La telematica come nuovo linguaggio mitico

M. D. Marina Bifulco

Piero Polidoro

1. Il mito di una rivoluzione telematica

Le tecnologie telematiche stanno rivoluzionando il mondo dei computer permettendo non solo la trasmissione a distanza, ma anche la gestione in comune di una serie di attività. I frequentatori di Internet e delle reti telematiche che si trovano a scambiare informazioni con persone che vivono dall’altra parte del mondo hanno delle precise esigenze linguistiche legate alla necessità di comunicare e di capirsi ed hanno, forse, bisogno di una nuova lingua, quella telematica.

Particolarmente evidenti sono oggi stati d’animo quali l’entusiasmo e la fiducia nelle più recenti innovazioni nel campo delle cosiddette tecnologie telematiche. Le immagini della ragnatela, del World Wide Web, della rete delle reti sono diventate familiari per molti, creando l’idea di uno spazio virtuale concretamente esistente. Esperienze di compenetrazione reale-virtuale proiettano nuove domande sullo zapping del nostro presente, costringendoci a ripensare subito il rapporto col mondo e obbligandoci a riconsiderare le interazioni tra soggetto, illusione e realtà [1]. È possibile che al di sotto di questo entusiasmo si annidi la latente diffusione di un mito della telematica. È abbastanza recente l’introduzione di un curioso neologismo che, pur se diffuso in un ambito limitato, non può non suscitare un certo interesse. Si tratta dell’espressione lingua telematica, la quale è usata dai frequentatori di Internet e delle reti telematiche [2]. Chi, per lavoro o per passione, si trova a scambiare informazioni, di qualsiasi genere, con persone che vivono dall’altra parte del mondo, ha innegabilmente determinate esigenze linguistiche: deve, innanzitutto, utilizzare una lingua veicolare, cioè una di quelle lingue ampiamente diffuse, la principale delle quali è l’inglese, che vengono normalmente utilizzate negli scambi comunicativi fra persone che parlano lingue differenti. Sicuramente si avrà anche la necessità di parlare spesso di argomenti relativi all’informatica, utilizzare termini sempre nuovi che provengono dalle più diverse aree linguistiche. Si va creando, insomma, una sorta di koinh, di lingua comune del mondo della telematica, fatta di un sostrato di inglese e di vocaboli sempre aggiornati di provenienza sempre diversa. Per affermarsi questi cambiamenti linguistici devono essere condivisi da molti, poiché l’estensione del linguaggio, così come il linguaggio, è un atto sociale. [3]

Gran parte dei linguisti, dei filosofi del linguaggio e dei semiologi si sono interessati, nel corso di questo secolo, al problema del rapporto esistente fra linguaggio e pensiero, giungendo spesso ad una loro identificazione. In questo senso interessante sembra la teoria del linguista statunitense B. Whorf (1897-1941) che, prendendo le mosse dal filosofo tedesco W. von Humboldt (1767-1835) [4], riconduce alla lingua le strutture di pensiero di un popolo [5]. Il pensiero di un popolo sarebbe determinato, nel suo svolgersi, nel suo connettere cause con effetti, in tutte le sue attività, insomma, dalle strutture della lingua che lo stesso popolo parla. Se è vero che il pensiero si sviluppa attraverso queste strutture, una lingua povera e arida come quella telematica sarà un pessimo supporto al ragionamento umano, anche perché il linguaggio non ci permette soltanto di comunicare con gli altri e con noi stessi, ma addirittura ci consente di “forgiare l’intera visione del mondo” [6]. C’è un romanzo che ha segnato profondamente la cultura della seconda metà del nostro secolo: 1984, di G. Orwell [7], opera in cui viene offerta una terrificante previsione della società futura. Nell’appendice di questo libro si può trovare una breve esposizione delle principali regole della neolingua, l’ipersemplificato inglese che il totalitario regime dell’Ingsoc vuole imporre ai cittadini per annebbiare, infiacchire e disabituare al ragionamento le loro menti.

È lecito, anzi doveroso, chiedersi: la lingua telematica è forse, con la sua frammentarietà, le sue abbreviazioni, il suo eccessivo uso di termini tecnici, un tipo di neolingua? La risposta sembra essere negativa per vari motivi. Innanzitutto la lingua telematica non si sostituisce a quella normalmente utilizzata tutti i giorni, ma si affianca ad essa come semplice gergo del mondo informatico. E, soprattutto, più che a paralizzare le menti, sembra adatta a rafforzarle e abituarle a procedere più rapidamente. Come già detto il pensiero filosofico contemporaneo ha abbandonato una visione statica e tradizionale della realtà nella convinzione che sia stata la lingua, in tutto o in parte, a determinare la rappresentazione del mondo in cui viviamo, attraverso segmentazioni e manipolazioni che si susseguono nel tempo [8]. La lingua telematica non può non giovare alla mente umana, costruendo ulteriori mondi, segmentati in maniera simile ma differente da quelli delle lingue madri. Essendo, inoltre, una lingua in continuo movimento e ripensamento, pressata com’è dall’esigenza di descrivere e render conto dell’incessante innovazione tecnologica, richiede ai suoi conoscitori una continua attenzione e una grande capacità di riplasmare continuamente la propria immagine di sezioni della realtà, di accettare nuovi termini e con essi nuovi oggetti, nuove idee, nuove prospettive, ecc. [9]

Particolarmente interessante a tal proposito è la teoria che riguarda il rapporto fra linguaggio e tecnica, avanzata dal filosofo tedesco M. Heidegger (1889-1976), il quale osserva che se oggi la tecnica ci domina è perché essa ormai possiede del tutto il nostro linguaggio, e quindi è il linguaggio che bisogna interrogare per intendere il senso di quel dominio. In particolare il punto in cui la tecnica si svela con più evidenza nella sua struttura di fondo è l’uso della lingua dei calcolatori dove essa omologa il linguaggio in un sistema univoco di segni livellandoli come segnali dell’informazione. Nel controllo retroattivo di segni, il dominio della tecnica si realizza compiutamente come dominio linguistico.

Il nesso di tecnica e linguaggio non è presentato da Heidegger come una connessione a una data epoca storica, quale ad esempio la nostra, ma come una coappartenenza. [10] Il linguaggio tecnico nasconde in sé qualcosa di non detto che è custodito da quel linguaggio che Heidegger, per differenziarlo dalla lingua tecnica, chiama lingua naturale.

Sembra, dunque, piuttosto ingiusto considerare in maniera pessimistica l’affermarsi di questi nuovi linguaggi che l’innovazione tecnologica e, a ruota, l’immaginario popolare, stanno creando. Più che un’ennesima arma trovata dalla tecnologia essi costituiscono, in fondo, strumenti adatti alla risoluzione di numerosi problemi teorici e pratici e, soprattutto, in grado di offrire a molti una immancabile occasione di affinamento delle proprie capacità cognitive. Le nuove tecnologie risolvono rapidamente un’enorme quantità di errori. Stiamo assistendo a una rivoluzione del pensiero. [11] Se usate nella maniera appropriata le nuove tecnologie ci permetteranno di leggere in modo diverso il libro della natura. Quella che offrono le reti è una grande opportunità per riorganizzare le nostre conoscenze e la nostra immagine del mondo, e insieme, una sfida all’intelligenza e alla creatività umana.

“Gli strumenti informatici sono mediatori -scrive B. Gates- e gran parte dei progressi dell’umanità è derivata dal fatto che qualcuno ha inventato uno strumento migliore e più potente. Quelli manuali velocizzano il lavoro e risparmiano alla gente le fatiche più dure: l’aratro e la ruota, la gru e il bulldozer moltiplicano le possibilità fisiche di chi li utilizza ... allo stesso modo gli strumenti informatici sono mediatori simbolici che sviluppano in chi li utilizza, anziché i muscoli, le capacità intellettive... buona parte del lavoro, oggi, consiste nel prendere decisioni; perciò gli strumenti informatici sono diventati di fondamentale importanza per chi svolge un lavoro intellettuale” [12]

2. La rivoluzione telematica: l’idea

La lingua telematica è comunque solamente un aspetto, un segno, di una realtà ben più importante. Essa, infatti, può essere considerata come il mezzo di espressione, o, meglio, come uno dei mezzi di espressione di una più vasta cultura telematica, la cultura cioè del mondo telematico e di chi lo frequenta. Si tratta, ovviamente, di uno dei tanti aspetti della cultura occidentale contemporanea, e che molto probabilmente costituiscono la inconscia risposta al crollo dei grandi ideali ottocenteschi [13]. La cultura telematica, però, sembra avere un fondamento positivo consistente: la tecnologia informatica, che acquista sempre più diffusione e autonomia. Si tratta di una cultura che ha una sua piena legittimazione all’interno della nostra società. A differenza di quella delle sette religiose americane, infatti, trova i suoi guru non in ambigue figure carismatiche, ma piuttosto in accreditati professori di università statunitensi o in rispettati magnati dell’industria dei computer. La sua credibilità è accresciuta dalla nascita di collane pubblicate dalle più autorevoli e tradizionali case editrici, che non di rado producono veri e propri best-seller [14]. E, inoltre, è innegabile che la sua carica attrattiva si regga sugli effettivi vantaggi che la cosiddetta rivoluzione telematica porta nella vita dell’uomo di fine millennio.

Uno dei tratti distintivi della tradizione occidentale, rispetto per esempio a quella dell’Oriente, è il ricorso alla tecnica per raggiungere i propri scopi: la tradizione occidentale vuole plasmare il mondo a sua immagine, e lo strumento principe per ottenere questo risultato è proprio la tecnica. [15] Trasformata da mezzo in fine la tecnica ha conquistato il dominio sul mondo, è diventata la forma più potente di salvezza, per questo non può rimanere un semplice mezzo subordinato ad altri scopi ed è quindi destinata a porsi al centro della memoria globale e della comunicazione . A fondamento di ciò che essa comunica nel suo trattenere tutto nella memoria globale, la tecnica comunica il suo messaggio fondamentale: il proprio carattere salvifico. Nella memoria e nella comunicazione informatico-telematica il messaggio essenziale della tecnica è, dunque, la sua capacità di organizzare i messaggi della memoria e della comunicazione. La rete telematica insieme al nuovo stile di vita che essa rende possibile, è destinata a diventare lo scopo delle forze che mirano alla democrazia diretta.

Negli ultimi vent’anni il computer si è lentamente fatto strada nelle case occidentali, prima in alcuni paesi-guida come gli Stati Uniti e, poi, più lentamente e timidamente, anche in paesi che si collocano più ai margini dello sviluppo della tecnologia informatica. Nel frattempo le evoluzioni dei calcolatori elettronici sono state non indifferenti: sono nati prima i personal computer, che rappresentavano le prime macchine di questo tipo alla portata di un comune budget familiare, poi i software sono diventati sempre più avanzati e facili da usare. Negli ultimi anni due novità tecnologiche si sono imposte all’attenzione del pubblico: la telematica e la realtà virtuale, che appaiono ormai sempre più legate fra di loro nel mondo di Internet. La telematica, consiste nella trasmissione a distanza dei dati frutto dell’elaborazione elettronica e trova la sua applicazione più celebre e recente nelle reti, cioè in vere e proprie ragnatele di collegamenti fra calcolatori dislocati nelle più diverse parti del mondo. Lo stesso fondatore della Microsoft, l’americano B. Gates (1955), è sorpreso della velocità e del modo in cui tutto ciò sta avvenendo; infatti intervenendo in una conferenza ha affermato “Benché li avessi utilizzati negli anni Settanta, quando ero studente, non mi aspettavo che i protocolli di Internet sarebbero diventati degli standard per una rete destinata a esplodere vent’anni più tardi... ovunque ci sono tracce del successo di Internet e assisteremo ancora a molte sorprese: la rete interattiva è qui per restarci, e questo è ancora l’inizio” [16].-----

Le tecnologie riconducibili al concetto di realtà virtuale, invece, tentano di ricreare artificialmente in tutto e per tutto le condizioni percettive della realtà, attraverso l’uso di simulazioni informatiche [17]. Si tratta di tecnologie che già offrono dei risultati strabilianti, ma che, se fa fede la velocità delle innovazioni alla quale ci hanno abituato negli ultimi anni i ricercatori, promettono traguardi ben maggiori.

Man mano che queste tecnologie si sviluppano e si diffondono, non possono non registrare un effetto sull’immaginario popolare. L’industria culturale ha, come sempre, saputo sfruttare a pieno la novità e il crescente interesse per essa e, a partire soprattutto dagli anni ‘80, abbiamo assistito al fiorire di film, romanzi, musiche ispirati o dedicati al computer. Si tratti di lavoro, svago o nevrosi, il computer e le sue tante applicazioni hanno assunto un ruolo dilagante nella vita di ciascuno di noi. Contemporaneamente si va formando un determinato tipo di rappresentazione sociale [18] del mondo dell’informatica: al di là di frange apocalittiche, fisiologiche in ogni tipo di cambiamento epocale, si fa sempre più spazio un’idea ottimistica e positiva di questo tipo di tecnologie, non poco incentivato dalla diffusione di Internet.

A dire il vero è innegabile che le opportunità offerte dall’elaborazione elettronica dell’informazione abbinata alla trasmissione a distanza dei dati siano strabilianti. Non sono affatto privi di fondamento gli entusiastici discorsi sulla fratellanza e il cosmopolitismo che caratterizzano il mondo delle reti. In effetti, per la prima volta nella storia dell’umanità, i cavi telefonici hanno creato una vera e propria comunità transnazionale, popolata da persone che vivono una doppia condizione: provenienti da culture molto differenti fra di loro e che in passato potevano incontrarsi solo difficilmente, sono comunque accomunate dall’appartenenza ad una medesima sotto-cultura, che è appunto quella telematica. Oggi, quasi mezzo milione di persone ha nel World Wide Web una pagina a cui può liberamente accedere, partecipando alla nuova comunità elettronica. Ed in nome della partecipazione su Internet tutti hanno diritto a far sentire la propria voce. Attraverso Internet è sorta la possibilità di superare la scelta obbligata cui sono costretti i cittadini che vogliono partecipare alla vita politica. Nel nuovo sistema ognuno è allo stesso tempo emittente e destinatario, sorgente e fruitore di informazioni. [19]

Chi si connette ad Internet non deve, almeno nella maggioranza dei casi, specificare i suoi dati anagrafici: ciò può consentire, per esempio, a persone abitualmente discriminate, di nascondersi dietro un nickname (un nomignolo) e partecipare ad una discussione alla pari con altri soggetti. La circolazione di informazioni è sicuramente più rapida e voluminosa sulla rete che non nella realtà di tutti i giorni: chi, abitando nella cosiddetta provincia, era fino a ieri quasi totalmente escluso da tutte le novità e dai più vivi e recenti movimenti culturali, adesso ha, più o meno, le stesse opportunità di chi abita in una grande metropoli. Ma, soprattutto, quello che sembra aver colpito maggiormente l’immaginario collettivo è stata l’opportunità che la rete offriva, in un’epoca in cui i rapporti interpersonali diventano sempre più rari e distaccati, di contattare milioni di persone contemporaneamente presenti nello stesso spazio virtuale. Il fenomeno delle chat lines, canali attraverso i quali più persone da diverse parti del mondo e, quasi sempre, senza conoscersi possono comunicare fra di loro attraverso messaggi scritti, è indicativo di questa possibilità di discutere con tutti e di tutto.

La rete è reale come la vita e, come questa, ha dentro anche aspetti negativi quali razzismo, sovversione, calunnia e pornografia. Per questo Internet a qualcuno fa paura. Negli ultimi mesi la Cina, ad esempio, ha tagliato l’accesso ad Internet in seguito agli episodi di pornografia e pedofilia scoperti sulla rete. Non è più una questione di tecnologia ma di coscienza sociale.

L’entusiasmo che è stato creato da questa atmosfera ha favorito affrettate e troppo ottimistiche generalizzazioni. Se, infatti, la crisi che si avverte dopo il crollo delle grandi ideologie nelle democrazie occidentali è imputabile anche all’indebolimento del meccanismo della rappresentanza, fenomeno la cui causa sembra essere la mancanza di comunicazione fra cittadini e dei cittadini con le istituzioni politiche, la creazione di spazi di discussione telematici, veri e propri agorà elettronici, potrebbe apparire una soluzione del problema. Lasciarsi trasportare dalla fantasia e da rosee previsioni è sin troppo facile, in un’epoca e in una società che sembrano essere prese da un profondo desiderio di cambiamento radicale e universale. Se si pensa, per esempio, alla “sfera pubblica borghese” in cui si sviluppa la “pubblica argomentazione razionale” di cui parla J. Habermas (1929) [20], non si può non riflettere sulla possibilità di ricreare un simile spazio, che nel passaggio dalla società borghese a quella contemporanea è andato disfacendosi. Si tratterebbe, certo, di uno spazio virtuale, ma molto simile a quello delle Gazzette settecentesche che ospitavano le discussioni e le argomentazioni di una classe che si preparava a prendere il potere e ad esercitarlo nell’azione di governo. Nella rete, dove tutte le notizie sono accessibili a tutti, si creerebbe una condizione di perfetta informazione che difficilmente i mezzi di comunicazione di massa, con le loro stringenti regole economiche e politiche, hanno saputo assicurare. Esprimere la propria opinione, creare il proprio pulpito elettronico su Internet non è molto difficile, e neanche troppo costoso. Senza distinzioni o discriminazioni di sesso, razza, condizione sociale, credo politico o religioso. Chi voglia trovare informazioni su Internet è sicuro che, se esistono, le troverà, al di là di ogni censura o di ogni inconsapevole selezione. Partendo da questa ampia offerta informativa è possibile acquisire tutti quei dati che sono necessari per elaborare una propria opinione completa e ragionevole su diverse questioni politiche, sociali, ecc. E, soprattutto, è possibile discutere queste opinioni in uno dei tanti luoghi di dibattito che, negli ultimi anni, sono sorti un po’ ovunque per tutta la rete. La comunicazione telematica e i suoi portati, Internet, il cyberspazio e la realtà virtuale, fanno parte di noi. La loro stessa esistenza ci forma, come accade con tutti i discorsi potenti: “... nel loro significato più profondo sono dei linguaggi, è difficile vedere quello che fanno: il loro compito consiste nella strutturazione della nostra visione. Agiscono sui sistemi sociali, culturali che ci permettono di produrre significati. E i loro messaggi impliciti ci trasformano”. [21]

Il quadro, dunque, sembra fra i più favorevoli ad una rinascita delle discussioni, ad una gestione personalizzata, e non della manipolazione dall’alto dell’informazione, in definitiva ad una maggiore consapevolezza e razionalità nel proprio ruolo di cittadino e di uomo. Tutto ciò è in parte vero, ma secondo l’opinione di R. Martufi e L. Vasapollo, tuttavia sarebbe opportuno diffidare dei facili ottimismi e, soprattutto, evitare alcune mistificazioni che sarebbe pericoloso non considerare. Si tratterebbe tutto sommato di un’ “invasione” il cui scopo non è, nei tempi recenti, prendere il “territorio” ma imporre un fine ultimo. In tempi di “produzione immateriale” e di “flessibilità globalizzata” c’è di meglio, meno repellente, più efficace e meno costoso che l’occupazione manu militari, c’è la “comunicazione deviante” che non agisce sugli individui, ma dentro di essi, modificandone i cervelli. [22]

3. Mito della realtà virtuale

L’idea telematica che si è andata formando nel corso degli ultimi anni nell’immaginario popolare è un’idea basata su concetti quali fratellanza, cosmopolitismo, uguaglianza. Questa idea ha avuto origine dalle nuove possibilità che sono state effettivamente messe a disposizione dell’uomo comune dall’incessante e vertiginoso progresso tecnologico del campo dell’informatica e della telematica. Il sospetto, però, è che il nascere di quest’idea sia dovuto non solo all’osservazione e al giudizio su fatti oggettivi, ma anche alla latente, inconsapevole, strisciante diffusione di un mito della telematica. Questo sarebbe solo il più recente caso della grande famiglia dei miti della tecnica. [23]

L’atteggiamento degli intellettuali nei confronti delle innovazioni tecniche non è stato, nel corso dell’ultimo secolo, univoco. Si sono alternati giudizi spesso contrapposti che in seguito sono stati descritti dalle ormai celebri categorie, per usare un’espressione di U. Eco, di “apocalittici” e “integrati”, nate nel campo degli studi sulle comunicazioni di massa. [24] Anche se una contrapposizione così netta non può rendere conto della complessità del dibattito sulla tecnica, sicuramente riesce, in prima approssimazione, a dare un quadro realistico della profonda frattura che, nella cultura novecentesca, si è originata riguardo al significato di queste innovazioni. Ma, d’altra parte, non sono stati pochi i fautori della tecnica che si collocano sulla scia del positivismo [25]. Il filosofo e sociologo tedesco A. Gehlen (1904-1976), per esempio, ritiene che l’uomo, di fronte alle condizioni deficitarie della sua esistenza, trova a se stesso degli “esoneri”, cioè delle dispense da un “peso affaticante”, inventando degli strumenti [26]. La tecnica, cioè, più che distruggere la natura, la rende abitabile da un uomo sempre più affrancato dai limiti del mondo in cui vive. “È con questo mondo che si misura, spinto dal desiderio di vincere più ’facilmentÈ (da facile, fattibile, che si può fare più agevolmente) l’inabitabilità (o di farne un habitat a misura d’uomo) l’homo faber o l’homo technologicus, servendosi di tools diventa, più propriamente, tools-making-man...” [27]. L’uomo non può fare a meno di “stare nel mondo”, ma visto che vi deve stare in modo precario, non si abbandona a se stesso e cerca di “stare bene nel mondo” [28].-----

Le prese di posizione in favore della tecnica, però, non sono state sempre improntate alla ragionevolezza e all’equilibrio: lo stereotipo dell’integrato è quello di un intellettuale completamente affascinato dall’innovazione e dal progresso, che perde di vista ciò che di negativo vi può essere in cambiamenti così radicali e veloci. Infatti sono spesso proprio i discorsi più affascinanti e suggestivi di certi futurologi ad attirare l’attenzione e la passione del vasto pubblico e ad alimentare i diversi miti della tecnica.

L’aura mitica, che sembra la principale responsabile della nascita dei miti della tecnica, si origina proprio nello spazio di incomprensione per la tecnologia. “Il punto è che, malgrado la razionalità indubbiamente superiore delle tecniche moderne, gli strumenti e i procedimenti della scienza e della tecnologia non hanno affatto perduto la loro aura magica, tanto nelle società industriali quanto in quelle preindustriali. Il cittadino medio comprende pochissimo le loro fondazioni logiche o i loro principi operativi e svolge un ruolo puramente passivo (come consumatore), via via che ogni stadio è superato da un altro, con rapidità sempre maggiore” [29].

In questo senso, il significato del termine mito che stiamo prendendo in considerazione è molto vicino a quello elaborato dal semiologo francese R. Barthes. [30] Il mito appare, infatti, come un’ulteriore costruzione di senso, che si “installa”, su un sistema di significato già esistente. R. Barthes, in particolare, parla di un livello di base costituito dalla lingua e di un livello successivo che rappresenta il “piano mitico” [31]. Il significante ed il significato del primo livello, si uniscono a rappresentare il significante del secondo livello, che, dunque, per R. Barthes è considerabile “come termine finale del sistema linguistico o come termine iniziale del sistema mitico” [32]. Applicando e traslando questo modello interpretativo all’argomento che stiamo trattando si potrebbe considerare il mito telematico come una costruzione supplementare di senso che interviene successivamente a quella primaria, direttamente collegata ai dati oggettivi della realtà. In altre parole: esiste una realtà della telematica, che è quella di una tecnologia che, applicata all’elaborazione elettronica dell’informazione, permette di comunicare a distanza con particolare efficacia. Unita alla creazione di sistemi di realtà virtuale, essa crea tutta una serie di nuove opportunità nel mondo della simulazione e della riproduzione di esperienze reali. Esiste però anche un mito della telematica che, fondandosi sull’aspetto oggettivo crea una serie di significati, di narrazioni, di scenari che con la realtà hanno ben poco a che fare, ma sono ugualmente credibili. La stessa metafora spaziale che viene ormai unanimemente utilizzata per descrivere il mondo delle reti appartiene, seppure ad un livello più innocente, a questa costruzione ulteriore di senso. La difficoltà, non solo per l’uomo comune, ma anche per l’esperto, di raffigurarsi una serie di testi, di immagini, di applicazioni che non esistono in nessun luogo, se non nei circuiti e nelle memorie dei computer o nei fili telefonici che li collegano fra di loro, spinge a superare i limiti della capacità di rappresentazione oggettiva della realtà e ad elaborare l’immagine, suggestiva ed efficace, dello spazio virtuale [33].

Nell’era delle complessità mancano grandi visioni che sappiano sintetizzare i nostri problemi e darci una percezione globale del loro senso. Di fronte a questa difficoltà il mito può tornare ad essere uno straordinario supporto al pensiero perché fornisce costellazioni di significati che hanno presa sul nostro immaginario profondo. Ancora attuale appare il mito di Prometeo, il Titano che ha drammatizzato nella coscienza dell’uomo il problema della sopravvivenza, resa possibile dai doni del fuoco e della tecnica. Il mito di Prometeo è il filo che corre lungo la storia dei tentativi compiuti dall’uomo per sopravvivere. Da quando egli inizia a rendere artificiale il suo ambiente ma in maniera ancora debole, subalterna e rispettosa della natura, fino all’epoca della forte artificializzazione che ha costruito sulla terra una gigantesca struttura tecnica e che può oggi controllare l’evoluzione della vita. [34]

Parlando del mito, Nicola Abbagnano (1901-1990) ha scritto: “... si possono distinguere, dal punto di vista storico, tre significati del termine, e precisamente: 1° quello del mito come di una forma attenuata di intellettualità; 2° quello del mito come una forma autonoma di pensiero o di vita; 3° quello del mito come strumento di controllo sociale” [35]. Il mito telematico risponde sicuramente alla prima e alla terza accezione del termine. Esso, infatti, nasce, da una elaborazione abbastanza libera e ingiustificata dei dati della realtà, originandosi, per lo più, in quegli spazi oscuri che, nel sapere collettivo, si originano al di fuori delle aree di piena comprensione razionale dei fenomeni tecnologici e, in questo caso, sociali. “Di fatto” scrive ancora Barthes “il sapere contenuto nel concetto mitico è un sapere confuso, formato da associazioni interne, indefinite. Bisogna insistere su questo carattere aperto del concetto: non è affatto un’essenza astratta, purificata, bensì una condensazione informale, instabile, nebulosa, la cui unità e coerenza dipendono soprattutto dalla funzione” [36].

Si viene così formando, sostanzialmente a causa di una sorta di “disattenzione” nei confronti di certi aspetti della realtà e di sistemi di propaganda abbastanza ben mimetizzati, questo mito telematico, che rappresenta, in molti casi, il nucleo fondamentale della cultura telematica. Sarebbe estremamente complesso descrivere dettagliatamente ed esaurientemente questo sistema mitico, ma sicuramente si può tentare di individuarne alcuni concetti o cause fondamentali. Sembra, per esempio, che rispetto a precedenti miti della tecnica, il mito telematico goda di una particolare forza e di un singolare consenso forse a causa della originalità della telematica e dell’informatica rispetto ai precedenti tipi di innovazione tecnologica. Almeno nell’immaginario collettivo, infatti, la tecnica si concretizzava nell’immagine di macchine in grado di intervenire nell’ambiente e sull’ambiente in modo da modificarlo e migliorare le condizioni di vita dell’uomo. L’emblema della tecnica nella società industriale erano i macchinari della catena di montaggio, in grado di velocizzare e automatizzare le attività produttive, oppure i moderni mezzi di trasporto, treni sempre più veloci, aerei sempre più potenti e pesanti, ecc., in grado di spostare enormi quantità di merce da una parte all’altra del globo in tempi incredibilmente brevi, rispetto al passato. Al di là del giudizio che se ne poteva dare, la tecnica interveniva indubbiamente sull’ambiente, modificandolo più o meno irreversibilmente. Questo è stato il filo conduttore di tutte le innovazioni che si sono succedute nel corso della rivoluzione industriale e che hanno, di volta in volta, lasciato le loro tracce sotto forma di binari ferroviari che attraversavano pianure, stabilimenti industriali che immettevano smog nell’atmosfera, ecc. Dall’evidenza dell’opposizione fra i risultati dell’industrializzazione e l’ordine della Natura, nasce quel sentimento di insanabile contrasto emerso in filosofi come M. Heidegger [37]. E dalla diversità di giudizi sull’effettivo valore di questi cambiamenti ha origine il tradizionale scontro fra oppositori e fautori della tecnica che è stato così efficacemente cristallizzato dalle categorie di “apocalittici” e “integrati”.

La tecnologia informatica, e la sua espansione attraverso la telematica, non danno origine a fenomeni così drammatici. I prodotti che vengono gestiti dai computer non hanno più materialità degli impulsi elettrici e sono dunque necessariamente connotati dalla intangibilità e da una misteriosa quanto affascinante assenza di peso [38]. L’elaborazione elettronica dell’informazione è qualcosa che avviene solo nell’interno del computer, fra i suoi silenziosi circuiti, e che al massimo riguarda, oltre alla macchina, il suo utente. La dematerializzazione, intrinsecamente legata alla tecnologia informatica, ha poi trovato una vera e propria cassa di risonanza nello sviluppo e nella diffusione della tecnologia telematica [39]. La nascita delle reti ha portato alla formazione di una serie di collegamenti attraverso i quali passa un flusso continuo di dati. E, a differenza di quanto accadeva nel passato, quando gli stessi fili servivano soltanto a trasmettere una distorta e disturbata riproduzione della voce umana, oggi il risultato di questo continuo scambio d’informazione è sempre di più una ricostruzione estremamente fedele della realtà. [40] Il processo di imitazione realistica della realtà che aveva avuto inizio nel corso del Rinascimento con l’impiego della prospettiva lineare nelle raffigurazioni pittoriche [41], sembra ormai portato a compimento dagli ultimi risultati della ricerca nel campo della realtà virtuale. La riproduzione artificiale della realtà è ormai quasi perfetta: l’ultimo ostacolo, quello della tangibilità degli oggetti virtuali, è in via di superamento grazie a tute dotate di sensori in grado di riprodurre tipiche sensazioni tattili. La simulazione percettiva, dunque, è portata a compimento e, almeno teoricamente, non ci dovrebbe essere modo di distinguere la realtà reale e la sua riproduzione artificiale. Assistiamo oggi a nuovi rapporti tra tecnologie e identità sconosciute: compaiono cioè episodi problematici per la definizione di queste sfere, sindromi di personalità multiple, giochi di ruolo. Infatti nella fase aperta dall’uso di Internet aspetti quali genere, razza, età, sono giocati, nel senso che ognuno tende a reinventare se stesso scoprendo identità digitali di generi differenti dalla realtà ordinaria. La chiave di accesso a questo tipo di cultura è costituita dall’esperienza dell’essere umano come una cosa che sente. [42] Si annuncia il passaggio da una sessualità organica, fondata sulla differenza dei sessi, ad una sessualità neutra, inorganica, artificiale, sempre priva di riguardi nei confronti delle forme.-----

Un certo interesse è suscitato dal fatto che oggi il nostro pensiero cosciente è quasi sempre condizionato dalla presenza di un determinato patrimonio ideativo legato a filo doppio col nostro patrimonio linguistico. [43] Ciò significa che le nostre espressioni linguistiche, siano esse creazioni letterarie o artistiche, sono intimamente legate con le nostre attitudini cogitative, fruitive; proprio per il venir meno del nostro codice linguistico, alcune possibilità espressive vengono meno o si trasformano, giustificando l’omologo trasformarsi di tutte le manifestazioni artistiche. Ha così origine e si diffonde il mito di una tecnologia che finalmente migliora le condizioni dell’uomo senza distruggere l’ambiente naturale, ponendo fine a quella dicotomia tecnica-natura che affliggeva non poche coscienze. Tutto ciò che viene creato dalla nuova tecnologia, e che un tempo doveva necessariamente sovrapporsi a ciò che già esisteva in natura, trova ora asilo in un mondo a parte, in una sorta di concretizzazione del concetto di altra dimensione.

La natura peculiare di quest’altra dimensione, però, non va sottovalutata nel considerare la portata e la novità del mito telematico. Per secoli l’uomo è stato confinato nell’unica realtà che gli era stata data, quella fisica, sottoposta a leggi che erano superiori alla sua volontà e che poteva solo, in alcuni casi e dopo innumerevoli fallimenti, sfruttare a proprio parziale vantaggio. Oggi l’uomo ha creato, grazie alla sua intelligenza, un mondo di cui è l’unico artefice diretto. Il programmatore, l’appassionato di computer, l’utente delle reti ha cioè a disposizione un mondo virtuale che può determinare in ogni singolo aspetto, come delle divinità che possano stabilire delle leggi naturali a proprio piacimento. L’esperienza ha insegnato a prendere atto dell’esistenza di forze di dissipazione, che logorano con il tempo tutto ciò che ci circonda. L’attrito interviene su tutti i moti che avvengono nell’ambiente in cui l’uomo vive e, progressivamente, dissipa tutta l’energia cinetica che i corpi hanno inizialmente, trasformandola in energia termica troppo degradata per poter essere nuovamente utilizzata. Gli oggetti che circondano l’uomo, anche i più preziosi o quelli costruiti meglio, sono inevitabilmente soggetti alla forza del tempo, che li consuma, ne stinge i colori, li smussa e li rende vecchi. La tecnologia informatica, invece, permette di creare degli ambienti, dei mondi che sono in tutto e per tutto reali e in cui, solo volendo, si può decidere di eliminare qualsiasi forza di dissipazione: un mondo senza attrito in cui l’energia si conserva intatta e senza spesa, un ambiente in cui gli oggetti mantengono sempre nitidezza cromatica e perfezione delle forme. Uno spazio, insomma, in cui si realizzano quelle condizioni ideali che la fisica era riuscita solo ad immaginare nelle sue astrazioni sperimentali. Tutto ciò è ora disponibile, visibile, e, sempre di più, tangibile.

Le conquiste oggettive dell’innovazione tecnologica nel campo dell’informatica e della telematica, hanno generato nella società attuale una certa idea informatico-telematica. Questa idea, però, non si è potuta sottrarre a una successiva elaborazione che, basandosi su suggestioni, fantasie e previsioni, si è trasformata nella creazione di un vero e proprio mito dei tempi post-moderni.

4. Mito della tecnica

Nicola Abbagnano spiega la funzione che il mito esercita nelle società progredite e le diverse accezioni che, in tali società, questo termine può assumere: “Possono costituire mito, in esse, non solo racconti favolosi, storici o pseudostorici, ma figure umane (quali l’eroe, il condottiero, il duce) o concetti o nozioni astratte (la nazione, la libertà, la patria, il proletariato) o infine progetti d’azione che non si realizzeranno mai...” [44].

Ad esempio un fenomeno tipico dei nostri tempi è quello dell’alienazione, vale a dire la sottomissione dell’uomo ad un sistema di regole che egli stesso ha edificato e determinato. Ebbene l’uomo, creatore dell’elaboratore elettronico e delle sue applicazioni la realtà virtuale, la rete telematica, sembra sopraffatto dalla sua stessa creatura, obbedisce alla sua logica e se ne lascia trasportare. Il mito telematico alimenta questi fenomeni, genera un’immagine distorta della realtà che connota positivamente lo spazio virtuale e, presentandolo come più accogliente, più vivibile, più interessante di quello reale, favorisce il distacco dell’uomo dalla realtà fisica, dalla realtà reale. L’uomo del futuro si deve dedicare al futuro, diventare futuro, consegnarvisi totalmente. Lo spazio virtuale è quello dove accade ciò che è importante, ciò che ha valore: il mondo esterno si svuota progressivamente di qualsiasi interesse e fascino. [45]

Per fare questo c’è bisogno forse anche della cosiddetta “intelligenza emotiva” [46] che spinge alla ricerca di benefici duraturi piuttosto che al soddisfacimento degli appetiti più immediati. Il mito, dunque, rappresenta il discorso attraverso il quale l’opinione pubblica si convince della necessità, della insostituibilità di questo spazio telematico. Eppure l’idea da cui aveva avuto origine questo mito nasconde delle contraddizioni e delle menzogne gravi.

L’uso e la comprensione dei mezzi informatici presuppongono una serie di conoscenze e di competenze che sarebbe fin troppo ingenuo considerare come ampiamente diffuse e facilmente acquisibili. I problemi di gestione e di organizzazione che le tecnologie più avanzate pongono sono tutt’altro che semplici. “L’essenziale di quello che vogliamo chiamare rapporto simbiotico uomo-macchina non sarà tanto dato dalla ipotetica interazione meccanica diretta fra cervello e calcolatore, quanto alla capacità sicuramente acquisibile da parte del cervello umano di creare, utilizzare e dominare razionalmente l’ampiezza di memoria, la potenza combinatoria e la rapidità di calcolo delle macchine elettroniche, inserendole in una organizzazione a raggio progressivamente crescente, la quale organizzazione sarà in effetti possibile solo con l’ausilio di elaboratori elettronici. La meta, cioè, consapevolmente stabilita dalla tecnologia e alla quale dovremo indirizzare tutti i nostri sforzi al fine di raggiungere... la più completa simbiosi uomo-macchina, consiste tutta e soltanto nella realizzazione del pieno dominio razionale, da parte dell’uomo, delle macchine cibernetiche e degli altri strumenti biochimici e psicochimici da lui creati, cioè nella conseguita capacità a organizzare razionalmente l’uso di quegli strumenti su scala universale”  [47].

Se, analizzando le funzioni e i processi dello spazio virtuale si cercasse di individuare le capacità logiche e cognitive che sono necessarie per potervi accedere, si noterebbe quanto queste siano in effetti scarsamente diffuse nella società odierna. Innanzitutto bisognerebbe chiarire che mentre la logica impiegata nella costruzione dei calcolatori è binaria, discreta, scientifica, quella richiesta agli utilizzatori di queste macchine e, soprattutto, delle reti telematiche sembra ben diversa. Gli utilizzatori dei computer sono solo in minima parte esperti di informatica: rimane un esercito di profani della teoria che però usano continuamente e approfonditamente i mille canali che questa tecnologia mette a loro disposizione. Nel fare ciò è necessario, avere innanzitutto la capacità di catalogare, organizzare, gestire contemporaneamente un flusso elevato di informazioni, provenienti da tutte le direzioni. Bisogna, inoltre, saper fare i conti con una logica che più che definita e binaria, appare aperta, complessa. La struttura dell’ ipertesto è tale da lasciare al lettore una libertà di fruizione che non aveva mai conosciuto: tutte le strade sono praticabili. L’autore, che tradizionalmente rassicurava il fruitore con la sua silenziosa, invisibile opera di indirizzamento, sembra quasi essersi dissolto in una ragnatela di documenti tutti collegati fra di loro, senza un ordine preciso. Non esiste più un percorso, ma esistono infiniti percorsi, scegliere fra i quali può essere un’operazione tutt’altro che facile, soprattutto perché completamente demandata all’utente. Non ha più senso andare alla ricerca di una tradizionale e rassicurante classificazione “ad albero” o “sequenziale” del materiale a disposizione: ciò che è possibile fare è solo tentare di dare una descrizione imprecisa e provvisoria di un rizoma, di una rete in cui tutto si tiene e che cambia la sua conformazione più velocemente di quanto il cervello non riesca a raffigurarsela [48]. Se il problema, nella società pre-industriale era quello di reperire informazioni che rappresentavano dei prodotti scarsi e preziosi, ora la questione sembra essersi ribaltata. L’obiettivo sembra piuttosto quello di non essere sopraffatti dalla massa di dati che ci circonda, scegliendo quali informazioni siano effettivamente valide e utili e quali invece vadano scartate, stabilendo quale sia il percorso più efficace ed efficiente, senza correre il rischio di perdersi nei meandri della rete.

Appare evidente che le competenze richieste per una completa e consapevole gestione dei prodotti delle tecnologie informatiche e telematiche sono al di là della portata di una parte non piccola della popolazione. A causa della mancanza di istruzione, di una solida capacità interpretativa, di punti di riferimento logici le società contemporanee non hanno saputo fornire gli uomini di validi strumenti di fruizione dei tradizionali mezzi di comunicazione di massa. In che modo è possibile evitare che i grandi poteri capitalisti della comunicazione si impadroniscano di questo strumento “libero” e a basso costo? [49] Il mito telematico ha avuto origine all’interno di una nicchia molto ristretta e culturalmente attiva della popolazione e sta riversando i suoi benefici e i suoi prodotti per lo più all’interno di questa schiera di eletti. Si è parlato di un’ idea telematica, fondata sui principi di fratellanza e di uguaglianza. Appare evidente, a questo punto, come si tratti di una descrizione fin troppo ottimistica della realtà che si va formando. Questo discorso ideale è sì valido e possibile, ma solo all’interno di un preciso gruppo che, disponendo dei necessari mezzi economici e culturali, è in grado di affrontare questo salto di qualità. Il resto della società, escluso per mancanza di competenza dal paradiso telematico, resta relegato nel sofferente e doloroso mondo reale.

L’idea telematica, dunque, nascondeva o si è trasformata in una finzione, in un inganno, in una ideologia [50]. Uno schema mentale che giustifica, attraverso la creazione del mito, processi che hanno una natura e uno sviluppo latenti. Le innovazioni tecnologiche si affermano, ma ad uso e consumo di chi le controlla o è pronto ad accoglierle: una ristretta élite socio-culturale. Senza considerare che la particolare natura riconosciuta allo spazio virtuale crea una linea di demarcazione nuova e senza precedenti fra l’élite e la massa.

La stessa élite telematica non appare come un blocco unico e compatto, ma come ulteriormente segmentata al suo interno fra chi effettivamente svolge una funzione di guida e controllo e chi, nell’impossibilità vuoi economica, vuoi culturale, di assumere un profilo di primo livello, si lascia passivamente trascinare, godendo dei risultati di una tecnologia di cui è solamente uno spettatore. Come non pensare, a tal proposito, alle strategie di marketing che dominano il mondo dell’informatica e che, sfruttando in tal senso l’incessante sviluppo tecnologico, tendono a presentare come rivoluzionari prodotti che dopo qualche tempo sono già obsoleti. L’appassionato può acquistarli, cercando di stare al passo con i tempi e di disporre delle più recenti apparecchiature, ma vive l’angosciosa condizione di un Sisifo che non potrà, neanche per un attimo, arrestare la sua affannosa corsa, pena l’esclusione dal club.

Sembra opportuno affermare che sono ormai lontani i tempi in cui si poteva effettivamente temere il sopraggiungere di una società dominata e controllata, ma i ritmi incalzanti dell’innovazione tecnologica e le modalità della sua diffusione non possono non far riflettere sull’eventualità del sorgere di eventuali spaccature all’interno delle società odierne. Gli strumenti cognitivi necessari per accedere alle logiche del mondo telematico sono, distribuiti in maniera poco omogenea, accentrati nelle mani di una ristretta élite che, al massimo, può esercitare una funzione di traino su una certa fascia della classe medio-alta. Chi rimane fuori da questa rivoluzione rischia di essere relegato ai margini della vita civile.

Tuttavia il mito della telematica come tecnologia in grado di creare un vero e proprio paradiso artificiale rischia di far perdere di vista, nell’entusiasmo generale, gli innumerevoli grandi problemi che affliggono il mondo reale. Se infatti, rispetto ai canali tradizionali, i forum di discussione elettronica offrono delle opportunità migliori per poter esporre le proprie opinioni e confrontarle con quelle degli altri, perché dover ancora ricorrere ai modelli tradizionali? Se l’élite socio-culturale del paese, quella che prende o, almeno, indirizza le decisioni, si forma, al di fuori delle scuole e delle piazze, nello spazio virtuale creato dagli elaboratori elettronici perché non limitare a questo ambito determinate operazioni culturali, che, all’esterno, si sono rivelate per anni dei fallimenti? Se, insomma, il mondo della rete e dei computer appare così accogliente e sicuro, perché uscire allo scoperto?-----

La risposta è, come si può immaginare, semplice: perché fuori esiste ancora un mondo in cui la gente soffre, è sottoposta a ingiustizie e soprusi, senza considerare, fra l’altro, che fuori la gente continua anche a vivere e divertirsi. Perché il paradiso virtuale è una grande conquista solo se i cancelli rimangono aperti a tutti. Anche perché, nell’entusiasmo generale non si dimentichi che si sta vivendo in un’epoca di progressiva affermazione degli oligopoli. Per prepararsi alla fantomatica sfida del 2000, i grandi gruppi stanno stipulando accordi, si stanno unendo, stanno assorbendo le aziende più piccole: se il nuovo millennio sarà attraversato da una sfida, quasi sicuramente ci saranno ben pochi generali a decidere. Se l’industria informatica è, come appare evidente, di importanza fondamentale nelle società post-industriali, dove le attività simboliche sopraffanno quelle materiali, appare quantomeno rischioso affidare questo settore strategico alle mani di pochi operatori mondiali. L’ultima cosa che si vorrebbe è che la sfida si rivelasse, alla fine, essere contro l’uomo e la sua natura, contro il suo giusto anelito a sfuggire all’alienazione e a vivere in un mondo che sia, nella realtà fisica ancora prima che in quella virtuale, pienamente vivibile. Non si può dimenticare al riguardo uno dei più accesi accusatori della tecnica, M. Heidegger, che aveva ben anticipato il ruolo pressoché negativo della tecnica affermando che “strappa e sradica sempre più l’uomo dalla terra” [51], grembo naturale da “abitare poeticamente”. “Il recupero della ragione dall’alienazione intellettuale è particolarmente importante oggi che si prospetta la trasformazione della simbiosi naturale in una nuova simbiosi uomo-macchina. Per capire in che cosa consista la mutazione culturale che la tecnologia va attuando è necessario capire che la macchina è, soprattutto, razionalità, e che codesta razionalità non può essere alienata, pena la sua inefficacia. La macchina di oggi è un utensile costruito da una disciplina scientifica che ha per fondamento la meccanica razionale, la macchina del futuro sarà una macchina costruita dall’ingegneria cibernetica. È necessario capire da dove la ragione venga fuori, niente affatto alienata, bensì potenzialmente adeguata alle successive scelte che le daranno il potere di organizzare con le macchine il nuovo rapporto uomo-ambiente naturale” [52].

Tuttavia sarebbe opportuno, per consentire all’uomo di guidare il timone per navigare in questi nostri tempi soggetti a mutamenti tanto complessi, coltivare anche abilità emozionali, fondamentali proprio come quelle intellettuali; forse c’è bisogno di autocontrollo, empatia, attenzione agli altri, quelle stesse attitudini che hanno consentito ai nostri progenitori di sopravvivere in un ambiente che potrebbe diventare ostile.

La fiducia nell’intelletto, unita alla sopravvalutazione della tecnica e al primato della soggettività, potrebbe trasformare la natura in oggetto di controllo e sfruttamento ad opera del soggetto umano, potrebbe creare la simbiosi uomo-macchina di cui si è parlato in precedenza. L’interrogativo che ci si pone è se non sia necessario ridefinire il ruolo dell’uomo che ha il dominio sul resto delle creature terrestri. Questo aspetto è stato, senza dubbio, ben affrontato dal filosofo ebreo H. Jonas (1903-1993). Dai suoi scritti emerge come diritto di ognuno, di fronte al continuo estendersi della tecnica, quello di dover ricercare un nuovo principio morale che possa garantire un futuro umano per le generazioni che seguiranno, parlando di diritto del futuro e di responsabilità dell’uomo verso l’uomo. [53] Occorrono dunque delle regole precise, del buonsenso nell’utilizzo dei mezzi tecnologici a disposizione poiché “la minaccia proviene da un uso cattivo della tecnica, nella quotidianità, per migliorare le condizioni della vita umana”. [54] L’uomo non dovrebbe perdere la cognizione dei limiti temporali entro cui gli effetti del suo agire si esplicano, di conseguenza “il sentirsi responsabile in anticipo per l’ignoto costituisce una condizione della responsabilità dell’agire: appunto quel che si definisce il coraggio della responsabilità a favorire il diritto alla vita”. [55]


[1] AA. VV., La scena immateriale. Linguaggi elettronici e mondi virtuali, Genova, Costa & Nolan, 1994.

[2] La diffusione di questo neologismo ha recentemente dato il nome ad una rivista pubblicata dalla fondazione Ugo Bordoni, nel 1995, dal titolo “Telèma”.

[3] Cfr. al riguardo P. M. van Buren, The Edges of Language. An Essay in the Logic of a Religion, McMillian, New York (1972), tr. it. Alle frontiere del linguaggio, Roma, Armando, 1977, pagg. 87 segg.

[4] W. von Humboldt, Uber die Verschiedenheit des menschlichen Sprachbaues und ihren Einfluss auf die geistige Entwicklung des Menschengeschlechts, Dummlers, Berlin (1836), tr. it. La diversità delle lingue, Roma-Bari, Laterza, 1991. In questa opera l’Autore afferma che ogni linguaggio è una visione del mondo e precisamente quella del popolo che lo parla; il linguaggio è l’inframondo tra lo spirito dell’uomo e gli oggetti.

[5] B. L. Whorf, Language, Thought and Reality, London, Oxford University Press (1963), tr. it. Linguaggio, Pensiero e Realtà, Torino, Bollati Boringhieri, 1970.

[6] E. Sapir, The Language, Chicago (1927), tr. it. Il linguaggio. Introduzione alla linguistica, Torino, Einaudi, 1969, pag. 65.

[7] G. Orwell, 1984, London, Secker and Warburg (1949), Milano, Mondadori, 1950.

[8] Cfr. a tal proposito la teoria semiotica esposta nel capitolo “Dizionario versus enciclopedia” in U. Eco, Semiotica e filosofia del linguaggio, Torino, Einaudi, 1984.

[9] F. Rossi-Landi, Linguaggi nella società e nella tecnica, Milano, Edizioni di comunità, 1970.

[10] M. Heidegger, Ueberlieferte Sprache und Technische Sprache, Erker-Verlag, St. Gallen (1989), tr. it. Linguaggio tramandato e linguaggio tecnico, Pisa, Ets, 1997, pag.27.

[11] 1J. Bailey, After thought, Cambridge (1996), tr. it. Il postpensiero. La sfida dei computer all’intelligenza umana, Milano, Garzanti, 1998, pag. 180. Cfr. inoltre H. Putnam, Renewing Philosophy, Harvard College (1992), tr. it. Rinnovare la filosofia, Milano, Garzanti Editore, 1998.

[12] B. Gates, The Road Ahead. Completely Revised and Up-To-Date, Viking Penguin, Usa (1996), tr. it. La strada che porta a domani, Milano, Mondadori, 1997, pag. 17.

[13] J. F. Lyotard, La condition postmoderne, Paris, Klincksieck (1979), tr. it. La condizione postmoderna, Milano, Feltrinelli, 1981.

[14] Fra i testi più celebri si segnala N. Negroponte, Esser digitali, Sperling & Kupfer, Milano, 1995.

[15] E. Severino, Il destino della tecnica, Milano, Rizzoli, 1998, pag. 20.

[16] L’intervento è avvenuto durante una conferenza tenutasi all’università di Harvard il 25 luglio 1996.

[17] Per una definizione del concetto di realtà virtuale, cfr. quanto scrive T. Maldonado, Reale e virtuale, Milano, Feltrinelli, 1994, VI ediz., pag. 48: “Per realtà virtuale intendo quella particolare tipologia di realtà simulata in cui l’osservatore (in questo caso spettatore-attore-operatore) può inserirsi interattivamente, con l’aiuto di particolari protesi ottico-tattili-auditive, in un ambiente tridimensionale generato dal computer... Benché realtà virtuale sia l’espressione più correntemente usata a livello giornalistico, nella pubblicità tecnico-scientifica sull’argomento si preferisce parlare di realtà artificiale (artificial reality), mondo virtuale (virtual Word), ambiente virtuale (virtual environment), spazio virtuale tridimensionale (3D virtual space). Riguardo alla definizione da me adottata, devo ammettere che essa circoscrive abbastanza rigidamente la classe di virtualità a cui fa riferimento. In pratica, essa allude principalmente alla realtà virtuale del tipo immersivo-inclusivo (immersive-inclusive), ossia una realtà in cui l’utente vede dall’interno uno spazio tridimensionale generato dal sistema. La mia definizione può comprendere anche quella del tipo chiamato di terza persona (third person), ossia una realtà in cui l’utente vede dall’esterno la propria immagine interagente in uno spazio tridimensionale. Non c’è dubbio che si tratta di una definizione forte. Ve n’è però una più debole che non possiamo del tutto escludere. Alludo a quella virtualità di soglia bassa realizzata tramite il tradizionale calcolatore da tavolo (desktop-vehicle), in cui l’utente partecipa dall’esterno allo scopo di simulare un proprio coinvolgimento dinamico nello spazio rappresentato dal video”.

[18] Il concetto di rappresentazione sociale deriva direttamente da quello durkheimiano di “rappresentazione collettiva” ed è stato studiato da Serge Moscovici e dai suoi collaboratori. Cfr. S. Moscovici, Psicologia sociale, Roma, Borla, 1989.

[19] G. Infusino, Oltre il villaggio globale. Storia e futuro della comunicazione dai primi esperimenti al dopo Internet, Napoli, Cuen, 1998, pag. 106.

[20] J. Habermas, Strukturwandel der Offentlichkeit, Frankfurt am Main (1968), tr. it. Storia e critica dell’opinione pubblica, Bari, Laterza, 1971. Nota è l’attività del filosofo e sociologo tedesco soprattutto nell’ambito della scuola di Francoforte. Dopo essersi occupato, negli anni Sessanta e Settanta, della filosofia della storia di chiaro stampo hegeliano e marxiano, a partire dai primi anni Ottanta passa ad affrontare la teoria critica sui nuovi paradigmi della ragione comunicativa. Almeno quattro nuclei teorici sono individuabili nel suo pensiero: 1) una teoria consensuale della verità, 2) una teoria dell’agire comunicativo, 3) un’etica del discorso e 4) una teoria discorsiva del diritto e della democrazia.

[21] A. R. Stone, The War of Desire and Tecnology, at the Close of the Mechanical Age, Oxford (1995), tr. it. Desiderio e tecnologia. Il problema dell’identità nell’era di Internet, Milano, Feltrinelli, 1997, pag. 200.

[22] In tal senso cfr. R. Martufi, L. Vasapollo, Comunicazione deviante. L’impero del capitale sulla comunicazione, Roma, Media Print Edizioni, 2000. Gli Autori affrontano in chiave analitica le tendenze in atto nel mondo della comunicazione, compresa quella informatica, che va sempre più assumendo le caratteristiche di veicolo strategico delle nuove forme di dominio totale del vivere sociale.

[23] Si confronti al riguardo H. Rheingold, Virtual Reality, Books, New York (1992), tr. it. La realtà virtuale, Bologna, Baskerville, 1993.

[24] U. Eco, Apocalittici e integrati, Milano, Bompiani, 1964. Si deve intendere per apocalittici coloro che auspicano un ritorno alla visione e al mito di fronte alla fine dei tempi, e per integrati coloro che, all’interno di una società, coordinano le proprie azioni mantenendo a un livello tollerabile i conflitti.

[25] Non si può non ricordare l’entusiasmo per la scienza e per la tecnica che contraddistinse il positivismo. “Il positivismo” scrive N. Abbagnano “è il romanticismo della scienza. La tendenza propria del romanticismo a identificare il finito e l’infinito, a considerare il finito come rivelazione e la realizzazione progressiva dell’infinito, è trasferita e realizzata dal positivismo nel senso della scienza. Con il positivismo, la scienza si esalta, si pone come l’unica manifestazione legittima dell’infinito, perciò si carica di significato religioso e pretende di soppiantare le religioni tradizionali”, N. Abbagnano, Storia della filosofia, vol. III, Torino, Utet, 1969, pag. 268.

[26] Cfr. A. Gehlen, Der Mensch. Seine Natur und seine Stellung in der Welt, Berlin (1975), tr. it. L’uomo, la sua natura e il posto nel mondo, Milano, Feltrinelli, 1983, pag. 43.

[27] A. Negri, "Tendenze contemporanee della filosofia del lavoro", in F. Avallone, La metamorfosi del lavoro, Milano, Franco Angeli, 1995, pag. 48.

[28] J. Ortega y Gasset, Meditacion de la tecnica, in, Obras Completas, “Revista de Occidente”, Madrid, 1974.

[29] W. Leiss, The domination of Nature, Washington (1940), tr. it. Il dominio sulla natura, Milano, Longanesi, 1976, pag. 32.

[30] Cfr. R. Barthes, Mytologies, Paris, Ed. du Seuil (1957), tr. it. Miti d’oggi, Torino, Einaudi, 1994.

[31] Per descrivere questo doppio sistema, Barthes elabora una precisa terminologia: “...sul piano della lingua, cioè come termine finale del primo sistema, chiamerò il significante: senso...; sul piano del mito, lo chiamerò forma. Per il significato non c’è pericolo di ambiguità: gli lasceremo il nome di concetto. Il terzo termine è la correlazione dei primi due: nel sistema della lingua, è il segno, ma non si può riprendere la parola senza ambiguità perché nel mito (ed è qui la sua particolarità principale) il significante è già formato da segni della lingua. Chiamerò il terzo termine del mito, significazione: la parola è qui tanto più giustificata in quanto il mito ha effettivamente una doppia funzione: designa e notifica, fa capire e impone”, pagg. 198-199.

[32] R. Barthes, op. cit., p. 198.

[33] Sembra interessante, a tal proposito, riportare un passo tratto dalla voce W.W.W. (World Wide Web) di un glossario dei termini dell’informatica, apparso su una rivista di settore “PC Professionale” e curato da Roberto Mazzoni “Il World Wide Web rappresenta uno spazio definito all’interno dell’enorme network d’interconnessione che unisce computer diversi e distanti tra loro e che oggi conosciamo col nome di Internet, alias la Rete. Parliamo di spazio perché è difficile concettualizzarlo altrimenti. Infatti non si tratta di un oggetto fisico e nemmeno di un’entità riconducibile a confini geografici, bensì è un sistema di presentazione e soprattutto d’interconnessione fra le informazioni concepito in modo da favorire il passaggio automatico da un documento all’altro e consentire la navigazione in un grande mare informativo senza altro strumento di orientamento se non quello che compare di volta in volta sul nostro schermo. Il World Wide Web fa parte di Internet, ma comprende solo una parte delle risorse disponibili all’interno di quest’ultima, ecco perché lo definiamo come uno degli spazi contenuti all’interno del grande universo di Internet, il quale a sua volta fa parte di un contesto ancora più grande che unisce diversi sistemi per lo scambio d’informazioni elettroniche (la cosiddetta Matrice)”.Cfr inoltre P. Lévy, Qu’est-ce que le Virtuel, Edit. La Dècouverte, Paris (1995), tr. it. Il Virtuale, Raffaello Cortina Edit., Milano, 1997.

[34] R. Trabucchi, Prometeo e la sopravvivenza dell’uomo: tecnica e prassi del terzo millennio, Milano, Franco Angeli, 1998.

[35] N. Abbagnano, Dizionario di filosofia, Torino, Utet, 1971, pag. 586.

[36] R. Barthes, op. cit., pag. 201.

[37] Questo contrasto emerge, oltre che in Autori contemporanei come, appunto, M. Heidegger, anche in un mito ben più antico, quello di Prometeo. L’acquisizione della più rudimentale forma di tecnica (il fuoco) sembra comunque la rottura di un ordine precostituito e va riparata con la sofferenza. “Il furto del fuoco dev’essere pagato. Ormai ogni ricchezza avrà come condizione il lavoro: è la fine dell’età dell’oro, la cui rappresentazione nell’immaginazione mitica sottolinea l’opposizione fra la fecondità e il lavoro... Ormai gli uomini non nasceranno più direttamente dalla terra; con la donna, conosceranno la nascita per generazione e, per conseguenza, anche l’invecchiamento, la sofferenza e la morte”, in J. P. Vernant, Mythe et pensée chez les Grecs. Etudes de psychologie, Paris, Maspero (1965), tr. it. Mito e pensiero presso i Greci, Torino, Einaudi, 1978, pag. 276.

[38] Cfr. T. Maldonado, op. cit.

[39] G. Lanzavecchia, Dematerializzazione e realtà virtuale, Roma, Ediesse, 1996.

[40] J. E. Rawlins, Moths to the Flame. The seduction of Computer Technology, The Mit Press, Cambridge (1996), tr. it. Le seduzioni del computer, Bologna, Il Mulino, 1997.

[41] Cfr. T. Maldonado, op. cit., pagg. 17-20.

[42] M. Perniola, Il Sex Appeal dell’inorganico, Torino, Einaudi, 1997.

[43] G. Dorfles, Nuovi Riti, Nuovi Miti, Torino, Einaudi, 1965.

[44] N. Abbagnano, Dizionario di filosofia, II ediz., Torino, Utet, 1971, pag. 588.

[45] Cfr al riguardo N. Abbagnano, L’uomo progetto 2000, Roma, Dino Editori, 1980.

[46] D. Goleman, Emotional Intelligenze, New York (1995), tr. it. Intelligenza emotiva, Milano, Mondadori, 1998.

[47] V. Tonini, Tecnologia e sociologia nella progettazione del futuro, in “La Nuova Critica”, Quaderno 17, 1966-1967, pagg. 10-11.

[48] Il rizoma è l’immagine usata da Umberto Eco per descrivere il suo modello semantico. Cfr. U. Eco, Trattato di semiotica generale, Milano, Bompiani, 1975.

[49] R. Martufi, L. Vasapollo, op. cit., pag. 112.

[50] La trasformazione dell’ “idea” in “ideologia” è stata suggerita da J. Habermas, op. cit..

[51] Cfr. M. Heidegger, Vortrage und Aufsatze, Pfullingen 1954, tr. it. Saggi e discorsi, Milano, Mursia, 1980. Recentemente il rapporto uomo-tecnica è stato ripreso da M. Perniola, Enigmi, Genova, Costa & Nolan, 1990. Per i rapporti fra nuove tecnologie e comunicazione cfr. R. Martufi, L. Vasapollo, op. cit.

[52] V. Tonini, op. cit., pagg. 242-243.

[53] H. Jonas, Wandel und Bestand. Vom Grunde der Verstrhbarkeit des Geschichtlichen in Wissenschaft und Gegenwart, Klostermann, Frankfurt (1970), tr. it. Dalla fede antica all’uomo tecnologico. Saggi filosofici, Bologna, Il Mulino, 1991.

[54] H. Jonas, op. cit., pag. 64.

[55] H. Jonas, Das Prinzip Verantwortung. Versuch einer Ethick fur die Technologische Civilisation, Insel, Frankfurt (1979), tr. it. Il principio responsabilità. Un’etica per la civiltà tecnologica, Torino, Einaudi, 1990, pag. 70.