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Luciano Vasapollo
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Docente di Economia Aziendale, Fac. di Scienze Statistiche, Università’ “La Sapienza”, Roma; Direttore Responsabile Scientifico del Centro Studi Trasformazioni Economico-Sociali (CESTES) - Proteo.

Rita Martufi
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Consulente ricercatrice socio-economica; membro del Comitato Scientifico del Centro Studi Trasformazioni Economico Sociali (CESTES) - PROTEO

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“The Federal Business Revolution”. Parte prima: i percorsi attuativi della “grande” riforma della Pubblica Amministrazione

Luciano Vasapollo

Rita Martufi

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3. Liberalizzazione dei servizi pubblici e politiche d’efficienza d’impresa

 

Nell’ambito della “Grande Riforma della Pubblica Amministrazione” ovviamente diventano strategici i cambiamenti anche nell’ambito del settore dei servizi pubblici locali gestiti in precedenza prevalentemente da enti locali attraverso gestioni “in economia” o con la istituzione di “aziende speciali”. La prima contraddizione che si può individuare è che si parla di riforma dell’amministrazione periferica dello Stato che ha come fine la soppressione di alcune autonomie determinando questa voluta anomalia: nel momento in cui si tagliano delle autonomie si vuole dare un peso maggiormente autonomista allo Stato stesso. In generale l’autonomia significa allargare la democrazia di base, allargare la democrazia partecipativa, invece quello che sembra emergere da questa riforma è una logica accentratrice, una logica “autoritaria”, sia a fini istituzionali che a fini economici. Vediamo perché.

Va ricordato che l’ente locale è un ente pubblico che agisce in un territorio circoscritto per attuare obiettivi in prevalenza locali.  [1] Questi enti hanno autonomia giuridica e politica e possono amministrare i propri interessi in maniera diretta. [2]

Si sostiene che:”Gli Enti locali rappresentano il crocevia dei bisogni e delle esigenze dei cittadini; dell’assetto e delle trasformazioni economiche del territorio; dei servizi pubblici che affrontano la loro riorganizzazione in base al decentramento dei poteri; delle Regioni che, con la definizione dei nuovi statuti e, in virtù dell’autonomia finanziaria, potranno determinare non solo gli indirizzi programmatori dello sviluppo, ma, intervenire direttamente nella sua gestione”. [3]

A questo proposito, infatti, va ancora ricordata la legge (legge 8 giugno 1990, n. 142 sull’Ordinamento delle autonomie locali, modificata dall’art. 274 del T.U. enti locali approvato con d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267) che all’art.22 recitava testualmente:

“1. I comuni e le province, nell’ambito delle rispettive competenze, provvedono alla gestione dei servizi pubblici che abbiano per oggetto produzione di beni ed attività rivolte a realizzare fini sociali e a promuovere lo sviluppo economico e civile delle comunità locali. 2. I servizi riservati in via esclusiva ai comuni e alle province sono stabiliti dalla legge. 3. I comuni e le province possono gestire i servizi pubblici nelle seguenti forme:

a) in economia, quando per le modeste dimensioni o per le caratteristiche del servizio non sia opportuno costituire una istituzione o una azienda;

b) in concessione a terzi, quando sussistano ragioni tecniche, economiche e di opportunità sociale;

c) a mezzo di azienda speciale, anche per la gestione di più servizi di rilevanza economica ed imprenditoriale;

d) a mezzo di istituzione, per l’esercizio di servizi sociali senza rilevanza imprenditoriale;

e) a mezzo di società per azioni o a responsabilità limitata a prevalente capitale pubblico locale costituite o partecipate dall’ente titolare del pubblico servizio, qualora sia opportuna in relazione alla natura o all’ambito territoriale del servizio la partecipazione di più soggetti pubblici o privati”.

Ormai si va verso il totale superamento di tale impostazione in quanto si fa prevalere la logica dell’efficienza di impresa, quindi le leggi del mercato e del profitto, nella gestione dei servizi pubblici locali, attuando processi di liberalizzazione e privatizzazione che avendo rilevanza imprenditoriale trasformano il servizio pubblico in un vero complessivo business locale. Il superamento delle precedenti normative ed impostazioni è nei fatti [4], già a partire dal nuovo ruolo assegnato alla complessiva riorganizzazione generale che ha visto l’attuarsi di una sfrenata liberalizzazione dei servizi pubblici nell’ambito di un sempre più diffuso ricorso alla “privatizzazione” delle aziende che sono diventate “società per azioni” e quindi soggette in tutto alla legge del mercato, alla concorrenza, alla “globalizzazione”, applicando gli stessi principi di flessibilità in uso nel privato.

“Il termine flessibilità sembra ormai diventato uno slogan che si riferisce a pressoché qualunque cosa le imprese ritengano utile per accrescere la propria competitività e a qualunque ricetta per combattere la disoccupazione... La flessibilità numerica si riferisce alla possibilità di adeguare il numero di lavoratori occupati alle fluttuazioni della domanda o all’innovazione tecnologica... La flessibilità funzionale si riferisce invece alla possibilità di adeguare le mansioni svolte dai dipendenti ai mutamenti della domanda. Ciò significa che deve essere abbastanza agevole spostare un dipendente da una mansione all’altra o da un reparto all’altro, oppure variare il contenuto della mansione stessa... La flessibilità salariale riguarda la misura in cui il management è libero di variare i salari e le strutture retributive in risposta ai mutamenti nel mercato del lavoro o nelle condizioni di concorrenza; ovvero di applicare livelli salariali diversi da quelli stabiliti dagli accordi collettivi o, in taluni paesi dalla legislazione. Questo tipo di flessibilità può essere verso l’alto, come nel caso degli incentivi, o verso il basso, quando non esistono minimi salariali stabiliti dalla legge o dalla contrattazione, o quando sono ammesse deroghe per particolari gruppi occupazionali, aree geografiche, ecc... Infine la flessibilità temporale riguarda la possibilità di adattare l’ammontare totale di forza lavoro utilizzata ai mutamenti ciclici o stagionali della domanda, variando il numero di ore lavorate in un giorno, settimana o anno anziché il numero di persone occupate (Adam e Canziani, 1997). Gli esempi più noti sono quelli del lavoro straordinario, il part-time, e i vari accordi per fare fronte alle punte di produzione ricorrendo a riposi compensativi.”  [5]

La legge di riforma del pubblico impiego ratifica l’idea di conformare le norme di gestione del personale pubblico a quello privato, rimuovendo il formalismo burocratico e cambiando il concetto di pianta organica con quello della dotazione organica, per ottenere una maggiore flessibilità nella gestione del rapporto di lavoro. Il personale pubblico diviene un fattore di produzione e quindi diventa rimovibile a seconda dei cambiamenti nell’organizzazione e nelle strategie dell’ente. Considerato che viene prevista la revisione periodica delle dotazioni organiche, è chiaro che si abbandona qualsiasi tipo di schematismo rigido (come se fosse possibile considerare schematismo rigido la sicurezza di un posto di lavoro!). I lavoratori diventano quindi, come nel caso del rapporto di lavoro privato, passibili di essere sottoposti a normative ma anche a compiti e logiche che rispondono a finalità di efficienza produttiva orientata all’ottimizzazione del rapporto costi/benefici in ambiti di incrementi di produttività come nel caso dei datori di lavoro privati.

Il termine “efficienza“ in genere in un’azienda privata è il risultato di una serie di rapporti e di parametri basati su un’entità di costi a numeratore e su un’entità di ricavi a denominatore; un rapporto tra input e output. Il ragionamento dell’imprenditore è: a fronte di un determinato risultato che voglio raggiungere, quali sono i costi che posso sopportare. Consideriamo che già ci troviamo in una società terziarizzata quale è la nostra - le ultime proiezioni di più di un anno fa davano nel 2010 una società italiana con il 70% dell’occupazione nel terziario (fino a pochissimi anni fa questo 70% era nell’industria); una società in assoluta trasformazione, una società che ha visto un intenso processo evolutivo in termini di assetto produttivo, che anche sul piano culturale e sociale è cambiata moltissimo in questi ultimi 10-15 anni e continua a trasformarsi in chiave prettamente terziaria, dove un ruolo fondamentale ancora, in questo terziario lo dovranno avere i servizi pubblici. In una società così fortemente terziarizzata qualsiasi analisi statistica, qualsiasi studio statistico-economico, rivela una grandissima difficoltà nell’andare a determinare la produttività del lavoro. In tutte le relazioni connesse alla riforma della PA si parla di incremento di efficienza e di produttività e quindi si ha il problema: quali sono i costi che si andranno a tagliare, e questo è il primo problema, perché non si può determinare da subito un incremento di profitto per quanto riguarda i servizi pubblici proprio per la loro natura. Quindi in quegli indicatori di efficienza di cui si scriveva prima probabilmente non è tanto in gioco l’aumento del profitto, quanto l’obiettivo della riforma è la riduzione dei costi, in particolare di quelli del lavoro. E così si arriva al problema della produttività.Un coefficiente di produttività qualsiasi si determina facendo un rapporto tra valore aggiunto, per esempio, e costo del lavoro oppure numero degli occupati o numero delle ore lavorate. Il valore aggiunto nella costruzione di una penna è immediatamente rilevabile come il prezzo della penna, quindi il valore delle vendite potenziali della penna, e da questo si detraggono i costi intermedi, i costi per le materie prime, per esempio, per i beni e servizi, che sono all’interno di questa penna, di natura intermedia; appunto la differenza dà il valore aggiunto. Questo valore aggiunto diviso per il costo del lavoro, oppure per il numero di ore lavorate, o per il numero dei lavoratori, ci fornisce la produttività del lavoro. Se è facile rilevare il valore aggiunto di una penna è estremamente difficile rilevare il valore aggiunto di un qualsiasi servizio. Qual è il valore aggiunto di una visita medica, qual è il valore aggiunto di una lezione di un docente, qual è il valore aggiunto di un servizio effettuato da un portantino all’interno di un ospedale? Per esempio, per qualsiasi servizio a forte contenuto di conoscenza, di know-how, di apprendimento, ecc., è difficile calcolare l’introito di capacità, di know-how, di conoscenze, di informazione, di preparazione, di professionalità del lavoratore. È ancora più difficile la rilevazione per i servizi della PA in quanto proprio come definizione non hanno un prezzo di mercato; la PA fornisce dei servizi senza una controprestazione immediata in denaro. Cioè da un punto di vista statistico-economico il servizio prestato è gratuito, è gratuito perché non c’è una domanda immediata di mercato, il servizio viene “pagato” nel momento in cui a posteriori c’è l’imposizione fiscale e quindi ci sono le entrate nel bilancio dello Stato. Per cui il primo problema che ci poniamo immediatamente qual è? Manca il primo parametro, cioè il valore aggiunto, perché non è determinabile facilmente per i servizi in genere. Inoltre di fatturato della PA, in effetti, non si può parlare, quindi non solo non è determinabile facilmente il valore aggiunto di un servizio, ma in particolare per un servizio pubblico non è neppure rilevabile il prezzo di mercato. Per cui se già la determinazione del valore aggiunto e quindi del prodotto lordo, diciamo come ragionamento generale, è difficilmente determinabile per il terziario in sé, allora diventa ancora più difficile per quanto riguarda la PA proprio perché non c’è, diversamente per quanto avviene per il servizio privato, un prezzo di mercato, e quindi la determinazione del valore aggiunto può avvenire solo per via indiretta. E allora, quando si parla in queste relazioni connesse alla riforma e alla modifica dei ministeri con un criterio di accorpamento in modo da rendere i servizi più efficienti e nello stesso tempo si parla di maggiore efficacia e di quindi maggiore produttività, di quale produttività si parla? Significa aumento della produttività è ottenibile solo attraverso la riduzione del denominatore del rapporto di produttività, cioè del costo del lavoro, quindi il “taglio delle teste”, cioè meno occupazione. Cio significa tagliare fortemente il costo del lavoro diretto ma ci sono forme di taglio anche di costo di lavoro in forma indiretta, per esempio l’aumento dei carichi di lavoro, l’aumento dei ritmi, e l’incremento di una produttività che è comunque difficilmente misurabile. Un esempio semplice per capire questo passaggio: nella produzione delle penne se un operaio invece di produrre in un’ora due penne produce dieci penne è più produttivo, e quindi è più efficiente per l’impresa. Portare questo stesso criterio con gli stessi parametri nella Pubblica Amministrazione significa, per fare un esempio, che l’infermiere o il portantino che nella giornata riesce ad accudire invece che due malati dieci malati, è più efficiente ed è più produttivo. Lo sarà certo per quell’impresa Italia di chi vuole imporre scelte di privatizzare la funzione pubblica, non lo è sicuramente per il lavoratore e non lo è sicuramente per il povero malato che sicuramente ha un minor livello di attenzione e di cure. Quando si trasferiscono in maniera immediata i parametri dell’azienda privata, della produttività, del mercato, nell’azienda pubblica, bisognerebbe prestare particolare attenzione. Tranne che, non si voglia fare anche del pubblico un gran mercato privato, con regole del privato e quindi logiche di profitto, logiche di profitto che stanno passando anche all’interno del Welfare State nella trasformazione verso il Profit State.

 


[1] Per questi argomenti cfr. G.V. Lombardi, “L’ordinamento degli....”, op. cit.

[2] Gli enti locali possono essere territoriali (come ad es. il comune, la provincia, le aree metropolitane, le comunità montane, ecc.) o non territoriale (come ad es. gli ordini professionali, le ASL, ecc.; in questo caso non è rilevante l’ampiezza del territorio). La nostra Costituzione all’art.1 stabilisce che lo Stato è l’unico Ente munito di sovranità che “appartiene al popolo”; la Regione invece è un ente territoriale con potere legislativo (le materie sono stabilite dall’art.117), mentre i Comuni e le Provincie sono Enti autonomi con norme regolate da leggi ordinarie. Gli enti locali sono forniti di autonomia di indirizzo politico
 amministrativo che si può differenziare in: autonomia organizzativa, nel senso che l’ente può avere una propria organizzazione con disposizioni apposite, autonomia normativa perché l’ente può promulgare leggi (anche se secondarie e se formalmente si tratta di atti amministrativi) per regolare il proprio funzionamento, ed infine autonomia contabile e finanziaria perché ha la possibilità di gestire le proprie risorse finanziarie ottenute anche attraverso i tributi. Inoltre l’ente deve approvare il bilancio. Gli enti pubblici locali possono anche avere la possibilità di svolgere una attività amministrativa allo stesso livello della amministrazione statale varando atti giuridici. Gli enti locali sono, quindi, dotati oltre che dell’autonomia anche di autarchia ossia “ L’autarchia è, in buona sostanza, la capacità di agire per il conseguimento dei propri fini, mediante l’esercizio di una attività amministrativa, con le stesse potestà che caratterizzano l’amministrazione dello Stato... come nello Stato si distinguono i tre poteri fondamentali legislativo, esecutivo e giurisdizionale, negli altri enti substatali, sforniti dell’attributo della sovranità, si rinvengono tre analoghe potestà; l’autonomia, l’autarchia e l’autotutela”.Cfr. G.V. Lombardi, “L’ordinamento degli...”, op. cit., pag.41,42.

[3] Cfr. Pagliarini G., “ Contrattazione nazionale e contrattazione collettiva nelle autonomie locali”, in Quale Stato, Trimestrale CGIL, Roma, n..3/2000, pag.139

[4] “La gestione in economia, per il suo carattere generico rispetto alle altre forme specificatamente previste, è da considerarsi residuale. Essa è attivabile per i servizi pubblici di modeste dimensioni... per l’assunzione del servizio con la gestione in economia è necessaria l’adozione di un’apposita deliberazione del consiglio comunale...

La concessione dei servizi a terzi ha carattere eccezionale nel senso che può essere rilanciata per particolari ragioni tecniche, economiche e di opportunità sociale... La struttura del rapporto concessionario fa sì che l’Ente locale resti il dominus del rapporto giuridico, in ragione della supremazia che, in qualche modo, è insita nel soggetto pubblico che ha il potere di rilasciare la concessione...

L’azienda speciale... assicura la gestione dei servizi che abbiano rilievo economico e imprenditoriale. L’azienda diventa, in tal modo, un Ente strumentale dell’Ente locale, dotato di personalità giuridica, di autonomia imprenditoriale e di un proprio Statuto...

L’Istituzione... è dotata di autonomia gestionale e i relativi funzionamento e ordinamento sono disciplinati dallo Statuto e dai regolamenti dell’Ente locale dal quale dipende...

La società per azioni o a responsabilità limitata a prevalenza pubblica locale... serve a gestire quei servizi per i quali si renda necessario il concorso associativo dei privati”. Cfr. G.V. Lombardi, “L’ordinamento degli...”, op. cit. pag.112,113.

[5] M.Regini, “Modelli di capitalismo”, Ed. Laterza, 2000, pag.56,57,58.