratori o di amici che non sopportano più il suo l’umore depressivo o del partner che se ne va convinto che sia un fallito.

Per l’azienda il Mobbing ha effetti ugualmente devastanti, principalmente sul piano economico: sicuramente se un imprenditore fosse a conoscenza dei veri danni del Mobbing, lo combatterebbe con decisione e rapidità. Ho stilato alcuni calcoli riguardo ad un caso di Mobbing in cui mi sono imbattuto. In un’azienda due persone erano sistematicamente mobbizzate per vari motivi dai colleghi. Dopo sei mesi di Mobbing, una vittima aveva ridotto la sua prestazione lavorativa del 40%, un’altra addirittura del 60%, e questo soltanto prendendo in considerazione il rendimento e non i disturbi di salute che le due vittime manifestavano. Gli stessi due mobbizzati in un anno avevano totalizzato uno 8 settimane di malattia e l’altra ben 10 settimane. Sommando il calo di prestazioni alle assenze retribuite per malattia in un anno l’azienda aveva subito in un caso una perdita del 29,2% e nell’altro addirittura del 41,5%. A queste cifre ho aggiunto i costi dei sostituti durante le assenze delle vittime e la perdita di tempo lavorativo dei mobber (circa il 5% delle loro capacità totali erano infatti devolute alle azioni mobbizzanti, distraendoli così dal loro lavoro). Alla fine la perdita totale calcolata dell’azienda in un anno era di ben il 190,7%.

Anche per l’azienda poi il Mobbing ha conseguenze che vanno ben oltre quelle - non poco importanti - dei costi. Ci sono infatti anche conseguenze gravi sul piano sociale: se i dipendenti si dimostrano scontenti delle condizioni di lavoro a cui sono costretti e ne parlano al di fuori, l’immagine della ditta ne risente inevitabilmente e la concorrenza può approfittarne.

C’è poi un’altra entità che viene gravemente danneggiata dal Mobbing, la società stessa. Pensiamo ad un mobbizzato costretto a protratte assenze per malattia. L’INPS, ente statale e quindi finanziato dalla comunità, eroga denaro all’azienda affinchè questa persona sia regolarmente retribuita; non solo: la USL, anche questa statale, contribuisce alle spese per le visite mediche, le analisi, le terapie e gli eventuali interventi di altro genere necessari allo stato di salute della vittima del Mobbing.

Procediamo tuttavia alle estreme conseguenze a cui il Mobbing può portare una sua vittima, cioè a un caso di invalidità professionale permanente. Il mobbizzato è giunto ad uno stato fisico o psichico in cui non può più svolgere normalmente alcun tipo di lavoro (esaurimento nervoso, depressione cronica, etc). In situazioni di danni permanenti alla salute, la vittima può essere costretta al pre-pensionamento in età ancora relativamente giovane. Anche in questo caso i costi per la società sono enormi: non si deve infatti considerare solo la pensione che riceve con 10-20 anni di anticipo rispetto alla normale età pensionabile a cui sarebbe sicuramente arrivato se non fosse stato mobbizzato. Pensiamo anche ai contributi sullo stipendio che non versa più e alla perdita sociale della risorsa umana relativa alla sua attività lavorativa che non svolge più: in pratica, possiamo affermare che la sua forza lavorativa non è più al servizio della società con molti anni di anticipo.

Le ricerche europee sono arrivate ad una stima approssimativa del danno economico che un pre-pensionamente a 40 anni causa alla società: la cifra si aggira su 1 miliardo e 200 milioni di Lire. Una cifra da capogiro, a cui va aggiunto il costo della persona che, non producendo più, occupa però un posto in ospedale o ad una visita specialistica, od ad una seduta di terapia.

Anche l’ambiente della vittima subisce un danno da Mobbing: spesso gli umori altalenanti o insopportabili del mobbizzato riescono a far saltare i nervi anche ai familiari ed agli amici. Immaginiamo una coppia in cui uno dei due partner cominci a subire Mobbing: diventerebbe intrattabile, sempre di malumore e depresso; le sue prestazioni sessuali lascerebbero a desiderare, balzerebbe sul letto in piena notte in preda agli incubi e sveglierebbe anche il partner. Porterebbe a casa i suoi problemi sul lavoro; a volte per cercare di liberarsene si darebbe all’alcol, o al fumo; forse diventerebbe violento. Ce n’è abbastanza per separarsi. Anche un divorzio - mi sembra corretto - è da includere all’interno dei costi a carico della società dovuti al Mobbing.

Nel 1996/97 è stata condotta la prima ricerca sul Mobbing in Italia da parte di PRIMA Associazione Italiana contro Mobbing e Stress Psicosociale.

A 301 vittime di Mobbing è stato sottoposto un questionario specifico che riguardava gli effetti e le modalità del terrorismo psicologico che subivano o avevano subito sul posto di lavoro. Ecco alcuni dei risultati della ricerca:

IL SETTORE DI PROVENIENZA DELLE VITTIME DI MOBBING

Più del 38% delle vittime intervistate provengono dal settore dell’industria produttrice di beni/servizi, mentre un altro forte riscontro del Mobbing si ha nella pubblica amministrazione (oltre 21%).

All’interno del mondo industriale o del terziario è ben evidente un certo orientamento verso il profitto, che si traduce di solito nella filosofia secondo cui chi produce di più viene anche maggiormente gratificato. Possiamo dunque avanzare l’ipotesi secondo cui esiste una forte relazione tra Mobbing e ambizione. Poichè più si produce e più si ricevono gratificazioni, è possibile che un impiegato carrierista ed ambizioso ricorra al Mobbing per liberarsi di un collega molto bravo sul lavoro, che è o potrebbe diventare un pericoloso concorrente nella corsa alla promozione. Nell’amministrazione pubblica, invece, solitamente hanno molto peso i favoritismi di ogni tipo, famigliare, politico, etc. Ciò può portare alla spiccata tendenza ad eliminare chiunque non faccia parte della “famiglia”, e che quindi costituisce con la sua semplice presenza, una denuncia al sistema. Un altro motivo di insorgenza del Mobbing negli uffici pubblici inoltre penso possa essere rintracciato nel diffuso sentimento di “noia” di cui tanti impiegati e lavoratori soffrono. In effetti, spesso il personale è in esubero, e quindi il lavoro che ognuno deve svolgere occupa solo una parte del suo orario. Per il resto del tempo si deve restare sul posto di lavoro ad annoiarsi, e prendere in giro un collega diventa troppo spesso un passatempo.

L’ETÀ DELLE VITTIME DI MOBBING

Quasi la metà (48%) delle vittime di Mobbing si trovano nella fascia d’età compresa tra i 41 ed i 50 anni, mentre pochissime vittime hanno meno di 30 anni. La fascia d’età compresa tra i 41 ed i 50 anni è in ogni caso delicata e ricca di problemi: ci si trova in una fase di transizione e trasformazione, dalla freschezza giovanile all’esperienza dell’età matura e, come se ciò non bastasse, si può avere anche molti nemici. Molte ditte, per esempio, quando decidono di puntare sulla dinamicità o perlomeno di voler dare questa immagine di sè, tendono a privilegiare i dipendenti giovani a scapito di quelli più maturi. Inoltre esiste un certo pregiudizio secondo cui un dipendente di una certa età non sarebbe in grado di produrre come uno giovane. Queste impressioni sono confermate dalla naturale tendenza dei giovani, soprattutto se nuovi assunti, a proporre idee e sperimentare metodi rivoluzionari, mentre, comprensibilmente, un impiegato più anziano tende a lavorare con routine e a percorrere strade che già ben conosce. Inoltre, su questo substrato si salda anche un fattore di tipo puramente economico: il neo-assunto, soprattutto al primo impiego, tende a non avere troppe pretese a livello di trattamento economico, cosa che non si può dire di una persona che ha già vent’anni di esperienza. Un altro “nemico” per questa fascia d’età sono i contratti di formazione: essi permettono all’azienda di assumere un giovane con uno stipendio abbastanza basso e senza eccessivo impegno. Così all’azienda potrebbe sembrare più vantaggioso liberarsi di un dipendente tradizionale e dare il suo posto ad un contratto di formazione.

LA DURATA E LA FREQUENZA DEL MOBBING

Mettendo a confronto la durata del Mobbing con la frequenza con cui viene perpetrato, si riscontrano due dati piuttosto sorprendenti:

• una vittima che soffre da più di due anni sotto una situazione di Mobbing viene mobbizzata più frequentemente. Questo avviene perché tutti sono ben consapevoli riguardo a chi sia la vittima e quindi hanno acquisito l’abitudine a “sparare” sempre contro la stessa persona. In più una vittima che è tale da anni ha ormai perso con il tempo la sua forza di resistenza e la sua difesa è diventata sempre più debole e meno efficace. Dunque mobbizzare una persona in queste condizione è meno rischioso per il mobber, che può “osare” di più senza riportare conseguenze.

• una vittima che si trova nel terrore psicologico da meno di due anni può essere bersagliata in modo molto intenso oppure al contrario solo raramente. Il Mobbing è molto intenso all’inizio, perchè il mobber tenta così di piegare fin da subito la resistenza della sua vittima e mettere subito in chiaro chi sia “il più forte”. In questa maniera la vittima potrebbe perdere subito coraggio, rimanere intimidita e quindi non tentare più di difendersi. Dall’altra parte, il mobber potrebbe decidere di agire con frequenza minore per provare la reazione di difesa della vittima, oppure perchè ancora la teme e la rispetta. In quest’ultimo caso il Mobbing diverrà più frequente e intenso man mano che il rispetto ed il timore del mobber verso la vittima calano e cresce così il coraggio del mobber all’azione.

LA POSIZIONE DEL MOBBER

In circa l’88% dei casi è coinvolto un mobber in una posizione superiore a quella della vittima, fra questi in circa il 58% dei casi il mobber è il capo che agisce da solo, mentre nel restante 30% il capo è coadiuvato nel Mobbing dai colleghi della vittima. Solo il 10% sono i casi in cui il mobber era costituito dai colleghi. Dunque, la presenza di una persona di grado superiore nel Mobbing sembra una circostanza diffusa. Tuttavia, il ruolo del capo può essere di due tipi:

• il capo può essere il promotore del Mobbing, che quindi comincia per sua iniziativa e coinvolge i colleghi che lo assecondano o lo aiutano sperando in una qualche forma di gratificazione o semplicemente per amore del quieto vivere (sono molto rari infatti i casi in cui un collega prende le difese di una vittima di Mobbing, mettendosi così apertamente contro il capo);

• il capo può tollerare il Mobbing dei colleghi, permetterlo o addirittura favorirlo: un collega mobber ha sempre bisogno di una sorta di “permesso” da parte del capo a mobbizzare qualcuno

Sia nel primo che nel secondo caso la persona in posizione superiore svolge un ruolo “chiave” per la sopravvivenza ed il progresso del Mobbing. Un tipo di mobber quantitativamente quasi irrelavante (2%) è invece il mobber che si trova in posizione inferiore a quella della vittima. Possiamo quindi pensare che in Italia esista sul posto di lavoro un certo tipo di gerarchia che tende ad essere rispettata al punto che il Mobbing dall’alto è quasi giustificato dal maggiore potere e autorità; dall’altra parte insubordinazioni tali da causare il Mobbing dal basso non sono tollerate. Questa sorta di “regola” sembra ben radicata in Italia: si tende infatti a parlare con un senso di rassegnazione ed inevitabilità riguardo ai possibili problemi di relazione sul lavoro: in pratica sembra che un superiore abbia il diritto di esercitare la sua autorità anche quando non è strettamente necessario e legittimo e che al sottoposto non resta altro da fare se non adattarsi alla situazione. Molte persone sono letteralmente abituate a subire pressioni psicologiche anche molto forti dai loro capi, e tuttavia non pensano minamente che ciò può essere dannoso e che non è comunque legittimo.

IL SESSO DEL MOBBER E DELLA VITTIMA

I mobber preferiscono attaccare una vittima del loro stesso sesso: due mobber uomini su tre se la prendono con una vittima uomo, mentre ben 13 mobber donne su 14 mobbizzano una donna. Gli uomini inoltre sono tendenzialmente più mobber delle donne e non disdegnano però nemmeno una vittima donna: circa un terzo di mobber maschili scelgono una vittima femminile. In questi casi è ragionevole pensare che entri in gioco il fattore delle molestie sessuali, che possono configurarsi spesso come Mobbing a sfondo sessuale. Le donne invece tendono a mobbizzare quasi esclusivamente altre donne. Ciò potrebbe essere correlato al fatto che statisticamente ci sono più uomini nei ruoli responsabili, e quindi più difficili da mobbizzare, ma anche al fatto che nei confronti di un’altra donna possono subentrare più facilmente invidie e gelosie.


IL NUMERO DEI MOBBER

Esiste una forte tendenza da parte dei mobber a costituirsi in un piccolo gruppo di attacco: la maggioranza dei mobber dunque non ha il coraggio di agire da solo, per cui si cerca alleati e complici. Quasi la metà (il 45,5%) delle vittime infatti sono mobbizzate da un gruppo composto da 2/4 persone, e in circa un caso su quattro (ca. 26,2%) il gruppo di mobber era costituito da più di 4 persone. Il gruppo ristretto di mobber (2/ 4 persone) è di solito composto da colleghi-amici che si sentono disturbati in qualche modo dalla vittima, oppure che uno di loro si senta minacciato e che abbia ottenuto la solidarietà degli altri nella sua azione. Nei casi di mobber più numerosi, cioè di gruppi di mobber composti da più di 4 persone, invece, si può pensare che il motivo del Mobbing sia stato individuato all’interno della vittima: in genere in effetti il mobbizzato in questione ha qualcosa di diverso, che lo pone su di un altro piano rispetto agli altri (qualche idea particolare, o un titolo di studio, il gusto del suo abbigliamento, il suo carattere, la sua provenienza, etc). In netta minoranza rispetto agli altri casi sono invece le situazioni che vedono un unico mobber agire in modo autonomo (ca. 19,9%). La scarsa incidenza di questo mobber solitario è sicuramente dovuta al fatto che molti mobber cercano e ottengono in vari modi l’aiuto e la collaborazione di altri colleghi, diventando agli occhi della vittima, parte di un gruppo di aggressori. Ancora più raro è il caso in cui tutto il reparto o il gruppo di lavoro risulti coalizzato contro la vittima (ca. 8,3%). Queste situazioni vedono di solito il mobbizzato ricoprire il ruolo del capro espiatorio, cioè della vittima sacrificale su cui vengono fatte ricadere tutte le mancanze dell’ufficio o del reparto.