Le diverse forme di privatizzazione

Luciano Vasapollo

Rita Martufi

In ogni caso il processo di privatizzazione, sia d’impresa sia del welfare, ad inizio anni ’80 accentua un percorso attuativo con tempi, modalità e forme differenti.

Va ricordato, allora che il concetto di privatizzazione può essere inteso in modi diversi.

Da un lato vi è la privatizzazione sostanziale [1] nel caso in cui la gestione dell’impresa viene assunta totalmente dai privati, ossia si attua una vero e proprio trasferimento della proprietà dall’azienda pubblica al settore privato. In questo caso le privatizzazioni, attuate attraverso una cooperazione tra pubblico e privato, consentono allo Stato di garantire un servizio, limitando il suo ruolo a semplice regolatore delle prestazioni offerte dall’operatore privato. La principale differenza tra la privatizzazione sostanziale e le altre forme di privatizzazione si può rilevare nel fatto che in questo caso il privato diviene a tutti gli effetti titolare della proprietà. Sono diversi i motivi che possono indurre a questa scelta: oltre all’aumento delle entrate del bilancio pubblico e al contenimento del debito pubblico, vi può essere anche la volontà di decentrare l’economia, oppure di limitare l’attività in un determinato settore ritenuto non redditizio ed efficiente.

La privatizzazione sostanziale si caratterizza rispetto alle altre tecniche per una maggiore complessità decisionale, che si collega ad una più elevata complessità procedurale.

La prima fase del processo di privatizzazione sostanziale è la selezione delle attività oggetto di cessione. Le attività cedute, infatti, devono essere le più idonee in funzione agli scopi che la privatizzazione si pone e agli effetti che ne possono derivare; se la cessione delle attività è parziale, ad esempio, non deve verificarsi un aumento dei costi necessari per la gestione delle attività rimaste, né una riduzione di quelle residue in portafoglio.

In secondo luogo si procede ad una verifica dei presupposti giuridici della privatizzazione; è necessario infatti che vi sia una libera trasferibilità dei diritti di proprietà. La transazione ha, quindi, come oggetto i diritti di proprietà, il sistema dei controlli e degli incentivi, che dopo la cessione divengono di pertinenza dei mercati finanziari (ci si riferisce alla natura dei finanziamenti, alla tenuta dei documenti di bilancio e compilazione di quelli contabili).

La terza fase del processo di privatizzazione è rappresentata dalla verifica dei presupposti economici della cessione; in questo senso si prefigurano a priori interventi di risanamento economico-finanziario diventano necessari per rendere ottime le condizioni dello scambio.

Vi sono poi una serie di fasi successive che risultano essere interdipendenti tra loro e che attengono all’entità del valore della proprietà da vendere, all’individuazione delle tecniche di cessione e alla definizione del tempo necessario per la vendita.

Va rilevato che il trasferimento della proprietà può essere totale o parziale ed interessare una quota di maggioranza o di minoranza; la scelta tra le due alternative dipende dall’interesse che ha lo Stato di mantenere o meno un controllo sulle attività cedute.

E’ chiaro inoltre che la possibilità di cessione di un’impresa pubblica, o anche di un servizio o attività pubblica, dipende dalla sua performance economica attuale e/o attesa: un’impresa sana dal punto di vista economico avrà molte più opportunità di essere ceduta di un’altra che invece si trova in condizioni di perdita e con poche possibilità di efficienza remunerativa; spesso però anche un’impresa poco “allettante” può rappresentare un investimento ad ampie possibilità di rientro e di espansione se il compratore è convinto di poter realizzare sinergie con la propria attività originaria, tali da permettere forti incrementi di redditività complessiva.

Le modalità scelte per la vendita condizionano la tecnica di valutazione dell’impresa: nell’ipotesi di collocamento azionario, ad esempio, il valore dell’azienda è fissato facendo ricorso ai metodi diretti di valutazione. Si utilizzano così criteri classici del mercato mobiliare, anche se questi non sempre rappresentano un appropriato riferimento. I criteri di valutazione utilizzati nella vendita diretta di solito sono metodi di valutazione analitica (criteri di tipo reddituale, patrimoniale e finanziario). Il criterio patrimoniale, non particolarmente significativo ai fini di una valutazione, si basa sulla determinazione del valore del patrimonio netto attraverso la considerazione del valore dell’avviamento dell’impresa; i criteri reddituali e finanziari, invece sono più adatti in quanto sono basati su informazioni attuali e prospettiche di reddito (nel primo caso) e di cassa ( nel secondo caso).

Oltre la privatizzazione sostanziale, vanno poi considerate le cosiddette forme “deboli” di privatizzazione. Queste sono così chiamate in quanto l’attività dell’impresa viene solo modificata per consentire una gestione più vicina alle compatibilità del mercato (rispettando cioè criteri di economicità, efficienza, profitto, competitività). Si parla in questo caso di privatizzazione indiretta. [2] Questa categoria riguarda tutte le forme di privatizzazione che mirano alla trasformazione delle formule di gestione delle imprese pubbliche lasciando però inalterato, almeno per quanto riguarda i pacchetti di controllo, il profilo degli assetti proprietari.

Tra i principali interventi di privatizzazione indiretta vanno ricordati :

1) L’apertura del monopolio alla concorrenza

Questo tipo di privatizzazione attua la rimozione delle barriere istituzionali sulle quali il monopolio basa la sua esistenza. Questo permette ai privati di intervenire nel mercato con l’obiettivo di migliorare l’efficienza dell’offerta e l’attuazione di contemporanee opportunità di profitto per le imprese entranti. Nella realtà questa modalità è stata utilizzata nel campo delle public utilities, in modo che la scelta del consumatore possa essere attuata attraverso un confronto qualità/prezzo del servizio offerto da operatori diversi; al momento del consumo in sostanza l’utente si trova a scegliere fra l’offerta pubblica, libera e quella privata , a pagamento.

2) la Deregolamentazione

Questa modalità di privatizzazione consiste in qualsiasi tentativo di ridurre le limitazioni indesiderate alla condotta privata. Si tratta quindi di una liberalizzazione dei mercati e l’eliminazione dei “privilegi” posti a favore dell’impresa pubblica; si tratta, in pratica, di un abbattimento di regole che definivano le condizioni di ingresso o di comportamento economico in un determinato comparto produttivo a vantaggio del settore pubblico o di privati che operano in regime di quasi-monopolio o comunque in situazioni che ostacolano la libera concorrenza.

La deregolamentazione prende in considerazione l’abolizione del regime dei controlli dei prezzi, dei divieti di accordi tra imprese, delle licenze ed autorizzazioni. La modalità della deregulation si è sviluppata soprattutto negli Stati Uniti negli anni ’70 con l’obiettivo di massimizzare l’efficienza allocativa del mercato, eliminando restrizioni che erano considerate dannose alla concorrenza. In questa situazione è proprio attraverso l’intervento dello Stato che ritenta di garantire la concorrenza (intervento antitrust) e sanare i difetti del mercato libero e non regolamentato.

3) La modificazione delle modalità di prelievo del corrispettivo per l’acquisto di beni e servizi

Le condizioni necessarie per l’apertura del mercato alla competizione vengono create con la sostituzione del pagamento diretto all’atto del consumo a quello indiretto attraverso l’imposizione fiscale. Un altro strumento utilizzato per questo scopo è rappresentato dal “voucher”(o “buono”), attraverso il quale lo Stato rimborsa l’utente del prezzo pagato per un servizio; gli utenti potranno in questo caso utilizzare i loro buoni per coprire parte del costo o per comprare il servizio privatamente.

4) La privatizzazione incrementale

Questa tecnica consiste nel conferimento a privati di parte del capitale azionario, al fine di utilizzare tali nuove fonti di capitale per l’incremento degli investimenti, effettuando così delle operazioni utili al potenziamento delle attività. In questo caso l’operatore pubblico deve impegnarsi a sottoscrivere degli aumenti di capitale delle proprie aziende e deve riservare una parte consistente di emissioni agli operatori privati.

5) La privatizzazione fredda

In questo caso vengono introdotti degli obiettivi di tipo privatistico nella gestione delle aziende pubbliche, attuando nel contempo una conseguente trasformazione delle tecniche di conduzione delle imprese stesse. Questa modalità non prevede il trasferimento di proprietà ma solo un allargamento delle autonomie decisionali dell’impresa; inoltre attraverso la deburocratizzazione del processo decisionale si ottiene una “maggiore responsabilizzazione dei diversi soggetti agenti, una più elevata rispondenza delle decisioni alle esigenze strategiche, un più pronto riadeguamento dell’orientamento strategico dell’impresa alla modificazione delle variabili esterne...vi è poi un ....allineamento delle politiche occupazionali, salariali e degli investimenti alla condotta delle imprese private”. [3]

6) La privatizzazione formale

Questo metodo consente alle imprese di operare secondo le regole del diritto privato pur avendo come principale azionista lo Stato (es. trasformazioni in società per azioni), in modo di tentare di sfruttare la migliore flessibilità funzionale dell’assetto privato (soprattutto riguardo agli assetti proprietari e al capitale).

7) La privatizzazione funzionale

Nella privatizzazione funzionale risulta più marcata la combinazione tra pubblico e privato; si attua, cioè, una immissione in ruolo delle imprese private che diventano corresponsabili di settori di attività gestiti in precedenza solo dall’operatore pubblico. Lo Stato, in pratica, delega interamente, o parzialmente, una determinata attività al settore privato pur mantenendo la responsabilità di controllo dei risultati.

Sono due le formule in cui trova applicazione la privatizzazione funzionale: il franchising (concessione) e il contracting out (appalto).

Con la prima vi è una assegnazione temporanea del monopolio per la produzione, o la distribuzione, di un bene o servizio ad un determinato soggetto economico che attraverso il compimento di una gara, sia risultato il più idoneo a garantire la migliore combinazione qualità-prezzo oppure ad esprimere il minore prezzo di offerta.

Il contracting out rappresenta in sostanza l’affidamento in gestione ad operatori pubblici o privati (la scelta dipende da chi si aggiudica la gara) di attività finanziate con fondi pubblici. Questa formula ha il pregio di consentire un miglioramento di efficienza ed efficacia allocativa della spesa pubblica.

Per raggiungere gli obiettivi della privatizzazione funzionale (minimizzazione dei costi delle prestazioni offerte dall’operatore privato a quello pubblico) è necessario gestire in modo corretto la gara di offerta per evitare che un monopolio privato si sostituisca la monopolio pubblico; è necessario, cioè, che la competizione tra i soggetti coinvolti nella gara sia il più possibile trasparente per consentire di realizzare delle condizioni di parità tra i partecipanti.

E’ alla privatizzazione del welfare che molto spesso viene applicata tale tecnica; infatti i principali settori nei quali si è avuta l’effettiva applicazione della tecnica di privatizzazione funzionale sono soprattutto l’assistenza sanitaria, il servizio all’educazione e l’attività di raccolta dei rifiuti urbani.

Un altro aspetto importante da analizzare nei processi di privatizzazione è sicuramente quello relativo alle varie tecniche di vendita; premesso che vi sono diverse tipologie di dismissione è opportuno esaminare le più frequenti.

L’offerta pubblica di vendita

L’offerta pubblica è stata più volte ritenuta lo strumento più idoneo alla creazione di un azionariato diffuso; va subito rilevato però che questo metodo non consente di evitare la possibilità di grossi pacchetti azionari concentrati nelle mani di pochi investitori se non è accompagnata da un sistema di incentivi all’acquisto (emissione di titoli ad un prezzo inferiore, dilazioni di pagamento, buoni sconto, azioni omaggio). L’offerta pubblica può essere a prezzo fisso (offer for sale) nel caso in cui i titoli siano venduti ad un prezzo unico, fissato prima dell’offerta; questo sistema viene ritenuto il più idoneo al raggiungimento dell’obiettivo di allargamento dell’azionariato. Vi è poi l’offerta pubblica con asta (tender offer) che si caratterizza per la raccolta di tutte le domande di acquisto degli investitori con prezzo superiore ad un minimo prefissato; in questo caso il prezzo (ad eccezione del prezzo minimo, minimum tender price) viene definito dal mercato ed è quello che permette di raggiungere un equilibrio tra domanda e offerta (striking price).

La vendita diretta

La tecnica di vendita diretta risulta essere efficace nell’ottica del raggiungimento di obiettivi strategici e riallocativi o finanziari; questa modalità di cessione si caratterizza nell’alienazione di imprese pubbliche ad un privato singolo, o ad un gruppo di privati, o a lavoratori e dirigenti; la cessione attraverso la vendita diretta può interessare sia l’intera proprietà sia una parte di essa.

La vendita diretta in sostanza prevede due fasi: la preparatoria e l’esecutiva; nella prima vengono valutati i potenziali acquirenti e si definisce la procedura di vendita; nella fase esecutiva, invece, si procede all’attuazione dell’operazione di vendita fino alla sua conclusione. Questa modalità si può attuare sia attraverso una negoziazione bilaterale (trattativa privata) sia attraverso una vendita per asta (asta competitiva); mentre nel primo caso vi è un rapporto diretto tra l’operatore privato e quello pubblico, nel secondo viene indetta un’asta nella quale l’impresa è venduta al miglior offerente (avendo naturalmente fissato un prezzo minimo).

Joint-Venture

Un’altra tecnica di vendita è la costituzione di una joint-venture, ossia di una società mista nella quale lo Stato cede solo una parte delle azioni (si può cedere anche la maggioranza di controllo dell’azienda) ad uno o più soci; i soci possono avere un ruolo di cofinanziatori oppure svolgere attività di carattere operativo, o avere insieme le due funzioni, dipendendo questo dal tipo di risorse messe a disposizione.

Il maggiore inconveniente di questo tipo di approccio al processo di privatizzazione, è dato dalla durata in vita della stessa joint-venture; tale durata è infatti , di solito limitata, dal momento che molto spesso intervengono conflitti di gestione tra l’operatore pubblico e il privato o ancora per il prevalere nei processi gestionali e strategico-decisionali di alcuni soci su altri; questo è uno dei motivi per cui la scelta degli acquirenti dovrebbe essere fatta con molta attenzione ed oculatezza al fine di garantire che tra gli stessi non vi siano, almeno inizialmente, conflitti vari di interesse.

In base alle esperienze attuative già realizzatesi, si possono altresì distinguere diverse tipologie operative di privatizzazione [4]:

1) Cessione del controllo ad un compratore strategico; in Italia sono stati diversi i casi in cui si è adottata questa tecnica; basta ricordare l’asta della Cementir vinta dal gruppo Caltagirone, la vendita dell’Alfa Romeo alla Fiat da parte della Finmeccanica ed anche la vendita della Lanerossi al gruppo Marzotto da parte dell’ENI.

2) Quotazione in Borsa di pacchetti di minoranza: esempi di questo tipo di privatizzazione si possono trovare all’interno del gruppo IRI, il quale ha effettuato la vendita di azioni della Stet, della SME ecc., conservandone il controllo pur avendo collocato in Borsa importanti pacchetti di minoranza.

3) Creazione di “noccioli duri” e collocamento in Borsa: un esempio è dato dalla modifica dell’assetto azionario di Mediobanca; nel 1988 infatti, è stata effettuata una operazione di parziale collocamento in Borsa di quote delle tre banche di interesse nazionale ad un gruppo di investitori privati appartenenti alla “migliore parte della finanza italiana”.

4) Privatizzazione totale in Borsa: in questo caso il collocamento in Borsa riguarda il 100% del capitale di una società e si distingue in due subtipologie caratterizzate dall’esistenza o meno della cosiddetta “golden share”.


[1] Per le varie forme di privatizzazione descritte si confronti Dossena G., “Le privatizzazioni delle imprese. Modalità, problemi e prospettive”, EGEA, Milano, 1990, pag. 26 e segg.

[2] Si parla di privatizzazione indiretta, ad esempio, quando si attua l’apertura del monopolio alla concorrenza, la privatizzazione dei rendimenti pubblici, l’allineamento tra imprese pubbliche e private. Va ricordato che alcuni studiosi sono propensi ad effettuare una distinzione più rigorosa tra le varie tipologie di privatizzazione intendendo con questo termine solo l’alienazione e la delega di imprese pubbliche; in questo senso sono escluse tutte le altre forme indirette che apportano solo cambiamenti alla struttura gestionale delle aziende.

[3] Cfr. Dossena G., “Le privatizzazioni...”, op. cit., p.35-36.

[4] Cfr.Costamagna C., “Privatizzazioni: l’obiettivo è la “public company”, Il Mulino 345”, Bologna Anno XLII, gennaio-febbraio 1993, p. 103-104-105.